L'AVE MARIA DELLA SERA

L'AVE MARIA DELLA SERA

A PIETRO BASTOGI.

E che lo nuovo peregrin d'amorePunge se ode squilla di lontanoChe paja il giorno pianger che si muore.

E che lo nuovo peregrin d'amorePunge se ode squilla di lontanoChe paja il giorno pianger che si muore.

E che lo nuovo peregrin d'amore

Punge se ode squilla di lontano

Che paja il giorno pianger che si muore.

Come sospir di vergine amorosa,Che lontan sente il suo fedele e plora,M'aleggia intorno un'aura rugiadosaChe di malinconia l'anima irrora:E in vagheggiar la nube vaporosaRosseggiante nel ciel, che si scolora,E nell'udir dei villanelli il cantoSento un piacer che si distempra in pianto.E mentre piango, e l'occhio lacrimosoScorre sulla mestissima campagna,Il colono che torna al suo riposoUmile mi saluta e m'accompagna.Or del soverchio ardore, or del piovosoTempo in semplice dir meco si lagna;E dopo breve tratto un nuovo addioMi volge, e resta nel casal natio.Solo il cammin proseguo — e la campana,Che annunzia l'agonia del dì che muore,Qual voce di notturna eco lontanaVa per gli orecchi flebilmente al cuore;Ai lenti tocchi la famiglia umanaSupplice il pensier leva al suo Fattore,E nella dubbia luce vespertinaAlle imagini sue l'alma è divina. —Il giovinetto a cui ride speranzaCome sole in estivo etere ardente,Benchè mesta del ciel sia la sembianzaPalpitar di mestizia il cor non sente;E mentre il passo irrequieto avanzaAbbandonato ad estasi ridente,Nel paradiso suo di gloria ornatoSplender vede un bel volto innamorato. —Tempo forse verrà che alto cimentoLunge lo tragga dalle sue dimore,E forte di magnanimo ardimentoSeguirà lo stendardo dell'onore;Ma quando fia che lieto ondeggi al ventoIl segno di vittoria annunziatore,Sul consorte destrier farà ritornoAlle dolcezze del natio soggiorno.E nell'ora che il bruno aere percuoteLa squilla della notte messaggiera,Rischiarerà sembianze a lui già noteIl moribondo raggio della sera.Calde di pianto le rugose goteTra i fidi amici dell'età primieraLo accoglieranno i genitor cadenti.Alternando coi baci i lieti accenti. —In altra etade mentre il sol declinaVago di respirare aura più pura,La procellosa cura cittadinaQueterà nel silenzio di natura;E dal declivo della sua collinaLieta di sparse ville e di verdura,Colla consorte al fianco e i figli intornoUdrà l'addio che dan le torri al giorno.Ma l'uom, che al tempo dell'età fioritaTai speranze allettò nel vergin core,E poscia nel cammin di nostra vitaFra mille spine non rinvenne un fiore,Tal che sovente a lacrimar lo invitaUna tristezza che non è dolore,Ad altre fantasie l'alma abbandona,Mentre la squilla lentamente suona.E le ore impazienti di riposoRimembra del mattin di sua giornata;E il palpitar del core impetuoso,E i sogni della mente inebbriata;E della madre lo sguardo pietoso,E le sembianze della donna amata;Ed il piacer che gli piovea nel pettoLo stringer d'una mano, un guardo, un detto.Ah troppo presto mosse la procellaAd offuscar di sua vita il sereno,E della lode la gentil favellaCh'eccitatrice gli scaldava il seno;E l'amistà che intemerata e bellaGli dava il bacio di dolcezza pieno,Poichè il sospetto se gli pose allato,Più non ebber per lui l'incanto usato.Or di grave mestizia lo confondeL'idea dei cari che la morte ha spenti;Ed alla terra che il lor fral nascondeImmoti affisa i rai di pianto ardenti.Poi se vicino a lui tra fronde e frondeL'usignol rinnovella i suoi concenti,Quasi d'un'immortal bellezza in tracciaNovellamente al ciel leva la faccia.E gli astri vede.... ma simili al fioreChe era l'amor dell'aura mattutina,E che or senza vermiglio e senza odoreIl capo al suol languidamente inchina,Perderanno le stelle il lor fulgoreNella notte dell'ultima ruina....E spenti del maggior lume vivaceI rai saranno come inutil face.Oh mille volte più infelice e milleQuei che lontano dall'ostello avitoOde suonar le vespertine squille,Mentre del mar solingo erra sul lito.Ai mesti tocchi, dalle sue pupilleScoppia il dolor dell'animo smarrito,E va dicendo tra i sospiri e i lai,— O patria mia non ti vedrò più mai! —La campana che ascolta ah non è quellaChe il pargoletto orecchio gli molcea,E quando al tempo della vita bellaD'amorosi pensier l'alma pascea;E nell'ora che appar la prima stellaLa sua diletta riveder solea:Un'altra squilla gli suonava in coreIl sospirato istante dell'amore.Sull'ali della speme egli sen volaAlle bramate invan sponde natie,E di soavità l'alma consolaCol dolce aspetto delle patrie vie:Vede i più cari, e n'ode la parolaQual per lui risuonava in altro die,Ed il monte rimira e la valleaOnd'estatico il guardo al ciel volgea.Ma simile a colui che da molestaCura turbato al sonno chiuse i rai,E allor che esterrefatto si ridestaPiù acerbi sente rinnovar suoi guai,Al tornar dell'imagine funestaL'esule ricomincia i primi lai,E vede ovunque volga umido il ciglioLa dolorosa terra dell'esiglio.O Poeta dell'italo destino,Tu ben provasti quanto sia dolenteAll'orecchio del nuovo pellegrinoUna squilla che pianga il dì morente.Ed io, che al raggio del Cantor divinoCon giovanil disio scaldo la mente,Spesso del mesto cor nel più segretoQuei lamentosi tuoi carmi ripeto.Parmi vederti della patria miaSdegnoso correr la pianura, il monte,E mentre del pianeta che va viaL'ultimo raggio ti balena in fronte,Sgorgan torrenti d'itala armoniaDel genio tuo dall'agitato fonte. —Bella, ardente, immortale al par del soleSarà la luce delle tue parole.

Come sospir di vergine amorosa,Che lontan sente il suo fedele e plora,M'aleggia intorno un'aura rugiadosaChe di malinconia l'anima irrora:E in vagheggiar la nube vaporosaRosseggiante nel ciel, che si scolora,E nell'udir dei villanelli il cantoSento un piacer che si distempra in pianto.E mentre piango, e l'occhio lacrimosoScorre sulla mestissima campagna,Il colono che torna al suo riposoUmile mi saluta e m'accompagna.Or del soverchio ardore, or del piovosoTempo in semplice dir meco si lagna;E dopo breve tratto un nuovo addioMi volge, e resta nel casal natio.Solo il cammin proseguo — e la campana,Che annunzia l'agonia del dì che muore,Qual voce di notturna eco lontanaVa per gli orecchi flebilmente al cuore;Ai lenti tocchi la famiglia umanaSupplice il pensier leva al suo Fattore,E nella dubbia luce vespertinaAlle imagini sue l'alma è divina. —Il giovinetto a cui ride speranzaCome sole in estivo etere ardente,Benchè mesta del ciel sia la sembianzaPalpitar di mestizia il cor non sente;E mentre il passo irrequieto avanzaAbbandonato ad estasi ridente,Nel paradiso suo di gloria ornatoSplender vede un bel volto innamorato. —Tempo forse verrà che alto cimentoLunge lo tragga dalle sue dimore,E forte di magnanimo ardimentoSeguirà lo stendardo dell'onore;Ma quando fia che lieto ondeggi al ventoIl segno di vittoria annunziatore,Sul consorte destrier farà ritornoAlle dolcezze del natio soggiorno.E nell'ora che il bruno aere percuoteLa squilla della notte messaggiera,Rischiarerà sembianze a lui già noteIl moribondo raggio della sera.Calde di pianto le rugose goteTra i fidi amici dell'età primieraLo accoglieranno i genitor cadenti.Alternando coi baci i lieti accenti. —In altra etade mentre il sol declinaVago di respirare aura più pura,La procellosa cura cittadinaQueterà nel silenzio di natura;E dal declivo della sua collinaLieta di sparse ville e di verdura,Colla consorte al fianco e i figli intornoUdrà l'addio che dan le torri al giorno.Ma l'uom, che al tempo dell'età fioritaTai speranze allettò nel vergin core,E poscia nel cammin di nostra vitaFra mille spine non rinvenne un fiore,Tal che sovente a lacrimar lo invitaUna tristezza che non è dolore,Ad altre fantasie l'alma abbandona,Mentre la squilla lentamente suona.E le ore impazienti di riposoRimembra del mattin di sua giornata;E il palpitar del core impetuoso,E i sogni della mente inebbriata;E della madre lo sguardo pietoso,E le sembianze della donna amata;Ed il piacer che gli piovea nel pettoLo stringer d'una mano, un guardo, un detto.Ah troppo presto mosse la procellaAd offuscar di sua vita il sereno,E della lode la gentil favellaCh'eccitatrice gli scaldava il seno;E l'amistà che intemerata e bellaGli dava il bacio di dolcezza pieno,Poichè il sospetto se gli pose allato,Più non ebber per lui l'incanto usato.Or di grave mestizia lo confondeL'idea dei cari che la morte ha spenti;Ed alla terra che il lor fral nascondeImmoti affisa i rai di pianto ardenti.Poi se vicino a lui tra fronde e frondeL'usignol rinnovella i suoi concenti,Quasi d'un'immortal bellezza in tracciaNovellamente al ciel leva la faccia.E gli astri vede.... ma simili al fioreChe era l'amor dell'aura mattutina,E che or senza vermiglio e senza odoreIl capo al suol languidamente inchina,Perderanno le stelle il lor fulgoreNella notte dell'ultima ruina....E spenti del maggior lume vivaceI rai saranno come inutil face.Oh mille volte più infelice e milleQuei che lontano dall'ostello avitoOde suonar le vespertine squille,Mentre del mar solingo erra sul lito.Ai mesti tocchi, dalle sue pupilleScoppia il dolor dell'animo smarrito,E va dicendo tra i sospiri e i lai,— O patria mia non ti vedrò più mai! —La campana che ascolta ah non è quellaChe il pargoletto orecchio gli molcea,E quando al tempo della vita bellaD'amorosi pensier l'alma pascea;E nell'ora che appar la prima stellaLa sua diletta riveder solea:Un'altra squilla gli suonava in coreIl sospirato istante dell'amore.Sull'ali della speme egli sen volaAlle bramate invan sponde natie,E di soavità l'alma consolaCol dolce aspetto delle patrie vie:Vede i più cari, e n'ode la parolaQual per lui risuonava in altro die,Ed il monte rimira e la valleaOnd'estatico il guardo al ciel volgea.Ma simile a colui che da molestaCura turbato al sonno chiuse i rai,E allor che esterrefatto si ridestaPiù acerbi sente rinnovar suoi guai,Al tornar dell'imagine funestaL'esule ricomincia i primi lai,E vede ovunque volga umido il ciglioLa dolorosa terra dell'esiglio.O Poeta dell'italo destino,Tu ben provasti quanto sia dolenteAll'orecchio del nuovo pellegrinoUna squilla che pianga il dì morente.Ed io, che al raggio del Cantor divinoCon giovanil disio scaldo la mente,Spesso del mesto cor nel più segretoQuei lamentosi tuoi carmi ripeto.Parmi vederti della patria miaSdegnoso correr la pianura, il monte,E mentre del pianeta che va viaL'ultimo raggio ti balena in fronte,Sgorgan torrenti d'itala armoniaDel genio tuo dall'agitato fonte. —Bella, ardente, immortale al par del soleSarà la luce delle tue parole.

Come sospir di vergine amorosa,

Che lontan sente il suo fedele e plora,

M'aleggia intorno un'aura rugiadosa

Che di malinconia l'anima irrora:

E in vagheggiar la nube vaporosa

Rosseggiante nel ciel, che si scolora,

E nell'udir dei villanelli il canto

Sento un piacer che si distempra in pianto.

E mentre piango, e l'occhio lacrimoso

Scorre sulla mestissima campagna,

Il colono che torna al suo riposo

Umile mi saluta e m'accompagna.

Or del soverchio ardore, or del piovoso

Tempo in semplice dir meco si lagna;

E dopo breve tratto un nuovo addio

Mi volge, e resta nel casal natio.

Solo il cammin proseguo — e la campana,

Che annunzia l'agonia del dì che muore,

Qual voce di notturna eco lontana

Va per gli orecchi flebilmente al cuore;

Ai lenti tocchi la famiglia umana

Supplice il pensier leva al suo Fattore,

E nella dubbia luce vespertina

Alle imagini sue l'alma è divina. —

Il giovinetto a cui ride speranza

Come sole in estivo etere ardente,

Benchè mesta del ciel sia la sembianza

Palpitar di mestizia il cor non sente;

E mentre il passo irrequieto avanza

Abbandonato ad estasi ridente,

Nel paradiso suo di gloria ornato

Splender vede un bel volto innamorato. —

Tempo forse verrà che alto cimento

Lunge lo tragga dalle sue dimore,

E forte di magnanimo ardimento

Seguirà lo stendardo dell'onore;

Ma quando fia che lieto ondeggi al vento

Il segno di vittoria annunziatore,

Sul consorte destrier farà ritorno

Alle dolcezze del natio soggiorno.

E nell'ora che il bruno aere percuote

La squilla della notte messaggiera,

Rischiarerà sembianze a lui già note

Il moribondo raggio della sera.

Calde di pianto le rugose gote

Tra i fidi amici dell'età primiera

Lo accoglieranno i genitor cadenti.

Alternando coi baci i lieti accenti. —

In altra etade mentre il sol declina

Vago di respirare aura più pura,

La procellosa cura cittadina

Queterà nel silenzio di natura;

E dal declivo della sua collina

Lieta di sparse ville e di verdura,

Colla consorte al fianco e i figli intorno

Udrà l'addio che dan le torri al giorno.

Ma l'uom, che al tempo dell'età fiorita

Tai speranze allettò nel vergin core,

E poscia nel cammin di nostra vita

Fra mille spine non rinvenne un fiore,

Tal che sovente a lacrimar lo invita

Una tristezza che non è dolore,

Ad altre fantasie l'alma abbandona,

Mentre la squilla lentamente suona.

E le ore impazienti di riposo

Rimembra del mattin di sua giornata;

E il palpitar del core impetuoso,

E i sogni della mente inebbriata;

E della madre lo sguardo pietoso,

E le sembianze della donna amata;

Ed il piacer che gli piovea nel petto

Lo stringer d'una mano, un guardo, un detto.

Ah troppo presto mosse la procella

Ad offuscar di sua vita il sereno,

E della lode la gentil favella

Ch'eccitatrice gli scaldava il seno;

E l'amistà che intemerata e bella

Gli dava il bacio di dolcezza pieno,

Poichè il sospetto se gli pose allato,

Più non ebber per lui l'incanto usato.

Or di grave mestizia lo confonde

L'idea dei cari che la morte ha spenti;

Ed alla terra che il lor fral nasconde

Immoti affisa i rai di pianto ardenti.

Poi se vicino a lui tra fronde e fronde

L'usignol rinnovella i suoi concenti,

Quasi d'un'immortal bellezza in traccia

Novellamente al ciel leva la faccia.

E gli astri vede.... ma simili al fiore

Che era l'amor dell'aura mattutina,

E che or senza vermiglio e senza odore

Il capo al suol languidamente inchina,

Perderanno le stelle il lor fulgore

Nella notte dell'ultima ruina....

E spenti del maggior lume vivace

I rai saranno come inutil face.

Oh mille volte più infelice e mille

Quei che lontano dall'ostello avito

Ode suonar le vespertine squille,

Mentre del mar solingo erra sul lito.

Ai mesti tocchi, dalle sue pupille

Scoppia il dolor dell'animo smarrito,

E va dicendo tra i sospiri e i lai,

— O patria mia non ti vedrò più mai! —

La campana che ascolta ah non è quella

Che il pargoletto orecchio gli molcea,

E quando al tempo della vita bella

D'amorosi pensier l'alma pascea;

E nell'ora che appar la prima stella

La sua diletta riveder solea:

Un'altra squilla gli suonava in core

Il sospirato istante dell'amore.

Sull'ali della speme egli sen vola

Alle bramate invan sponde natie,

E di soavità l'alma consola

Col dolce aspetto delle patrie vie:

Vede i più cari, e n'ode la parola

Qual per lui risuonava in altro die,

Ed il monte rimira e la vallea

Ond'estatico il guardo al ciel volgea.

Ma simile a colui che da molesta

Cura turbato al sonno chiuse i rai,

E allor che esterrefatto si ridesta

Più acerbi sente rinnovar suoi guai,

Al tornar dell'imagine funesta

L'esule ricomincia i primi lai,

E vede ovunque volga umido il ciglio

La dolorosa terra dell'esiglio.

O Poeta dell'italo destino,

Tu ben provasti quanto sia dolente

All'orecchio del nuovo pellegrino

Una squilla che pianga il dì morente.

Ed io, che al raggio del Cantor divino

Con giovanil disio scaldo la mente,

Spesso del mesto cor nel più segreto

Quei lamentosi tuoi carmi ripeto.

Parmi vederti della patria mia

Sdegnoso correr la pianura, il monte,

E mentre del pianeta che va via

L'ultimo raggio ti balena in fronte,

Sgorgan torrenti d'itala armonia

Del genio tuo dall'agitato fonte. —

Bella, ardente, immortale al par del sole

Sarà la luce delle tue parole.


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