ELISABETTA BARRETT BROWNING
Gli Inglesi e gli Americani più chiari nelle lettere o nelle arti che soggiornavano in Italia, solevano, molti anni addietro, riunirsi a passare i mesi del gran caldo sulle fresche colline di Siena: e nella villa Orr ove dimorava William Story insigne scultore, critico e poeta, si raccoglievano spesso ad amichevole convegno Savage Landor, Hawthorne, i coniugi Browning, e altri famosi scrittori. Onoratodell’amicizia del signor Story, conobbi in casa sua personalmente l’illustre donna, di cui oggi mi studierò di ritrarre la poetica fisonomia. Quando la vidi la prima volta fu nell’agosto del 59, verso sera, nel giardino di villa Orr. Delicatissima, e già malata di petto, essa era in quell’ora vespertina, tutta avvolta in un ampio scialle di lana. Parlava poco, ed a bassa voce. Di tratti non regolari, e non bella; ma un voltoesprimente, indimenticabile. Bellissimi, abbondanti i capelli che portava sciolti ed inanellati. Ma sopratutto mi colpì il suo sguardo; quei suoi grandi occhi non mi usciron più dalla mente. Ci vidi la passione e la malinconia, le prostrazioni e gli entusiasmi che spirano dalle pagine diAurora Leigh. Dei molti ritratti della signora Browning, il solo che perfettamente la rassomiglia è la bella fotografia del Macaire (Havre 1858) incisa poi in un volume delle poesie, nella edizione del Chapman.
Elisabetta Barrett nacque nel 1809, ed ebbe un’infanzia felice, da lei ricordata con amoroso rimpianto per tutta la vita, e in molte delle sue più belle poesie (Hector in the Garden, The lost Bower). Amò immensamente il fratello Ralph, che le doveva essere così lunga cagione di pianto. Nutrita di serii e classici studi, vivendo gran parte dell’anno in campagna, ebbe agio di ascoltare per tempo le due grandi voci dell’arte e della natura: e la sua anima di poeta vi rispose fin dalla prima adolescenza. La fine tragica del fratello diletto fu il primo gran dolore della sua vita. N’ebbe a morire.... «dans sa première larme elle noya son cœur!» Sputò sangue, e visse inferma parecchi mesi: e da quell’epoca, la sua salute non si ristabilì mai compiutamente. Risalgono forse a quel tempo queste commoventi strofe al suo caneFlush:
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«Di te si dirà: Questo cane vegliavagiorno e notte accanto a un letto, in una camera chiusa, dove mai raggio di sole non rompeva l’oscurità intorno alla malata, all’afflitta.
«Le rose colte per metter nei vasi, in quella camera morivano visibilmente, prive di luce e di brezza: questo cane solo aspettava e vegliava, sapendo che quando manca la luce, rimane a splender l’amore.
«Altri cani fra le rugiade ed il timo cacciavan le lepri, inseguendole per prati e per fratte, nell’aria libera al sole.... questo cane solo si distendeva, si strisciava presso una languida gota, convivendo nel buio.
«Altri cani, franchi e allegri animali, saltavano al suono acuto del fischio che gli raccoglie nel bosco.... questo cane solo vigilava in attenzione di una parola mormorata appena, o di un più forte sospiro.
«E se due mie lacrime scendevano improvvise sui suoi lisci orecchi, se il mio respiro si faceva a un tratto convulso, eglisaltava su in fretta e con ansia, facendomi le feste, carezzandomi, respirando affannoso nella sua tenera commozione.»
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Nelle lunghe sue convalescenze approfondì lo studio del greco; del quale dette, negli ultimi anni, uno splendido saggio, nel bel libro suI poeti greci cristiani. I grandi tragici greci le divennero familiari e carissimi; Euripide sopra gli altri, che essa designò mirabilmente con questa strofa: «Il nostro Euripide, l’umano, dalle vive e calde lacrime, che se tratta di cose comuni, le inalza fino alle sfere!»
L’amore fu per lei il più grande avvenimento della vita, e inalzò il suo cuore, e col cuore l’ingegno, alle più elevate regioni poetiche. Il contrasto della volontà paterna, la lotta, il dramma che ne seguì, detteroal suo amore per l’illustre poeta Roberto Browning, tutte le tempeste e l’estasi di una vera passione. Alla fine furono uniti in sacro legame questi due insigni e differentissimi ingegni. L’una passionata, ardente, subiettiva; l’altro calmo, impassibile, obiettivo, profondo e inesorabile scrutatore del cuore umano e della natura. Elisabetta Barrett resta sempre la stessa: Roberto Browning, o faccia parlare un contemporaneo di Gesù o una cantante del secolo decimonono, Saul o Andrea del Sarto, Calibano o San Giovanni, un frate spagnolo o Pacchiarotto, ti trasporta subito in quella data epoca, respiri l’atmosfera di quel tempo, e vedi quel luogo.
Fra le poesie della signora Browning, quelle che vanno sotto il titolo fittizio diSonetti dal portogheseserbano traccia immortale di quegli anni di passione. Fra i molti bellissimi scelgo e traduco questi due sulleLettere d’amoree suiPrimi baci.
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«Le mie lettere! fogli morti, muti e bianchi! eppure stasera esse sembran rivivere e palpitare fra le mie mani tremanti che sciolgono il laccio e le lasciano cader qui sulle mie ginocchia. Questa, diceva che egli desiderava vedermi una volta come un amico. In questa, egli fissava un giorno di primavera per venire solamente a toccar la mia mano, cosa tanto semplice e che pure mi fece piangere.... Questa, di carta sì fine, diceva: — Cara, io ti amo: — e però l’inchiostro è sbiadito dal tenerla sempre sul cuore, che battea troppo forte.... E questa.... o amore, le tue parole avrebbero mal profittato, se ciò che questa diceva io osassi sol di ripeterlo.»
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«La prima volta ch’ei mi baciò, baciò solamente le dita di questa mano con cuiora scrivo: e da quel giorno essa divenne più delicata e più bianca, restìa ai saluti mondani, pronta ai cenni delle cose celesti. Un anello di ametista non potrei portarlo al dito più visibile agli occhi miei di quel suo primo bacio. Il secondo, cercò la fronte, e mezzo si perse cadendo fra i miei capelli. O dono supremo! questo fu il crisma d’amore che con santificante dolcezza precedè la vera ghirlanda d’amore. Il terzo fu deposto, perfetto, sulla mia bocca, e fin d’allora, superba, potei dire: O amor mio, mio veramente!»
Alfredo Tennyson era nel pieno fulgore delle sue prime glorie, quando furono pubblicate le prime poesie della signora Browning. E l’influsso del Tennyson vi si sente talvolta, unito con quello di Wordsworthe dello Shelley. Ma la signora Browning ha di suo tante rare e preziose qualità poetiche, da non potere essere accusata di imitazione. I soggetti delle sue poesie sono o leggendari (ballate), o esprimenti un dramma interiore, un grido dell’anima, un sentimento umano, vero, e reso sinceramente. Talvolta essa si abbandona ad unarêveriemusicale, a variazioni alla Paganini, che son deliziose; ma in generale essa è precisa nel concetto e nella forma. Le poesie più notevoli dei due volumi sonoThe lost Bower, tanto ammirato da Edgardo Poe;Bertha in the lane, idillio patetico secondo solo allaMay Queendel Tennyson;Geraldine, eThe cry of the children. Quest’ultima, (il pianto dei fanciulli), può essere equamente giudicata anche dagli italiani che non sanno d’inglese, nella versione che ne fece il Chiarini.
Quali sono le caratteristiche della poesia della signora Browning? Tre, a mio avviso,appaion preeminenti all’occhio del critico. Prima — lasincerità: mai un effetto troppo cercato e voluto, nulla da poeta dilettante, nulla di artificioso, nulla nemmeno di soverchiamente artistico, (che è il peccato generale della poesia contemporanea). La sua poesia è la sua vita: la sua vita palpita nei suoi versi. Essi sono la traduzione ritmica dei sentimenti di un cuore di donna delicato ed ardente.
Seconda — ilpatetico, l’emozione, il dono delle lacrime; dono potente, perchè vivifica e crea; dono oggi rarissimo, e che il solo Michelet ebbe in grado egualmente eminente.
Terza — lamusicadel verso. La signora Browning ha l’istinto musicale in così alto grado che spesso, in grazia dell’effetto melodico, essa sacrifica volentieri certe regole metriche ormai consacrate dall’uso; accusa che il Poe le ripetè con troppa insistenza.Alcune delle sue brevi poesie sono tra le più belle. Eccone una di poche strofe a unaRosa morta.
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«O rosa, chi oserà più chiamarti così? Non più rosea, non più morbida, non più soave; ma arida e secca come fili di stoppia. Tenuta sette anni rinchiusa, i tuoi stessi titoli ti fanno ora vergogna.
«La brezza che soleva alitare su te, e rapirti un odore che profumava la valle per tutto il giorno, se soffiasse ora, passerebbe senza raccorne un profumo....
«Il sole che su te splendeva, e mescolava la sua gloria nel tuo magnifico calice, talchè il raggio pareva fiorire, e il fiore sembrava ardere, se brillasse ora su te non potrebbe più colorirti...........
«Il cuore però ti riconosce; il cuore solo! Il cuore ti sente odorosa, ti vede bella, ti giudica perfetta.... Sì; e ama più te, o morta rosa, delle rose superbe che la freddo-sorridente Giulia porta nei balli. Oh, resta su questo cuore che pare si spezzi sotto di te!»
Un vincolo di antica e viva simpatia letteraria lega la nobile Inghilterra all’Italia. La grande poesia britannica molto si giovò degli esempi dell’arte nostra, e spesso si ispirò alla divina bellezza della natura italiana.
Ma i poeti inglesi non si mostrarono ingrati come i più dei francesi e dei tedeschi.
E splendidi inni, e affettuosi saluti, e sincere elegie, e ardenti vaticinii ci vennero d’Inghilterra. Dal Milton al Byron, dalByron al Swinburne, è una tradizione non interrotta. E alcuni dei moderni poeti inglesi, come lo Shelley ed il Browning, potrebbero, dovrebbero avere insegnato a certi nostri poeti, che noi abbiamoin casaun tesoro dimotivipoetici, nel carattere vario delle nostre grandi città e delle nostre campagne, nelle nostre leggende, nelle nostre arti, nei nostri costumi, senza che ci sia bisogno di volare negli spazii immaginarî, dipingendo una naturaconvenzionale, che non è nè italiana nè russa; senza studio, senza osservazione, senza coscienza; e facendo della lirica nostra una stonata musica da organini.
La signora Browning che amò l’Italia come una seconda patria, che qua passò gran parte della sua vita, che qua morì, partecipò con simpatia di poeta alle nostre patriottiche speranze, ai nostri dolori, ai nostri trionfi. Nel suo poemaLe finestre di casa Guidi(Casa Guidi’s Windows)vi è un accento così penetrante di entusiasmo e di sdegno, che ricorda le più ardenti strofe del Berchet. Dalle finestre di casa Guidi (via Maggio, in Firenze) essa vide sfilare la processione del popolo esultante per le riforme liberali, il 12 settembre 1847. Le grida, gl’inni, le bandiere, le coccarde, i fiori, i baci e le lacrime di quella memoranda giornata, durano immortali in quelle pagine. Dalla finestra medesima ella vide poi passare «col mirto al cimiero» gli invasori austriaci; e quel funebre giorno rivive nella sua lugubre luce in questo poema.
Nel 1856 la signora Browning pubblicòAurora Leigh, il suo poema favorito, e che per importanza di concetto, per composizione, per varietà ed estensione, è l’operasua capitale. È la confessione d’un’anima generosa di donna, di straordinario intelletto e di compiuta coltura, poeta e filosofo, ideale e sensibile, pudica ed ardita, eminentementemoderna. La maggior parte del poema è il monologo di quest’anima. Si direbbe che la signora Browning ha tradotto in realtà il disegno di Giacomo Leopardi, di scrivere laStoria di un’anima. Gli avvenimenti esteriori qui non hanno importanza, se non in quanto servono all’analisi del dramma interiore. Ma Aurora Leigh incontra ed ama poi un uomo che ha eguali aspirazioni, pari entusiasmo ed orgoglio. Allora «il monologo diventa come unduo, in cui la voce femminea alterna sogni, palpiti e fremiti colla voce maschile,duodelizioso, doloroso, di un accento esaltato ed intenso.»
NelleUltime Poesieil gusto si è fatto anche più puro, la forma più severa e precisa. Vi è più semplicità antica che neiprecedenti volumi della signora Browning. Anche in questa raccolta si legge una poesia sui poveri bambini abbandonati di Londra, ove sono strofe strazianti e di una efficacia mirabile.
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«Fanciulli cenciosi, dagli occhi affamati, sono ammucchiati dal freddo nei vostri andrioni.... fanciulli pazienti (pensate quanti dolori ci sono voluti a farpazienteun fanciullo!...), ragazzi maligni con menti appuntati e fronti di vecchio; ve ne son tanti che non hanno altro piacere che nella colpa, e sgambettano con un soldo rubato!.... Bambini che piangono soli, e si lamentano con sè stessi, e non in collo alle madri; che gemono per mera abitudine, non perchè sperino simpatia o soccorso.»
L’ultima, credo, delle poesie della signora Browning fu scritta in Roma, e diretta all’Andersen. È intitolata:Il Nord ed il Sud.
«Orsù, dacci delle terre dove crescon gli olivi — gridò il Nord al Sud — dove il sole colla sua bocca d’oro gonfia i chicchi dell’uva nei vigneti — gridò il Nord al Sud.
«Oh, dateci, dalle vostre grigie pianure, degli uomini resi forti dal lavoro fra le piogge e le nevi, e dai domestici affanni! — gridò il Sud al Nord.
«Dacci più splendide colline, e mari più intensi — disse il Nord al Sud — poichè sempre per simboli e per lucidi gradi l’arte infantilmente si inalza fino alle ginocchia di Dio.
«Dateci delle anime intrepide nella fede e nella preghiera — disse il Sud al Nord — che stiano nel buio e nei più bassi scalini della vita, eppure affermin di Dio: certo Egli è là! — disse il Sud al Nord.
«Deh, chi mi dà cieli più molli e più profondi — sospirò il Nord al Sud — i fiori che risplendono, gli alberi che aspirano, gli insetti composti di canto e di fuoco! — sospirò il Nord al Sud.
«Oh, chi dà a me un’anima che vegga tali cose — sospirò il Sud al Nord — e la lingua di fiamma di un poeta che chiami l’albero e il fiore col vero suo nome! — sospirò il Sud al Nord.»
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Ma una delle belle e tristi poesie del volume è quella intitolata:My heart and I. (Il mio cuore ed io). È di un accento così desolato, è così impregnata di lacrime, è segno di prostrazione così profonda, che si capisce che la donna che lo scrisse doveva dopo poco morire!
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«Basta! noi siamo stanchi il mio cuore ed io. Seggo presso questa lapide sepolcrale, e vorrei che quel nome fosse inciso per me.... Si sono scritti dei libri, abbiam fidato negli uomini, e intinta la penna nel nostro sangue, come se un tal colore non potesse morire.... Camminammo troppodiritti per arrivare alla fortuna, amammo troppo sinceramente per serbare un amico.... alla fine siamo stanchi, il mio cuore ed io! Come ci sentiamo stanchi, il mio cuore ed io!
«Il mondo è fatto indifferente alle nostre illanguidite fantasie; la nostra voce, un giorno sì penetrante, vi farebbe oggi dormire.... le nostre lacrime non son altro che acqua.... Oh che cosa ci facciamo più qui, il mio cuore ed io?»
È ben doloroso a pensare che una donna come la Browning, con tali doti straordinarie, con tale anima; ricca, gloriosa, debba finire con un lamento così straziante! Essa ci è un esempio di più che questa terra, per i veri poeti, per le anime delicate, è una buia prigione, un luogo di torture quotidiane; e che il contatto del mondo le lacera, come farebbe un guanto di ferro alleali d’una farfalla. Anime divinamente gemebonde, di cui Tecla, la Généviève e la Amelia sono i tipi ideali, ed Elisabetta Barrett Browning il tipo reale sopra la terra. Ma non le compiangiamo troppo! Fra le loro lacrime, esse hanno avuto dei momenti di estasi ineffabile e di gioia suprema, ignoti affatto alla moltitudine che vegeta, calcola e passa.
In Firenze, in quella casa Guidi da cui s’intitola uno dei più mirabili suoi poemi, la signora Browning moriva nel 1861. Il municipio vi faceva porre questa iscrizione, dettata da Niccolò Tommaseo:
QUI SCRISSE E MORÌELISABETTA BARRETT BROWNINGCHE IN CUORE DI DONNA CONCILIAVASCIENZA DI DOTTO E SPIRITO DI POETAE FECE DEL SUO VERSO AUREO ANELLOFRA ITALIA E INGHILTERRA.PONE QUESTA LAPIDEFIRENZE GRATA1861
Dopo l’unica Saffo, Elisabetta Barrett Browning a me sembra incomparabilmente superiore ad ogni antica e moderna poetessa. Due sole donne a me pare la vincano in potenza di genio: la Sand e la Eliot; ma essa resta insuperata nel dono di toccar le corde dei soavi affetti, nella poesia della tenera commozione e dei nobili e santi entusiasmi. Essa è la donna-angelo nel coro dei moderni poeti: è il dolcissimo passionato violino della grande orchestra poetica inglese.