IV.LA MORTE.
La morte sarà pertanto il rimedio radicale e la conclusione ultima. La felicità pareva lo scopo dell'esistenza; ma non fu raggiunta nè dall'individuo nè dal consorzio umano; non fu raggiunta subito, nè sarà raggiunta in avvenire, col progresso; non fu raggiunta in terra, nè sarà raggiunta in un altro mondo. Perchè dunque le creature aprono gli occhi alla luce? Che cosa è questa vita?
Vecchierel bianco, infermo,Mezzo vestito e scalzo,Con gravissimo fascio in su le spalle,Per montagna e per valle,Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,Al vento, alla tempesta, e quando avvampaL'ora, e quando poi gela,Corre via, corre, anela,Varca torrenti e stagni,Cade, risorge, e più e più s'affretta,Senza posa o ristoro,Lacero, sanguinoso; infin ch'arrivaColà dove la viaE dove il tanto affaticar fu volto:Abisso orrido, immenso,Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vecchierel bianco, infermo,Mezzo vestito e scalzo,Con gravissimo fascio in su le spalle,Per montagna e per valle,Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,Al vento, alla tempesta, e quando avvampaL'ora, e quando poi gela,Corre via, corre, anela,Varca torrenti e stagni,Cade, risorge, e più e più s'affretta,Senza posa o ristoro,Lacero, sanguinoso; infin ch'arrivaColà dove la viaE dove il tanto affaticar fu volto:Abisso orrido, immenso,Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Questo è il quadro della vita mortale. Finite le speranze di felicità, spente le illusioni, null'altro resta fuorchè la morte:
Ecco di tanteSperate palme e dilettosi errori,Il Tartaro m'avanza,
Ecco di tanteSperate palme e dilettosi errori,Il Tartaro m'avanza,
Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza,
canta l'infelice Lesbiana; e Silvia miseramente cade all'apparir del vero. Quando l'uomo è giovane, quando può sperare, la vita è luminosa; ma dopo, tosto che la verità è conosciuta,
Vedova è insino al fine; ed alla notteChe l'altre etadi oscuraSegno poser gli Dei la sepoltura.
Vedova è insino al fine; ed alla notteChe l'altre etadi oscuraSegno poser gli Dei la sepoltura.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l'altre etadi oscura
Segno poser gli Dei la sepoltura.
Ma parlare della morte con questo tono dolente, chiamarla abisso “orrido, immenso„, è ancora in certo modo come lodare la vita. Questa morte non è un vero rimedio, non è una cosa veramente lodevole, se egli la loda ironicamente:
UmanaProle cara agli eterni! assai feliceSe respirar ti liceD'alcun dolor; beataSe te d'ogni dolor morte risana.
UmanaProle cara agli eterni! assai feliceSe respirar ti liceD'alcun dolor; beataSe te d'ogni dolor morte risana.
Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor; beata
Se te d'ogni dolor morte risana.
Per adoperare questo tono, bisogna che l'illusione non sia ancora finita, che una qualche fede sussista. Se morire non è un vero bene, bisogna che il bene consista in qualche altra cosa. Non si trovò in nessun luogo, in nessun tempo, in nessun concetto; ma l'appetitodella felicità non è ancora morto; si spera ancora, non si sa come, non si sa in che cosa, irragionevolmente. Perchè la ragione trionfi, bisogna dar torto all'istinto della felicità che si ribella alla morte; e riconoscere che l'istinto è un fenomeno transitorio, e che la morte è il fenomeno permanente, il vero, il solo, l'ultimo fine della vita. Poichè tutti gli altri, tutti insino ad uno, si dimostrarono fallaci, la morte sarà lo scopo reale, l'unica meta, la ragione stessa dell'esistenza. Ed il Leopardi arriva a questa conclusione logica, l'accetta pienamente quando dice che le creature “ingegnandosi, adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro, e non s'affaticano se non per giungere a questo solo intento della natura„; quando afferma che proprio ed unico obbietto delle cose è il morire: esse anzi sono state create per essere distrutte, perchè la legge della distruzione si potesse mantenere: “non potendo morire quel che non era, perciò dal nulla scaturirono le cose che sono.„
Come parrà allora stolto e funesto lo studio di prolungare la vita! “Non solo io non mi curo dell'immortalità„, dice il Metafisico al Fisico, “e sono contento di lasciarla ai pesci; ai quali la dona il Leeuwenhoek, purchè non siano mangiati dagli uomini o dalle balene; ma, in cambio di ritardare o interrompere la vegetazione del nostro corpo perallungare la vita come propone il Maupertuis, io vorrei che la potessimo accelerare in modo, che la vita nostra si riducesse alla misura di quella di alcuni insetti, chiamati efimeri, dei quali si dice che i più vecchi non passano l'età di un giorno, e contuttociò muoiono bisavoli e trisavoli„. Per un momento, non solo la vita degli efimeri, ma quella di qualunque animale gli parrà preferibile alla umana; gli animali non raggiungono la felicità, ma passano il tempo meglio di noi, unicamente occupati di ciò che loro occorre:
De' brutiLa progenie infinita, a cui pur solo,Nè men vano che a noi, vive nel pettoDesìo d'esser beati; a quello intentaChe a lor vita è mestier, di noi men tristoCondur si scopre e men gravoso il tempoNè la lentezza accagionar dell'ore.
De' brutiLa progenie infinita, a cui pur solo,Nè men vano che a noi, vive nel pettoDesìo d'esser beati; a quello intentaChe a lor vita è mestier, di noi men tristoCondur si scopre e men gravoso il tempoNè la lentezza accagionar dell'ore.
De' bruti
La progenie infinita, a cui pur solo,
Nè men vano che a noi, vive nel petto
Desìo d'esser beati; a quello intenta
Che a lor vita è mestier, di noi men tristo
Condur si scopre e men gravoso il tempo
Nè la lentezza accagionar dell'ore.
Anche il Pastore canterà:
O greggia mia che posi, oh te beata,Che la miseria tua, credo, non sai!Quanta invidia ti porto!Non sol perchè d'affannoQuasi libera vai;Ch'ogni stento, ogni danno,Ogni estremo timor subito scordi;Ma più perchè giammai tedio non provi.Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,Tu se' queta e contenta;E gran parte dell'annoSenza noia consumi in quello stato....Quel che tu goda o quanto,Non so già dir; ma fortunata sei.
O greggia mia che posi, oh te beata,Che la miseria tua, credo, non sai!Quanta invidia ti porto!Non sol perchè d'affannoQuasi libera vai;Ch'ogni stento, ogni danno,Ogni estremo timor subito scordi;Ma più perchè giammai tedio non provi.Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,Tu se' queta e contenta;E gran parte dell'annoSenza noia consumi in quello stato....Quel che tu goda o quanto,Non so già dir; ma fortunata sei.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato....
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Tosto però egli s'accorge che questa sua opinione può dipendere da un inganno:
O forse erra dal veroMirando all'altrui sorte il mio pensiero;Forse in qual forma, in qualeStato che sia, dentro covile o cuna,È funesto a chi nasce il dì natale.
O forse erra dal veroMirando all'altrui sorte il mio pensiero;Forse in qual forma, in qualeStato che sia, dentro covile o cuna,È funesto a chi nasce il dì natale.
O forse erra dal vero
Mirando all'altrui sorte il mio pensiero;
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Certo dell'inganno, il Leopardi ritorna alla verità disperata:
Non altro in sommaFuorchè infelice, in qualsivoglia tempo,E non pur ne' civili ordini e modi,Ma della vita in tutte l'altre parti,Per essenza insanabile, e per leggeUniversal che terra e cielo abbraccia,Ogni nato sarà.
Non altro in sommaFuorchè infelice, in qualsivoglia tempo,E non pur ne' civili ordini e modi,Ma della vita in tutte l'altre parti,Per essenza insanabile, e per leggeUniversal che terra e cielo abbraccia,Ogni nato sarà.
Non altro in somma
Fuorchè infelice, in qualsivoglia tempo,
E non pur ne' civili ordini e modi,
Ma della vita in tutte l'altre parti,
Per essenza insanabile, e per legge
Universal che terra e cielo abbraccia,
Ogni nato sarà.
Se il vivere è funesto a tutti, il non vivere sarà preferibile:
Mai non veder la luceEra, credo, il miglior....
Mai non veder la luceEra, credo, il miglior....
Mai non veder la luce
Era, credo, il miglior....
Quindi la morte non sarà temuta, ma preferita e lodata come il “maggior bene dell'uomo„; e desiderata e cercata:
In cielo,In terra amico agli infelici alcunoE rifugio non resta altro che il ferro;
In cielo,In terra amico agli infelici alcunoE rifugio non resta altro che il ferro;
In cielo,
In terra amico agli infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro;
e se altri, sdegnando gli anni suoi vuoti e odiando la luce, non si uccide,
al duro morsoDella brama insanabile che invanoFelicità richiede, esso da tuttiLati cercando, mille inefficaciMedicine procaccia, onde quell'unaCui natura apprestò, mal si compensa.
al duro morsoDella brama insanabile che invanoFelicità richiede, esso da tuttiLati cercando, mille inefficaciMedicine procaccia, onde quell'unaCui natura apprestò, mal si compensa.
al duro morso
Della brama insanabile che invano
Felicità richiede, esso da tutti
Lati cercando, mille inefficaci
Medicine procaccia, onde quell'una
Cui natura apprestò, mal si compensa.
Ma Saffo si dà la morte:
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,E il crudo fallo emenderà del ciecoDispensator de' casi.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,E il crudo fallo emenderà del ciecoDispensator de' casi.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi.
Come ella morendo corregge il male del quale fu vittima, così Bruto uccidendosi sfida l'iniqua potenza che lo ha sopraffatto. Egli invidia gli animali non solo perchè arrivano alla morte senza prevederla, cioè senza nè temerla nè desiderarla, ma anche perchè, volendo uccidersi, nessuno lo vieterebbe loro:
A voi, fra quanteStirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,Figli di Prometeo, la vita increbbe;A voi le morte ripe,Se il fato ignavo pende,Soli, miseri, a voi Giove contende.
A voi, fra quanteStirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,Figli di Prometeo, la vita increbbe;A voi le morte ripe,Se il fato ignavo pende,Soli, miseri, a voi Giove contende.
A voi, fra quante
Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
Figli di Prometeo, la vita increbbe;
A voi le morte ripe,
Se il fato ignavo pende,
Soli, miseri, a voi Giove contende.
E come anche Porfirio invidia gli animali perchè, morendo, non hanno paura o speranza di un'altra vita, così Bruto vorrà morire interamente, senza tema di punizioni, senza speranza di gloria postuma, di felicità oltre umana:
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordiRegi, o la terra indegna,E non la notte moribondo appello;Non te dell'atra morte ultimo raggioConscia futura età........ A me d'intornoLe penne il bruno augello avido roti;Prema la fera, e il nemboTratti l'ignota spoglia;E l'aura il nome e la memoria accoglia.
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordiRegi, o la terra indegna,E non la notte moribondo appello;Non te dell'atra morte ultimo raggioConscia futura età........ A me d'intornoLe penne il bruno augello avido roti;Prema la fera, e il nemboTratti l'ignota spoglia;E l'aura il nome e la memoria accoglia.
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi
Regi, o la terra indegna,
E non la notte moribondo appello;
Non te dell'atra morte ultimo raggio
Conscia futura età....
.... A me d'intorno
Le penne il bruno augello avido roti;
Prema la fera, e il nembo
Tratti l'ignota spoglia;
E l'aura il nome e la memoria accoglia.
Costoro furono disgraziati: a Bruto non valse la virtù, a Saffo non valse l'amore. Noi vediamo pertanto che, dandosi la morte, si dolgono, accusano, non sono sereni. La Lesbiana si lagna che di tante sperate palme e dilettosi errori le avanzi solo la morte; Bruto chiama “misero„ il desìo di morire; e “atra„ la morte. Il Leopardi che ha giudicato essere la morte non una cosa vana come tutte le altre, ma la sola realtà, dovrà dire serenamente che il partito di procurarsela è il migliore, il più ragionevole, il più conforme a natura, ancora quando la vita non è stata sciagurata. Udite infatti Porfirio, deliberato di uccidersi, affermare che questa sua deliberazione “non procede da alcuna sciagura che mi sia intervenuta, ovvero che io aspetti che mi sopraggiunga„, ma dal “vedere, gustare, toccare la vanità di ogni cosa.„ Nè la morte è legge delle sole creature, ma di tutta quanta la creazione. Morrà la terra, morranno i soli. Altri ne nasceranno, è vero; la ragione dimostra che l'esistenza, non essendo mai cominciata, non avrà mai fine; ma l'anima offesa si compiace di antivedere la fine del Tutto: “Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno nè fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinitevicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza universale, innanzi di essere dichiarato nè inteso, si dileguerà e perderassi.„