III.LA FAMIGLIA.
Se in tutto tranne che nell'amore ciascuno basta a sè stesso, l'uomo non è già solo nel mondo, la sua felicità dipende in gran parte da chi gli sta intorno. Tutto il genere umano può essere ed è considerato da alcuni filosofi come un essere vivente del quale ogni individuo è una cellula e i gruppi d'individui sono gli organi. La solidarietà tra gli uomini, tra le cellule umane, è tanto più salda, quanto più essi sono vicini: il gruppo più stretto è la famiglia. Da essa dipende l'educazione del cuore; la condizione dei parenti nel mondo è anche quella del giovane sino al giorno che egli può provvedere a sè stesso. Come è educato Giacomo Leopardi? In che stato sociale si trova?
Sua madre fu giudicata — e nessuno ha interposto appello al giudizio — donna di propositi virili più che di tenerezze materne. Un che di virile era nel suo aspetto, come maschile era qualche parte del suo vestito, gli stivali, il berretto. Ella fece pesare la durasua autorità, prima che sui figli, sul marito. “Si dette il caso,„ narra Paolina Leopardi, “quand'io era piccina piccina, o anche forse quando non ero nemmeno nata, che la gonna di mia madre s'intrecciò fra le gambe di mio padre, non so come. Ebbene, non è stato più possibile ch'egli abbia potuto distrigarsene.„ Entrata in casa Leopardi, ella ne trova il patrimonio quasi sommerso nei debiti; saggiamente, ma anche tirannicamente, impone un'economia severissima. A nessuno consente di disporre di nulla; a nessuno manifesta quei sentimenti di calda e vivace affezione che sono la gioia della casa. Se i suoi bambini si lagnano di qualche dolore, le sole parole di consolazione che sappia dir loro sono queste: “Offritelo a Gesù.„ Quando sono grandi, apre e trattiene le loro lettere. Non una volta li stringe al cuore; “lo sguardo„ scrive Carlo Leopardi, “era la sola sua carezza.„ E Paolina: “Fra gli altri motivi che hanno renduto così trista la mia vita e che hanno disseccato in me le sorgenti dell'allegria e della vivacità.... uno è l'avere in mammà una persona ultrarigorista, un vero eccesso di perfezione cristiana, la quale non potete immaginare quanta dose di severità metta in tutti i dettagli della vita domestica.„
Tale è la madre, la creatura che dovrebbe prima d'ogni altra sorridere al frutto delle proprie viscere, che ne dovrebbe cullare i sognie lenire i dolori. Giacomo, come è rimasto dinanzi a lei timido e quasi pauroso, così lontano da lei non ardisce scriverle, sicuro di annoiarla; nelle sue rarissime e brevissime letterine, ella non pensa se non a rammentargli di tenere una buona condotta; e una volta lo chiama anche “figlio d'oro„; ma quando? Quando crede che la professione letteraria abbia dischiuso al giovane una miniera d'oro, rendendo inutile l'assegno della famiglia. E lo eccita a continuarle il suo affetto “sincero„, sottolineando la parola certo perchè dubita della sincerità dell'amore del figlio e se ne duole; ma di chi è la colpa, se non sua propria? Come vorrebbe che il figlio si lasciasse trasportare dall'amore, se ella stessa non l'ha amato, o l'ha amato a suo modo, moderando, reprimendo i moti del suo cuore materno?
Il padre, Monaldo Leopardi, è uomo d'ingegno fuor del comune e di cuore amorevole; ma, oltrechè non dispone della propria volontà, obbedendo sempre ed in tutto alla moglie, egli intende anche la vita al modo antico: non sa, non vuol sapere, non vuol sentire nulla di quel che accade nel mondo rinnovato. Come Giacomo, egli vede due secoli armati l'uno contro l'altro; ma se soffre di questa lotta, la sua sofferenza non deriva, come quella di Giacomo, dal contrasto delle opposte sollecitazioni: egli non prova altro che ira e sdegno contro tutte le novità. Al figliuolo somigliaper metà: gli ha dato l'amore dell'antico, la severità del pensiero indagatore, la pazienza delle ricerche lunghe e minute, il senso dell'ordine e della disciplina. Il gusto delle contraffazioni di vecchie scritture è comune a Monaldo e a Giacomo. Il padre trasmette non soltanto a lui, ma anche all'altro suo figlio Carlo la sua disposizione al riso: come egli profonde le celie nei suoi scritti, e motteggia nella conversazione di tutti i giorni, e muore scherzando col sacerdote nell'agonia; così Carlo è celebre per le sue arguzie e lascia un libro di epigrammi molto pungenti; così Giacomo, che esce spesso nel discorso e nelle lettere in motti felici, si servirà come più tardi vedremo di questa sua nativa attitudine. Ancora: nel deridere il troppo vantato progresso delle scienze e delle arti padre e figlio si rassomigliano; il giudizio che danno intorno alla Roma dei loro tempi è identico. Con tanti tratti comuni non dovrebbero essi accordarsi?
L'influenza di ogni uomo sopra il proprio simile si può esercitare in due modi: o per conformità, quando noi siamo persuasi ad imitare gli esempii che ci sono proposti; o per opposizione, quando siamo spinti a fare il contrario. Nell'adolescenza, nel tempo che Giacomo s'immerge negli studii filologici, severissimamente, da vecchio, egli si uniforma agli esempii paterni; perchè questo accordo durasse che cosa sarebbe necessario? Che ilpadre, secondasse a sua volta il figlio nel sentimento poetico della vita nel generoso ardor giovanile, che comprendesse le sue inquietudini, che lenisse la sua malinconia. Lo ha procreato a ventidue anni; non potrebbe esserne il fratello maggiore, non dovrebbe esserne l'amico? Ciò gli è impossibile. Se gli somiglia tanto da una parte, non gli somiglia niente dall'altra. La sua sensibilità morale è molto più ottusa, la sua fantasia è molto più sterile; la musica non gli dice nulla; i sentimenti nuovi, indeterminati, dei quali soffre e gode la nuova generazione, gli sono sconosciuti: alle idee nuove è inaccessibile. Non solo cattolico, ma suddito fedele del Papa, il cui governo chiama “dolcissimo„, è un vero “guelfo del diciannovesimo secolo.„ Va con la spada al fianco, come i cavalieri antichi. “Il prestigio della novità non mi ha sedotto, le lusinghe della rivoluzione mi hanno lasciato inconcusso, non ho sieduto nel concistoro degli empii, e non ho alzato la voce dalla cattedra della pestilenza.„ Tanto ogni novità lo sdegna, tanto è fedele alle opinioni dei tempi passati, che nega il sistema copernicano: se Galileo ha riso di Ticone, egli si augura che venga qualcuno il quale rida di Galileo e restituisca alla terra “l'antico onore„ considerandola ancora come centro dell'universo, “liberandola dal fastidio di tanti moti.„ Udite le sue argomentazioni: “Imperciocchè, allefine dei conti il Galilei non ha potuto viaggiare in persona nei tropici e nell'equatore, ma ha dovuto contentarsi di considerare le cose da lontano alquanti milioni di miglia; e quel sistema secondo il quale per dividere i giorni e le notti vogliamo che la terra si rivolti ogni 24 ore intorno al suo asse come l'arrosto intorno allo spiedo, per compiere il corso dell'anno le facciamo fare un giro immenso in 365 giorni all'incirca e per accomodare le stagioni la costringiamo a starsene sempre giocando all'altalena, con alzare e abbassare i suoi poli.... questo sistema non toglie il desiderio di rinvenire una teoria meno lambiccata.„
Con queste disposizioni della mente, egli non è capace d'indulgenza, di sopportazione: confessa ingenuamente che le sue buone qualità “sono bilanciate da un orgoglio smisurato che le troppe lodi datemi nell'adolescenza avevano fomentato e che mi rendeva ambizioso di superare tutti in tutto.„ Riconosce che “l'abitudine di sovrastare m'è sempre rimasta e mi adatto malissimo, anzi non mi adatto in modo veruno alle seconde parti. Voglio piegarmi, voglio esser docile, rimettermi e tacere; ma in sostanza tutto quello che mi ha avvicinato ha fatto a modo mio, e quello che non si è fatto a modo mio mi è sembrato mal fatto.„ Che cosa può egli dunque intendere delle ansie, dei desiderii, dei bisogni del figlio?Può il figlio, ardente, vivace, inquieto, adattarsi sempre alla freddezza, alla calma, alla rigidità del padre? Se tanta parte dello spirito del padre è nel figlio; se questi per le facoltà più serie della mente, per la profondità della cultura classica, per la capacità di disciplina, può essere sollecitato a seguire gli esempii del padre; la cieca intransigenza di Monaldo non deve poi ottenere l'effetto contrario, di spingerlo per la via opposta? Tra queste due anime la lotta non deve fatalmente impegnarsi?
La lotta si accese, e fu grave e scandalosa; e se molti diedero tutta la colpa al padre, non pochi anche oggi vedono nella ribellione di Giacomo il sintomo dell'ingratitudine, dell'aridità del suo cuore. Prima di esaminare i rapporti del padre e del figlio, notiamo come uno scandalo simile a quello avvenuto in casa Leopardi non fosse senza esempio, a quel tempo. Se, quantunque rassomigliandosi e amandosi sommamente, un germe di discordia ha potuto sempre insinuarsi tra i genitori ed i figli, perchè altri sono i sentimenti e le opinioni dei giovani, altri quelli dei vecchi; questo contrasto è più sensibile al principio dell'êra contemporanea. Quando tutti i poteri e tutti i principii cominciano ad essere oggetto di esame, anche la potestà paterna è posta in forse; come i popoli si ribellano ai re, così i figli si ribellano ai padri.“I consigli della vecchiezza„ scrive Vauvenargues, “rischiarano senza riscaldare, come il sole d'inverno„; immagine che Stendhal doveva far sua: quello Stendhal che, odiando il padre ed essendone odiato, doveva anche scrivere per proprio conto: “I genitori e i maestri sono i nostri primi nemici quando entriamo nel mondo.„ E il più mite Vauvenargues così precisa il proprio pensiero: “I giovani soffrono non tanto dei proprii errori quanto della prudenza dei vecchi.... L'ordinario pretesto di coloro che fanno l'infelicità degli altri è che vogliono il loro bene....„ Beniamino Constant, educato da un padre che reprime i moti del cuore per mostrarsi severo, fugge dalla casa paterna; il suoAdolfoattribuisce la propria malinconia all'educazione ricevuta dal padre, uomo generoso ma rigido, presso al quale egli non prova altro che soggezione. Senancour scappa in Isvizzera per sottrarsi allo stato ecclesiastico al quale è destinato dalla famiglia; Lamartine evade dalla casa di educazione, dove è sul punto di uccidersi.
Pères, de vos enfants ne forcez point les voeux:Le ciel vous les donna, mais pour les rendre heureux,
Pères, de vos enfants ne forcez point les voeux:Le ciel vous les donna, mais pour les rendre heureux,
Pères, de vos enfants ne forcez point les voeux:
Le ciel vous les donna, mais pour les rendre heureux,
aveva ammonito il dolente Chénier, invano. Molti filosofi hanno affermato che l'unico sentimento naturale, fondato sopra un istinto prepotente, è l'amor proprio; e che tutti gli altri, anche quelli che sembrano più disinteressati,sono forme più o meno larvate di egoismo; questa sentenza è confermata più spesso che non dovrebbe nel caso dell'amor paterno. Dai figli che debbono loro la vita, che sono come una viva parte della loro persona, e che perciò essi amano sopra ogni altra cosa al mondo, i genitori pretendono un affetto cieco che rinunzii ad ogni volontà e ad ogni velleità e incondizionatamente si sottoponga. Di questa qualità fu l'amor paterno di Monaldo, con l'aggravante della resistenza da lui opposta alle innovazioni. Il fondamento dei vincoli sociali che egli vede minacciato è la famiglia; nella famiglia, nella potestà paterna, è l'origine di tutte quelle altre potestà contro le quali egli vede far impeto: quindi, se anche per indole non fosse portato a comandare, terrebbe sempre alta la sua autorità per convinzione. Il suo concetto dell'autorità paterna è quello biblico:Filii tibi sunt; erudi illos, et curva illos a pueritia illorum.Egli esegue letteralmente il precetto: stabilito di avviar Giacomo per la carriera ecclesiastica, a dodici anni gli fa dare il primo degli ordini minori.Ne des illi potestatem in iuventute, et ne despicias cogitatus illius:mai, “letteralmente mai„, egli lo lascia solo. Amandolo teneramente, teme che le vivaci manifestazioni dell'amor suo scemino il suo prestigio di padre; quindi le contiene e le reprime. Quando è riuscito troppo bene inquest'opera, anch'egli si duole, come la moglie, anzi con più cordiale sincerità, di ciò che ne è l'effetto naturalissimo; perchè vorrebbe, ma non può essere trattato con piena confidenza da Giacomo. “Mi pare che le lettere mie siano di molestia a voi, e che voi diate ad esse un riscontro stirato stirato come i versi latini dei ragazzi; quasi che il vostro cuore trovasse un qualche inciampo per accostarsi al mio, il quale vorrebbe esser veduto da voi una volta sola e per un solo lampo, e questo gli basterebbe.„ E al padre amante il figlio devoto tosto risponde: “Le dico e le protesto con tutta la possibile verità, innanzi a Dio, che io l'amo teneramente quanto è o fu mai possibile a figlio alcuno di amare suo padre; che io conosco chiarissimamente l'amore che ella mi porta, e che a' suoi benefizi e alla sua tenerezza io sento una gratitudine tanto intima e viva quanto può mai essere gratitudine umana.... Se poi ella desidera qualche volta in me più di confidenza e più dimostrazioni d'intimità verso lei, la mancanza di queste cose non procede da altro che dall'abitudine contratta sino dall'infanzia, abitudine imperiosa e invincibile perchè troppo antica e cominciata troppo per tempo.„ È triste, dolorosa e quasi tragica per queste due anime l'impossibilità di confondersi nell'impeto dell'affetto che pure entrambe le spinge. Ma non ha il padre volontariamentecontenuto l'affetto suo? Come si può dolere se ha impedite le ingenue manifestazioni di quello del figlio? Egli vuole che il figlio lo tratti con intimità quando gli dà delvoi, quando lo ha educato a dargli dellei; quando per rispetto ai principii, alla tradizione, non gli ha dato mai nessun esempio di confidente abbandono!
Gli effetti di questa educazione sono molto più gravi che Monaldo non sospetti. L'anima sensitiva che avrebbe bisogno di espandersi, si chiude invece in sè stessa: l'apparente severità del padre e la reale soggezione nella quale è tenuto producono questo effetto: che il giovanetto si sente quasi estraneo nella famiglia, e alteramente ricusa di ricorrere ad essa quando ne ha bisogno. “Io tra il non avere e il domandare scelgo il non avere, eccetto se la necessità de' miei studi o la voglia troppo ardente di leggere qualche libro non mi sforza.... Circa a mio padre, io mi son fatto durissimo al domandare, e non mi ci so risolvere a nessun patto.„ Tanto più egli si afferma in questo proponimento, quanto più vede inutili le sue richieste e le sue preghiere. Il Giordani gli consiglia, per salute, di cavalcare; e questo è uno dei pochissimi esercizii ai quali sarebbe adatto e che egli farebbe volentieri, perchè gli altri, più energici, lo ammazzerebbero; ma non gli è dato. I parenti, ai quali sarebbe spettato di moderaregli enormi suoi studii, non intendono metter opera a correggerne gli effetti funesti. Egli non cessa di lagnarsi con l'amico: “Avrei sommo bisogno di distrazioni, ma non ne ho: oimè! mi ridarebbero la salute e la vita.„ E ancora: “Con quel medesimo studio che m'ha voluto uccidere, con quello tenermi chiuso a solo a solo, vedete come sia prudenza! e lasciarmi alla malinconia, e lasciarmi a me stesso che sono il mio spietatissimo carnefice....„ Egli non ha “un baiocco da spendere„, e il padre non gli concede se non quelle cose che la sua sapienza paterna, e quella della moglie, giudicano convenienti. Compiacendosi del genio del figlio, lo tratta poi da bambino e ride tranquillamente di lui se questo genio, sentendosi a disagio nel paesuccio natale, chiede di andarne via. Non è un capriccio quello che spinge Giacomo fuori di Recanati, ma una precisa necessità. Vedremo più tardi di che disagio morale vi soffrisse; ma alle sue sofferenze fisiche, alle sue malattie nervose la distrazione dei viaggi, la novità dei climi sarebbe il solo rimedio efficace. E la madre, arbitra dell'impiego delle sostanze, non vuol dargli un assegno. Senza dispendio della casa, mettendo in opera le influenze della nobile parentela, il giovanetto erudito sa che potrebbe ottenere uno stato a Roma o altrove: il padre vuol tenerselo accanto. “Il mio sentimento,„ scriveal cognato che intercede per il nipote, “è che egli sia men dotto,ma sia di suo padre.„ Sottolinea egli stesso. Egli pretende che Giacomo viva “tranquillo e lieto dove lo ha collocato la Provvidenza.„ La Provvidenza non può sbagliare; egli è infallibile. E il figlio sfoga l'animo suo col Giordani: “Solamente che avesse voluto chi dovrebbe volere, e non volendo dice agli altri ed a se stesso di non potere, è cosa palpabile che da gran tempo avremmo ottenuto il nostro desiderio. Ma non vogliono nè vorranno mai se non quando noi gli sforzeremo; sono contenti di vederci in questo stato; in questo vorrebbero di tutto cuore che morissimo: si pentono di averci lasciato studiare, dicono formalmente in presenza nostra che hanno conosciuto i danni del sapere, al nostro fratello minore danno appostatamente e palesemente educazione e genio e strumenti da falegname, e i nostri desiderii paiono stravaganze, e voglie pazze e intollerabili, a chi? non parlo degli altri che son vissuti e vivono essi come vorrebbero che vivessimo noi, dico a quel nostro zio che di dodici anni andò paggio alla corte di Baviera, tornato di diciotto visse per lo più in Roma finattanto che deputato della provincia a Napoleone e proposto per senatore, fatto cavaliere poi barone poi ciamberlano, andò due volte a Parigi e alla corte, ora ha stabilito il suo domicilio a Roma, trasferitaci tutta la sua famiglia, epersuasi a trasferircisi tutti i suoi fratelli e tutta la famiglia di una sorella assai meno comoda della nostra, ed ha avuto la sfacciataggine di dirmi più volte spontaneamente che sapeva di non potere educar bene i suoi figli se non fuori di qui, e poi scrivermi una lunga lettera per provarmi che io la fo da ignorante e da stolto pensando solamente d'uscire di Recanati.„
Se le sue parole sono dure, non è duro il suo cuore. Di che amore ripagherebbe i genitori se questi fossero altri, si può argomentare dalla forza del suo affetto fraterno. L'amore del fratello e della sorella è la sua grande consolazione. Carlo, minore di lui di un solo anno, con lui allevato sin dalle fasce, è “un altro me stesso„, è il suo “confidente universale„, gli è “sinonimo di vita„; insieme fanno “una stessa persona ipostatica.„ Tuttavia non mancano i motivi di discordia, “non per l'inclinazione, amando lui gli stessi studi che io, ma per le opinioni.... Questi è il solo solissimo con cui apro bocca per parlare degli studi; il che spesso si fa, e più spesso si farebbe se si potesse senza dispute, le quali sono fratellevoli ma calde.„ L'origine delle controversie che egli non può numerare “perchè sono infinite„, è ancora nel conflitto generale delle menti. Carlo è romantico senz'altro; dinanzi a lui, udendo le sue esagerazioni, Giacomo si afferma ancora più nel suo sdegnocontro i principii moderni dei quali crede di essersi liberato interamente; e si duole che il fratello ami poco gli antichi, e molto gli stranieri e moltissimo i Francesi; egli si accosta pertanto alle opinioni del padre; ma rispettoso del passato dinanzi all'iconoclasta fratello, è nel tempo stesso rivoluzionario dinanzi al padre codino. Questa contraddizione si spiega ancora con l'intimo dissidio che trovammo in lui: egli pensa differentemente dal fratello e dal padre non già perchè rifugge dai loro opposti eccessi ed ama un ragionevole temperamento; ma perchè, simile al fratello nell'ansia giovanile e poetica del nuovo, c'è anche in lui un filosofo, un vecchio, che protesta; e perchè, simile al padre in una certa rigidezza di principii, c'è in lui un giovane ardente che si ribella. L'affetto familiare avrebbe potuto rendere sopportabile e conciliare i suoi contrasti; l'affetto realmente sempre concilia i fratelli e rende esemplare il loro legame. Lontano da Carlo, Giacomo gli scrive: “Nessuna amicizia sarà mai e poi mai eguale alla nostra, ch'è fondata in tante rimembranze, che è antica quanto la nostra nascita.... Tu, l'amor tuo, il pensiero di te, siete come la colonna e l'ancora della mia vita. Ogni parte di questa si riferisce là come a un centro.... Se quella fede teologica, anzi quella coesistenza che noi abbiamo insieme, fosse mai sospesa; io non sarei più quello di adesso; la mia esistenza non avrebbe più ilsuo fondamento; e tutto il mondo cambierebbe faccia per me in un colpo....„ Che cosa sarebbe occorso perchè questa capacità d'affezione familiare si volgesse anche al padre? Nient'altro che questi avesse trattato il figlio con quella confidenza, con quella cordialità, che pretendeva da lui.
Egli avrebbe potuto giovargli moralmente. L'intima resistenza che Giacomo opponeva alla moda romantica, il suo culto dell'antichità, l'istintivo rispetto delle tradizioni avrebbero potuto essere fortificati per opera di un altro padre; Monaldo, con la sua severità, con le sue continue opposizioni, fa tutto il contrario. Egli non ha riguardo alla situazione morale di nessuno dei figli. Dell'ansia di Carlo, della forza con la quale il contagio romantico gli si è comunicato, già sappiamo qualche cosa. A quindici anni scrive: “Non mi è possibile esprimere il trasporto, l'affetto, l'ammirazione, la compiacenza, l'entusiasmo che io provai nel leggere ilGenio del Cristianesimodel signor Chateaubriand. Chi mai, dicevo fra me stesso, è giunto a questa penetrazione sì grande del cuore umano, e del cuore più delicato e sensibile, a questa pittura sì viva e sì naturale dei suoi più piccoli movimenti?... Son rimasto per più giorni in un'estasi di meraviglia e di commozione, d'invidia.... No, non si cancellerà giammai dal mio animo la profonda impressione cagionatami dalla lettura di quest'operache mi ha fatto passare i più bei momenti della mia vita, e rimaner lungo tempo in una situazione qual mai più ho provata di stupore, di elevazione, di turbamento per me nuovo affatto e sconosciuto, e che sarebbe tuttora egualmente vivo, se il tempo e le distrazioni e gli oggetti e le occupazioni diverse non ne raffreddassero la sensazione, non però mai la memoria, la quale resterà perpetuamente ad eternare le traccie di ammirazione, di rispetto ed anche di utilità e di profitto....„ Egli si crede “soldato agguerrito contro tutte le disgrazie umane„, pensa che la morte del piacere e la nascita della noia, “mostro orribile„, sia dovuta al vivere antinaturale, “senza azione, senza meta, senza educazione fisica, senza sviluppo di azioni gigantesche.„ Paolina è vera sorella di Carlo e di Giacomo: ella non ha riso “maiappunto perchè non mi sono contentata di ridere solamente: io voglio ridere e piangere insieme: amare e disperarmi, ma amare sempre, ed essere amata egualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare....„
Chiamiamoli infermi, e folli se pur si vuole: non per questo sarà meno necessario trattare questi straordinarii fanciulli con illuminata tenerezza, con gelosa bontà, con indulgente premura. Ma la madre, quella che più di ogni altro sarebbe in grado di consolarli, non sa dire una buona parola; e il padre, quantunquetanto migliore di lei, pure li disconosce e li sottomette. Sarà da stupire se essi esprimeranno il loro scontento con parole roventi? Carlo dirà di sè stesso che non è niente, non ha niente, non fa niente e non ama niente. “Pensando a' miei casi, io rido di quel riso che usava Democrito, e che è il solo pianto che gli uomini del mio temperamento possono accordare a sè stessi. Costoro non sarebbero ora lontani dall'ammogliarmi....„Costorosono i genitori; egli significa in modo anche più duro lo scontento suo e dei suoi fratelli quando esclama: “Siamo veri animali domestici, mantenuti a tanto per giorno; e perchè ci nutrite?...„ Non meno triste e sdegnata è Paolina: nel '23, a ventitrè anni, dice di non avere altro desiderio se non quello di non arrivare alla fine dell'anno, “ed è questo desiderio concepito con il più intimo sentimento del cuore, e voi lo crederete bene conoscendo me e quelli che mi governano. Dei quali io sono così annoiata, e di questo modo di vita, che non ne posso più; ed il peggio è il non avere alcuna speranza, neppur lontana, di miglioramento; no, non vedere per fine a questo stato altro che la morte, e venga anzi prestissimo, che sempre sarà troppo tarda ai miei voti; e se mi assicurassero di morire domani forse dalla consolazione non ci arriverei.„ L'anno passa, ne passano molti altri, e la sua condizione peggiora. Nel '31 scrive che “non se ne puòpiù affatto affatto. Io vorrei che tu potessi stare un giorno solo in casa mia, per prendere un'idea del come si possa vivere senza vita, senza anima, senza corpo. Io conto di essere morta da lungo tempo; quando perdei ogni speranza, dopo aver sperato tanto tempo inutilmente, allora morii — ora mi pare di esser divenuta cadavere, e che mi rimanga solo l'anima, anch'essa mezzo morta poichè priva di sensazioni di qualunque sorta.„
Tale è la condizione dei figli. Nulla modifica la volontà e l'animo dei loro genitori. Giacomo, il più travagliato di tutti, vede che nè l'eloquenza “di Pericle, di Demostene, di Cicerone, di qualunque massimo oratore, nè della stessa Persuasione„ rimuoverebbe il padre dall'ostinato proposito di non dargli “un mezzo baiocco„ fuori di casa. Se egli vuole uscire da Recanati, deve mendicare.... a meno che non aspetti la morte del padre. L'empio pensiero lo spaventa: allora egli delibera di fuggire. La sua volontà infiacchita e repressa per cause intrinseche ed estrinseche dà un ultimo lampo. Egli matura il piano della fuga: scrive al conte Broglio d'Ajano perchè gli mandi un passaporto per Milano; comunica la sua risoluzione al fratello per lettera, senza chiedergli consiglio, “perchè il consiglio giova all'uomo irresoluto, ma al risoluto non può altro che nuocere: ed io sapeva che tu avresti disapprovata la mia risoluzione. Sono stancodella prudenza, che non ci poteva condurre se non a perdere la nostra gioventù, ch'è un bene che più non si riacquista.... Se m'ami, ti devi rallegrare: e quando io non guadagnassi altro che d'esser pienamente infelice, sarei soddisfatto, perchè sai che la mediocrità non è per noi.... Addio. Abbraccia questo sventurato. Non dubitare, non sarai tu così. Oh quanto meriti più di me! Che sono io? Un uomo proprio da nulla. Lo vedo e lo sento vivissimamente, e questo pure m'ha determinato a far quello che son per fare, affine di fuggire la considerazione di me stesso, che mi fa nausea. Finattantochè mi sono stimato, sono stato più cauto; ora che mi disprezzo, non trovo altro conforto che di gittarmi alla ventura, e cercar pericoli, come cosa di niun valore. Consegna l'inclusa a mio padre. Domanda perdono a lui, domanda perdono a mia madre in mio nome. Fallo di cuore, che te ne prego, e così fo io collo spirito. Era meglio (umanamente parlando) per loro e per me, ch'io non fossi nato, o fossi morto assai prima d'ora. Così ha voluto la nostra disgrazia....„ Al padre comincia col dire: “Sebbene dopo aver saputo quello ch'io avrò fatto, questo foglio le possa parere indegno d'esser letto, a ogni modo spero nella sua benignità che non vorrà ricusare di sentir le prime e ultime voci di un figlio che l'ha sempre amato e l'ama, e si duole infinitamente di doverle dispiacere....„In quest'attitudine umile persevera finchè ricorda la prudenza, l'astinenza da ogni piacere giovanile, l'ubbidienza e la sommessione ai genitori che egli ha sempre usate, e il giudizio che del suo ingegno hanno portato uomini stimabili e famosi. Ma a poco a poco la coscienza di sè, lo sdegno per non essere stato compreso si esprimono vivacemente. “Ella non ignora che quanti hanno avuto notizia di me, ancor quelli che combinano perfettamente con le sue massime, hanno giudicato ch'io dovessi riuscir qualche cosa non affatto ordinaria, se si fossero dati quei mezzi che nella presente costituzione del mondo, e in tutti gli altri tempi, sono stati indispensabili per far riuscire un giovane che desse anche mediocri speranze di sè.... Certamente non l'è ignoto che non solo in qualunque città alquanto viva, ma in questa medesima, non è quasi giovane di 17 anni che dai suoi genitori non sia preso di mira, affine di collocarlo in quel modo che più gli conviene: e taccio poi della libertà ch'essituttihanno in quell'età, nella mia condizione, libertà di cui non era appena un terzo quella che mi s'accordava a 21 anno.... Contuttochè si credesse da molti che il mio intelletto spargesse alquanto più che un barlume, ella tuttavia mi giudicò indegno che un padre dovesse far sacrifizi per me, nè le parve che il bene della mia vita presente e futura valesse qualche alterazione al suo pianodi famiglia.„ E a poco a poco il suo sdegno prorompe con espressioni tanto più forti, quanto più misurate: “Io vedeva i miei parenti scherzare cogl'impieghi che ottenevano dal Sovrano, e sperando che avrebbero potuto impegnarsi con affetto anche per me, domandai che per lo meno mi si procacciasse qualche mezzo di vivere in maniera adattata alle mie circostanze, senza che per ciò fossi a carico della mia famiglia. Fui accolto colle risa, ed ella non credè che le sue relazioni, in somma le sue cure si dovessero neppur esse impiegare per uno stabilimento competente di questo suo figlio. Io sapeva bene i progetti ch'ella formava su di noi, e come per assicurare la felicità di una cosa ch'io non conosco, ma sento chiamare casa e famiglia, ella esigeva da noi due il sacrifizio, non di roba nè di cure, ma delle nostre inclinazioni, della nostra gioventù, e di tutta la nostra vita. Il quale essendo io certo ch'ella nè da Carlo nè da me avrebbe mai potuto ottenere, non mi restava nessuna considerazione a fare su questi progetti, e non potea prenderli per mia norma in verun modo. Ella conosceva ancora la miserabilissima vita ch'io menava per le orribili malinconie, ed i tormenti di nuovo genere che mi procurava la mia strana immaginazione, e non poteva ignorare quello ch'era più ch'evidente, cioè che a questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilmente, e ne sofferse sino da quando misi formò questa misera complessione, non v'era assolutamente altro rimedio che distrazioni potenti, e tutto quello che in Recanati non si poteva mai ritrovare.... Non tardai molto ad avvedermi che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta da una costantissima dissimulazione e apparenza di cedere, era tale da non lasciar la minima ombra di speranza. Tutto questo, e le riflessioni fatte sulla natura degli uomini mi persuasero, ch'io benchè sprovveduto di tutto, non dovea confidare se non in me stesso. Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte.... Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi; tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del corpo. I padri sogliono giudicare i loro figli più favorevolmente degli altri, ma ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente di ogni altra persona, e quindi non ha mai creduto che noi fossimo nati a niente di grande: forse anche non riconosce altra grandezza che quella che si misura coi calcoli, e colle norme geometriche.... Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risoluzione, resta ch'io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questamedesima e con quello ch'io porto meco. Se la mia salute fosse stata meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo così debole come io sono, e non potendo sperar più nulla da lei, per l'espressione ch'ella si è lasciato a bella posta più volte uscire disinvoltamente di bocca in questo proposito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla certezza di morire di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi nel modo che ho fatto. Me ne duole sovranamente, e questa è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far dispiacere a lei, di cui conosco la somma bontà di cuore, e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione.„ Sul punto di chiudere, egli è più giusto, riconosce il malinteso morale, la vera causa della discordia: “La sola differenza di principii, che non era in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente condurmi o a morir qui di disperazione, o a questo passo ch'io fo, è stata cagione della mia disavventura.... Mio caro signor padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m'inginocchio per pregarla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno avesse dovuto risentirsene, e così spero che sarà d'ora innanzi.„ Ma tanto poco questofiglio si è sentito partecipe della sostanza del padre, che ancora, nel punto del commiato, lo punge l'idea del debito che contrarrà portando via un poco di denaro: “Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla, il mio primo pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a servirmi.„ Poi non resta luogo se non al dolore e all'umiltà: “L'ultimo favore ch'io le domando, è che se mai le si desterà la ricordanza di questo figlio che l'ha sempre venerata ed amata, non la rigetti come odiosa, nè la maledica; e se la sorte non ha voluto ch'ella si possa lodare di lui, non ricusi di concedergli quella compassione che non si nega neanche ai malfattori.„
Il tentativo della fuga fallisce, perchè Monaldo, avutane indirettamente notizia, si fa mandare il passaporto e dice al figlio che è libero di prenderselo e andarsene; ma gli stessi amici, gli stessi estranei che si sono trovati mescolati in questa avventura, hanno parole di biasimo per il modo col quale Giacomo è stato trattato. “Sono ben contento,„ scrive il marchese Solari a Monaldo, “che il tutto sia finito, e senza l'intesa della contessa, che se ne sarebbe rammaricata al sommo grado, e che d'altronde, mi sia permesso il dirlo con franchezza, per la sua eccessiva severità potrebbe aver dato luogo a risoluzioni così sconsigliate.„ Ma Giacomo non è “nè pentito nècangiato.„ Egli desiste per il momento dal suo proposito, “non forzato nè persuaso, ma commosso e ingannato. Persuaso non poteva essere, come nè anche persuadere, perchè le nostre massime sono opposte, e perciò fuggo ogni discorso su questa materia.... Se mi opporranno la forza, io vincerò, perchè chi è risoluto di ritrovare o la morte o una vita migliore, ha la vittoria nelle sue mani. Le mie risoluzioni non sono passeggere come quelle degli altri, e come mio padre stimo che si persuada, per dormire i suoi sonni in pace, come suol dire.... Mio padre crede ch'io da giovinastro inesperto non conosca gli uomini. Vorrei non conoscerli, così scellerati come sono. Ma forse sono più avanti ch'egli non s'immagina. Non creda d'ingannarmi, che la sua dissimulazione è profonda ed eterna; sappia però ch'io non mi fido di lui, più di quello ch'egli si fidi di me.... Crede mio padre che con un carattere ardente, con un cuore estremamente sensibile come il mio, non mi sia mai accaduto di provare quei desiderii e quegli affetti che provano e seguono tutti i giovani della terra? crede che non mi sia accaduto molto più spesso e più violentemente degli altri? crede che non fossero capaci di spingermi alle più formidabili risoluzioni? crede che s'io ho menato fin qui quella vita che non si ricercherebbe da un cappuccino di 70 anni in tutto il rigore della espressione(e me ne appello a tutta Recanati che se ne maraviglia, e allo stesso mio padre), ciò sia provenuto dalla freddezza della mia natura?... Io so di certo ch'egli ha protestato che noi non usciremo di qui finch'egli viva. Ora io che voglio ch'ei viva, e voglio vivere anch'io, e questo da giovane, e non da vecchio quando sarò inutile a tutti e a me stesso, mi getterò disperatamente nelle mani della fortuna.... Io sono stato sempre spasimato della virtù: quello ch'io voleva eseguire non era un delitto: ma io son capace anche della colpa. Si vergognino ch'io possa dire che la virtù m'è stata sempre inutile. Il calore e la forza dei miei sentimenti si poteano dirigere a bene, ma se vorranno rivolgergli a male, l'otterranno....„ Minaccie che nella convulsione dell'impotenza il dolore gli strappa dalle labbra: non solamente ciò non potrà accadere, ma egli si prepara a sopportare un nuovo colpo.
Se non vuole lasciarlo andar via, libero, nel vasto e ignoto mondo, il padre potrebbe almeno consentirgli di pensare, di scrivere liberamente. Neanche questo gli concede; intende anzi che non abbia idee diverse dalle sue; attende a difenderlo dallo “sconvolgimento fatale della ragione umana che ha disonorata la nostra età.„ Quando s'accorge dei sentimenti di Giacomo, dopo il tentativo di fuga, non potendo spiegarsi come tanta vigilanza, tante predicazioni e tanti esempiisiano stati invano, getta tutta la colpa dell'accaduto sull'amicizia del Giordani, col quale ha consentito che il figlio avesse carteggio e restasse da solo a solo durante la visita del Piacentino a Recanati. Si spaventa perchè, con l'occasione della letteratura, costui ha suggerita e favorita la corrispondenza di Giacomo con molti letterati d'Italia, fra i quali vi sono “spiriti pericolosi o inquieti, che non hanno mentito sè stessi, e manifestandosi al figlio mio nelle loro lettere, lo hanno scopertamente invitato a partecipare delle loro massime, e a coadiuvare, anzi a farsi primario sostenitore dei loro disegni.„ La canzoneAll'Italiae quellaSul monumento di Dantehanno valso infatti all'autore una lettera del Montani, il quale saluta in lui il più degno futuro poeta dei Carbonari. Monaldo “si pela dalla paura„, per adoperare l'espressione di Carlo. Un giorno, frugando tra le carte di Giacomo, come è suo uso, non che della moglie, trova una lettera che il figlio è sul punto di spedire al Brighenti intorno alla stampa di tre nuove canzoni:Ad Angelo Mai,Per donna malataeSullo strazio d'una giovane; alle quali l'editore ha proposto e Giacomo ha consentito che si uniscano le due già prima stampate per farne un libretto più consistente. Tanto basta perchè Monaldo tosto scriva al Brighenti significandogli il suo dispiacere, e la volontà che la canzoneAll'Italianon siristampi. Lo stesso Brighenti, pur lodando le paterne inquietudini, timidamente rappresenta a Monaldo: “Veramente le confesso che anche dalla niuna difficoltà della revisione, io deduco che quella canzone non è punto sediziosa, e soltanto libera e poeticamente ardita.„ Pure, obbedendo, sospende la stampa, e per non dire a Giacomo il vero motivo, gli chiede denaro per lo stampatore. Già l'effetto di questa prima lettera è grave nell'animo del giovane altero, che non avendo la somma e non volendo chiederla, si vede costretto di rinunziare alla disegnata pubblicazione: “Ho conosciuto di essermi ingannato, non avendo in nessun modo potuto riuscire ad accumulare la somma intiera. Abbassarmi non voglio, e non è stato mio costume mai da quando la disgrazia volle mettermi a questo mondo. E potrà anche far la fortuna che mi manchi il vitto e il vestire, ma non costringermi a domandarlo neppure alla mia famiglia. Perciò rinunzio interamente a qualunque progetto così relativamente a questa come a qualunque altra edizione; e perchè il mio ingegno è scarsissimo, e, per grande che sia qualunque ingegno, non giova mai nulla in questo mondo, son risoluto di sacrificarlo totalmente all'immutabile ed eterna scelleratezza della fortuna, col seppellirmi sempre più nell'orribile nulla nel quale son vissuto fino ad ora. Prego V. S. che non pensi più a me se non come all'uomo il piùdisperato che si trovi in questa terra, e che non è lontano altro che un punto dal sottrarsi per sempre alla perpetua infelicità di questa mia maledetta vita....„ Il padre si duole vedendo la malinconia e la tristezza di Giacomo, che Carlo condivide; si lagna perchè “con un cuore troppo pieno d'amore per tutti, sono dipinto nella loro immaginazione corrotta come un tiranno inesorabile.„ Nell'impeto del dolore invidia “la sorte d'un padre mendico che riportando a casa un pane nero e bagnato di sudore, lo vede accolto dall'amore e dalla riconoscenza dei figli.„ Ma se l'amor suo è grande e sincero, non meno ferma è la sua volontà di disciplinare a suo modo l'ingegno del figlio. Egli lo ammira, ma quanto maggiore è l'ammirazione, tanto maggiore è il dolore di vederlo avviato per una strada che giudica falsa. Le canzoni che Giacomo non si rassegna a metter da parte sono per lui inezie: “Ma perchè questo mio figlio vuole perdersi dietro queste inezie che non portano nè a conseguenze nè a fama? Perchè amando la Letteratura e il nome di Letterato, come lo ama e lo agogna con fervore giovanile, perchè non si dedica a qualche opera utile e grande di cui è capace maggiormente possedendo la lingua ebraica e greca? Egli sicuramente è consigliato male e peggio lo è nel suo sistema di confidarsi con me scarsamente. Io stimo poco la Letteratura nuda e la vorrei sempreseguace di qualche scienza, stimando che un Letterato, il quale non professi alcuna facoltà sia una cornice magnifica senza quadro....„ E sentendo che la propria autorità è poca, che il suo credito sul figlio è scarso, si affida all'editore per ottenere che glie lo converta: “Le faccia conoscere che le canzoni ed altri piccoli pezzi staccati producono gloria momentanea e caduca, e che un uomo grande deve lasciare un'opera grande.... Insomma lo elettrizzi, lo infiammi a qualche occupazione degna d'un Cavaliere Cristiano, e mi avrà reso un favore inapprezzabile, e forse mi avrà reso il cuore di un figlio. I giovani sentono più l'amico che il padre, e molto più quando hanno sospettato che i principii del padre perchè troppo antichi, e troppo severi, non ottengono il plauso di tutti.„ Egli s'accosta così alla verità; dovrebbe fare solo un passo per concedere che Giacomo segua il proprio genio; ma di questa concessione è incapace.
Egli è persino incapace d'intendere in qual modo bisognerebbe trattare il giovane per non ferirlo: l'editore, l'estraneo gli dà una lezione d'amor paterno: “Permetta, o Signore, ad una persona che sente profondamente l'amor paterno, e che ha presentissimi i dettagli della propria giovinezza.... che La supplichi a cedere quanto mai può a quei moti amorosi, che leggo nella di Lei lettera, e che mi hanno veramente intenerito. Io le accerto che il signor conteGiacomo è afflitto oltremodo, e ben mi accorgo che questo giovane è dotato di una sensibilità delicatissima, onde le cose che ad altri sono lievi, sono a quell'anima gentilissima acutissime spine.... Ella troppo sente l'amarezza delle nebbie che offuscano la tenerezza tra padre e figlio. Il signor conte Giacomo è tale da portare nuovi pregi alla illustre di Lei casa: facciamo adunque che lo possa, e rispettiamo questa soverchia elasticità di fibre che è poi in fondo il patrimonio di chi ha un ingegno superiore. Le torno a ripetere: qui in Bologna posso accertarla che le canzoni del signor Leopardi non hanno destato la minima idea di partito, e, sì, furono conosciute da gente di ogni massima.... Certo le opinioni di quegli scritti sono liberali anzi che no, frutto dello studio del greco e del latino, ma ai tempi attuali sono tanti i lavori di questo genere, sono sì divulgate quelle massime, che non può sentirne alcuno del rincrescimento, e, come le dissi, quei revisori, che sono preti, e severissimi, non ci badarono nemmeno, e le approvarono senza dire parola.„ E il brav'uomo narra la sua propria storia, in lunghissime pagine, per dimostrare che è una persona onesta, incapace di mentire; e poi torna ancora ai consigli di prudenza, dice esser persuaso che Giacomo è soggetto a forti assalti di malinconia, fa osservare ancora che “ai giovani di un carattere ipocondriaco è mestieri(com'Ella m'insegnerebbe) di opporre le sole vie della dolcezza, e della persuasione, e di evitare possibilmente gli urti e le contrarietà.„ E per ultimo argomento assicura di avere udito qualcuno a lamentarsi che le opinioni politiche di Giacomo, non che liberali, siano anche troppo retrive “e a parlare con qualche censura della sua canzone sul monumento di Dante, avendolo per uomo contrario ai principii liberali, per quella sua dipintura delle sciagure del regno italico e dei macelli di Russia. Ritenga che questo fatto è verissimo.„ Ma tanto poco egli stesso è sicuro di essere riuscito a piegarlo, che comunica delicatamente a Giacomo i dubbii e gli ostacoli paterni. Allora lo sdegno del giovane prorompe; allora dall'accasciata rassegnazione alla quale era stato ridotto per gli ostacoli finanziarii, passa, con una reazione violenta, alla superba affermazione della sua volontà. Egli non vede come suo padre abbia potuto sapere “quello di cui non ho mai parlato nè a lui nè a verun altro.... eccetto il caso che abbia rimescolato le mie carte; del che non mi meraviglio nè mi lagno, perchè ciascuno segue i suoi principii. Quanto ai dubbi di mio padre, rispondo che io come sarò sempre quello che mi piacerà, così voglio parere a tutti quello che sono; e di non essere costretto a fare altrimenti, sono sicuro per lo stesso motivo, a un dipresso, per cui Catone era sicuro inUtica della sua libertà. Ma io ho la fortuna di parere un coglione a tutti quelli che mi trattano giornalmente, e credono ch'io del mondo e degli uomini non conosca altro che il colore, e non sappia quello che fo, ma mi lasci condurre dalle persone che essi dicono, senza capire dove mi menano. Perciò stimano di dovermi illuminare e sorvegliare. E quanto all'illuminazione, li ringrazio cordialmente: quanto alla sorveglianza, li posso accertare che cavano l'acqua col crivello.„ Ma se egli sente che nessuno potrà mai sforzare la propria coscienza, comprende pure che la volontà del padre dovrà trionfare dei suoi disegni; allora torna ad accasciarsi, prorompendo in uno sdegnoso lamento: “Circa le mie canzoni, io le metto nel gran fascio di tutti i miei detti o fatti o scritti dalla mia nascita in poi, che il mio esecrando destino ha improntato di perpetua inutilità. Io ho rinunziato a tutti i piaceri de' giovani. Dai 10 ai 21 anno io mi sono ristretto meco stesso a meditare e scrivere e studiare i libri e le cose. Non solamente non ho mai chiesto un'ora di sollievo, ma gli stessi studi miei non ho domandato nè ottenuto mai che avessero altro aiuto che la mia pazienza e il mio travaglio. Il frutto delle mie fatiche è l'essere disprezzato in maniera straordinaria alla mia condizione, massimamente in un piccolo paese. Dopo che tutti mi hanno abbandonato, anchela salute ha preso piacere di seguirli. In 21 anno, avendo cominciato a pensare e soffrire da fanciullo, ho compito il corso delle disgrazie d'una lunga vita, e sono moralmente vecchio, anzi decrepito, perchè fino il sentimento e l'entusiasmo, ch'era il compagno e l'alimento della mia vita, è dileguato per me in un modo che mi raccapriccia. È tempo di morire. È tempo di cedere alla fortuna; la più orrenda cosa che possa fare il giovane, ordinariamente pieno di belle speranze, ma il solo piacere che rimanga a chi dopo lunghi sforzi finalmente s'accorga d'esser nato colla sacra e indelebile maledizione del destino.„
E quando sa che può stampare le canzoni inedite, esclusane la prima, ed esclusa la ristampa delle già pubblicate, il suo sdegno prende altre forme: quelle dell'ironia. “Io ringrazio mio padre del permesso che mi concede di stampare lemiecanzoni. Ma le due di Roma non vuole che si ristampino. Dice benissimo. Ha voluto saper da lei i titoli delle inedite. Ha fatto benissimo. Non vuole che si stampi la prima. Parimenti benissimo; non già secondo me: ma è ben giusto chenegli scritti mieiprevalga la sua opinione, perch'io sono e sarò sempre fanciullo, e incapace di regolarmi. Restano due canzoni. Per queste, per cui finalmente e a caso tocca a parlare a me, dico che non occorre incomodare gli stampatori; e così finisca questo affare....„ Tanto èpiù dolorosa per il giovane questa ingerenza nelle cose sue, quanto che Monaldo rivela la povertà del suo giudizio, l'angustia del suo spirito. “Mio padre non ha veduto se non il titolo della prima inedita.... e s'immaginò subito mille sozzure nell'esecuzione, e mille sconvenienze del soggetto che possono venire in mente a chi, non mancando di molto ingegno e sufficiente lettura, non ha nessuna idea del mondo letterario. Il titolo della seconda inedita si è trovato fortunatamente innocentissimo. Si tratta di un Monsignore. Ma mio padre non s'immagina che vi sia qualcuno che da tutti i soggetti sa trarre occasione di parlare di quello che più gl'importa, e non sospetta punto che sotto questo titolo si nasconde una canzone piena di orribile fanatismo.„ E poichè Monaldo, non potendo addurre le ragioni della prudenza politica contro la canzoneSullo strazio di una donna, biasima che tratti di un fatto accaduto troppo di fresco, Giacomo dimostra ancora all'editore la povertà dello spirito paterno: “Alle ragioni di mio padre contro la mia prima canzone inedita, rispondo con un solo esempio fra i milioni che se ne trovano, e che avrei anche in mente. IlWertherdi Goethe versa sopra un fatto ch'era conosciutissimo in Germania, e la Carolina e il marito erano vivi e verdi quando quell'opera famosa fu pubblicata. Ebbene? Ma se volessimo seguire i gran principii prudenziali e marchegiani dimio padre, il quale, come ho detto, non ha niente di mondo letterario, scriveremmo sempre sopra gli argomenti del secolo di Aronne, e i nostri scritti reggerebbero anche alla censura della quondam inquisizione di Spagna. Il mio intelletto è stanco delle catene domestiche ed estranee.„ Niente vale: egli deve rinunziare alla ristampa, si deve contentare di pubblicare la sola canzone al Mai; e Monaldo poi si lagna che il figlio si sia “ostinato nel più rigoroso silenzio„; se ne lagna egli che scrive ancora all'editore: “Il giudizio e gli ordini miei dovevano rispettarsi da lui e li suoi tentativi furono un delitto.„ Perdona di cuore ildelitto, ma vuole che Giacomo stesso lo condanni in cuor suo: “Ella e qualunque saggio condannerebbero sempre un figlio il quale esponga al pubblico il proprio nome senza intesa del Padre, e condannerebbero un Padre che spontaneamente offrisse i mezzi con cui venire disobbedito.„
Il dissidio è inconciliabile: Monaldo ha un troppo severo concetto della sua autorità; egli non intende l'effetto che le sue pretese producono nell'anima del giovane. E se torna a lagnarsi perchè il figlio non si confida a lui, le sue parole cocenti dimostrano ancora una volta che lo ama, ma che all'amore non intende sacrificare una sola delle sue prerogative. Non solo l'editore, l'estraneo, lo avverte dell'errore; ma anche una persona della famiglia,la sua propria sorella, quella “zia Ferdinanda„ alla quale il nipote Giacomo tanto rassomigliava fisicamente, e che moralmente tanto rassomigliava a lui. Ella sola intende l'animo del giovane: consolandosi all'idea che egli possa aprirle il proprio cuore “perchè non tanto dissimile troverà da' suoi sentimenti il cuor della zia„, dice di sè stessa che non ha studiato, “ma che ha sortito dalla natura una sensibilità che, anzichè indebolire cogli anni, sembra acquistar da essi maggior fondamento.„ Anch'ella vive sola, “e non già sola di persona.... ma sola perchè quasi mai m'incontro con persone che possano compiacere il mio animo; e se qualche volta nel corso della mia vita mi sono incontrata di trovarne qualcuna, caro nepote, ho dovuto porvi un argine, perchè il cuor nostro è troppo debole per potersi contenere, e non rendere veleno quello che sarebbe in sua natura stato un antidoto.„ La nobile e buona creatura ha subito compreso che cuore sia quello di Giacomo, e conoscendo a prova i tormenti che gli si preparano accortamente lo consiglia. Se Giacomo le scrive che è da savio porre un argine alla ragione, “supplizio della nostra vita„, ella lo ammonisce con indulgenza veramente materna: “No, caro Giacomo, io non mi accordo con voi in questo.... A poco a poco ci assuefacciamo a scordarci de' nostri mali col trascurarli, o con il lasciare di coltivarnecontinuamente l'immagine; è la ragione poi quella che deve a ciò persuaderci, e di essa ci dobbiamo prevalere per felicitarci, non per il contrario. Sono però persuasa che voi medesimo convenite meco non doverci per sistema rendere infelici, ma sopportar con coraggio i mali della vita, sperandone sempre il fine. Il vostro bell'animo vi darà pur troppo dei motivi di dolore, se estenderete la vostra sensibilità senza freno; ma questa, trattenuta nei limiti, vi darà motivo di compiacervene bene spesso. Spero che il Cielo pietoso vorrà addolcire la vostra sorte, e che vi renderà più quieto, cambiando le circostanze, e ponendovi in un sistema meno coartato....„ Ella si fa filosofo e teologo, discute di cose che non sono da lei per alleviare i mali del nipote, al quale dà anche il dolce nome di amico. “Caro amico, credetemi: siamo infelici molte volte perchè non sappiamo risolverci ad abbandonare qualche sentimento, che ci rende infelici....„ Della propria sincerità gli dà assicurazioni vivaci: “Allorchè trattasi di far palese il cuor mio ad un cuor sensibile e ben fatto, e del quale fo assolutamente stima, non duro alcuna fatica, e i miei sentimenti escono dal cuore, vanno alla penna, alla carta, come un vaso d'acqua posto in pendenza verso ciò che contiene entro sè stesso. Voi potrete rilevarlo senza stento, giacchè sembrami possediate lo stesso dono di natura.„ E lo eccita a scuotersi,se non altro per compiacerla; e si duole che egli voglia essere il proprio nemico: “Capisco che non trovate cosa che vi sollevi; ma, caro Giacomo, tante volte questa nostra fantasia ci dipinge delle immagini tanto nere, che poi non lo sono in sostanza; e se volessimo aprire gli occhi, vedremmo che non è effetto della cosa in sè, ma de' nostri sguardi già ottenebrati.„ Come definisce bene il male morale del giovane! Ma ella sa pure che non tutte sono ingigantite dalla mente le sue cagioni di dolore: ella sa che la salute del poveretto è distrutta, che la sua volontà in famiglia è troppo violentata; e tanto riconosce che egli ha ragione di dolersi, che contro il suo sistema “di non impacciarmi mai ne' fatti altrui,„ prega Monaldo di lasciarlo venire a Roma in casa di lei per qualche tempo. Il padre non si oppone apertamente, “anzi mi dice che non si offenderà, se i suoi figli cercheranno qualche loro vantaggio (sebbene esso non ne veda in questo proposito) e nè tampoco se a farlo conseguire impiegheranno gli amici. Poco però si persuade che possiate trovarvi contento fuori di casa, ove non vi manca cosa alcuna; e teme che vi pentirete, se giungete a escire dalla casa paterna....„ Neanche questa volta Monaldo accorda il suo consenso, e poi anche una volta vede con dispiacere che il figlio non gli parli! E Ferdinanda esorta il nipote: “Perchè non procurar da voi medesimo di ottenerequesto permesso?... Ottenete di venire in Roma, e spero che non ne resterete malcontento. Infine non potrà dispiacervi di cambiare per qualche tempo il soggiorno di Recanati con quello di Roma....„ parole che dovrebbero sonargli come un'irrisione, se non venissero da questa buona creatura che lo ha trattato come un figlio e che si adopera invano per ottenergli un posto di professore alla Biblioteca vaticana. Nulla egli ottiene per suo mezzo; ella muore lasciandogli un insegnamento che è la conferma d'un'antica persuasione di lui: “perchè troppo sensibili saremo sempre infelici....„ Lo ha pure esortato alla rassegnazione, alla pazienza; ma naturalmente egli crederà più alle parole di approvazione dettate dalla calda simpatia che non ai consigli di prudenza suggeriti dalla fredda ragione; e penserà che egli ed i fratelli non sono soli della loro specie, che a cuori sensitivi come i loro il trattamento del padre è iniquo; e non si piegherà a sopportarlo.
Noi lo vediamo pertanto esprimere ai suoi corrispondenti le stesse lagnanze e le stesse accuse. Se Monaldo addebita al Giordani la ribellione dei figli, Giacomo sdegnosamente protesta: “L'uomo di cui mio padre si lagna, è tale, che neppure io ardisco nominarlo pel rispetto e l'amore ch'io gli debbo. Ma mio padre se voleva dei figli contenti in questo stato,doveva generarli d'altra natura, ed ora non dovrebbe imputare a persone venerabili e rinomate in tutta l'Italia quello ch'è necessità delle cose evidentissima a tutti, fuorchè a lui solo.„ E se gli propongono una cattedra a Bologna, e lo sollecitano a ottenere l'assenso paterno, egli scrive: “Vi dico che non avete idea di mio padre. Non c'è affare che lo interessi così poco, quanto quelli che mi riguardano. Non vuol mantenermi fuori di qua a sue sole spese; ma non muoverebbe una paglia per procurarmi altrove un mezzo di sussistenza che mi togliesse da questa disperazione....„ Per accettare una dedica dal Brighenti egli dovrebbe sottoporla all'approvazione del padre; e non vuole: “Sapete che mio padre è di principii differentissimi dai miei; e che d'altra parte, s'io non gli domanderei neppure il pan da mangiare, molto meno cose non necessarie.„
Una tregua è il viaggio di Roma. Nell'autunno del '22 i genitori finalmente consentono che egli vada alla capitale in casa dello zio Antici: allora, da lontano, tolte le occasioni di dissapori, l'affetto paterno e filiale si manifesta con espressioni sincere e commoventi: “Bacio la mano alla cara mamma. A lei professerò eternamente la più viva gratitudine e il più caldo e filiale affetto. Mi ami, caro signor padre, ch'io l'amo di tutto cuore, e desidero di servirla e di compiacerla e di ubbidirlain ogni cosa. E per quasi niun altro rispetto mi rallegro di aver sortito un cuore sensibile e pieno d'amore, se non perchè io posso rivolgere la mia sensibilità verso di lei.„ Quando il padre, per il Natale, gli manda con dolci e cordiali espressioni, una strenna di dieci scudi, egli risponde: “Sarebbe quasi inutile ch'io provassi di ringraziarla della liberalità che mi usa e dell'affetto che mi dimostra. Ella sa, carissimo signor padre, quali sono i miei sentimenti ancorchè io non li sappia esprimere. E per tanto mi basterà dirle che la ringrazio con tutto il cuore del dono, e che lo riconosco dall'antico e tenero e forse pur troppo non meritato amore che ella mi porta; il quale amore però, quando anche non meritato, certamente è corrisposto, e corrisposto con tutte le forze possibili dell'animo mio.„ Tuttavia l'esagerazione della vigilanza che il padre vuole esercitare sul figlio anche da lontano, e le sue paure grottesche si rivelano ancora quando gli scrive: “Abbiatevi ogni cura, e non dimenticate di evitare accuratamente il pericolo delle carrozze....„ Egli che non ha voluto forzar la mano alla moglie per provvedere alla sorte del giovane, trova poi di che ridire quando questi pensa a procacciarsi denaro col proprio lavoro, con una traduzione di Platone: “La vostra fatica verrà pagata circa baiocchi 60 al giorno, e voi lavorando un mese ogni dì senza riposo festivo,guadagnerete scudi 18, un poco più di quanto diamo al nostro cuoco e un poco meno di quanto si dà nelle amministrazioni allo scrittore dei soprascritti....„ Così pure, quando Giacomo dà lezioni per vivere, il padre giudica che gli emolumenti mensili siano “alquanto umilianti.„ Questo è il nuovo danno che viene al Leopardi dalla famiglia: non solamente non ne riceve il benefizio degli affetti, non solamente vi trova opposizioni e contrasti, non solamente vi è tenuto in una soggezione penosa; ma essa non gli dà e quasi gl'impedisce di procacciarsi quel denaro che, dopo la salute e l'amore — e anche prima dell'amore a giudizio di molti, — è pur necessario a render gli uomini contenti. Adelaide Leopardi, nel tempo delle peggiori strettezze, non vuole smettere la carrozza: ella trova i quattrini per mantenere questo segno di grandezza, non ne trova per salvare suo figlio. Col titolo di conte questi non ha un soldo da spendere; se fosse nato da un borghesuccio o da un operaio si caverebbe d'impiccio senza difficoltà; la sua condizione sociale fa che non soltanto il padre si dolga di vederlo lavorare per vivere, ma che ne soffra egli stesso.
Perchè, infatti, tornato a Recanati e ricaduto nella soggezione antica, e costretto a farsi mandare ad altri indirizzi lettere e stampe se vuole evitare che glie le leggano, e disperatoal punto di pensare a gettarsi alla ventura pur di ritrovarsi libero; egli accetta la proposta del libraio Stella che lo chiama a Milano e gli paga il viaggio e lo alloggia in casa propria. Il giovane vi si sente incatenato e “in certa maniera ridotto all'obbligazione di servirlo„; tosto si propone di fare “ogni sforzo per trarre dalla mia debole e sciocca natura il vigor necessario a svilupparmi da questi lacci.„ Da lontano l'anima pacificata ripensa le dolcezze pur tanto grandi del tetto domestico: ricevendo lettere del padre gli pare di trovarsi in mezzo alla sua famiglia, “l'amore verso la quale è anche accresciuto in me dalla lontananza„; ed al fratello Carlo scrive da Bologna, dove dà lezioni per non esser di peso alla famiglia, che è per lui “un giubilo e un palpito„ l'aprire lettere di casa; e alla sorella Paolina, che la consolazione provata vedendo i caratteri della madre “è stata tanta che quasi dubitava di travedere„; e al fratello Pierfrancesco, che baci la mano al babbo e alla mamma per lui “tante volte, finattanto che non vi diranno, basta.„ Ma, come l'altra volta, anche ora Monaldo trova modo di pesare sul figlio lontano. Già egli comincia col rendere lode “grandissima„ a Dio, perchè Milano non è piaciuta al giovane quanto egli “temeva.„ Se Giacomo, per godere di un Benefizio, vorrebbe esser dispensato dall'obbligo dell'abito talare e della tonsura,il padre che gli ha voluto “gettar sul muso„ la prelatura, che ha rinunziato a malincuore all'idea di vederlo abbracciare lo stato ecclesiastico, gli sta addietro per dimostrargli il suo torto. “Non vedo quale ripugnanza possa aversi ad un abito, clericale o prelatizio, poco importa, il quale fu l'abito di tanti Santi, e lo fu pure di tanti uomini grandissimi in ogni genere di grandezza. Conosco che in addietro per i vostri rapporti letterarii avrete dovuto capitolare coi pregiudizii, o piuttosto colla malvagità del tempo; ma attualmente la vostra età, la vostra esperienza e il vostro nome vi mettono al disopra di queste umiltà, e siete in grado di dare il tuono nella repubblica delle lettere, piuttosto che di riceverlo. Qual trionfo, figlio mio, per la causa dei Santi e dei saggi, e qual gloria per la Chiesa e per lo Stato, se l'uomo il più erudito forse dello Stato spiegasse arditamente la bandiera della Chiesa, e con ciò proclamasse altamente che gli studi, le lettere e le meditazioni dei saggi conducono a conoscere e a venerare la Chiesa, e a disprezzare e a combattere i suoi palesi e nascosti inimici?„ Ma questo paladino della religione, questo nuovo banditor di crociate, è poi partigiano del Turco, e pone in ridicolo la simpatia del figlio per la causa greca, considerando i Greci non tanto come cristiani che combattono per la fede, quanto come sudditi ribelli che vogliono una libera patria. “Avreteletto nei fogli, come le grandi Potenze vogliono prendere una parte decisiva negli affari dell'Oriente. Così avranno pace i vostri Greci, e ne godo perchè sono uomini; ma mi pare che siano birbanti assai, ed è un avvenimento singolare che la somma legge dell'umanità imponga di soverchiare il Turco, quando forse ha più ragione di noi....„ E se un Recanatese va a combattere e a morire per la croce contro la mezzaluna, così egli ne dà conto al figlio: “Anche Recanati ha pagato il suo tributo di follia alla demenza del secolo, e ha tinta col suo sangue la terra classica della Grecia. Alcuni mesi addietro il conte Andrea Broglio, lasciati i genitori e la moglie, dichiarò la guerra alla Mezzaluna e andò a fare ilciccobimboin qualità di brigante volontario. Ebbe in guiderdone un titolo di Maggiore e una razione quotidiana di polenta; ma alli 23 di maggio, assalendo Anatolico, una palla di cannone lo uccise sul campo.„ Il figlio gli dà ragione quanto al fatto, adducendo un argomento che ha già manifestato nei suoi versi, cioè disapprovando che Italiani vadano a morire per causa non propria; ma che effetto gli devono aver prodotto le derisioni dell'amor patrio che infiamma gli Elleni, se egli aveva già abbozzato un inno alla Grecia, se aveva già detto di riguardare i poveri Greci come fratelli, se si era quasi scusato di non aver parlato abbastanza a favor loro in un suoarticolo, “considerata la impossibilità in cui siamo di parlare liberamente?„ Per reverenza al padre egli non replica alle parole irriverenti; ma che credito può ora accordare alla fede cristiana della quale il padre fa sfoggio? Come può udirne le esortazioni? Egli vede ancora questo padre, quest'uomo, questo derisore di eroi, tremar poi dinanzi alle gonne della moglie. Quando pensa con la sua testa, Monaldo dispiace al figlio per l'ostinata e l'ostentata predicazione di idee che questi non può far sue, anche perchè le vede discordi; quando poi il padre vorrebbe accontentarlo, allora la paura della moglie lo impaccia. Non volendo Giacomo vestir l'abito clericale, si potrebbe pure ottenere il godimento temporaneo del Benefizio; ma il padre gli scrive: “Bisogna maneggiar bene la cosa per i miei riguardi domestici. Scrivetemi ostensibilmente nei termini suddetti, come avendo avuto questo lume da altri, e pregatemi di farvi ottenere questa piccola temporanea provvista, toccando che voi niente costate alla casa. Io sono inimico giurato di questi giri, ma mi conviene patteggiare fra il mio cuore e il molto giudizio di mamma vostra; la quale vi ama tenerissimamente, ma crede che le vostre lettere siano una miniera d'oro, la quale vi rende inutile qualunque altro sussidio.„ Allora, come i figli hanno convenuto tra loro di scriversi sotto finti nomi per sottrarre le loro lettereagli sguardi del padre, così anche il padre suggerisce a Giacomo di servirsi di indirizzi convenzionali per isfuggire al vigile sguardo della moglie.
Ma ben tosto il primo, il costante, l'inflessibile pensiero di Monaldo torna ad angustiare il giovane: bisogna che egli torni a seppellirsi a Recanati. “Io le protesto e giuro,„ risponde Giacomo, “che non ho desiderio maggiore che quello di vivere in compagnia sua, e in seno della mia famiglia; e che quando io possa vivere a Recanati con salute sufficiente, e sufficiente possibilità di occuparmi nello studio per passatempo, io non tarderò neppure un momento a volare costì.... per vivere al suo fianco, e non allontanarmene mai più.„ Se il padre gli scrive dicendogli tutto il bene che gli vuole, egli risponde con proteste d'affetto continue: “Io per la parte mia posso giurarle che, parlando umanamente, non vivo se non per lei e per la mia cara famiglia; non ho mai goduto della vita se non in relazione a loro; ed ora la vita non mi è cara se non in vista del dolore che cagionerei a loro se la perdessi.„ Tornato ancora una volta a Recanati, sente la sua vita finita; ma pure riconosce che, se il padre non vuole, non potrebbe neanche volendo mantenerlo fuori; e per vivere del suo fuori di casa egli dovrebbe lavorar molto; e lavorar molto, nelle condizioni della sua salute, non potrà più mai. Allorail suo amico Tommasini, conoscendo che Recanati è per il poveretto la morte, gli offre la propria casa, a Parma; più tardi lo invita Pietro Colletta, a Livorno; ma l'anima altera non si può piegare a questa specie di servitù. Preferisce soffrire; e poichè gli amici sanno che le sue sofferenze sono veramente insopportabili, tornano a proporgli di venirsene da loro: il Colletta reitera l'invito, la moglie del Tommasini ripete con più premurosa insistenza la preghiera del marito. Tutti si accorgono della necessità di fare qualche cosa per l'infelice, tranne che il padre e la madre. Giacomo è costretto da ultimo ad accettare l'elemosina di ignoti ammiratori toscani, che per iniziativa del Colletta contribuiscono a costituirgli una piccola pensione perchè possa vivere a Firenze e attendere ai lavori letterarii. Ma quando, lontano dal padre, egli pubblica il suo nuovo libro, leOperette morali, Monaldo trova ancora nei suoi pregiudizii di che amareggiarlo con critiche, con paure, con scrupoli, con esortazioni a correggersi, quando l'infelice è moribondo, quando non può scrivere una riga senza sudor di sangue. “Io le giuro,„ risponde il giovane difendendo l'opera propria, “che l'intenzione mia fu di farpoesia in prosa, come s'usa oggi; e però seguire ora una mitologia ed ora un'altra, ad arbitrio; come si fa in versi, senza essere perciò creduti pagani, maomettani, buddisti,ecc. E l'assicuro che così il libro è stato inteso generalmente, e così coll'approvazione di severissimi censori teologi è passato in tutto lo Stato romano liberamente, e da Roma, da Torino, ecc., mi è stato lodato da dottissimi preti. Quanto al correggere i luoghi ch'ella accenna, e che ora io non ho presenti, le prometto che ci penserò seriamente; ma ora vede Iddio se mi sarebbefisicamentepossibile, non dico di correggere il libro, ma di rileggerlo. Una dichiarazione di protesta che pubblicassi, creda all'esperienza che oramai ho di queste cose, che non farebbe altro che scandalo, e quel che vi fosse di pericoloso nel libro, non ne diverrebbe che più ricercato, più osservato e più nocivo.„ Ed anche non volendo, Monaldo è destinato a fargli male. Quando egli pubblica i suoiDialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831, dove inveisce contro il liberalismo e i liberali, e sostiene che la Francia dev'essere smembrata e che i Turchi hanno ragione contro i Greci, e deride con espressioni triviali le nuove idee politiche e filosofiche; tutti credono che l'autore ne sia Giacomo, e si rallegrano o ridono della sua conversione; tanto generalmente l'opera di Monaldo è attribuita al figlio, che questi è costretto a pubblicare una dichiarazione di semplice protesta, dove non c'è una parola che suoni biasimo all'opera del padre, quantunque egli la detesti; e perchè il padre se ne duole, egliè costretto a giustificarsi, a dire che ha pubblicato la dichiarazione “per non usurpare ciò che è dovuto ad altri, e perchè non voglio nè debbo soffrire di passare per convertito, nè di essere assomigliato al Monti, ecc., ecc. Io non sono stato mai nè irreligioso, ne rivoluzionario di fatto nè di massime. Se i miei principii non sono precisamente quelli che si professano neiDialoghetti, e ch'io rispetto in lei, ed in chiunque li professa di buona fede, non sono stati però mai tali, ch'io dovessi nè debba nè voglia disapprovarli. Il mio onore esigeva ch'io dichiarassi di non aver punto mutato opinioni.„ Monaldo, da canto suo, scrive e stampa articoli contro i giovani che disconoscono l'autorità paterna, e ride dell'Antologiadove il figlio ha stampato un saggio dei suoi propriiDialoghi....
Intanto le difficoltà finanziarie, finita la pensione degli amici di Toscana, tornano ad opprimere il giovane; e il ritorno a Recanati lo impaura più della morte; e il padre non vuole e non può aiutarlo. Come rivolgersi a lui? Pure, mancando ogni altro mezzo, egli lo prega in questi termini: “Io credo ch'ella sia persuasa degli estremi sforzi ch'io ho fatti per sette anni affine di procurarmi i mezzi di sussistere da me stesso. Ella sa che l'ultima distruzione della mia salute venne dalle fatiche sostenute quattro anni fa per lo Stella, al detto fine. Ridotto a non poter più nè leggerenè scrivere nè pensare (e per più di un anno neanche parlare) non mi perdetti di coraggio, e quantunque non potessi più fare, pur solamente col già fatto, aiutandomi gli amici, tentai di continuare a trovar qualche mezzo. E forse l'avrei trovato, parte in Italia, parte fuori, se l'infelicità straordinaria dei tempi non fosse venuta a congiurare colle altre difficoltà, ed a renderle finalmente vincitrici. La letteratura è annientata in Europa: i librai, chi fallito, chi per fallire, chi ridotto ad un solo torchio, chi costretto ad abbandonare le imprese meglio avviate. In Italia sarebbe ridicolo ora il presumere di vender nulla con onore in materie letterarie, e di proporre ai librai delle imprese nuove. Di Francia, Germania, Olanda, dove io aveva mandata una gran quantità di mss. filologici con fondatissime speranze di profitto, non ricevo, invece di danari, che articoli di giornali, biografie e traduzioni. Mi trovo dunque, com'ella può ben pensare, senza i mezzi di andare innanzi. Se mai persona desiderò la morte così sinceramente e vivamente come la desidero io da gran tempo, certamente nessuna in ciò mi fu superiore. Chiamo Iddio in testimonio delle mie parole. Egli sa quante ardentissime preghiere io gli abbia fatte (sino a far tridui e novene) per ottener questa grazia; e come ad ogni leggera speranza di pericolo vicino o lontano, mi brilli il cuore dall'allegrezza. Sela morte fosse in mia mano, chiamo di nuovo Iddio in testimonio ch'io non le avrei mai fatto questo discorso; perchè la vita inqualunque luogomi è abbominevole e tormentosa. Ma non piacendo ancora a Dio d'esaudirmi, io tornerei costì a finire i miei giorni, se il vivere in Recanati, sopra tutto nella mia attuale impossibilità di occuparmi, non superasse le gigantesche forze ch'io ho di soffrire. Questa verità (della quale io credo persuasa per l'ultima acerba esperienza ancor lei) mi è talmente fissa nell'animo, che malgrado del gran dolore ch'io provo stando lontano da lei, dalla mamma e dai fratelli, io sono invariabilmente risoluto di non tornare stabilmente costà se non morto. Io ho un estremo desiderio di riabbracciarla, e solo la mancanza de' mezzi di viaggiare ha potuto e potrà nelle stagioni propizie impedirmelo; ma tornar costà senza la materiale certezza di avere il modo di riuscirne dopo uno o due mesi, questo è ciò sopra di cui il mio partito è preso, e spero che ella mi perdonerà se le mie forze e il mio coraggio non si estendono fino a tollerare una vita impossibile a tollerarsi. Non so se le circostanze della famiglia permetteranno a lei di farmi un piccolo assegnamento di dodici scudi il mese. Con dodici scudi non si vive umanamente neppure in Firenze, che è la città d'Italia dove il vivere è più economico. Ma io non cerco di vivere umanamente. Farò taliprivazioni che, a calcolo fatto, dodici scudi mi basteranno. Meglio varrebbe la morte, ma la morte bisogna aspettarla da Dio.... Se le circostanze, mio caro papà, non le consentiranno di soddisfare a questa mia domanda, la prego con ogni possibile sincerità e calore a non farsi una minima difficoltà di rigettarla. Io mi appiglierò ad un altro partito, e forse a questo avrei dovuto appigliarmi senza altrimenti annoiar lei con questo discorso: ma come il partito ch'io dico, è tale, che stante la mia salute, non è verisimile che in breve tempo non vi soccomba, ho temuto che ella avesse a fare un rimprovero alla mia memoria, dell'averlo abbracciato senza prima confidarmi con lei sopra le cose che le ho esposte. Del rimanente, io da un lato provo tanto dolore nel dar noia a lei, e dall'altro sono così lontano da ogni fine capriccioso, e da ogni lieta speranza nel voler vivere fuori di costà, che ho perfino desiderato, ed ancora desidererei, che mi fosse tolta la possibilità di ogni ricorso alla mia famiglia, acciocchè non potendo io mantenermi da me, e molto meno essendomi possibile il mendicare, io mi trovassi nella materiale, precisa e rigorosa necessità di morir di fame. Scusi, mio caro papà, questo malinconico discorso che mi è convenuto tenerle per la prima e l'ultima volta della mia vita. Si accerti della mia estremissima indifferenza circa il mio avvenire su questaterra, e se la mia domanda le riesce eccessiva, importuna, o non conveniente, non ne faccia alcun caso. In ogni modo, se Dio vorrà ch'io viva ancora, io non cesserò di adoperarmi come per lo passato, con tutte le mie forze, per procurarmi il modo di vivere senza incomodo della casa, e per far cessare le somministrazioni che ora le chiedo. Mi benedica, mio caro papà, e preghi Dio per me....„