II.L'AMORE.

II.L'AMORE.

Quando la salute, prima condizione della felicità, è assicurata, gli uomini considerano come massimo pregio della vita l'amore. Tanto valore è attribuito a questa passione per la difficoltà del suo appagamento. Ciascuna creatura bastando a sè stessa quando vuol soddisfare qualunque suo bisogno, ha bisogno d'un'altra creatura simile e diversa ad un tempo per soddisfare l'istinto della riproduzione. Questa dipendenza, la necessità dell'accordo, non riguardano soltanto l'amore come fatto organico, ma anche e più l'amore come sentimento. I due appetiti del maschio e della femmina, se bene non si destano a un punto e con forza e caratteri eguali, quasi sempre finalmente coincidono; molto più difficile è che le aspirazioni, i sentimenti e le idee d'un uomo e d'una donna concordino. La difficoltà dell'accordo, dal quale dipende l'appagamento del bisogno, si rivela esi misura nella scelta sessuale. Non ad un qualunque individuo dell'altro sesso ciascun individuo chiede l'amore, ma determinatamente ad un tale: se ogni donna può essere amata da ogni uomo, e reciprocamente, ciascuno di noi, uomo o donna, crede che il proprio piacere dipenda da alcune creature singolarissime. E la nostra scelta è naturalmente determinata dalle qualità esteriori e visibili delle creature da amare: noi scegliamo quelle che ci sembrano più belle e, per ciò stesso, migliori. Giacomo Leopardi, sensibile e immaginoso come lo conosciamo, capace d'apprezzare come abbiamo visto la bellezza muliebre, crederà, sulla fede di questa bellezza, a una maggiore, a un'infinita bellezza intima; l'amor suo sarà un fuoco divoratore. Infermo e deforme, egli non sarà riamato da nessuna donna. Mai i poeti dell'amore immaginarono situazione più sciagurata: un cuor nobile e uno spirito altissimo in un corpo egro e contraffatto. Se l'esperienza sentimentale è tanto spesso triste per quegli uomini grandi la cui grandezza non potè essere misurata dalle donne, ma che pure, poco o molto, bene o male, furono riamati; che cosa dovette essere per un uomo come il Leopardi a cui nessuna donna mai rispose, di cui più d'una donna rise?

Il primo amore lo infiamma a diciotto anni: egli s'invaghisce della cugina Geltrude Cassi venuta per qualche giorno a Recanati e scesain casa di lui. Che struggimento sia questa passione egli stesso ha descritto:

Tornami a mente il dì che la battagliaD'amor sentii la prima volta, e dissi:Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!. . . . . . . . . . . . . . .Ahi come mal mi governasti, amore!Perchè seco dovea sì dolce affettoRecar tanto desìo, tanto dolore?E non sereno, e non intero e schietto,Anzi pien di travaglio e di lamentoAl cor mi discendea tanto diletto?Dimmi, tenero core, or che spavento,Che angoscia era la tua fra quel pensieroPresso al qual t'era noia ogni contento?

Tornami a mente il dì che la battagliaD'amor sentii la prima volta, e dissi:Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!. . . . . . . . . . . . . . .

Tornami a mente il dì che la battaglia

D'amor sentii la prima volta, e dissi:

Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!

. . . . . . . . . . . . . . .

Ahi come mal mi governasti, amore!Perchè seco dovea sì dolce affettoRecar tanto desìo, tanto dolore?

Ahi come mal mi governasti, amore!

Perchè seco dovea sì dolce affetto

Recar tanto desìo, tanto dolore?

E non sereno, e non intero e schietto,Anzi pien di travaglio e di lamentoAl cor mi discendea tanto diletto?

E non sereno, e non intero e schietto,

Anzi pien di travaglio e di lamento

Al cor mi discendea tanto diletto?

Dimmi, tenero core, or che spavento,Che angoscia era la tua fra quel pensieroPresso al qual t'era noia ogni contento?

Dimmi, tenero core, or che spavento,

Che angoscia era la tua fra quel pensiero

Presso al qual t'era noia ogni contento?

Delizia somma ed unica, la passione è anche spasimo ineffabile: questo contrasto noto ad ognuno si acuisce soprammodo in una natura sensibile come quella del Leopardi. Il suo cuore “inquieto e felice e miserando„, gli affatica il fianco dal tanto forte palpitare, e il sonno gli vien meno come per febbre; ma intanto la dolce immagine sorge viva in mezzo alle tenebre:

Oh come soavissimi diffusiMoti per l'ossa mi serpeano! Oh comeMille nell'alma instabili, confusiPensieri si volgean!

Oh come soavissimi diffusiMoti per l'ossa mi serpeano! Oh comeMille nell'alma instabili, confusiPensieri si volgean!

Oh come soavissimi diffusi

Moti per l'ossa mi serpeano! Oh come

Mille nell'alma instabili, confusi

Pensieri si volgean!

Ma di questa donna che suscita in lui tanto desiderio egli può appena ammirare le sembianzee udire la voce: e già ella parte, e invano

Io qui vagando al limitare intornoInvan la pioggia invoco e la tempestaAcciò che la ritenga al mio soggiorno.Pure il vento muggia nella forestaE muggìa tra le nubi il tuono errantePria che l'aurora in ciel fosse ridesta.O care nubi, o cielo, o terra, o piante;Parte la donna mia: pietà, se trovaPietà nel mondo un infelice amante.O turbine, or ti sveglia, or fate provaDi sommergermi, o nembi, insino a tantoChe il sole ad altre terre il dì rinnova.S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni cantoPosan l'erbe e le frondi, e m'abbarbagliaLe luci il crudo sol pregne di pianto....

Io qui vagando al limitare intornoInvan la pioggia invoco e la tempestaAcciò che la ritenga al mio soggiorno.

Io qui vagando al limitare intorno

Invan la pioggia invoco e la tempesta

Acciò che la ritenga al mio soggiorno.

Pure il vento muggia nella forestaE muggìa tra le nubi il tuono errantePria che l'aurora in ciel fosse ridesta.

Pure il vento muggia nella foresta

E muggìa tra le nubi il tuono errante

Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta.

O care nubi, o cielo, o terra, o piante;Parte la donna mia: pietà, se trovaPietà nel mondo un infelice amante.

O care nubi, o cielo, o terra, o piante;

Parte la donna mia: pietà, se trova

Pietà nel mondo un infelice amante.

O turbine, or ti sveglia, or fate provaDi sommergermi, o nembi, insino a tantoChe il sole ad altre terre il dì rinnova.

O turbine, or ti sveglia, or fate prova

Di sommergermi, o nembi, insino a tanto

Che il sole ad altre terre il dì rinnova.

S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni cantoPosan l'erbe e le frondi, e m'abbarbagliaLe luci il crudo sol pregne di pianto....

S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto

Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia

Le luci il crudo sol pregne di pianto....

E se egli, al buio, protendendo l'orecchio avido per cogliere l'ultima voce di lei che parte, ne ode in cambio un'altra, una voce plebea, pure un gelo lo prende e il cuore gli si rompe nel petto. E quando ella se ne va, e s'ode il romorio dei cavalli e delle ruote:

Orbo rimasi allor, mi rannicchiaiPalpitando nel letto e, chiusi gli occhi,Strinsi il cor con la mano e sospirai.Poscia traendo i tremuli ginocchiStupidamente per la muta stanza,Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?Amarissima allor la ricordanzaLocommisi nel petto, e mi serravaAd ogni voce il cor, a ogni speranza.E lunga doglia il sen mi ricercava,Com'è quando a distesa Olimpo pioveMalinconicamente e i campi lava.

Orbo rimasi allor, mi rannicchiaiPalpitando nel letto e, chiusi gli occhi,Strinsi il cor con la mano e sospirai.

Orbo rimasi allor, mi rannicchiai

Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,

Strinsi il cor con la mano e sospirai.

Poscia traendo i tremuli ginocchiStupidamente per la muta stanza,Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?

Poscia traendo i tremuli ginocchi

Stupidamente per la muta stanza,

Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?

Amarissima allor la ricordanzaLocommisi nel petto, e mi serravaAd ogni voce il cor, a ogni speranza.

Amarissima allor la ricordanza

Locommisi nel petto, e mi serrava

Ad ogni voce il cor, a ogni speranza.

E lunga doglia il sen mi ricercava,Com'è quando a distesa Olimpo pioveMalinconicamente e i campi lava.

E lunga doglia il sen mi ricercava,

Com'è quando a distesa Olimpo piove

Malinconicamente e i campi lava.

Non è esagerazione poetica, retorica. Già non sarebbe da dubitarne perchè lo scrittore, — e particolarmente uno scrittore come lui — risente, componendo, le sue impressioni passate; e se trova immagini gagliarde per dipingere lo stato dell'anima sua, vuol dire che gagliardamente ha sentito o è capace di sentire; ma noi abbiamo altre testimonianze le quali dicono molto più che non dica egli stesso. La notte della partenza della Cassi, riferisce la contessa Teresa Leopardi, fu una notte “spaventevole. Egli era in preda a un delirio che lo faceva gridare e ruggire.„ Il fratello Carlo dovette vegliarlo. Calmatosi, egli non scrisse soltanto questi versi, compose anche unaStoriadel suo amore, in prosa; un giorno ne lesse alcuni frammenti al fratello: “gli si spezzava il cuore nel leggerli, e a Carlo mancava il coraggio d'insistere, e lo pregava che cessasse d'intrattenersi su quelle strazianti memorie.„

Quest'analisi intima accresce naturalmente la forza delle impressioni che già si sono scritte profondamente nelle sensibilissime fibre. Null'altro compiacimento egli trova fuorchè in questa indagine:

Solo il mio cor piaceami, e col mio coreIn un perenne ragionar sepolto,Alla guardia seder del mio dolore.

Solo il mio cor piaceami, e col mio coreIn un perenne ragionar sepolto,Alla guardia seder del mio dolore.

Solo il mio cor piaceami, e col mio core

In un perenne ragionar sepolto,

Alla guardia seder del mio dolore.

Perchè, non solamente nulla ottenne egli da quella donna, ma nulla le chiese, nulla le disse; e quantunque assicuri che

Vive quel foco ancor, vive l'affetto,Spira nel pensier mio la bella imagoDa cui, se non celeste, altro dilettoGiammai non ebbi, e sol di lei m'appago;

Vive quel foco ancor, vive l'affetto,Spira nel pensier mio la bella imagoDa cui, se non celeste, altro dilettoGiammai non ebbi, e sol di lei m'appago;

Vive quel foco ancor, vive l'affetto,

Spira nel pensier mio la bella imago

Da cui, se non celeste, altro diletto

Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago;

pure, col tempo, la memoria della sua passione a poco a poco, naturalmente, si disperde. Un'altra tosto ne nasce.

Una fanciulla di umile condizione, Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, lo innamora. Che cosa dovrà essere questo sentimento noi possiamo prevedere da quel che egli dice intorno alla seduzione esercitata dalle giovanette, dalle vergini. Se una donna, come era la Cassi, “è più atta a inspirare e maggiormente mantenere una passione,„ egli giudica che una fanciulla dai sedici anni ai diciotto anni “ha nel suo viso, nei suoi moti, nelle sue voci un non so che di divino che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo carattere, il suo gusto, allegra o malinconica, capricciosa o grave, vivace o modesta, quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume, che si legge sul viso e negli atti, e che voi nel guardarla concepite in lei e per lei, quell'aria d'innocenza e d'ignoranza completa del male, delle sventure, dei patimenti; quel fiore insomma, anche senza innamorarvi, anche senzainteressarvi, fanno in voi un'impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardare quel viso; ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l'anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un'idea d'angeli di paradiso, di divinità, di felicità. Tutto questo, io ripeto, senza innamorarci, senza muoverci desiderio di posseder quell'oggetto. La stessa divinità che noi vi scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce la fa riguardare come di una sfera divina e superiore alla nostra, a cui non possiamo aspirare....„ La gentile Teresa, se da principio gl'ispira questo senso di umile e trepida ammirazione, presto lo infiamma d'amore prepotente. Quando, di maggio, ella siede intenta alle opere femminili e fa risonare tutt'intorno il suo perpetuo canto; ed egli, lasciate le sue carte, ascolta quei suoni, il volto gli si discolora; e se volge lo sguardo alle vie dorate, agli orti, al mare, al monte, la sua felicità è infinita:

Lingua mortal non diceQuel ch'io sentivo in seno.Che pensieri soavi.Che speranze, che cori, o Silvia mia!Quale allor ci appariaLa vita umana e il fato!

Lingua mortal non diceQuel ch'io sentivo in seno.Che pensieri soavi.

Lingua mortal non dice

Quel ch'io sentivo in seno.

Che pensieri soavi.

Che speranze, che cori, o Silvia mia!Quale allor ci appariaLa vita umana e il fato!

Che speranze, che cori, o Silvia mia!

Quale allor ci apparia

La vita umana e il fato!

Ma egli non le ha detto una sola parola dell'amor suo; nè sa che cosa veramente ella provi per lui. Non può parlare, non sa risolversi:è timido, indeciso, senza volontà: noi sappiamo che tutta la sua forza vitale è impiegata all'interno, a sentire, a pensare: non glie ne avanza per operare. E mentre la passione lo strugge e la debolezza lo avvilisce, la povera ragazza se ne muore, di tisi, a ventun anno, quando egli ne ha appena venti. Egli vede venire la morte della diletta, e si studia invano di non credere a chi gli dà notizie disperate dell'inferma, e presente lo strazio della dipartita; e, morta, la rivede in sogno:

Morta non mi parea, ma trista, e qualeDegl'infelici è la sembianza. Al capoAppressommi la destra, e sospirando,Vivi, mi disse, e ricordanza alcunaSerbi di noi?

Morta non mi parea, ma trista, e qualeDegl'infelici è la sembianza. Al capoAppressommi la destra, e sospirando,Vivi, mi disse, e ricordanza alcunaSerbi di noi?

Morta non mi parea, ma trista, e quale

Degl'infelici è la sembianza. Al capo

Appressommi la destra, e sospirando,

Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna

Serbi di noi?

Egli non può credere che sia morta; e quando ne è certo, non sa come ancora sia vivo egli stesso; e all'ombra — solo alla vana ombra — che lo visita nel sogno, osa chiedere:

Or se di pianto il ciglio,........ e di pallor velato il visoPer la tua dipartita, e se d'angosciaPorto gravido il cor; dimmi: d'amoreFavilla alcuna, o di pietà, giammaiVerso il misero amante il cor t'assalseMentre vivesti? Io disperando alloraE sperando traea le notti e i giorni;Oggi nel vano dubitar si stancaLa mente mia. Che se una volta solaDolor ti strinse di mia negra vitaNon mel celar, ti prego, e mi soccorraLa rimembranza or che il futuro è toltoAl nostri giorni....

Or se di pianto il ciglio,........ e di pallor velato il visoPer la tua dipartita, e se d'angosciaPorto gravido il cor; dimmi: d'amoreFavilla alcuna, o di pietà, giammaiVerso il misero amante il cor t'assalseMentre vivesti? Io disperando alloraE sperando traea le notti e i giorni;Oggi nel vano dubitar si stancaLa mente mia. Che se una volta solaDolor ti strinse di mia negra vitaNon mel celar, ti prego, e mi soccorraLa rimembranza or che il futuro è toltoAl nostri giorni....

Or se di pianto il ciglio,

........ e di pallor velato il viso

Per la tua dipartita, e se d'angoscia

Porto gravido il cor; dimmi: d'amore

Favilla alcuna, o di pietà, giammai

Verso il misero amante il cor t'assalse

Mentre vivesti? Io disperando allora

E sperando traea le notti e i giorni;

Oggi nel vano dubitar si stanca

La mente mia. Che se una volta sola

Dolor ti strinse di mia negra vita

Non mel celar, ti prego, e mi soccorra

La rimembranza or che il futuro è tolto

Al nostri giorni....

E quando ella gli dice che sì, allora:

Per le sventure nostre, e per l'amoreChe mi strugge, esclamai; per lo dilettoNome di giovinezza e la perdutaSpeme de' nostri dì, concedi, o cara,Che la tua destra io tocchi.

Per le sventure nostre, e per l'amoreChe mi strugge, esclamai; per lo dilettoNome di giovinezza e la perdutaSpeme de' nostri dì, concedi, o cara,Che la tua destra io tocchi.

Per le sventure nostre, e per l'amore

Che mi strugge, esclamai; per lo diletto

Nome di giovinezza e la perduta

Speme de' nostri dì, concedi, o cara,

Che la tua destra io tocchi.

Torna a scordarsi che è morta nel ricoprirne di baci ardenti la mano; ma il fantasma sparisce:

Allor d'angosciaGridar volendo, e spasimando, e pregneDi sconsolato pianto le pupille,Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhiPur mi restava, e nell'incerto raggioDel sol vederla io mi credeva ancora.

Allor d'angosciaGridar volendo, e spasimando, e pregneDi sconsolato pianto le pupille,Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhiPur mi restava, e nell'incerto raggioDel sol vederla io mi credeva ancora.

Allor d'angoscia

Gridar volendo, e spasimando, e pregne

Di sconsolato pianto le pupille,

Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi

Pur mi restava, e nell'incerto raggio

Del sol vederla io mi credeva ancora.

La dolorosa memoria non lo lascia più.

Ahi Nerina! In cor mi regnaL'antico amor. Se a feste anco talvolta,Se a radunanze io movo, in fra me stessoDico: Nerina, a radunanze, a festeTu non ti acconci più, tu più non movi.Se torna maggio, e ramoscelli e suoniVan gli amanti recando alle fanciulle,Dico: Nerina mia, per te non tornaPrimavera giammai, non torna amore.Ogni giorno sereno, ogni fioritaPiaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,Dico: Nerina or più non gode; i campi,L'aria non mira. Ahi tu passasti, eternoSospiro mio: passasti: e fia compagnaD'ogni mio vago immaginar, di tuttiI miei teneri sensi, i tristi e cariMoti del cor, la rimembranza acerba.

Ahi Nerina! In cor mi regnaL'antico amor. Se a feste anco talvolta,Se a radunanze io movo, in fra me stessoDico: Nerina, a radunanze, a festeTu non ti acconci più, tu più non movi.Se torna maggio, e ramoscelli e suoniVan gli amanti recando alle fanciulle,Dico: Nerina mia, per te non tornaPrimavera giammai, non torna amore.Ogni giorno sereno, ogni fioritaPiaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,Dico: Nerina or più non gode; i campi,L'aria non mira. Ahi tu passasti, eternoSospiro mio: passasti: e fia compagnaD'ogni mio vago immaginar, di tuttiI miei teneri sensi, i tristi e cariMoti del cor, la rimembranza acerba.

Ahi Nerina! In cor mi regna

L'antico amor. Se a feste anco talvolta,

Se a radunanze io movo, in fra me stesso

Dico: Nerina, a radunanze, a feste

Tu non ti acconci più, tu più non movi.

Se torna maggio, e ramoscelli e suoni

Van gli amanti recando alle fanciulle,

Dico: Nerina mia, per te non torna

Primavera giammai, non torna amore.

Ogni giorno sereno, ogni fiorita

Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,

Dico: Nerina or più non gode; i campi,

L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno

Sospiro mio: passasti: e fia compagna

D'ogni mio vago immaginar, di tutti

I miei teneri sensi, i tristi e cari

Moti del cor, la rimembranza acerba.

Dubitano che questa Nerina sia la stessa Silvia, la stessa Teresa Fattorini; dicono chepossa essere un'altra umile giovanetta, la tessitrice Maria Belardinelli, della quale il poeta si era più tardi invaghito. Sia pure. Ma quest'altro amore è stato forse più fortunato dell'altro? Quest'altro amore somiglia quanto più non sarebbe possibile al primo. Come non ha rivelato l'animo suo alla Fattorini, il Leopardi non l'ha rivelato alla Belardinelli; come la Fattorini è morta giovane, giovane è morta la Belardinelli: la prima a ventun anno, la seconda a ventisette. Entrambe le passioni furono tacite, inappagate, infelici.

E l'esperienza della sua incapacità a farsi amare prostra il giovane, lo attrista, lo riduce a una sconsolata e cupa rassegnazione. Se incontra una bella fanciulla, se ne ode soltanto da lontano qualcuna cantare,

A palpitar si moveQuesto mio cor di sasso; ahi, ma ritornaTosto al ferreo sopor; ch'è fatto estraneoOgni moto soave al petto mio.

A palpitar si moveQuesto mio cor di sasso; ahi, ma ritornaTosto al ferreo sopor; ch'è fatto estraneoOgni moto soave al petto mio.

A palpitar si move

Questo mio cor di sasso; ahi, ma ritorna

Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estraneo

Ogni moto soave al petto mio.

Nessuna simpatia dell'infelice è stata corrisposta, nessuna ne ha saputa o potuta esprimere; nessun'altra ne esprimerà, di nessun'altra otterrà il ricambio. Egli stesso ha riconosciuto che così dev'essere, che così è giusto che sia. Egli sa d'avere “l'aspetto miserabile e dispregevolissima tutta quella gran parte dell'uomo, che è la sola a cui guardino i più: e coi più bisogna conversare in questo mondo; e non solamente i più, ma chicchessiaè costretto a desiderare che la virtù non sia senza qualche ornamento esteriore, e trovandonela nuda affatto, s'attrista, e per forza di natura, che nessuna sapienza può vincere, quasi non ha coraggio d'amare quel virtuoso in cui niente è bello fuorchè l'anima.„ Così la sua Saffo, dispregiata amante, riconosce che

alle sembianze il PadreAlle amene sembianze eterno regnoDiè nelle genti; e per virili imprese,Per dotta lira o canto,Virtù non luce in disadorno ammanto.

alle sembianze il PadreAlle amene sembianze eterno regnoDiè nelle genti; e per virili imprese,Per dotta lira o canto,Virtù non luce in disadorno ammanto.

alle sembianze il Padre

Alle amene sembianze eterno regno

Diè nelle genti; e per virili imprese,

Per dotta lira o canto,

Virtù non luce in disadorno ammanto.

Che vale nondimeno questa persuasione filosofica contro le leggi della vita, contro le voci dell'istinto? La ragione ha un bel dimostrargli sino all'evidenza che egli non può essere amato: che importa, se dell'amore ha bisogno? E allora, non che rassegnarsi, egli fa un ragionamento tutto inverso. L'amore degli uomini non si distingue per la parte che vi ha l'anima? I godimenti bassi e volgari valgono forse il piacere “que donne un seul instant de ravissement et d'émotion profonde?„ L'anima sua non è capace di risentire e di procurare altrui queste commozioni ineffabili? Le donne non dicono che è inutile parlare ai loro sensi; che solo il sentimento le infiamma? Non vi sarà una donna che, ansiosa di essere amata con l'anima, da un'anima grande, comprenderà la sua grandezza e compatirà la sua sciagura e gli stenderà la mano?Se egli ancora non l'ha trovata, non può, non deve sperare di trovarla? Nulla vale l'esperienza contraria per uno avvezzo come lui a dar tanto credito alle illusioni. Egli deve necessariamente illudersi che se nessuna donna lo ha ancora compreso, qualcuna lo comprenderà. E il tempo passa, e non una si accorge di lui. Allora egli si rivolta contro tutte: tanto più violentemente, quanto più è persuaso che l'amor suo è senza pari, per quel sentimento orgoglioso del quale altrove notammo l'origine. Allora egli scrive: “L'ambizione, l'interesse, la perfidia, l'insensibilità delle donne che io definisco unanimale senza cuore, sono cose che mi spaventano.... La scelleraggine delle donne mi spaventa, non già per me, ma perchè vedo la miseria del mondo.„ Egli vede che, se uomini e donne sono destinati ad amarsi, sono anche fatti diversamente; e che, naturalmente più fredde, le donne possono speculare sull'ardenza del desiderio che ispirano: quindi la prostituzione. Egli non può accostare le sciagurate che si vendono perchè gli fanno troppo ribrezzo e troppa paura, perchè vuole amare nobilmente, con tutte le più alte potestà dell'esser suo; ma crede che, se altra fosse la sua condizione nel mondo, non sarebbe deriso: “S'io divenissi ricco e potente, ch'è impossibile, perchè ho troppo pochi vizi, le donne senza fallo cercherebbero d'allacciami.Ma in questa mia condizione, disprezzato e schernito da tutti, non ho nessun merito per attirarmi le loro lusinghe.„ E il maggiore, l'unico suo merito, la capacità sentimentale, si perde a poco a poco: egli sente di non poter essere amato anche “perchè ho l'animo così agghiacciato e appassito dalla continua infelicità, ed anche dalla misera cognizione del vero, che prima di avere amato ho perduto la facoltà di amare; e un angelo di bellezza e di grazia non basterebbe ad accendermi.„

Ma come s'inganna! A ventidue anni può egli esser sicuro di non ricadere nell'eterna illusione? Non confessa che la sua esperienza è tutta immaginaria, che non ha amato realmente, come tutti gli altri uomini i quali manifestano i loro sentimenti e cercano di ottenerne il ricambio; ma soltanto tra sè, tacitamente, nella solitudine? Allora chi lo difenderà contro nuove lusinghe? Bisognerebbe che il suo cuore mutasse di tempra perchè perdesse la capacità d'infiammarsi così. Se l'amor suo è un chiuso fuoco che la sola vista d'una donna accende, nè la mancata corrispondenza, nè l'impossibilità d'esser compreso, nè lo sdegno contro le creature giudicate insensibili gl'impediranno di accendersi ancora.

Noi lo abbiamo udito gridare da Roma al fratello: “Amami, per Dio. Ho bisogno d'amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita....„ Subito dopo soggiunge: “Le donne romanealte e basse fanno propriamente stomaco; gli uomini fanno rabbia e compassione.„ Nella gran città, se “non per modestia, ma per pienissima e abituale indifferenza e noncuranza„, le donne non alzano gli occhi sui giovani molto belli ed eleganti in compagnia dei quali egli gira spesso per le vie; come sarà guardato e notato un povero contraffatto suo pari? Quindi il suo sdegno cresce, lo fa uscire in nuovi insulti: “Trattando, è così difficile il fermare una donna in Roma come in Recanati, anzi molto più, a cagione dell'eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d'ipocrisia, non amano altro che il girare e il divertirsi non si sa come....„ Ma quanto gli debba costare questo giudizio, quanto debba cuocergli la rinunzia alle gioie dell'amore nella quale vuol dare a intendere che quasi si compiace, appare da altre sue impressioni. Il povero rachitico intende squisitamente la seduzione delle forme muliebri, dà ragione dell'incanto che esercita lo spettacolo del ballo: “Una donna nè col canto nè con altro qualunque mezzo può tanto innamorare un uomo quanto col ballo; il quale pare che comunichi alle sue forme un non so che di divino, ed al suo corpo una forza, una facoltà più che umana.„ Se egli ha dichiarato di sprezzare tutto il genere femminino, se annunzia chenon tratta a Roma con donne, confessa pure che “senza queste nessuna occupazione o circostanza della nostra vita ha diritto di affezionarci o di compiacerci. Io me n'assicuro per esperienza, e posso giurarti che la conversazione spiritosa o senza spirito mi è venuta in odio mortale. Tutto è secco fuori del nostro cuore; e questo non si esercita mai....„ E quando il fratello Carlo gli annunzia che è innamorato, egli se ne felicita: “Veramente non so qual migliore occupazione si possa trovare al mondo che quella di fare all'amore, sia di primavera o d'autunno; e certo che il parlare a una bella ragazza vale dieci volte più che girare, come io fo, attorno all'Apollo del Belvedere o alla Venere Capitolina.„ Se, dunque, poco tempo dopo, di ritorno a Recanati, egli scrive al Melchiorri che è “ben sicuro di morire e di soffrire per tutt'altro che per una donna„, noi non lo potremo credere. Rallegratosi col fratello per la sua nuova fiamma, otto mesi dopo egli ammonisce il cugino: “Io sono troppo persuaso, non dico della vostra filosofia, perchè la filosofia in questi casi non serve, ma della vostra accortezza e cognizione del mondo, per credervi capace d'innamorarvi in modo che la passione vi possa inquietare. Caro Peppino, non siamo più a quei tempi. Nella primissima gioventù, questo ci può accadere; ma dopo fatta esperienza delle cose, è impossibile, o ètroppo fuor di ragione. Un tempo addietro io era capacissimo di una passione furiosa: ne ho provate anch'io e per confessarvi la mia sciocchezza, vi dico che sono stato più volte vicinissimo ad ammazzarmi per ismania d'amore, ancorchè in verità non avessi altra cagione di disperarmi, che la mia immaginazione. Ma dopo l'esperienza, sono ben sicuro di morire e di soffrire per tutt'altro che per una donna. Farei torto al vostro buon giudizio se vi ricordassi che le donne non vagliono la pena di amarle e di patire per loro. Non posso credere che mi rispondiate che la vostra è diversa dall'altre. Questa è la risposta di tutti gl'innamorati, e non sarebbe degna di voi. Voi ed io dobbiamo tenere per assioma matematico che non v'è nè vi può esser donna degna di essere amata da vero.„ La contraddizione è tutta apparente: se egli parla ora da credente ora da scettico, ciò avviene perchè, con un bisogno prepotente d'amore, si sente condannato a non ottenerne mai. Non lo amano, ed egli accusa tutto il sesso muliebre; ma se è ingiusto con le donne, è anche ingiusto con sè stesso, dichiarandosi impotente ad amare quando invece è condannato a struggersi invano. “Sono molto contento,„ riscrive all'amico, “di vedervi questa volta un poco più quieto sopra la vostra passione. Di questa io non sarei capace, perchè il cuore, di cui voi mi parlate, è andato a spasso dopo tante esperienze d'uomini e didonne: ma non biasimo però chi è capace ancora di provarla e di amare da vero, anzi lo invidio e lo felicito, perchè l'amore, quantunque sia una pura illusione, ed abbia molti dolori, ha però un maggior numero di piaceri; e se fa molti danni, questi servono per pagare moltissimi diletti che ci procura. Sotto questo aspetto io approvo l'amore se bene non lo provo; ma quando poi esso ci dovesse fare infelici, non concederò mai che la ragione in un par vostro, e in qualunque uomo, sia filosofo, sia mondano, non debba potere, se non altro, indebolirlo.... A' tempi nostri, in questi costumi, con questo carattere di donne, coi disinganni che ci hanno procurati tante cognizioni d'ogni genere intorno al cuore umano, non è possibile che un uomo di senno sia per lungo tempo la vittima di una passione ispirata da oggetti pieni di vanità e d'ogni sorta di tristizie.„

Ma tanto egli arde, tale è la sua sete d'amore, che non trovando una donna di carne e d'ossa alla quale poter degnamente consacrare il suo culto, se ne foggia una con la fantasia.

Viva mirarti omaiNulla speme m'avanza........ Già sul novelloAprir di mia giornata incerta e bruna,Te viatrice in questo arido suoloIo mi pensai. Ma non è cosa in terraChe ti somigli; e s'anco pari alcunaTi fosse al volto, agli atti, alla favella,Saria, così conforme, assai men bella.

Viva mirarti omaiNulla speme m'avanza........ Già sul novelloAprir di mia giornata incerta e bruna,Te viatrice in questo arido suoloIo mi pensai. Ma non è cosa in terraChe ti somigli; e s'anco pari alcunaTi fosse al volto, agli atti, alla favella,Saria, così conforme, assai men bella.

Viva mirarti omai

Nulla speme m'avanza....

.... Già sul novello

Aprir di mia giornata incerta e bruna,

Te viatrice in questo arido suolo

Io mi pensai. Ma non è cosa in terra

Che ti somigli; e s'anco pari alcuna

Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,

Saria, così conforme, assai men bella.

Egli dimentica che, essendo tanto poco amabile, non dovrebbe essere tanto esigente; la sua immaginazione è così fervida che vince la coscienza della sua miseria fisica: infermo, contraffatto, sogna una perfezione fuori dell'umano: egli è ancora quel romantico che, innamorato di una donna viva, la evita per contemplarla idealmente, temendo che la realtà ne distrugga l'incanto. Ma romanticismo, idealismo, delirii della fantasia: tutto cede all'istinto vitale. L'amore è un bisogno; egli deve amare, ed ama: e l'amor suo non è ricambiato; non dalla Basvecchi, non dalla Brighenti, non dalla Malvezzi. Udite che cosa desta costei in questo dispregiatore di tutto il genere femminile: “Sono entrato con una donna (Fiorentina di nascita) maritata in una delle principali famiglie di qui, in una relazione, che forma ora gran parte della mia vita. Non è giovane, ma è di una grazia e di uno spirito che (credilo a me, che finora l'avevo creduto impossibile) supplisce alla gioventù e crea un'illusione maravigliosa. Nei primi giorni che la conobbi, vissi in una specie di delirio e di febbre. Non abbiamo mai parlato di amore se non per ischerzo, ma viviamo insieme in un'amicizia tenera e sensibile, con un interesse scambievole, e un abbandono, che è come un amore senza inquietudine. Ha per me una stima altissima: se le leggo qualche mia cosa, spesso piange di cuore senz'affettazione; lelodi degli altri non hanno per me nessuna sostanza: le sue mi si convertono tutte in sangue, e mi restano nell'anima. Ama e intende molto le lettere e la filosofia; non ci manca mai materia di discorso, e quasi ogni sera io sono con lei dall'avemaria alla mezzanotte passata, e mi pare un momento. Ci confidiamo tutti i nostri secreti, ci riprendiamo, ci avvisiamo dei nostri difetti. In somma questa conoscenza forma e formerà un'epoca ben marcata della mia vita, perchè mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri che io credeva impossibili, e che io sono ancor capace d'illusioni stabili, malgrado la cognizione e l'assuefazione contraria così radicata, ed ha risuscitato il mio cuore dopo un sonno anzi una morte completa.„ Teresa Carniani Malvezzi non è giovanetta, ignara della vita e dell'arte; è donna fatta, scrittrice, poetessa: dovrebbe sapere chi è l'uomo da cui è amata; se non gradisce l'amor suo perchè non glie lo fa intendere subito? Prima lo alletta; poi un bel giorno gli dichiara che le sue visite la seccano. “L'ultima volta che ebbi il piacere di vedervi,„ egli le scrive, “voi mi diceste così chiaramente che la mia conversazione da solo a sola vi annoiava, che non mi lasciaste luogo a nessun pretesto per ardire di continuarvi la frequenza delle mie visite. Non crediate ch'io mi chiami offeso;se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti, e le vostre parole, benchè chiare abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte....„ Questo egli chiede almeno: che non lo lusinghino, che gli dicano tosto di non volere, di non potere mai rispondere all'amor suo. E neppur questo può ottenere, mai.

Nella stessa Bologna dove ha conosciuto la Malvezzi, nello stesso anno, incontra eguale fortuna con la Padovani, cantante giovane, bella e graziosa. Egli non va più da lei quando s'accorge che l'amor suo è sdegnato, e resiste alle dimostrazioni d'interesse con le quali quest'altra mal consigliata tenta di riparare alle repulse; poichè gli amici di lui temono che non sia guarito del tutto, egli dimostra — o tenta dimostrare — che non hanno ragione: “Non so perchè vogliate dubitare della mia costanza in tenermi lontano da quella donna. Quasi mi vergogno a dirti che essa, vedendo che io non andavo più da lei, mandò a domandarmi delle mie nuove, ed io non ci andai; che dopo alcuni giorni mandò ad invitarmi a pranzo, ed io non ci andai; che sono partito per Firenze senza vederla; che non l'ho mai veduta dopo la tua partenza da Bologna. Dico che mi vergogno a raccontarti questo, perchè par ch'io ti voglia provare una cosa di cui mi fai torto a dubitare. Certo che la gioventù, la bellezza, le grazie di quella strega sono tanto grandi, che ci vuol molta forza a resistere....„

Egli trova questa forza; e glie ne va data tanto maggior lode, quanto più degne di biasimo sono coteste allettatrici, che vorrebbero tenerselo accosto non solo senza accordargli nulla, ma ridendo anche di lui.

E voi, pupille tremule,Voi raggio sovrumano,So che splendete invano,Che in voi non brilla amor.Nessun ignoto ed intimoAffetto in voi non brilla:Non chiude una favillaQuel bianco petto in sè.Anzi d'altrui le tenereCure suol porre in giuoco,E d'un celeste focoDisprezzo è la mercè.

E voi, pupille tremule,Voi raggio sovrumano,So che splendete invano,Che in voi non brilla amor.

E voi, pupille tremule,

Voi raggio sovrumano,

So che splendete invano,

Che in voi non brilla amor.

Nessun ignoto ed intimoAffetto in voi non brilla:Non chiude una favillaQuel bianco petto in sè.

Nessun ignoto ed intimo

Affetto in voi non brilla:

Non chiude una favilla

Quel bianco petto in sè.

Anzi d'altrui le tenereCure suol porre in giuoco,E d'un celeste focoDisprezzo è la mercè.

Anzi d'altrui le tenere

Cure suol porre in giuoco,

E d'un celeste foco

Disprezzo è la mercè.

Allora egli si rivolge al passato, rievoca la figura della povera fanciulla morta sul fiore degli anni, della gentile che, se non l'amò, almeno non rise di lui: e questo è tutto il suo conforto: un mortuario ricordo:

Rimembri ancoraQuel tempo della tua vita mortale,Quando beltà splendeaNegli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,E tu, lieta e pensosa, il limitareDi gioventù salivi?

Rimembri ancoraQuel tempo della tua vita mortale,Quando beltà splendeaNegli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,E tu, lieta e pensosa, il limitareDi gioventù salivi?

Rimembri ancora

Quel tempo della tua vita mortale,

Quando beltà splendea

Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

E tu, lieta e pensosa, il limitare

Di gioventù salivi?

Ella è morta; egli è inaridito, non aspetta se non la morte:

Tu, misera, cadesti: e con la manoLa fredda morte ed una tomba ignudaMostravi di lontano....

Tu, misera, cadesti: e con la manoLa fredda morte ed una tomba ignudaMostravi di lontano....

Tu, misera, cadesti: e con la mano

La fredda morte ed una tomba ignuda

Mostravi di lontano....

E s'inganna ancora! Egli non è giunto al termine delle sue prove. Se l'immaginazione lo ha troppo illuso, se l'esperienza lo ha troppo deluso, la triste vicenda non è ancora finita. Egli ha trent'anni. Quantunque la sua salute sia rovinata per sempre, pure la fiamma vitale non è ancora spenta. Ed è nato ad amare, come il suo Eleandro: “Sono nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto può mai capire in anima umana.„ Eleandro, come lui, ha un bel dire: “Oggi, benchè non ancora, come vedete, in età naturalmente fredda, nè forse anco tepida, non mi vergogno a dire che non amo nessuno, fuorchè me stesso, per necessità di natura, e il meno possibile.„ Giacomo Leopardi, per suo proprio conto, in prima persona, griderà ancora: “Io non ho bisogno nè di stima, nè di gloria, nè d'altre cose simili; ma ho bisogno d'amore....„ La sua speranza che una donna finalmente lo intenda non può morire. Se non è mai stato amato, se non ha saputo, se non ha potuto esprimere i proprii sentimenti, gli basta, come a Consalvo, un lieto sguardo, una buona parola, perchè, ripetendoli mille e mille volte nel costante pensiero, egli viva e speri.

Ed ecco la nuova allettatrice: Fanny Targioni-Tozzetti, che egli incontra a Firenze, nel 1830. In un salotto elegante tutto odoroso dei nuovi fiori primaverili, vestita del colore della bruna viola, ella lo accoglie amabilmente,e quasi ad eccitare i suoi desiderii scocca baci sulle labbra delle figliuoline stringendole al seno.

ApparveNovo ciel, nova terra, e quasi un raggioDivino al pensier mio.

ApparveNovo ciel, nova terra, e quasi un raggioDivino al pensier mio.

Apparve

Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio

Divino al pensier mio.

La fiamma che repentinamente lo investe è alta e gagliarda. Dal momento che l'ha veduta il pensiero di lei governa il suo cuore:

Dolcissimo, possente,Dominator di mia profonda mente:Terribile, ma caroDono del ciel; consorteAi lugubri miei giorni,Pensier che innanzi a me sì spesso torni....

Dolcissimo, possente,Dominator di mia profonda mente:Terribile, ma caroDono del ciel; consorteAi lugubri miei giorni,Pensier che innanzi a me sì spesso torni....

Dolcissimo, possente,

Dominator di mia profonda mente:

Terribile, ma caro

Dono del ciel; consorte

Ai lugubri miei giorni,

Pensier che innanzi a me sì spesso torni....

Da questo momento, come per virtù d'incantesimo, tutte le altre sue cure, i tanti dolori, i ricordi, le aspettazioni, tutto svanisce:

Ratti d'intorno intorno al par del lampoGli altri pensieri mieiTutti si dileguâr. Siccome torreIn solitario campoTu stai solo, gigante....Che divenute son, fuor di te solo,Tutte l'opre terrene,Tutta intera la vita al guardo mio!Che intollerabil noiaGli ozi, i commerci usati,E di vano piacer la vana spene,Allato a quella gioia,Gioia celeste che da te mi viene!

Ratti d'intorno intorno al par del lampoGli altri pensieri mieiTutti si dileguâr. Siccome torreIn solitario campoTu stai solo, gigante....

Ratti d'intorno intorno al par del lampo

Gli altri pensieri miei

Tutti si dileguâr. Siccome torre

In solitario campo

Tu stai solo, gigante....

Che divenute son, fuor di te solo,Tutte l'opre terrene,Tutta intera la vita al guardo mio!Che intollerabil noiaGli ozi, i commerci usati,E di vano piacer la vana spene,Allato a quella gioia,Gioia celeste che da te mi viene!

Che divenute son, fuor di te solo,

Tutte l'opre terrene,

Tutta intera la vita al guardo mio!

Che intollerabil noia

Gli ozi, i commerci usati,

E di vano piacer la vana spene,

Allato a quella gioia,

Gioia celeste che da te mi viene!

E se prima egli non temeva la morte, ora quasi la sfida e ne ride; e se il volgo gliparve spregevole, ora ogni atto indegno lo ferisce; e se la sua vita è stata un lungo martirio, è lieto d'averlo sopportato, ora che ottiene tal premio:

Ed ancor tornerei,Così qual son de' nostri mali esperto,Verso un tal segno a incominciare il corso:Che tra le sabbie e tra il vipereo morso,Giammai finor sì stancoPer lo mortal desertoNon venni a te, che queste nostre peneVincer non mi paresse un tanto bene.

Ed ancor tornerei,Così qual son de' nostri mali esperto,Verso un tal segno a incominciare il corso:Che tra le sabbie e tra il vipereo morso,Giammai finor sì stancoPer lo mortal desertoNon venni a te, che queste nostre peneVincer non mi paresse un tanto bene.

Ed ancor tornerei,

Così qual son de' nostri mali esperto,

Verso un tal segno a incominciare il corso:

Che tra le sabbie e tra il vipereo morso,

Giammai finor sì stanco

Per lo mortal deserto

Non venni a te, che queste nostre pene

Vincer non mi paresse un tanto bene.

E amando egli solo, senza sapere ancora qual sorte è serbata all'amor suo, che slancio d'immaginazione, che superbe speranze:

Che mondo mai, che novaImmensità, che paradiso è quelloLà dove spesso il tuo stupendo incantoParmi innalzar! dov'ioSott'altra luce che l'usata errando,Il mio terreno statoE tutto quanto il ver pongo in obblìo!

Che mondo mai, che novaImmensità, che paradiso è quelloLà dove spesso il tuo stupendo incantoParmi innalzar! dov'ioSott'altra luce che l'usata errando,Il mio terreno statoE tutto quanto il ver pongo in obblìo!

Che mondo mai, che nova

Immensità, che paradiso è quello

Là dove spesso il tuo stupendo incanto

Parmi innalzar! dov'io

Sott'altra luce che l'usata errando,

Il mio terreno stato

E tutto quanto il ver pongo in obblìo!

Egli presente pure che anche questo è un sogno: ma sogno di natura divina; e se un tempo, amando la prima volta, fu stupito vedendo come per amore fosse tutt'in una volta “felice e miserando„, ora, con gli anni, coi disinganni, con le difficoltà di accogliere, dopo questa, nuove lusinghe, sente che il nuovo pensiero, “cagion diletta d'infinito affanno„, non sarà più sostituito.

Manifesterà egli questa volta con parole,proverà questa volta coi fatti la passione sua? Egli sa che dovrebbe fare così; ma tutte le sue disgrazie sono aggravate: moralmente, la fiacchezza della volontà, la timidezza, la paura sono cresciute, sono diventate vera impotenza; fisicamente, dopo quindici anni di malattie, egli è l'ombra di sè stesso. Non sa far altro pertanto che pensare a lei; si studia di veder lei in quelli che le somigliano; per esserle gradito importuna tutti i suoi amici chiedendo loro autografi, giacchè ella ne fa raccolta. Ed ella, accogliendolo benignamente, godendo i vantaggi d'un'amicizia così grande, ride poi insieme con gli amici del “suo gobbetto....„

L'infelice ignora le risa di lei. Seguìto a Roma l'amico Ranieri, si sente come in esilio; scrive alla donna del suo cuore una lettera dove la passione, nonostante la timidità, pure traspare: “Cara Fanny, Non vi ho scritto fin qui per non darvi noia, sapendo quanto siete occupata. Ma infine non vorrei che il silenzio vi paresse dimenticanza, benchè forse sappiate che il dimenticar voi non è facile. Mi pare che mi diceste un giorno, che spesso ai vostri amici migliori non rispondevate, agli altri sì, perchè di quelli eravate sicura che non si offenderebbero, come gli altri, del vostro silenzio. Fatemi tanto onore di trattarmi come uno de' vostri migliori amici, e se siete molto occupata, e se lo scrivere vi affatica, non mi rispondete....„ E lasciatosi andare a parlaredella sua misantropia, si pente, s'incolpa: “Ma io ho torto di scrivere queste cose a voi, che siete bella, e privilegiata dalla natura a risplendere nella vita, e trionfare del destino umano. So che anche voi siete inclinata alla malinconia, come sono state sempre e come saranno in eterno, tutte le anime gentili e d'ingegno. Ma con tutta sincerità, e nonostante la mia filosofia vera e disperata, io credo che a voi la malinconia non convenga; cioè che quantunque naturale, non sia del tutto ragionevole. Almeno così vorrei che fosse.... Addio, cara Fanny; salutatemi le bambine. Se vi degnate di comandarmi, sapete che a me, come agli altri che vi conoscono, è una gioia e una gloria il servirvi.„ Tornato a Firenze, divampando la sua passione con nuova forza, egli comincia ad accorgersi che la donna lo tratta con insolita freddezza. Tante volte sì è ribellato: ora no, ora s'umilia; dinanzi a lei prima e sola piega l'altero capo, si mostra timido e tremante; e spia sommessamente ogni sua voglia, ogni parola, ogni atto; impallidisce ai suoi superbi fastidii; brilla in volto a un segno suo cortese; muta forma e colore ad ogni suo sguardo. Questa tenacia della speranza misurerà la forza della seguente disperazione. Già nell'agosto del '32, quando ella va a Livorno per i bagni, rimasto solo a Firenze, senza lei, senza l'amico, tormentato dalla passione impotente, costretto a fuggire la luce per il maledegli occhi, le scrive: “Ranieri è sempre a Bologna, sempre occupato in quel suo amore che lo fa per più lati infelice. E pure certamente l'amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo e le sole solissime degne di essere desiderate. Pensiamo, se l'amore fa l'uomo infelice, che faranno le altre cose che non sono nè belle nè degne dell'uomo....„ I suoi malanni crescono con la brutta stagione: ha il petto rotto dalla tosse, gli occhi quasi spenti: è un moribondo. Ella gli accorda ancora un poco di carità; e il disgraziato se ne contenta; quando il Ranieri, tornato a Firenze, gli rivela, forse per indurlo a lasciare questa città e a venirsene a Napoli con lui, che anche questa donna lo schernisce come tutte le altre....

Allora perisce l'estremo inganno; la speranza e lo stesso desiderio di nuovi amori, dì nuovi inganni, si spegne; nessuna cosa gli pare che valga più i moti del suo cuore. Cotesta donna non ha saputo

Che smisurato amor, che affanni intensi,Che indicibili moti e che deliriMovesti in me; nè verrà tempo alcunoChe tu l'intenda. In simil guisa ignoraEsecutor di musici concentiQuel ch'ei con mano e con la voce adopraIn chi l'ascolta.

Che smisurato amor, che affanni intensi,Che indicibili moti e che deliriMovesti in me; nè verrà tempo alcunoChe tu l'intenda. In simil guisa ignoraEsecutor di musici concentiQuel ch'ei con mano e con la voce adopraIn chi l'ascolta.

Che smisurato amor, che affanni intensi,

Che indicibili moti e che deliri

Movesti in me; nè verrà tempo alcuno

Che tu l'intenda. In simil guisa ignora

Esecutor di musici concenti

Quel ch'ei con mano e con la voce adopra

In chi l'ascolta.

La donna amata è come morta per lui. Quantunque realmente ella viva,

Bella non solo ancor, ma bella tanto,Al parer mio, che tutte l'altre avanzi,

Bella non solo ancor, ma bella tanto,Al parer mio, che tutte l'altre avanzi,

Bella non solo ancor, ma bella tanto,

Al parer mio, che tutte l'altre avanzi,

la creatura viva non gli è più nulla; egli sente, ultimo disinganno, ultimo dolore, d'avere amato non la persona reale di lei, ma l'immagine che l'innamorata fantasia glie ne dipinse:

Quella adorai gran tempo; e sì mi piacqueSua celeste beltà, ch'io, per insinoGià dal principio conoscente e chiaroDell'esser tuo, dell'arti e delle frodi.Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,Cúpido ti seguii finch'ella visse,Ingannato non già, ma dal piacereDi quella dolce somiglianza un lungoServaggio ed aspro a tollerar condotto.

Quella adorai gran tempo; e sì mi piacqueSua celeste beltà, ch'io, per insinoGià dal principio conoscente e chiaroDell'esser tuo, dell'arti e delle frodi.Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,Cúpido ti seguii finch'ella visse,Ingannato non già, ma dal piacereDi quella dolce somiglianza un lungoServaggio ed aspro a tollerar condotto.

Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque

Sua celeste beltà, ch'io, per insino

Già dal principio conoscente e chiaro

Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi.

Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,

Cúpido ti seguii finch'ella visse,

Ingannato non già, ma dal piacere

Di quella dolce somiglianza un lungo

Servaggio ed aspro a tollerar condotto.

Uscendo pertanto dall'ultima passione della sua vita, egli s'accorge che l'amor suo è stato “un lungo vaneggiare„; come quando, fanciullo ancora, pensando che il primo suo vano amore gli aveva fatto giudicar vani gli studii aveva concluso:

Deh quanto in verità vani siam nui!

Deh quanto in verità vani siam nui!

Deh quanto in verità vani siam nui!

Ma oramai egli è giunto sulle soglie della morte. E quando muore portando con sè sotterra, dopo aver tanto spasimato, la sua verginità; se pure Marianna Brighenti, che non lo ha allettato, ricusa pudicamente di far vedere ai curiosi la sola lettera d'amore che egli le scrisse; costei, la Targioni, la donna più ardentemente idoleggiata, il cui nome vero vive nella memoria degli uomini per l'amore di lui che l'ha cantata col nome di Aspasia;questa donna che ha avuto pochi scrupoli nella vita, che ha molto e liberamente amato, scrive al Ranieri dopo che il poeta è morto: “Molti ammiratori del povero Leopardi dimoranti in Parma mi hanno più volte chiesto e richiesto chi sia l'Aspasia su cui quell'insigne poeta scrisse canzone. Per carità, ditemelo voi se lo sapete, per togliermi da una filastrocca di lettere inutili e noiose....„


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