RIMEMBRANZE D'INFANZIA
O care soglie dell'ostello avito!Dite, dite i consigliE i voti e i preghi che con mesto affettoLa Madre a me volgea,Allor che fui rapitoAncor fanciullo al suo grembo diletto.— Fuggi, sclamò, i perigliOnd'è piena la vita, e qual partistiA me ritorna affettuoso e puro; —Poi nell'estremo istantePer man mi prese; il suo congiunse al mioLabbro tutta tremante,E fra i singulti risuonò l'addio.Cigolaron le rote; il guardo estremoDiedi al tetto paterno,E coi cenni del volto e della manoAl suon risposi dell'addio lontano.Ma tu, giorno sereno,Che il figlio sospiratoDella donna gentil rendesti al seno,Dal confin del passatoSfolgorante t'affaccia al mio pensiero.Quando il bramato raggioSulla vegliata coltre alfin battea,Salve, salve, io dicea,Beatissimo dì! nel tuo viaggioMi vedrai consolato!Perchè di penne armatoIl cavallo non era, e qual balenoNon volai sul terreno?Allor che di lontano al guardo apparveIl nativo castello, e sulle anticheTorri, e sui rudi tetti,E sulle verdi collinette apricheMorir vidi del sole il raggio estremo,La piena degli affettiCon più tumulto m'ondeggiò nel seno.Forse chi m'era appressoNelle tronche parole in quell'istanteIl commosso sentia spirto ondeggiante.Tregua, tregua al disio — la man percuoteL'umil porta degli avi; e a quel rimbomboLa Madre si riscuote. —Nella sala paterna il nome mioFesteggiato risuona, e tre diletteSorelle piccioletteMuovon dall'alto frettolose il piede. —Qual mi si slancia al collo, e quale il fiancoColle palme m'abbraccia, e qual si vedeSaltellarmi dinante:Nel materno sembianteAlfin l'alma si sazia, e la consolaUna dolcezza che non ha parola.
O care soglie dell'ostello avito!Dite, dite i consigliE i voti e i preghi che con mesto affettoLa Madre a me volgea,Allor che fui rapitoAncor fanciullo al suo grembo diletto.— Fuggi, sclamò, i perigliOnd'è piena la vita, e qual partistiA me ritorna affettuoso e puro; —Poi nell'estremo istantePer man mi prese; il suo congiunse al mioLabbro tutta tremante,E fra i singulti risuonò l'addio.Cigolaron le rote; il guardo estremoDiedi al tetto paterno,E coi cenni del volto e della manoAl suon risposi dell'addio lontano.Ma tu, giorno sereno,Che il figlio sospiratoDella donna gentil rendesti al seno,Dal confin del passatoSfolgorante t'affaccia al mio pensiero.Quando il bramato raggioSulla vegliata coltre alfin battea,Salve, salve, io dicea,Beatissimo dì! nel tuo viaggioMi vedrai consolato!Perchè di penne armatoIl cavallo non era, e qual balenoNon volai sul terreno?Allor che di lontano al guardo apparveIl nativo castello, e sulle anticheTorri, e sui rudi tetti,E sulle verdi collinette apricheMorir vidi del sole il raggio estremo,La piena degli affettiCon più tumulto m'ondeggiò nel seno.Forse chi m'era appressoNelle tronche parole in quell'istanteIl commosso sentia spirto ondeggiante.Tregua, tregua al disio — la man percuoteL'umil porta degli avi; e a quel rimbomboLa Madre si riscuote. —Nella sala paterna il nome mioFesteggiato risuona, e tre diletteSorelle piccioletteMuovon dall'alto frettolose il piede. —Qual mi si slancia al collo, e quale il fiancoColle palme m'abbraccia, e qual si vedeSaltellarmi dinante:Nel materno sembianteAlfin l'alma si sazia, e la consolaUna dolcezza che non ha parola.
O care soglie dell'ostello avito!
Dite, dite i consigli
E i voti e i preghi che con mesto affetto
La Madre a me volgea,
Allor che fui rapito
Ancor fanciullo al suo grembo diletto.
— Fuggi, sclamò, i perigli
Ond'è piena la vita, e qual partisti
A me ritorna affettuoso e puro; —
Poi nell'estremo istante
Per man mi prese; il suo congiunse al mio
Labbro tutta tremante,
E fra i singulti risuonò l'addio.
Cigolaron le rote; il guardo estremo
Diedi al tetto paterno,
E coi cenni del volto e della mano
Al suon risposi dell'addio lontano.
Ma tu, giorno sereno,
Che il figlio sospirato
Della donna gentil rendesti al seno,
Dal confin del passato
Sfolgorante t'affaccia al mio pensiero.
Quando il bramato raggio
Sulla vegliata coltre alfin battea,
Salve, salve, io dicea,
Beatissimo dì! nel tuo viaggio
Mi vedrai consolato!
Perchè di penne armato
Il cavallo non era, e qual baleno
Non volai sul terreno?
Allor che di lontano al guardo apparve
Il nativo castello, e sulle antiche
Torri, e sui rudi tetti,
E sulle verdi collinette apriche
Morir vidi del sole il raggio estremo,
La piena degli affetti
Con più tumulto m'ondeggiò nel seno.
Forse chi m'era appresso
Nelle tronche parole in quell'istante
Il commosso sentia spirto ondeggiante.
Tregua, tregua al disio — la man percuote
L'umil porta degli avi; e a quel rimbombo
La Madre si riscuote. —
Nella sala paterna il nome mio
Festeggiato risuona, e tre dilette
Sorelle picciolette
Muovon dall'alto frettolose il piede. —
Qual mi si slancia al collo, e quale il fianco
Colle palme m'abbraccia, e qual si vede
Saltellarmi dinante:
Nel materno sembiante
Alfin l'alma si sazia, e la consola
Una dolcezza che non ha parola.