IL PESSIMISMO
Volgiamo lo sguardo indietro, sommiamo le disgraziate circostanze intime ed esteriori in mezzo alle quali Giacomo Leopardi nasce, cresce e vive sino all'ultimo giorno: gli eccessi della fantasia, gli eccessi del ragionamento, il loro dissidio, la successiva dispersione della volontà, l'esagerazione degli studii del passato, il contagio romantico, il disordine della sensibilità, le malattie incessanti, la deformità che gl'impedisce d'essere amato, la mancanza della protezione materna, i contrasti col padre, la povertà, la lotta con le difficoltà materiali della vita, la meschinità del luogo natale, la miseria politica, sociale e intellettuale della patria, le fallite speranze di gloria: vedremo che la sua vita fu uno spasimo incessante.
Potremo noi trovare nell'opera sua le lodidell'esistenza, l'espressione della gioia, la fede nella bontà dell'universo? Vediamo noi nascere le rose dal mortuario asfodelo? Il nostro pensiero, quando pare più libero di manifestarsi in un modo piuttosto che in un altro, non è rigorosamente determinato, in tutte le sue minime espressioni, dalla nostra natura, dalla nostra educazione, dalla nostra esperienza? E se per questa triplice influenza, che noi minutamente indagammo, Giacomo Leopardi spasimò come abbiamo visto, l'arte sua poteva essere consolatrice? Se voi non conoscete ancora nulla dell'opera sua, dovete, sin da questo momento, antivederne il disperato carattere.
Tutto è stato per lui dolore, ogni cosa lo ha disingannato. Quando ha goduto? Nella primissima gioventù, nella fanciullezza, quando i mali non lo avevano avvilito, quando voleva ed agiva come tutti gli altri, quando meglio che tutti gli altri immaginava la felicità avvenire ed aspettava di conseguirla. Egli loda pertanto una cosa sola: la prima età, piena di fede, di illusioni, di speranze, di aspettazioni felici;
quel dolceE irrevocabil tempo, allor che s'apreAl guardo giovanil questa infeliceScena del mondo, e gli sorride in vistaDi paradiso....Il caro tempo giovanil; più caroChe la fama e l'allôr, più che la puraLuce del giorno, e lo spirar....
quel dolceE irrevocabil tempo, allor che s'apreAl guardo giovanil questa infeliceScena del mondo, e gli sorride in vistaDi paradiso....Il caro tempo giovanil; più caroChe la fama e l'allôr, più che la puraLuce del giorno, e lo spirar....
quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s'apre
Al guardo giovanil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso....
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allôr, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar....
la prima stagione della vita, quando
l'acerbo, indegnoMistero delle cose a noi si mostraPien di dolcezza.
l'acerbo, indegnoMistero delle cose a noi si mostraPien di dolcezza.
l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza.
Sempre egli ritorna alle speranze, agli “ameni inganni„ della prima età, al “caro immaginar„ suo primo:
Chi rimembrar vi può senza sospiri,O primo entrar di giovinezza, o giorniVezzosi, inenarrabili, allor quandoAl rapito mortal primieramenteSorridon le donzelle; a gara intornoOgni cosa sorride; invidia tace,Non desta ancora ovver benigna; e quasi(Inaudita maraviglia!) il mondoLa destra soccorrevole gli porge....
Chi rimembrar vi può senza sospiri,O primo entrar di giovinezza, o giorniVezzosi, inenarrabili, allor quandoAl rapito mortal primieramenteSorridon le donzelle; a gara intornoOgni cosa sorride; invidia tace,Non desta ancora ovver benigna; e quasi(Inaudita maraviglia!) il mondoLa destra soccorrevole gli porge....
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inaudita maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge....
Come la gioventù è la sola stagione felice, così l'alba è il più bel momento del giorno. “Su, mortali„, canta il Gallo silvestre, “destatevi. Il dì rinasce.... Ciascuno in questo tempo raccoglie e ricorre coll'animo tutti i pensieri della sua vita presente; richiama alla memoria i disegni, gli studi e i negozi; si propone i diletti e gli affanni che gli sieno per intervenire nello spazio del giorno nuovo. E ciascuno in questo tempo è più desideroso che mai di ritrovar pure nella sua mente aspettative gioconde e pensieri dolci.„ Così il sabato è al villaggio il giorno migliore, per la giovinetta che ha colto i fiori dei quali si ornerà il domani, per la vecchierella che ricorda il suo buon tempo, le feste passate; per ifanciulli che saltellano in piazza, per lo zappatore che pensa al prossimo riposo, per il legnaiuolo che s'affretta a finire l'opera sua.
Questo di sette è il più gradito giorno,Pien di speme e di gioia....
Questo di sette è il più gradito giorno,Pien di speme e di gioia....
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia....
E la gioventù rispetto alla vita è come il sabato rispetto alla festa:
Garzoncello scherzoso,Cotesta età fioritaÈ come un giorno d'allegrezza pieno,Giorno chiaro, sereno,Che precorre alla festa di tua vita.Godi, fanciullo mio; stato soave,Stagion lieta è cotesta.
Garzoncello scherzoso,Cotesta età fioritaÈ come un giorno d'allegrezza pieno,Giorno chiaro, sereno,Che precorre alla festa di tua vita.Godi, fanciullo mio; stato soave,Stagion lieta è cotesta.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Ma quanto dura? Come, tramontando la luna, il mondo si scolora e l'oscurità scende nella valle e sul monte,
Tal si dilegua, e taleLascia l'età mortaleLa giovinezza. In fugaVan l'ombre e le sembianzeDei dilettosi inganni; e vengon menoLe lontane speranzeOve s'appoggia la mortal natura.Abbandonata, oscuraResta la vita....
Tal si dilegua, e taleLascia l'età mortaleLa giovinezza. In fugaVan l'ombre e le sembianzeDei dilettosi inganni; e vengon menoLe lontane speranzeOve s'appoggia la mortal natura.Abbandonata, oscuraResta la vita....
Tal si dilegua, e tale
Lascia l'età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l'ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze
Ove s'appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita....
Quella stessa forza della speranza, quella stessa consistenza dell'illusione che diedero prezzo alla prima età, sono causa dello scontento, del disgusto che seguono. Chi ha sognato “arcana felicità in arcani modi„, non è possibile che lodi poi molto la vita reale,ancora quando essa sia larga di soddisfazioni. Qualunque diletto si possa godere al mondo, resta scolorito al paragone di quelli sognati, desiderati e aspettati; “e però„ dice Malambruno, “non uguagliando il desiderio naturale della felicità che mi sta fisso nell'animo, non sarà vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io non lascerò di essere infelice.„ Nel punto dell'ottenimento, mentre il bene ottenuto riesce inferiore a quello aspettato, l'immaginazione e il desiderio ne antivedono uno maggiore nel futuro: “Non vi accorgete voi che nel tempo stesso di qualunque vostro diletto, ancorchè desiderato infinitamente, e procacciato con fatiche e molestie indicibili.... state sempre aspettando un goder maggiore e più vero, nel quale consista in somma quel tal piacere; e andate quasi riportandovi di continuo agl'istanti futuri di quel medesimo diletto? Il quale finisce sempre innanzi al giungere dell'istante che vi soddisfaccia; e non vi lascia altro bene che la speranza cieca di goder meglio e più veramente in altra occasione, e il conforto di fingere e narrare a voi medesimi di aver goduto....„ Tanto la felicità che si aspetta è superiore a quella che si può ottenere, che uno il quale “si trovasse nel più felice stato della terra, senza che egli si potesse promettere di avanzarlo in nessuna parte e in nessuna guisa, si può quasi direche questi sarebbe il più misero di tutti gli uomini.„ Per conseguenza le facoltà alle quali sono dovuti effetti tanto funesti, se erano le cose più preziose, sono anche “le più lacrimevoli a chi le riceve.„ Non ultimo tra i danni da esse prodotti è quello che il Leopardi ha notato in sè stesso: l'impaccio della volontà. Dice la Natura, ragionando con un'Anima: “La finezza del tuo proprio intelletto e la vivacità dell'immaginazione ti escluderanno da una grandissima parte della signoria di te stessa. Gli animali bruti usano agevolmente ai fini che eglino si propongono, ogni loro facoltà e forza. Ma gli uomini rarissime volte fanno ogni loro potere; impediti ordinariamente dalla ragione e dall'immaginativa; le quali creano mille dubbietà nel deliberare e mille ritegni nell'eseguire. I meno atti o meno usati a ponderare e considerare seco medesimi, sono i più pronti a risolversi.„
E se pure, con tanti impedimenti all'acquisto della felicità, i piaceri della vita fossero reali! Ma, al contrario, sono illusorii, semplici interruzioni del dolore: così la quiete, inapprezzata prima della tempesta, è causa di gioia dopo di questa:
Piacer figlio d'affannoGioia vana, ch'è fruttoDel passato timore....
Piacer figlio d'affannoGioia vana, ch'è fruttoDel passato timore....
Piacer figlio d'affanno
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore....
Tali sono i doni, i beni che la natura offre agli uomini:
Uscir di penaÈ diletto fra noi.
Uscir di penaÈ diletto fra noi.
Uscir di pena
È diletto fra noi.
“Il piacere„ dice la Mummia di Federico Ruysch, “non sempre è cosa viva; la cessazione di qualunque dolore o disagio, è piacere per sè medesima.„ E se pure i sensi dell'uomo sono capaci di godere non solo quando cessano di soffrire, ma anche in modo più spontaneo, uscendo dallo stato d'indifferenza, questi piaceri sono poi tutti benefici? Il Leopardi che non li ha potuti godere, a cui le stesse impressioni grate facevano male, si duole perchè la natura, mentre ci ha “infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità del piacere, disgiunto dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa imperfetta„; dall'altra parte ha ordinato “che l'uso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla durabilità della stessa vita.„ E ancora: chi si astenesse interamente dai piaceri, sarebbe per ciò salvo? Costui incorrerebbe egualmente “in molte e diverse malattie„, sarebbe esposto ai pericoli di morte, alla perdita di qualche membro o facoltà, condurrebbe per tempi più o meno lunghi una misera vita, e avrebbe “oppresso il corpo e l'animo con mille stenti e mille dolori.„ E ancora: “benchè ciascuno di noi sperimenti, nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi e disusati, e infelicità maggiore che egli non suole„;la natura non ha poi dato in compenso all'uomo “alcuni tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche diletto straordinario per qualità e grandezza.„ I dolori sono dunque reali, infiniti, e intollerabili; mentre i piaceri sono illusorii, circoscritti, e finalmente anch'essi nocivi.
Se tale è la miseria della condizione umana, il Leopardi crede che vi sia un vero, un grande, un infinito bene: l'amore.
Pregio non ha, non ha ragion la vitaSe non per lui, per lui ch'all'uomo è tutto;Sola discolpa al fato.
Pregio non ha, non ha ragion la vitaSe non per lui, per lui ch'all'uomo è tutto;Sola discolpa al fato.
Pregio non ha, non ha ragion la vita
Se non per lui, per lui ch'all'uomo è tutto;
Sola discolpa al fato.
La Verità, che Giove ha mandato sulla terra, fuga tutte le larve e tutte le illusioni, e rende disperata la condizione degli uomini; ma resta per concessione del nume l'amore. “Avranno tuttavia qualche mediocre conforto da quel fantasma che essi chiamano Amore, il quale io sono disposto, rimovendo tutti gli altri, lasciare nel consorzio umano. E non sarà dato alla Verità, quantunque potentissima e combattendolo di continuo, nè sterminarlo mai dalla terra, nè vincerlo se non di rado.„ E poichè gli effetti della Verità sono spaventevoli, il nume, mosso a pietà delle creature penanti, invita qualcuno dei celesti a scendere in terra per consolare l'infelice progenie. “Al che tacendo tutti gli altri, Amore, figliuolo di Venere Celeste, conforme di nome al fantasma così chiamato, ma di natura, di virtùe di opere diversissimo; si offerse (come è singolare fra tutti i numi la sua pietà) di fare esso l'ufficio proposto da Giove, e scendere dal cielo....„ Ed egli torna, ma di rado, a visitare i mortali, e poco si ferma tra loro. “Quando viene in sulla terra, sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio: diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti sì nobili, e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa al tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine.„ Ma questa felicità vera non è intera; perchè l'amore “rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo, e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benchè pregatone con grandissima instanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di compiacerli, trattone alcuni pochi; perchè la felicità che nasce da tale beneficio, è di troppo breve intervallo superata dalla divina.„ Così Consalvo, presso a morte, si ridesta e delira di gioia solo perchè la donna amata gli concede il primo ed ultimo bacio:
Morrò contentoDel mio destino omai, nè più mi dolgoCh'aprii le luci al dì. Non vissi indarno,Poscia che quella bocca alla mia boccaPremer fu dato. Anzi felice estimoLa sorte mia. Due cose belle ha il mondo:Amore e morte. All'una il ciel mi guidaIn sul fior dell'età; nell'altro, assaiFortunato mi tengo....
Morrò contentoDel mio destino omai, nè più mi dolgoCh'aprii le luci al dì. Non vissi indarno,Poscia che quella bocca alla mia boccaPremer fu dato. Anzi felice estimoLa sorte mia. Due cose belle ha il mondo:Amore e morte. All'una il ciel mi guidaIn sul fior dell'età; nell'altro, assaiFortunato mi tengo....
Morrò contento
Del mio destino omai, nè più mi dolgo
Ch'aprii le luci al dì. Non vissi indarno,
Poscia che quella bocca alla mia bocca
Premer fu dato. Anzi felice estimo
La sorte mia. Due cose belle ha il mondo:
Amore e morte. All'una il ciel mi guida
In sul fior dell'età; nell'altro, assai
Fortunato mi tengo....
Noi già vediamo, in questo parallelo tra l'amore, forma dell'istinto vitale, e la morte, cessazione di tutta quanta la vita, annebbiarsi la fede del Leopardi. Se egli credesse veramente all'amore, non paragonerebbe le gioie che nascono da lui a quel sollievo tutto negativo che viene dalla fine dell'esistenza; egli non canterebbe:
Fratelli, a un tempo istesso, Amore e MorteIngenerò la sorte.Cose quaggiù più belleAltre il mondo non ha, non han le stelle.
Fratelli, a un tempo istesso, Amore e MorteIngenerò la sorte.Cose quaggiù più belleAltre il mondo non ha, non han le stelle.
Fratelli, a un tempo istesso, Amore e Morte
Ingenerò la sorte.
Cose quaggiù più belle
Altre il mondo non ha, non han le stelle.
È vero che ogni uomo, anche non disperando, sicuro anzi di ottenere la soddisfazione degl'istinti della carne e dei bisogni del cuore, prova un intimo senso di tristezza e quasi un desiderio di morire durante il primo invasamento della passione. Questa languidezza mortale, questa prostrazione sono note a tutti i grandi, a tutti i veri amanti; il Leopardi, che è tra i più squisiti, le sente, le descrive, ne cerca le ragioni nella paura che produce il deserto del mondo a chi ha il cuore gonfio d'una speranza divina; nella previsione delle tempeste alle quali va incontro l'amante. È vero che il bisogno di morire ritorna più grave
quando tutto avvolgeLa formidabil possa,E fulmina nel cor l'invitta cura;
quando tutto avvolgeLa formidabil possa,E fulmina nel cor l'invitta cura;
quando tutto avvolge
La formidabil possa,
E fulmina nel cor l'invitta cura;
e che gli umili, le vergini, si uccidono o muoiono distrutti dalla passione. Ma ciò accade quando l'amore è contrastato; per affermare che amore e morte sono fratelli, sempre, bisogna disperare dell'amore. Ed infatti: qual è l'opera dell'Amore, quando, per consiglio di Giove, quel dio scende in terra? È quella di far tornare le larve, le illusioni: “E siccome i fati lo dotarono di fanciullezza eterna, quindi esso, convenientemente a questa sua natura, adempie per qualche modo quel primo voto degli uomini, che fu di esser tornati alla condizione della puerizia. Perciocchè negli animi che egli si elegge ad abitare, suscita e rinverdisce, per tutto il tempo che egli vi siede, l'infinita speranza e le belle e care immaginazioni degli anni teneri.„ In altre parole: il conforto che viene dall'amore è tutto nell'aspettazione, nella speranza. Il Leopardi non si contraddice, affermando, dopo aver negato tutti i piaceri, la benefica potenza dell'amore. L'amore è grato, secondo lui, come è grata la gioventù; perchè il giovane e l'amante s'illudono, aspettano una felicità senza fine. E perchè non la raggiunge il giovane, non la raggiunge l'amante. Il giovane ha troppo sperato dalla vita; l'amante spera troppo dalla donna. Egli non si contenta della creatura reale; se ne foggia un'immagine molto più bella:
VagheggiaIl piagato mortal quindi la figliaDella sua mente, l'amorosa idea,Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude,Tutta al volto, ai costumi, alla favellaPari alla donna che il rapito amanteVagheggiare ed amar confuso estima.
VagheggiaIl piagato mortal quindi la figliaDella sua mente, l'amorosa idea,Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude,Tutta al volto, ai costumi, alla favellaPari alla donna che il rapito amanteVagheggiare ed amar confuso estima.
Vagheggia
Il piagato mortal quindi la figlia
Della sua mente, l'amorosa idea,
Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude,
Tutta al volto, ai costumi, alla favella
Pari alla donna che il rapito amante
Vagheggiare ed amar confuso estima.
Il poeta non ha avuto esperienza dell'amore reale, ma sa che insino nell'amplesso la creatura che noi stringiamo tra le braccia non è tanto la vera, quella di carne e di sangue, quanto la figlia della nostra mente. Il disinganno è pertanto da attribuire all'immaginazione degli uomini, non già alle donne; ma la colpa è anche della natura che ha fatto gli uomini troppo immaginosi ed ardenti, e le donne troppo fredde e pigre. Le donne reali sono troppo diverse da quelle che gl'innamorati si dipingono:
A quella eccelsa imagoSorge di rado il femminile ingegno;E ciò che ispira ai generosi amantiLa sua stessa beltà, donna non pensa,Nè comprender potrìa. Non cape in quelleAnguste fronti ugual concetto. E maleAl vivo sfolgorar di quegli sguardiSpera l'uomo ingannato, e mal richiedeSensi profondi, sconosciuti, e moltoPiù che virili, in chi dell'uomo al tuttoDa natura è minor. Che se più molliE più tenui le membra, essa la menteMen capace e men forte anco riceve.
A quella eccelsa imagoSorge di rado il femminile ingegno;E ciò che ispira ai generosi amantiLa sua stessa beltà, donna non pensa,Nè comprender potrìa. Non cape in quelleAnguste fronti ugual concetto. E maleAl vivo sfolgorar di quegli sguardiSpera l'uomo ingannato, e mal richiedeSensi profondi, sconosciuti, e moltoPiù che virili, in chi dell'uomo al tuttoDa natura è minor. Che se più molliE più tenui le membra, essa la menteMen capace e men forte anco riceve.
A quella eccelsa imago
Sorge di rado il femminile ingegno;
E ciò che ispira ai generosi amanti
La sua stessa beltà, donna non pensa,
Nè comprender potrìa. Non cape in quelle
Anguste fronti ugual concetto. E male
Al vivo sfolgorar di quegli sguardi
Spera l'uomo ingannato, e mal richiede
Sensi profondi, sconosciuti, e molto
Più che virili, in chi dell'uomo al tutto
Da natura è minor. Che se più molli
E più tenui le membra, essa la mente
Men capace e men forte anco riceve.
Egli è anche più giusto quando fa dire al Tasso dal suo Genio familiare che le donne non hanno colpa se, alla prova, riescono troppo diverse da quelle che noi immaginiamo. “Ionon so vedere„, gli spiega il Genio, “che colpa s'abbiano in questo, d'esser fatte di carne e sangue, piuttosto che d'ambrosia e nèttare. Qual cosa del mondo ha pure un'ombra o una millesima parte della perfezione che voi pensate che abbia a essere nelle donne? E anche mi pare strano, che non facendovi maraviglia che gli uomini sieno uomini, cioè a dir creature poco lodevoli e poco amabili; non sappiate poi comprendere come accada, che le donne in fatti non sieno angeli.„
L'immaginazione è dunque ancora causa dell'inganno. Essa, come ha guastato la vita, guasta anche l'amore. Saggio è l'amante che, sognando la donna diletta in un sogno gentile, “per tutto il giorno seguente fugge di ritrovarsi con quella e di rivederla; sapendo che ella non potrebbe reggere al paragone dell'immagine che il sonno gliene ha lasciata impressa....„ Quantunque il Leopardi abbia amato solitariamente, quantunque non abbia neppure significato i suoi sentimenti alle donne che li ispirarono, pure egli ha capito come sia difficile agli amanti riamati il comprendersi. Quando ha fatto dire a Consalvo che il cielo non consente il pieno appagamento dei voti d'amore, gli ha fatto soggiungere che “amar tant'oltre non è dato con gioia„; e il suo Filippo Ottonieri dice una cosa molto profonda, che è il frutto delle lunghe esperienze sentimentali: “Negava che alcuno a questi tempi possaamare senza rivale; e dimandato del perchè, rispondeva: perchè certo l'amato o l'amata è rivale ardentissimo dell'amante.„ Come dir meglio che l'amore, la grande consolazione della vita, non è tutto amore, ma anche una forma di odio?
Dove sarà allora la felicità vera, intera, pura? Sarà nella gloria? Anche questa è una forma dell'illusione; ad uno ad uno egli ne distrugge, come li ha visti cadere intorno a sè, tutti i fondamenti, tutte le promesse, tutti i vantaggi. E primieramente: che cosa è la gloria letteraria e artistica, paragonata a quella che dipende dalle grandi azioni? “L'operare è tanto più degno e più nobile del meditare e dello scrivere, quanto è più nobile il fine che il mezzo, e quanto le cose e i soggetti importano più che le parole e i ragionamenti. Anzi niun ingegno è creato dalla natura agli studi; nè l'uomo nasce a scrivere, ma solo a fare.„ Ma i tempi non volgono propizii alle imprese magnanime, ed è forza contentarsi della grandezza nell'arte o nella scienza. E questa via, “come quella che non è secondo la natura degli uomini, non si può seguire senza pregiudizio del corpo, nè senza moltiplicare in diversi modi l'infelicità del proprio animo.„ E quante difficoltà! “Le emulazioni, le invidie, le censure acerbe, le calunnie, le parzialità, le pratiche e i maneggi occulti e palesi contro la tua riputazione, e gli altriinfiniti ostacoli che la malignità degli uomini ti opporrà....„ Il valore è anche contrastato “dalla fortuna propria dello scrittore, ed eziandio dal semplice caso, o da leggerissime cagioni.„ Chi può, del resto, comprender bene lo scrittore? Non la folla, ma gli scrittori suoi pari; non gli stranieri, ma quelli della sua stessa nazione: per tutto il resto dell'umano genere le fatiche letterarie riescono inutili e sparse al vento. “Lascio l'infinita varietà dei giudizi e delle inclinazioni dei letterati, per la quale il numero delle persone atte a sentire le qualità lodevoli di questo o di quel libro, si riduce ancora a molto meno.„ Che è dunque la fama di quei grandi, i cui nomi sono universalmente riveriti? “In vero io mi persuado che l'altezza della stima e della riverenza verso gli scrittori sommi, provenga comunemente, in quelli eziandio che li leggono e trattano, piuttosto da consuetudine ciecamente abbracciata, che da giudizio proprio e dal conoscere in quelli per veruna guisa un merito tale....„ Per comprendere le opere dell'ingegno, bisogna trovarsi in certe particolari condizioni; gli scritti non tanto si giudicano dalle loro qualità in se medesime, quanto dall'effetto prodotto nell'animo di chi legge. Quante volte, per quante cause, il lettore non sì trova mal disposto a comunicare con l'autore? Se dunque un libro nuovo anche ottimo è letto una sola volta da chi temporaneamente è impeditod'intenderlo, l'autore sarà poco o niente stimato. Al contrario, in certi stati dell'animo, una pagina mediocre è capace di produrre eccitazioni gagliarde, e l'autore di ottenere un'ammirazione immeritata. E nella nostra età, tarda, stanca, sovraccarica di troppe memorie, l'eloquenza, la poesia, sono poco intese; ed i giovani, il cui animo è più pronto, non hanno un gusto sicuro; e gli abitatori delle grandi città, i quali incoronano gli oratori e i poeti, sono troppo distratti da troppe altre cose. E se bisogna, per bene apprezzare un'opera, rileggerla più e più volte, “manca oggi il tempo alle prime non che alle seconde letture.„ E se il consenso antico e universale è tanta parte della fama delle opere, oggi un nuovo poema “eguale o superiore di pregio intrinseco all'Iliade, letto anche attentissimamente da qualunque più perfetto giudice di cose poetiche, gli riuscirebbe assai men grato e men dilettevole di quella; e per tanto gli resterebbe in molto minore estimazione.„
La dimostrazione continua così, come quella di un teorema, con uno spietato rigore di logica. Miglior fortuna del poeta troverà il filosofo, che non si rivolge all'immaginazione degli uomini, diseguale, mutabile, ma alla loro ragione? Ma, posto anche che l'immaginazione non fosse tanto utile in filosofia come in arte, resta sempre che le verità filosofiche non sono apprezzate da chi non le partecipa, anche lasciandoda parte “le varie fazioni, o comunque si voglia chiamarle, in cui sono divisi oggi, come sempre furono, quelli che fanno professione di filosofia: ciascuna delle quali nega ordinariamente la debita lode e stima a quei delle altre; non solo per volontà, ma per aver l'intelletto occupato da altri principii.„ E se a gustare un poema occorre tempo, più ne occorre se si vuole persuadere agli uomini la verità scoperta dal filosofo; e i grandi novatori, invece d'essere lodati e ammirati, troppo spesso sono derisi e vilipesi. E se la verità fa il suo cammino finchè è poi universalmente accettata, il morto suo inventore non ha neppure il premio d'una postuma fama, “parte per essere già mancata la sua memoria, o perchè l'opinione ingiusta avuta di lui mentre visse, confermata dalla lunga consuetudine, prevale a ogni altro rispetto; parte perchè gli uomini non sono venuti a questo grado di cognizioni per opera sua; e parte perchè già nel sapere gli sono eguali, presto lo sormonteranno, e forse gli sono superiori anche al presente, per essersi potute colla lunghezza del tempo dimostrare e chiarire meglio le verità immaginate da lui, ridurre le sue congetture a certezza, dare ordine e forma migliore ai suoi trovati, e quasi maturarli.„
Nulla resiste alla sua critica; par quasi che egli provi un senso di voluttà nel rintracciare e nell'esporre ad uno ad uno tutti i più sottilie riposti argomenti che si possono addurre contro la speranza d'un premio. Ecco: dopo aver tutto negato, dopo aver dimostrato come sia impossibile ottenere la gloria, concede a un tratto che qualcuno l'abbia conseguita. Che frutto ne ritrarrà costui? Se l'uomo famoso vive in una città piccola, egli non è oggetto d'invidia, perchè nessuno l'intende; anzi, perchè tutti lo disconoscono, è trascurato. Nelle città grandi, tanto per l'emulazione dei compagni quanto per le distrazioni della folla, le difficoltà di poter godere della gloria acquistata non sono minori. E la fama di grande poeta e di gran filosofo, come è la più difficile da acquistare, è anche la meno fruttuosa di tutte: “le due sommità, per così dire, dell'arte e della scienza umana; dico la poesia e la filosofia; sono in chi le professa, specialmente oggi, le facoltà più neglette del mondo; posposte ancora alle arti che si esercitano principalmente con la mano.„ Qual è dunque il frutto dell'ingegno, il premio degli studi per il filosofo ed il poeta? Null'altro “se non forse una gloria nata e contenuta fra un piccolissimo numero di persone.„ Ce n'è anche un altro, maggiore, migliore: “Non potendo nella conversazione degli uomini godere quasi alcun beneficio della tua gloria, la maggiore utilità che ne ritrarrai, sarà di rivolgerla nell'animo e di compiacertene teco stesso nel silenzio della tua solitudine, col pigliarnestimolo e conforto a nuove fatiche, e fartene fondamento a nuove speranze.„ Perchè anche qui la natura dell'uomo ordisce il solito inganno, volendo che il bene non ottenuto sia ancora sperato, a dispetto dell'esperienza, nel futuro, altrove, non si sa dove: “La gloria degli scrittori, non solo, come tutti i beni degli uomini, riesce più grata da lungi che da vicino, ma non è mai, si può dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova in nessun luogo„; e la speranza sempre disingannata continua sempre ad operare, così che da ultimo, non avendo mai trovato la gloria in vita, o avendola sdegnata, o non avendone goduto tanto quanto si aspettava, l'uomo si pasce della speranza di quella che otterrà — dopo morto, dai posteri.... quasi che i posteri non saranno uomini come i contemporanei, soggetti a quella mutabilità di gusti in arte e di giudizii in filosofia che ha travolto le speranze di gloria durante la vita e che annullerà totalmente quelle riposte nell'avvenire!