L'IRONIA.

L'IRONIA.

Resterà egli sempre in questo atteggiamento? Non potrà far altro che querelarsi e disperare? Impotente a mutare il ferreo ordine delle cose che lo soverchiano, si dorrà continuamente perchè altri rida del suo dolore? Non potrà ridere egli stesso degli altri, degli uomini e delle donne, del mondo e della natura?

Già del fato mortale a me bastanteE conforto e vendetta è che sull'erbaQui neghittoso immobile giacendo,Il mar, la terra e il ciel miro e sorrido.

Già del fato mortale a me bastanteE conforto e vendetta è che sull'erbaQui neghittoso immobile giacendo,Il mar, la terra e il ciel miro e sorrido.

Già del fato mortale a me bastante

E conforto e vendetta è che sull'erba

Qui neghittoso immobile giacendo,

Il mar, la terra e il ciel miro e sorrido.

Questo sorriso gli strappa l'ultimo disinganno, l'ultimo dolore patito per causa d'una donna; ma già da molto tempo egli ha fatto suo pro della naturale disposizione all'ironia. A ventidue anni, per consolarsi dell'indegnità della fortuna, “quasi per vendicarmi del mondo e quasi anche della virtù„, imagina le prime satire. Al dolente Giordani scrive: “Non potresti di Eraclito convertirti in Democrito?La qual cosa va pure accadendo a me, che la stimava impossibilissima. Vero è che la disperazione si finge sorridente. Ma il riso intorno agli uomini ed alle mie stesse miserie, al quale io mi vengo accostumando, quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore, ma piuttosto dalla noncuranza, ch'è l'ultimo rifugio degl'infelici soggiogati dalla necessità. Vo' lentamente leggendo, studiando e scrivacchiando. Tutto il resto del tempo lo spendo in pensare e ridere meco stesso....„ Nonostante i dileggi della gente, si avvezza a ridere, “e ci riesco.„ Il suo riso è amaro, sdegnoso, è spesso una sghignazzata violenta: “Amami, caro Brighenti; e ridiamo insieme alle spalle di questi.... che possiedono l'orbe terraqueo. Il mondo è fatto al rovescio, come quei dannati di Dante che avevano il.... dinanzi e il petto di dietro, e le lagrime strisciavano giù per lo fesso. E ben sarebbe più ridicolo il volerlo raddrizzare, che il contentarsi di stare a guardarlo e fischiarlo....„ Questo concetto dell'opportunità del riso si ribadisce in lui; è espresso altre volte più pacatamente. “L'indifferenza e l'allegria sono le uniche passioni proprie, non solamente dei savi, ma di tutti quelli che hanno pratica delle cose umane, e talento per profittare dell'esperienza.„ Meglio: “Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.„ E ancora: Eleandroriconosce che se sì dolesse piangendo, darebbe noia agli altri ed a sè stesso, senza alcun frutto: “Ridendo dei nostri mali trovo qualche conforto; e procuro di recarne altrui nello stesso modo. Se questo non mi vien fatto, tengo pure per fermo che il ridere dei nostri mali sia l'unico profitto che se ne possa cavare, e l'unico rimedio che vi si trovi. Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso. Non dovete pensare che io non compatisca all'infelicità umana. Ma non potendovisi riparare con nessuna forza, nessuna arte, nessuna industria, nessun patto; stimo assai più degno dell'uomo e di una disperazione magnanima, il ridere dei mali comuni, che il mettermene a sospirare, lacrimare e stridere insieme cogli altri, o incitandoli a fare altrettanto.„

E Giacomo Leopardi si vendica infatti col riso di tutte quelle cose delle quali si è doluto o ha dimostrato la fallacia. Come dell'ultima donna amata, così pure ride di tutte le altre e di se stesso che le aveva deificate. “Coteste dee sono così benigne, che quando alcuno vi si accosta, in un tratto ripiegano la loro divinità, si spiccano i raggi d'attorno e se li pongono in tasca, per non abbagliare il mortale che si fa innanzi.„ E se la colpa non è loro, ma dell'immaginazione che va cercando una perfezione fuor dell'umano, egli riderà di questa aspettativa, facendodecretare un premio dall'Accademia dei Sillografi. Tutti non si lodano “del fortunato secolo in cui siamo„ per i progressi della scienza, per gli adattamenti dei ritrovati scientifici alla vita pratica? Questa età non si può chiamare l'età delle macchine, “non solo perchè gli uomini di oggidì procedono e vivono forse più meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero delle macchine inventate di fresco ed accomodate o che si vanno tutto giorno trovando ed accomodando a tanti e così vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita„? Allora l'Accademia dei Sillografi bandisce un concorso per una macchina “disposta a fare gli uffici di una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte Baldassare Castiglione, il quale descrive il suo concetto nel libro delCortegiano, parte da altri, i quali ne ragionarono in vari scritti che si troveranno senza fatica, e si avranno a consultare e seguire, come eziandio quello del Conte. Nè ancora l'invenzione di questa macchina dovrà parere impossibile agli uomini dei nostri tempi, quando pensino che Pigmalione in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze, si potè fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si tiene che fosse la miglior donna che sia stata insino al presente. Assegnasi all'autore di questa macchina una medaglia d'oro in pesodi cinquecento zecchini, in sulla quale sarà figurata da una parte l'araba fenice del Metastasio posata sopra una pianta di specie europea, dall'altra sarà scritto il nome del premiato col titolo:Inventore delle donne fedeli e della felicità coniugale.„

Più acuto, più stridente è il suo riso contro gli uomini. Il regno delle macchine dev'essere salutato con gioia perchè ci affida che col tempo si troveranno congegni da servire non alle sole cose materiali, ma anche alle spirituali; “onde nella guisa che per virtù di esse macchine siamo già liberi e sicuri dalle offese dei fulmini e delle grandini, e da molti simili mali e spaventi, così di mano in mano si abbiano a ritrovare, per modo di esempio (e facciasi grazia alla novità dei nomi) qualche parainvidia, qualche paracalunnie o paraperfidia o parafrodi, qualche filo di salute o altro ingegno che ci scampi dall'egoismo, dal predominio della mediocrità, dalla prospera fortuna degl'insensati, de' ribaldi e de' vili, dall'universale noncuranza e dalla miseria dei saggi, de' costumati e de' magnanimi....„ E l'Accademia, con la donna perfetta, mette a concorso una macchina che rappresenti un amico, “il quale non biasimi e non motteggi l'amico assente; non lasci di sostenerlo quando l'oda riprendere o porre in giuoco; non anteponga la fama di acuto e di mordace, e l'ottenere il riso degli uomini, al debito dell'amicizia;non divulghi, o per altro effetto o per aver materia da favellare o da ostentarsi, il segreto commessogli; non si prevalga della familiarità e della confidenza dell'amico a soppiantarlo e soprammontarlo più facilmente; non porti invidia ai vantaggi di quello; abbia cura del suo bene e di ovviare o riparare a' suoi danni, e sia pronto alle sue domande e a' suoi bisogni, altrimenti che in parole....„Primo verificatore delle favole antichesarà il motto inciso sopra una faccia della medaglia da conferirsi in premio; e le immagini di Pilade e Oreste saranno ritratte nell'altra. Un simbolo dell'età dell'oro e le parole dell'egloga virgiliana:Quo ferrea primum desinet ac toto surget gens aurea mundosaranno stampati nella medaglia offerta a chi inventerà “un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare opere virtuose e magnanime. L'Accademia reputa che i vapori, poichè altro mezzo non pare che vi si trovi, debbano essere di profitto a infervorare un semovente e indirizzarlo agli esercizi della virtù e della gloria....„

Vapori, larve, fantasmi, illusioni, nomi: nient'altro sono le cose alle quali gli uomini credono, per le quali combattono. I beni non si trovano, sono soltanto nell'immaginazione che se li dipinge, che li aspetta nel futuro e non ricorda di averli trovati mai nel passato. Di questo inganno riderà il Passeggiere col venditore di Almanacchi, il quale, promettendoche l'anno nuovo sarà felicissimo, non sa dire a quale vorrebbe che somigliasse dei venti passati da che vende lunarii. “Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?„ — “No in verità, illustrissimo.„ — “E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?„ — “Cotesto si sa.„ — “Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?„ — “Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.„ — “Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta nè più nè meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?„ — “Cotesto non vorrei.„ — “Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, quella del principe, o di chi altro?...„

Udite come ride della gloria, che fu uno dei maggiori suoi struggimenti: “L'anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi d'Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli Dei maggiori e minori, e gli altri abitatori della detta città, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. E scusandosi che per la sua nota povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, prometteva in premio aquello il cui ritrovamento fosse giudicato più bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona dintorno al capo....„ Presentate le invenzioni ai giudici, tre sono i premiati: Bacco per l'invenzione del vino, Minerva per quella dell'olio e Vulcano per aver trovato una “pentola di rame, detta economica, che serve a cuocere che che sia con piccolo fuoco e speditamente....„ Dovendosi pertanto dividere in tre parti la corona, resta a ciascuno soltanto un ramoscello di lauro; ma tutti e tre rifiutano sì la parte che il tutto: Vulcano perchè, dovendo stare sempre al fuoco, non vuol mettersi quell'ingombro pericoloso sulla fronte; Minerva perchè le basta l'elmo; Bacco perchè non vuol mutare la sua mitra e la sua corona di pampini per quella di lauro: “l'avrebbe accettata volentieri se gli fosse stato lecito di metterla per insegna fuori della sua taverna; ma le Muse non consentirono di dargliela per questo effetto: di modo che ella si rimase nel loro comune erario....„

Ride della gloria che l'esperienza gli ha dimostrato essere una parola, non una cosa; riderà, se non della patria, dei compatriotti che non hanno saputo restaurare la fortunad'Italia. IParalipomeni della Batracomiomachiasono tutta una satira dei moti del Trentuno, delle azioni e dei costumi di quel tempo. Le rane rappresentano i preti, i topi gl'Italiani che bandiscono la guerra ai granchi, ai Tedeschi, e poi scappano appena se li trovano a fronte:

Guerra tonar per tutte le concioniUdito avreste tutti gli oratori,Leonidi, Temistocli e Cimoni,Muzi Scevola, Fabi dittatori,Deci, Aristidi, Codri e Scipioni,E somiglianti eroi de' lor maggioriIterar ne' consigli e tutto il giornoPer le bocche del volgo andare attorno.Guerra sonar canzoni e canzoncineChe il popolo a cantar prendea diletto;Guerra ripeter tutte le officine,Ciascuna al modo suo col proprio effetto.Lampeggiavan per tutte le fucine,Lancioni, armi del corpo, armi del petto,E sonore minacce in tutti i cantiS'udiano, e d'amor patrio ardori e vanti.. . . . . . . . . . . . . .Eran le due falangi a fronte a fronteGià dispiegate ed a pugnar vicine,Quando da tutto il pian, da tutto il monteDièrsi a fuggir le genti soricine.Come non so, ma nè ruscel nè fonte,Balza nè selva al corso lor diè fine.Fuggirian credo ancor, se i fuggitiviTanto tempo il fuggir serbasse vivi.Fuggiro al par del vento, al par del lampo....

Guerra tonar per tutte le concioniUdito avreste tutti gli oratori,Leonidi, Temistocli e Cimoni,Muzi Scevola, Fabi dittatori,Deci, Aristidi, Codri e Scipioni,E somiglianti eroi de' lor maggioriIterar ne' consigli e tutto il giornoPer le bocche del volgo andare attorno.

Guerra tonar per tutte le concioni

Udito avreste tutti gli oratori,

Leonidi, Temistocli e Cimoni,

Muzi Scevola, Fabi dittatori,

Deci, Aristidi, Codri e Scipioni,

E somiglianti eroi de' lor maggiori

Iterar ne' consigli e tutto il giorno

Per le bocche del volgo andare attorno.

Guerra sonar canzoni e canzoncineChe il popolo a cantar prendea diletto;Guerra ripeter tutte le officine,Ciascuna al modo suo col proprio effetto.Lampeggiavan per tutte le fucine,Lancioni, armi del corpo, armi del petto,E sonore minacce in tutti i cantiS'udiano, e d'amor patrio ardori e vanti.

Guerra sonar canzoni e canzoncine

Che il popolo a cantar prendea diletto;

Guerra ripeter tutte le officine,

Ciascuna al modo suo col proprio effetto.

Lampeggiavan per tutte le fucine,

Lancioni, armi del corpo, armi del petto,

E sonore minacce in tutti i canti

S'udiano, e d'amor patrio ardori e vanti.

. . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . .

Eran le due falangi a fronte a fronteGià dispiegate ed a pugnar vicine,Quando da tutto il pian, da tutto il monteDièrsi a fuggir le genti soricine.Come non so, ma nè ruscel nè fonte,Balza nè selva al corso lor diè fine.Fuggirian credo ancor, se i fuggitiviTanto tempo il fuggir serbasse vivi.

Eran le due falangi a fronte a fronte

Già dispiegate ed a pugnar vicine,

Quando da tutto il pian, da tutto il monte

Dièrsi a fuggir le genti soricine.

Come non so, ma nè ruscel nè fonte,

Balza nè selva al corso lor diè fine.

Fuggirian credo ancor, se i fuggitivi

Tanto tempo il fuggir serbasse vivi.

Fuggiro al par del vento, al par del lampo....

Fuggiro al par del vento, al par del lampo....

E quando poi sono al sicuro, i millantatori recitano la commedia della Carboneria:

Allor nacque fra' topi una folliaDegna di riso più che di pietade,Una setta che andava e che venìaCongiurando a grand'agio per le strade,Ragionando con forza e leggiadriaD'amor patrio, d'onor, di libertade,Fermo ciascun, se si venisse all'atto,Di fuggir come dianzi avevan fatto....Il pelame del muso e le basetteNutrian folte e prolisse oltre misura,Sperando, perchè il pelo ardir promette,D'avere, almeno ai topi, a far paura.Pensosi in su i caffè con le gazzetteFra man, parlando della lor congiura,Mostraronsi ogni giorno, e poi le sereCantando arie sospette ivano a schiere....

Allor nacque fra' topi una folliaDegna di riso più che di pietade,Una setta che andava e che venìaCongiurando a grand'agio per le strade,Ragionando con forza e leggiadriaD'amor patrio, d'onor, di libertade,Fermo ciascun, se si venisse all'atto,Di fuggir come dianzi avevan fatto....

Allor nacque fra' topi una follia

Degna di riso più che di pietade,

Una setta che andava e che venìa

Congiurando a grand'agio per le strade,

Ragionando con forza e leggiadria

D'amor patrio, d'onor, di libertade,

Fermo ciascun, se si venisse all'atto,

Di fuggir come dianzi avevan fatto....

Il pelame del muso e le basetteNutrian folte e prolisse oltre misura,Sperando, perchè il pelo ardir promette,D'avere, almeno ai topi, a far paura.Pensosi in su i caffè con le gazzetteFra man, parlando della lor congiura,Mostraronsi ogni giorno, e poi le sereCantando arie sospette ivano a schiere....

Il pelame del muso e le basette

Nutrian folte e prolisse oltre misura,

Sperando, perchè il pelo ardir promette,

D'avere, almeno ai topi, a far paura.

Pensosi in su i caffè con le gazzette

Fra man, parlando della lor congiura,

Mostraronsi ogni giorno, e poi le sere

Cantando arie sospette ivano a schiere....

Ma che è la miseria degl'Italiani paragonata alla miseria di tutto il mondo? Ecco Ercole presentarsi da parte di Giove al padre Atlante, ed offrirgli di sollevarlo per qualche ora dal peso della terra che il vecchio regge sulle spalle: “Ma il mondo è fatto così leggiero,„ gli risponde Atlante, “che questo mantello che porto per custodirmi dalla neve, mi pesa di più; e se non fosse che la volontà di Giove mi sforza di stare qui fermo, e tenere questa pallottola sulla schiena, io me la porrei sotto l'ascella o in tasca, o me l'attaccherei ciondolone a un pelo della barba, e me n'andrei per le mie faccende.„ Ed Ercole, provato a tenerlaun poco in mano, sente che Atlante ha detto il vero, e s'accorge d'un'altra novità: che il mondo è muto, non batte più di “un oriuolo che abbia rotta la molla„; per destarlo, vorrebbe fargli toccare una buona picchiata di clava; ma ha paura di farne una cialda o di romperlo come un uovo. “E anche non mi assicuro che gli uomini che al tempo mio combattevano a corpo a corpo coi leoni e adesso colle pulci, non tramortiscano dalla percossa tutti in un tratto.„ Allora i due numi si mettono a giocare alla palla con la terra; ma essa piglia vento, perchè è leggera: “Cotesta è sua pecca vecchia, di andare a caccia del vento....„ Anche il Folletto e lo Gnomo vedono un giorno che gli uomini sono tutti morti e che, nondimeno, il mondo, creato secondo quei petulanti per loro uso e consumo soltanto, dura ancora. “E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto per li folletti„, esclama il Folletto; e lo Gnomo: “Eh, buffoncello, va' via. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?„ — “Per gli gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa è la più bella che si possa udire! Che fanno agli gnomi il sole, la luna, l'aria, il mare, le campagne?„ — “Che fanno ai folletti le cave d'oro e d'argento, e tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?...„ Ma la ridicola contesa finisce, perchè i due presuntuosi interlocutori si accordano nel beffarsidell'arroganza degli uomini. Non dicevano costoro che la roba degli gnomi, sepolta sotto terra, apparteneva al genere umano? “Che meraviglia? Quando non solamente si persuadevano che le cose del mondo non avessero altro ufficio che di stare al servizio loro, ma facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo.... — Le zanzare e le pulci erano anch'esse fatte per benefizio degli uomini? — Sì, per esercitarli nella pazienza!„ Anche i porci, “secondo Crisippo, erano pezzi di carni apparecchiati dalla natura a posta per le cucine e le dispense degli uomini, e, acciocchè non imputridissero, condite colle anime invece di sale....„ E il più bello è che di tanti generi d'animali o di piante cotesti uomini non avevano notizia, pure credendo che tutto fosse al mondo per loro! “Parimente di tratto in tratto, per via de' loro cannocchiali, si avvedevano di qualche stella o pianeta, che insino allora, per migliaia e migliaia d'anni, non avevano mai saputo che fosse al mondo; e subito la scrivevano tra le loro masserizie, perchè s'immaginavano che le stelle e i pianeti fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati lassù nell'alto a uso di far lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende. — Sicchè in tempo di state, quandovedevano cadere di quelle fiammoline che certe notti vengono giù per l'aria, avranno detto che qualche spirito andava smoccolando le stelle per servizio degli uomini....„

Questo argomento di risa è inesauribile. La Terra, ragionando con la Luna, le chiede se è abitata da uomini, se i suoi abitanti l'hanno conquistata “per ambizione, per cupidigia dell'altrui, colle arti politiche, colle armi„; tutte parole delle quali la Luna sconosce il senso. “Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco più liberamente che forse non converrebbe a una tua suddita o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto....„ E dove lasciamo l'imbarazzo del povero Copernico, quando il Sole, stanco, secondo il sistema tolemaico, “del continuo andare attorno per far lume a quattro animaluzzi che vivono in un pugno di fango„, delibera di non muoversi più e ordina all'astronomo di far muovere invece, per amore o per forza, la Terra, che fino a quel giorno ha creduto di sedere come in trono, mentre ognuno degli uomini suoi abitatori, “se ben fosse un vestito di cenci e che non avesse un cantuccio di pan duro da rodere, si è tenuto per certo di essere uno imperatore; non mica diCostantinopoli o di Germania, ovvero della metà della Terra, come erano gli imperatori romani; ma un imperatore dell'universo; un imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le stelle visibili e non visibili; e causa finale delle stelle, dei pianeti, di vostra signoria illustrissima, e di tutte le cose.„ Fare che la Terra lasci il suo posto al centro dell'universo, “ch'ella corra, ch'ella si rotoli, ch'ella si affanni di continuo, che eseguisca quel tanto, nè più ne meno, che si è fatto di qui addietro dagli altri globi; in fine, ch'ella divenga del numero dei pianeti; questo porterà seco che sua maestà terrestre, e le loro maestà umane, dovranno sgomberare il trono, e lasciar l'impero; restandosene però tuttavia co' loro cenci, e colle loro miserie, che non sono poche....„ Il malcapitato astronomo si dispone tuttavia a tentare l'impresa, ma trova ancora una certa difficoltà e la sottopone al Sole: “Che io non vorrei, per questo fatto, essere abbruciato vivo, a uso della fenice: perchè, accadendo questo, io sono sicuro di non avere a risuscitare dalle mie ceneri come fa quell'uccello, e di non vedere mai più, da quell'ora innanzi, la faccia della signoria vostra.„ E il Sole lo rassicura che non patirà nulla, sebbene “forse, dopo te, ad alcuni i quali approveranno quello che tu avrai fatto, potrà essere che tocchi qualche scottatura, o altra cosa simile....„

E gli uomini, questi medesimi uomini che hanno torturato chi ha loro insegnato le verità, credono alla propria eccellenza! L'umorista trarrà ancora da questa superba pretesa le sue risa più sonore. Prometeo è malcontento della sentenza del collegio delle Muse: il vino, l'olio e le pentole sono stati preferiti all'invenzione sua: il genere umano, il modello di terra col quale egli formò i primi uomini. E quando Momo dubita che l'uomo sia la miglior opera, la più perfetta creatura del mondo, l'inventore scommette di scendere con lui nelle cinque parti del globo per farlo ricredere. Calati in America, si trovano fra i Cannibali, dove un selvaggio mangia arrostito il corpo del proprio figliuolo; calati in Asia, trovano che una vedova è arsa viva, come vuole la legge, insieme col morto marito. Prometeo non si dà per vinto, considerando che tutti costoro sono barbari, e aspetta di visitare l'Europa civile; ma il suo compagno già gli fa osservare che se gli uomini fossero un genere perfetto, non avrebbero bisogno d'incivilirsi, non dovrebbero essere distinti in barbari e civili; e che la parte incivilita è troppo piccola, paragonatamente a tutta l'altra; e che questa famosa civiltà di Parigi e di Filadelfia non è ancora compiuta; e che, per arrivare a un grado incompiuto di civiltà, gli uomini hanno dovuto penare per un tempo lunghissimo; e che le loro invenzionipiù singolari e proficue hanno avuto origine dal semplice caso; e che la civiltà, una volta ottenuta, non è stabile, ma può cadere e disperdersi, come tante volte è successo, secondo insegnano le storie. Per tutte queste ragioni, la sentenza di Prometeo non sarà da modificare dicendo che il genere umano è sommo, sì, ma nell'imperfezione anzichè nella perfezione?.... Prometeo non risponde, e cala con il compagno a Londra; dove vedono una gran folla attorno a una casa: un uomo si è ucciso, ed ha ucciso con sè i figliuoli, non già per esser povero, o disperato, o infelice; ma per tedio della vita, lasciando raccomandato a un amico il suo cane.... “Momo stava per congratularsi con Prometeo sopra i buoni effetti della civiltà, e sopra la contentezza che appariva ne risultasse alla nostra vita, e voleva anche rammemorargli che nessun altro animale fuori dell'uomo, si uccide volontariamente esso medesimo, nè spegne per disperazione della vita i figliuoli: ma Prometeo lo prevenne, e senza curarsi di vedere le due parti del mondo che rimanevano, gli pagò la scommessa.„

Così, quantunque il Leopardi abbia voluto assicurare che il suo riso sia noncurante, esso viene dal dolore ed è pieno di dolore. L'ironia si alterna col pessimismo; certe volte, come nellaPalinodia, si confonde con esso. Se per la sua sfiducia nella vita e nell'umanità vede cheridono di lui, ridendo egli confessa al Capponi d'avere errato e assicura di essersi ricreduto:

Aureo secolo omai volgono, o Gino,I fusi delle Parche. Ogni giornale,Gener vario di lingue e di colonne,Da tutti i lidi lo promette al mondoConcordemente. Universale amore,Ferrate vie, molteplici commerci,Vapor, tipi echolèrai più divisiPopoli e climi stringeranno insieme:Nè meraviglia fia se pino o querciaSuderà latte e mèle, o s'anco al suonoD'unwalserdanzerà. Tanto la possaInfin qui de' lambicchi e delle storteE le macchine al cielo emulatriciCrebbero, e tanto cresceranno al tempoChe seguirà; poichè di meglio in meglioSenza fin vola e volerà mai sempreDi Sem, di Cam e di Giapeto il seme.

Aureo secolo omai volgono, o Gino,I fusi delle Parche. Ogni giornale,Gener vario di lingue e di colonne,Da tutti i lidi lo promette al mondoConcordemente. Universale amore,Ferrate vie, molteplici commerci,Vapor, tipi echolèrai più divisiPopoli e climi stringeranno insieme:Nè meraviglia fia se pino o querciaSuderà latte e mèle, o s'anco al suonoD'unwalserdanzerà. Tanto la possaInfin qui de' lambicchi e delle storteE le macchine al cielo emulatriciCrebbero, e tanto cresceranno al tempoChe seguirà; poichè di meglio in meglioSenza fin vola e volerà mai sempreDi Sem, di Cam e di Giapeto il seme.

Aureo secolo omai volgono, o Gino,

I fusi delle Parche. Ogni giornale,

Gener vario di lingue e di colonne,

Da tutti i lidi lo promette al mondo

Concordemente. Universale amore,

Ferrate vie, molteplici commerci,

Vapor, tipi echolèrai più divisi

Popoli e climi stringeranno insieme:

Nè meraviglia fia se pino o quercia

Suderà latte e mèle, o s'anco al suono

D'unwalserdanzerà. Tanto la possa

Infin qui de' lambicchi e delle storte

E le macchine al cielo emulatrici

Crebbero, e tanto cresceranno al tempo

Che seguirà; poichè di meglio in meglio

Senza fin vola e volerà mai sempre

Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.

Perciò gli uomini non mangeranno più ghiande — se la fame non li costringerà; il danaro sarà disprezzato — ma saranno tenute da conto le cambiali. E la guerra non cesserà, e il vero merito sarà sfortunato, e la frode regnerà sempre, e della forza si farà sempre abuso. Ma se queste “lievi reliquie„ del passato resteranno in mezzo all'età dell'oro,

nelle cosePiù gravi, intera, e non veduta innanzi,Fia la mortal felicità. Più molliDi giorno in giorno diverran le vestidi lana o di seta. I rozzi panniLasciando a prova agricoltori e fabbri,Chiuderanno in coton la scabra pelle,E di castoro copriran le schiene.Meglio fatti al bisogno, o più leggiadriCertamente a veder, tappeti e coltri,Seggiole, canapè, sgabelli e mense.Letti ed ogni altro arnese, adornerannoDi lor menstrua beltà gli appartamenti;E nove forme di paiuoli, e novePentole ammirerà l'arsa cucina.

nelle cosePiù gravi, intera, e non veduta innanzi,Fia la mortal felicità. Più molliDi giorno in giorno diverran le vestidi lana o di seta. I rozzi panniLasciando a prova agricoltori e fabbri,Chiuderanno in coton la scabra pelle,E di castoro copriran le schiene.Meglio fatti al bisogno, o più leggiadriCertamente a veder, tappeti e coltri,Seggiole, canapè, sgabelli e mense.Letti ed ogni altro arnese, adornerannoDi lor menstrua beltà gli appartamenti;E nove forme di paiuoli, e novePentole ammirerà l'arsa cucina.

nelle cose

Più gravi, intera, e non veduta innanzi,

Fia la mortal felicità. Più molli

Di giorno in giorno diverran le vesti

di lana o di seta. I rozzi panni

Lasciando a prova agricoltori e fabbri,

Chiuderanno in coton la scabra pelle,

E di castoro copriran le schiene.

Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri

Certamente a veder, tappeti e coltri,

Seggiole, canapè, sgabelli e mense.

Letti ed ogni altro arnese, adorneranno

Di lor menstrua beltà gli appartamenti;

E nove forme di paiuoli, e nove

Pentole ammirerà l'arsa cucina.

Egli continua così a deridere, fingendo d'ammirarlo, il progresso umano; quando a un tratto depone l'ironia e torna alla sfiducia, alla persuasione del dolore:

Quale un fanciullo, con assidua cura,Di fogliolini e di fuscelli, in formaO di tempio o di torre o di palazzo,Un edifizio innalza; e come prima,Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogliPer novo lavorìo son di mestieri;Così natura ogni opra sua, quantunqueD'alto artificio a contemplar, non primaVede perfetta, ch'a disfarla imprende,Le parti sciolte dispensando altrove.

Quale un fanciullo, con assidua cura,Di fogliolini e di fuscelli, in formaO di tempio o di torre o di palazzo,Un edifizio innalza; e come prima,Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogliPer novo lavorìo son di mestieri;Così natura ogni opra sua, quantunqueD'alto artificio a contemplar, non primaVede perfetta, ch'a disfarla imprende,Le parti sciolte dispensando altrove.

Quale un fanciullo, con assidua cura,

Di fogliolini e di fuscelli, in forma

O di tempio o di torre o di palazzo,

Un edifizio innalza; e come prima,

Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,

Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli

Per novo lavorìo son di mestieri;

Così natura ogni opra sua, quantunque

D'alto artificio a contemplar, non prima

Vede perfetta, ch'a disfarla imprende,

Le parti sciolte dispensando altrove.

E poichè le cose umane sono distrutte da questa natura crudele,

varia, infinita una famigliaDi mali immedicabili e di penePreme il fragil mortale, a perir fattoIrreparabilmente: indi una forzaOstil, distruggitrice, e dentro il fereE di fuor da ogni lato, assidua, intenta,Dal dì che nasce; e l'affatica e stanca,Essa indefatigata; insin ch'ei giaceAlfin dall'empia madre oppresso e spento....

varia, infinita una famigliaDi mali immedicabili e di penePreme il fragil mortale, a perir fattoIrreparabilmente: indi una forzaOstil, distruggitrice, e dentro il fereE di fuor da ogni lato, assidua, intenta,Dal dì che nasce; e l'affatica e stanca,Essa indefatigata; insin ch'ei giaceAlfin dall'empia madre oppresso e spento....

varia, infinita una famiglia

Di mali immedicabili e di pene

Preme il fragil mortale, a perir fatto

Irreparabilmente: indi una forza

Ostil, distruggitrice, e dentro il fere

E di fuor da ogni lato, assidua, intenta,

Dal dì che nasce; e l'affatica e stanca,

Essa indefatigata; insin ch'ei giace

Alfin dall'empia madre oppresso e spento....

L'ironia e il pessimismo tornano ancora adarsi la mano. La Morte, nel concetto disperato del Leopardi, fu sorella dell'Amore; quando egli vuol riderne, ma d'un funebre riso, la considera come sorella della Moda: entrambe non sono figlie della Caducità? “Nemica capitale della memoria„, la Morte non se ne vuole rammentare; ma la Moda se ne ricorda bene: “So che l'una e l'altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benchè tu vada a questo effetto per una strada e io per un'altra.... Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo; ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli con bazzecole che io v'appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi v'improntino per bellezza; formare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per costume che tutti gli uomini del paese abbiano a portare il capo d'una figura, come ho fatto in America e in Asia; storpiare genti con le calzature snelle, chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e cento altre cosedi questo andare. Anzi, generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente per l'amore che mi portano. Io non vo' dire nulla dei mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle coi panni lani, e il petto con quei di tela, e fare d'ogni cosa a mio modo ancorchè sia con loro danno.„ E la Morte comincia a persuadersi della parentela; e mentre la trista sorella le galoppa al fianco, ella le chiede, come massima prova del legame che le stringe, di aiutarla a compiere l'opera propria. Ma la Moda non l'ha già aiutata? Costei che annulla e stravolge continuamente tutti gli usi, ha mai lasciato smettere in nessun luogo la pratica del morire?... Se questo non bastasse, non ha ella mandato in disuso l'antico genere di vita che giovava alla prosperità dei corpi, e introdottone altri perniciosissimi alla salute? Non ha ella messo nel mondo moderno tali ordini e costumi “che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell'animo, è più morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con verità che sia proprio il secolo della morte? E quando che anticamentetu non avevi altri poderi che fosse e caverne, dove tu seminavi ossami e polverumi al buio, che sono semenze che non fruttano; adesso hai terreni al sole; e genti che si muovono e che vanno attorno co' loro piedi, sono roba, si può dire, di tua ragione libera, ancorchè tu non le abbia mietute, anzi subito che elle nascono.„ Ma l'opera della Moda più proficua alla Morte è questa: che mentre per l'addietro costei era odiata, “oggi per opera mia le cose sono ridotte in termine che chiunque ha intelletto ti pregia e loda, anteponendoti alla vita, e ti vuol tanto bene che sempre ti chiama e ti volge gli occhi come alla sua maggiore speranza.„ E mentre prima gli uomini credevano di poter essere immortali, cioè di non morire interamente, la Moda, quantunque sapesse “che queste erano ciance, e che quando costoro vivessero nella memoria degli uomini, vivevano, come dire, da burla, e non godevano della loro fama più che si patissero dell'umidità della sepoltura„, pure, dice alla Morte, “intendendo che questo negozio degl'immortali ti scottava, perchè pareva che ti scemasse l'onore e la riputazione, ho levata via quest'usanza di cercare l'immortalità, ed anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse. Di modo che al presente, chiunque si muoia, sta' sicura che non ne resta un briciolo che non sia morto, e che gli conviene andare subito sotterra tutto quanto, come unpesciolino che sia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische....„

Così egli torna a ridere di quella gloria della quale altrove ha dimostrata la fallacia. Ma quando vede la vanagloria degli uomini, quantunque dica di non sapere “se il riso o la pietà prevale„, il riso prevale effettivamente. Se egli sorride dell'amore, della fama, della patria, il suo sorriso è o più amaro o più contenuto; nel considerare la superbia del secolo, la boria degli uomini, e nel paragonarle alla loro reale impotenza, alla miseria dei loro risultati, l'umorismo scaturisce naturalmente, più schietto, più efficace. Momo ha fatto un lungo ragionamento per disingannare Prometeo e dimostrargli che il genere umano è sommo nell'imperfezione; Eleandro risponde più brevemente a Timandro quando questi sostiene che l'uomo non è ancora perfetto, ma certo sarà tale col tempo: “Nè io ne dubito. Questi pochi anni che sono corsi dal principio del mondo al presente, non potevano bastare; e non se ne dee far giudizio dell'indole, del destino e delle facoltà dell'uomo: oltre che si sono avute altre faccende per le mani. Ma ora non si attende ad altro che a perfezionare la nostra specie....„ La risata è più sincera, più fresca. Udite la conclusione: “Circa la perfezione dell'uomo, io vi giuro, che se fosse conseguita, avrei scritto almeno un tomo in lode del genere umano. Ma poichènon è toccato a me di vederla, e non aspetto che mi tocchi in vita, sono disposto di assegnare per testamento una buona parte della mia roba ad uso che quando il genere umano sarà perfetto, se gli faccia e pronuncisi pubblicamente un panegirico tutti gli anni; e anche gli sia rizzato un tempietto all'antica, una statua, o quello che sarà creduto a proposito....„

Nondimeno Timandro ha ragione di chiamare maligno il suo interlocutore; e il riso, che doveva essere il conforto di quest'ultimo, non lo salva dalla disperazione. Se egli ride degli uomini, e non li odia, e non si sdegna dei loro vizi e delle loro colpe, ciò accade perchè sente che, posto nelle stesse circostanze dei viziosi e dei colpevoli, sarebbe macchiato o capace degli stessi loro difetti: “Riserbo sempre l'adirarmi a quella volta che io vegga una malvagità che non possa aver luogo nella natura mia: ma fin qui non ne ho potuto vedere....„ E ancora egli non capisce “questo continuo presupporre che si fa scrivendo e parlando, certe qualità umane che ciascuno sa che oramai non si trovano in uomo nato, e certi enti razionali o fantastici, adorati già lungo tempo addietro, ma ora tenuti internamente per nulla e da chi gli nomina, e da chi gli ode nominare. Che si usino maschere e travestimenti per ingannare gli altri, o per non essere conosciuti; non mi pare strano:ma che tutti vadano mascherati con una stessa forma di maschere, e travestiti a uno stesso modo, senza ingannare l'un l'altro, e conoscendosi ottimamente tra loro; mi riesce una fanciullaggine....„ E insomma: “l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare. Dal che s'inferisce che la filosofia, primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare, non fa bisogno esser filosofo; secondariamente è dannosissima,„ perchè insegna “la vanità delle cose.„ Ancora una volta le risa finiscono in lacrime.

Sarà da stupire? Non era anzi meraviglioso che, nella profondità del suo dolore, egli trovasse la possibilità di ridere? Egli stesso se ne è stupito. “Cosa certamente mirabile è questa, che nell'uomo, il quale in fra tutte le creature è la più travagliata e misera, si trovi la facoltà del riso.... Mirabile cosa si è l'uso che noi facciamo di questa facoltà: poichè si veggono molti in qualche fierissimo accidente, altri in grande tristezza d'animo, altri che quasi non serbano alcuno amore alla vita, certissimi della vanità di ogni bene umano, presso che incapaci di ogni gioia, nondimeno ridere....„ E il riso sarà per lui “specie di pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento o delirio„, perchè “gli uomini, non essendo mai soddisfatti nè mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono aver causa di risoche sia ragionevole e giusta.„ È vero che il riso è ignoto, come agli animali, anche ai popoli che sono nello stato primitivo; e che è cresciuto, si può dire, colla civiltà; ma poichè la civiltà è corruzione, se ne dovrà dedurre che il riso oggi “supplisce per qualche modo alle parti esercitate in altri tempi dalla virtù, dalla giustizia, dall'onore e simili....„ Esso sarà pertanto una cosa triste e disperata più che la stessa imprecazione, porterà agli stessi risultati della riflessione dolorosa. Ragionando, il Leopardi estende il suo pessimismo a tutto l'universo creato; la stessa cosa fa ridendo. La Terra si ostina a interrogare la Luna: “Io vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l'Ariosto, tutto quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventù, la bellezza, la sanità, le fatiche e spese che si mettono nei buoni studi per essere onorati dagli altri, nell'indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare o promuovere istituzioni utili; tutto sale e si raguna costà: di modo che vi si trovano tutte le cose umane; fuori della pazzia, che non si parte dagli uomini? In caso che questo sia vero, io fo conto che tu debba essere così piena, che non ti avanzi più luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l'amor patrio, la virtù, la magnanimità, la rettitudine) non già solo in parte, e l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, matutti e interamente. E certo che se elle non sono costì, non credo si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo una convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte queste cose; donde io credo che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costì un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni una buona somma di danari.„ Ma la Luna neppure intende di che cosa il pianeta le chiede notizia; e solo quando la Terra le domanda se sono presso di lei in uso i vizii, i misfatti, gl'infortunii, i dolori, la vecchiezza; allora il satellite capisce tutti questi nomi e le cose da essi significate, perchè ne è pieno, perchè i suoi abitatori sono infelicissimi. “E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o da qualche altro pianeta del nostro mondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo l'infelicità, e se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo più vicina di te; come anche ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate dappresso: e tutti mi hanno risposto come ho detto. E penso che il Sole medesimo, e ciascuna stella risponderebbero altrettanto.„

Si può dire anche meglio: il riso del Leopardi è più disperato della sua stessa disperazione. Egli ha detto che solo la morte esiste; ma credere alla morte, al nulla, è ancora avere una specie di fede. L'orrore sembra massimo; eppure ce n'è uno ancora più grande. Quando gli amanti non amano più, odiano; ma l'odio è ancora una forma dell'amore. Tanto desiderio della morte cela ancora l'amarezza dei disinganni, misura ancora la forza delle speranze, sia pure perdute. Il vero segno che l'amore è finito non è odiare l'oggetto un tempo caro o l'amarne un altro: è l'indifferenza. A questa indifferenza per la morte e per la vita Giacomo Leopardi arriverà con l'ironia. Il suo Plotino, esauriti tutti gli argomenti per dissuadere Porfirio dall'uccidersi, ricorre a quest'ultimo come al più persuasivo: viva egli — per far piacere all'amico! “E la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l'uomo, in quanto a sè, non dovrebbe esser molto sollecito di ritenerla nè di lasciarla. Perciò, senza voler ponderare la cosa troppo curiosamente; per ogni lieve causa che se gli offerisca di appigliarsi piuttosto a quella prima parte che a questa, non dovrìa ricusare di farlo. E pregatone da un amico, perchè non avrebbe a compiacergliene?... „


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