Cap. XVII.LO SCOPO RAGGIUNTO
Trascorsi alcuni giorni che il Re di Francia ebbe lasciata Pavia, il Castello di questa città , che poco prima era stato testimonio di gioie romorose, risuonò tutto di singulti e di pianti. Il giovane duca era allora omai giunto agli estremi della sua vita. Bona di Savoja sua madre era accorsa da Abiategrasso; sebbene già le afflizioni e la austerità , in che passava la vita dopo che ebbe perduta la reggenza,avessero assai logorata la sua salute. Vittima ella stessa un tempo dell’ambizione di Lodovico, essa veniva a piangere su un’altra vittima, come credevasi, di quella stessa malefica passione, che spinge a crudeltà anche anime mansuete che natura a tutt’altro scopo sembra aver destinate. Povera madre! ella dovea essere testimonia della morte di un figlio che essa amava, che di carattere dolce e rimesso tanti segni dati aveale di rispetto e di affezione! Per lei natura invertiva le sue leggi; e colui che destinato era a chiudere a lei, già avanti in età , gli occhi di morte gravati, quegli da essa aspettava ora quest’uffizio di pietà sì doloroso!
Ermes Visconti fratello del Duca era anch’esso accorso, per assistere a quella scena desolante. Il giovinetto sospirava per l’immaturo fato d’un fratello che amava! Ingannato dalle arti di Lodovico, egli non potea capacitarsi che il veleno avesse consunta la vita di Gian-Galeazzo; ma un terrore indefinito però nel contemplarlo morente scorrevagli per le vene: sembrava presago di nuove sciagure per sè stesso. — Ma tuttavia il suo terrore era fallace: il Duca di Bari, di indole benigna, era alieno dal sangue; ed una vittimagià di troppo pesava sulla sua coscienza!
Ma il dolore, cupo nella madre, vago e frenato nel fratello del duca, non trovava omai più freno nella giovine sua sposa. Isabella, quasi fuori di sè, stava sospesa con angoscia mortale sul letto del marito agonizzante; notava tutti i cambiamenti che succedevano in quella fronte pallida e bagnata di freddo sudore; tremando, misurava il respiro del morente, che ognora più andava facendosi affannoso; e finalmente allorchè il Duca, chiedendo il crocifisso che gli si era posto sul guanciale, baciandolo esalò sull’immagine di quella venerabil vittima della umana scelleratezza l’ultimo alito di una vita cui la scelleratezza umana pure troncava; la miseranda Isabella mise un acuto grido di disperazione; ed a tal segnale tutto fu un pianto clamoroso in quella stanza: pianto che di là si diffuse in breve per tutto il castello, ove persona non era che non amasse il buon Duca: nè quivi si restrinse, ma trovò pure molti echi nella città di Pavia, che conosceva quanto indegno di quella morte immatura fosse il giovinetto che vi era stato spinto; e ne trovò in Milano, ove pure deploravasi la sciagura di quel principe,che nel fiore dell’età e senza colpa alcuna, ma anzi svegliando tutte le simpatie che mai non lasciano di ispirare gli oppressi, da una morte crudele era tolto alle braccia di una consorte infelice che vivamente lo amava, ai figli ancora teneri, ad una madre a cui la sciagura novella troncato avrebbe quella vita che solo a un debil filo ancora si atteneva!
Frattanto la notizia che il duca Gian-Galeazzo toccava omai gli estremi della sua vita era pervenuta a Piacenza, al Re di Francia ed al Duca di Bari: questi tosto chiese al Re licenza di accorrere per assistere il nipote; promettendo però di tornare, subito che questo fosse spirato. Ma strada facendo, egli seppe da un nunzio novello, che Gian-Galeazzo più non esisteva, e che l’anima sua era volata santamente a ricevere il premio delle proprie virtù. Allora il Duca di Bari cangiò direzione; e ratto recossi a Milano; ordinando che il corpo del nipote infelice in questa città venisse recato, per essere sepolto in Duomo cogli onori solenni che competevansi al suo grado eminente.
Giunto poi egli stesso in questa città , e stando tuttavia nel maggior tempio esposto il corpo di Gian-Galeazzo vestito delle insegneducali, si accinse all’ultima scena di quel dramma cui avea tanto avanzato la sua simulazione. Convocati entro il Castello Giovio i primati della città , fra i quali erano molti ghibellini suoi aderenti, loro propose, si passasse a creare il nuovo duca; e soggiunse che Francesco Sforza figliuolo del morto principe pareva conveniente che al padre succedesse. I suoi partigiani però, con ragioni in parte vere, lo contraddissero.
Osservò Antonio Landriano, che essendo stata la Lombardia tanto bene retta dal Duca di Bari, pareva che in quel tempo pericoloso in cui le armi francesi scorrevano l’Italia, altra mano non dovesse reggerne il freno se non se quella che fin allora l’avea governata. Che sarebbe mai per essere di Milano, se un accidente qualunque l’avesse a privar ora della sagacità di un personaggio tanto avveduto e prudente come era il Duca di Bari! Assolutamente, concludea, non doversi correr il rischio di novità che potrebbero riescire allo stato fatali!
Nessuno osò contraddire a tali osservazioni, che pure erano vere: Galeazzo Visconti e Baldassare Pusterla anzi le applaudirono grandemente.
— Ma io non amo che si pregiudichino i diritti del figlio di mio nipote, osservò il Moro con finta modestia; e il peso dello stato ancora me spaventa!
Allora sorse Gian-Andrea Cagnola celebre giureconsulto, e fece notare, che gli Sforza non aveano già avuto il ducato dall’Impero, che loro avea sempre negato sue investiture (non si conosceva dal pubblico ancora l’investitura poc’anzi concessa dal Re de’ Romani a Lodovico il Moro); ma lo aveano bensì avuto dalla libera voce del popolo: che da questo popolo adunque emanando il diritto che i principi di tal famiglia serbato aveano, potea esso popolo, massime in vista di tanta necessità , scegliersi quel signore che più gli sembrava opportuno. Egli osservò ancora, che una specie di diritto al trono ducale serbava Lodovico; poichè nato da Francesco Sforza eletto signore di Milano, laddove Galeazzo Maria era dal padre stato avuto prima di essere duca. Finalmente osservò, che, in ogni cosa pubblica, la salute generale era la legge suprema; e che tale salute, per non correr rischio di avere o un governo debole o un governo discorde, esigeva che si proclamasse duca il Duca di Bari. Che se questi poiripugnava ad assumersi un incarico che in que’ tempi più che mai arduo dovea sembrare, pensasse che, ove la patria lo esiga, ogni buono cittadino deve rassegnarsi a rinunziare alle proprie private inclinazioni, per obbedirle: il dovere andar avanti ad ogni altro riguardo!
Allora tutti, convinti da tal discorso, proclamavano Duca Lodovico Sforza: pochi furono che serbarono il silenzio; nessuno contraddisse. — Lodovico allora disse: — Ebbene, se tale è il vostro fermo parere, io acconsentirò a sacrificarmi per la patria!
Fattasi quindi portare una veste di drappo d’oro, e montato a cavallo, scorse, per la città , a fine di farsi proclamare Signore. Il popolo, sentita la deliberazione de’ primati, e già avvezzo a festeggiare il Moro che sapea colla liberalità renderselo favorevole, o tacque od applaudì al suo passaggio: pure alcuni maledissero in loro cuore la sua perfidia; persuasi che di veleno spento avesse il nipote, e vedendo che l’avidità del comando cavalcar lo facea per Milano mentre ancora la miserabil salma di Gian-Galeazzo non avea ricevuta la sepoltura[6]. Lodovico portossi altempio di Sant’Ambrogio, per orare; e le campane vi fece sonare in segno di allegrezza. Ma mentre il tripudio sembrava circondarlo, egli nell’interno era invece pieno di neri presentimenti: la coscienza lo rimproverava fortemente; ed una voce segreta pareva dirgli: Inulta non resterà l’ombra di Gian-Galeazzo, e una fine di lui più crudele in breve ti aspetta: egli morì compianto fra le braccia di una sposa, di una madre diletta, e di un fratello che lo amava; e col sorriso dell’innocenza: tu morirai fra gente che ti sarà nemica; coll’amarezza de’ rimorsi nel cuore; e temendo i giudizj terribili della posterità !
Lodovico era troppo prudente, per indisporre il Re de’ Romani, con accettar lo scettro solo come datogli dai cittadini: egli quindi tornato nel Castello, chiamato a sè un pubblico notaio, in sua presenza, sebbene privatamente,protestò, che non solo dalla volontà del popolo milanese ma ancora dall’investitura poc’anzi accordatagli da Massimiliano egli intendeva riconoscere il nuovo suo titolo e la presente sua autorità . Dopo di che, diede parte a tutti gli stati d’Italia dell’accaduto.
Ecco, nel rozzo suo testo, una delle lettere che scrisse in tale circostanza ad uno de’ principali suoi condottieri d’eserciti.
«Credemo havereti havuto notitia del caso dell’Ill.moSignor Duca nostro nepote quale mancoe heri de la presente vita, e ne havereti sentito insiema cum noi molestia. Dopoi questa mattina recercati instati e pregati da li Consilieri, Magistrati et Principali de questa città et molti delle altre del dominio ad acceptare el dominio de questo stato, demostrandone incredibile affectione et fede et desiderio de havere la persona nostra per Signore con affermare non possere de alcuno altro restare ben contenti, non c’è parso lassarli mal contenti et cossì con consentimento et grandissima alegreza et applausu d’epsi et de tutto el popolo questa mattina con la gratia de Nostro Signore Dio siamo stati creati et assumpti in Signore di questo stato: delche ce parse avisarne la Signoria Vostra perchè non dubitamo che lei in particolare ultra el respecto publico ne habia sentire grande piacere come po et deve però che avendola noi in quello loco de amore che epsa è, se ha ad reputarse in bona parte de omne nostro bon successo.»
Egli quindi si recò a Pavia; ove per suo ordine era stata la duchessa Isabella custodita, sicchè uscir non potesse dal proprio appartamento! L’afflitta donna, caricando di esecrazioni lo zio, stavasene fra i piccoli suoi figliuoletti immersa nella più profonda desolazione. Ella giaceva, nel forsennato suo dolore, sulla terra nuda; scarmigliata, e tutta di lagrime coperta. La duchessa Bona, più insensibile resa dall’età e dall’abitudine di rivolger ogni suo affetto a dio, mostrava segni meno aperti di dolore; ma in lei questo dolore, meno intenso e più concentrato, non lasciava però di essere al pari crudele ed anche più micidiale. — Lodovico ebbe la fronte di presentarsi alle due dolenti donne; a cui già si era prima annunziato, che egli era stato in Milano proclamato duca.
Egli dovette sentirsi scagliare in volto acerbi rimproveri e maledizioni dalla furente giovaneDuchessa: egli tutto sopportò: poi con voce commossa la assicurò: che se il voler del popolo tolto avea al di lei figlio lo scettro; egli gli avrebbe però fatto da padre; e ad ogni suo bisogno e di lei largamente avrebbe provveduto. Giunse perfino a chieder perdono a Isabella, se pel passato le avea recato alcun disgusto; e tanto seppe simulare, che quella donna ebbe a dubitare che egli reo veramente fosse della morte del marito, e senza divenire a lui favorevole, sentissi però verso di esso meno acerba.....
Alcuni giorni dopo essa con alcune sue ancelle fedeli trovavasi nel Castello di Abiategrasso; e quivi, dal dolore logorata, terminava la sua vita Bona di Savoja, madre dell’infelice duca Gian-Galeazzo!