LA SIGNORA CARLYLE
Finisco ora di leggere leReminescences of Thomas Carlyle. Più volte sono stato lì lì per gettar il libro dalla finestra, irritato o nauseato da tanti giudizi avventati, ingiusti, crudeli, sui più illustri contemporanei, da tanta intolleranza, dall’accento dispotico e dittatoriale, dal tono di infallibilità puritana di questo libro. Eppure sono arrivato in fondo, e sono sicuro che ne farò una seconda lettura, e riaprirò spesso questo volume. Perchè? Qual è il magico incanto che, mio malgrado, mi hatrattenuto su queste pagine? — Sono i ricordi, sono gli affettuosi rimpianti dell’angelica moglie. La storia delle cure amorose di lei, dal giorno del matrimonio a quello dell’agonia, purifica, in certo modo, l’antipatico egoismo che ammorba il resto dell’opera. Dopo la lettura di questo libro, Carlyle resta più in ombra: e si distacca in luce d’aureola la bianca figura di una donna-angelo,la signora Carlyle.
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Nelle varie opere del grande scrittore io non avevo trovato traccia di quella celeste figura e della sua efficacia benefica. La felicità e la gloria sono egoiste. E il prezzo infinito dell’amore di una donna non si comprende bene che quando è morta.
Nelle lettere di Carlyle, anche in quelle a Goethe, poche settimane dopo il suo matrimonio,e datate da Craigenputtock, nuova residenza dei due sposi e proprietà della moglie, si cerca invano qualche calda parola che ci descriva la donna gentile la quale ornava e consacrava con la sua presenza quel tepido nido.
O letterati! anche se grandi, anche se buoni, anche se amanti, come sempre fa capolino in voi l’egoismo! Come tutto vi sembra dovuto! Con che olimpica imperturbabilità accogliete le lacrime e i baci, la devozione e il sacrifizio delle povere donne!
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Il giovine Carlyle divorato dalla fiamma nascosta del proprio genio che non trovava la via per manifestarsi ed espandersi, nato di povera famiglia, selvatico e strano carattere, malaticcio ed ipocondriaco, non bello, notevole solo per due occhi pensosiprofondamente incassati sotto una fronte granitica, era costretto per campare la vita a lavoro ingrato e incessante: ora maestro d’aritmetica, ora precettore privato, ora collaboratore di Enciclopedie, ora traduttore dal tedesco o dal francese. Unico lavoro di quel tempo giovanile, che resti anche oggi degno del suo nome, è laVita di Schiller.
A un tratto le ansie e gli scoraggiamenti cessarono: la tremenda questione del pane quotidiano fu risoluta: egli ebbe insieme l’amore, la pace, l’indipendenza, la salute e il necessario impulso al suo genio, da una donna, — da quella che fu sua moglie e suo angelo tutelare, confortatore ed ispiratore per quarant’anni. Donna mirabile per generosa abnegazione, per delicatezze ineffabili, per pazienza costante, per i suoi sorrisi e per le sue lacrime;sanctissima conjuxcome l’avrebbe chiamata Virgilio.
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A chiunque conosce la vita e gli scritti di Tommaso Carlyle, si fa chiaramente palese che la sua natura irrequieta, la sua fantasia apocalittica, la sua eloquenza profetica tutta folgori e tuoni, il dommatismo puritano, il sarcasticohumoure le sue bibliche imprecazioni alla scienza e allo spirito industriale e positivo del secolo, avean bisogno di esser quotidianamente temperate da qualchecalmante, da qualche benefico influsso pacificatore: altrimenti, la cieca forza del suo genio, in perfetta antitesi con lo spirito dei suoi tempi, lo avrebbe disperatamente precipitato nel sepolcro o lo avrebbe condotto, miserando spettacolo, al manicomio. Aggiungete che egli era malato, e fu malato per tutta la vita: che concentrando ogni sua attenzione e ogni sua forzain una vulcanica attività cerebrale, egli non badava, non poteva badare, a tutti quei nulla che pur son tanto, che talora son tutto, nella nostra prosaica esistenza.... Un giovine fantastico povero e malato, con un genio formidabile ed aggressivo, che cosa poteva sperare di buono nella vecchia positiva Inghilterra? — Una donna gli tende la mano, gli diceti ammiro e t’amo, son tua....e quell’uomo allora può vivere, spiegar tutta l’ala sfolgorante del proprio genio, campare più di ottant’anni, e lasciare un nome immortale....
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Jane Welsh era bella, giovine, nobile, ricca, corteggiata da molti. Ma il suo cuore aveva bisogno di sacrifizio, di entusiasmo e di fede. Conobbe il povero giovine in lotta colla fortuna e col mondo, e nei suoi tristiprofondi occhi vide brillare una luce divina. Credè nell’avvenire e nella gloria del genio: credè allafelicitàdi aiutarlo col suo amore, e lo amò consacrandosi tutta a lui. Lo sottrasse alla miseria, allo sgomento, gli portò il pane materiale e il pane spirituale ad un tempo.
Furono sposi nel 1827: e fino al 1843 dimorarono a Craigenputtock. Là fu scrittoSartor Resartus, là i primi saggi storici e critici che oggi si leggon raccolti nelleMiscellanies.
La villa era in una perfetta solitudine: lontana sei miglia da ogni altro luogo abitato: fra colline granitiche e paludi grigie stendentisi fino al tristo mare del Nord. Ma la lieta Jane animò e rallegrò al suo fosco marito il deserto. Pensava a fargli venir da Edimburgo carrettate di libri e giornali francesi, tedeschi ed inglesi. Popolò di rose il giardinetto sotto le finestre della sua stanza di studio. Due piccoliponieseran sellati ogni mattina per la cavalcata prima dell’ore del lavoro, ed essa lo accompagnava sempre.
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Robusto e delicato ad un tempo, Carlyle soffriva di indefinibili mali nervosi, e di ipocondria. Che cosa non fece Jane per distrarlo, per rinfrancarlo? Gli si mostrava sempre serena, di buon umore, avea sempre pronte delle storielle amene, degli adorabilienfantillages. Quando egli, verso sera, tornava dalla sua breve passeggiata solitaria, nella quale meditava e mentalmente correggeva il lavoro della giornata, essa gli preparava da sè e gli faceva trovare presso al caminetto acceso, ilthefumante, la pipa di schiuma già empita dalla sua propria mano, e il sorriso dei suoi begli occhi di moglie amante. Carlyle era di vista debole: ed essa si adoperava assiduamente a temperarecon ingegnose invenzioni la luce troppo viva del giorno, senza intercettare l’aria, e lavorava sempre a ventole eabat-jourper la lampada notturna dell’infaticabile lavoratore.
Quando credè che la soverchia solitudine potesse nuocere agli interessi e alla fama del marito, fu la prima a consigliarlo di andare a stare a Londra o vicino a Londra, e con amorosa insistenza ve lo persuase, lei naturalmente nemica del bel mondo, amante della pace rurale e della poesia delle solitudini.
A Chelsea, presso Londra, andarono ad abitare una casa provveduta di ognicomfortinglese — casa divenuta ormai leggendaria, dove lo storico filosofo ha vissuto per quasi mezzo secolo, e dove è morto.
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Là era una continua affluenza di visitatori, di ammiratori delsavio di Chelsea.Ma la prudenza della donna era in continuo moto per prevenire, temperare, o rimediare alle scappate di quelsavioirritabile. In certi giorni, egli era un vero orso del nord, e bastava che uno gli dicesse bianco, perchè egli fosse irresistibilmente trascinato a dir nero, e a sostenere la sua contradizione con tutte le armi di una dialettica formidabile, aiutata dai lampi di una immaginazione unica, e dagli scoppi di risa di unhumourgrottesco e spietatamente selvaggio. A volte un povero diavolo che era andato là trepidante, pieno di devozione e di entusiasmo, era accolto come uno scolaro preso in fallo o come un nemico; e annientato con due parole.Leispesso prevedeva il caso, enon ricevevaquel giorno, o restava terza a scongiurare il pericolo.... e interveniva col suo sorriso, con le sue soavi parole, e deviava la folgore, o rianimava il fulminato, e gli procacciava il balsamo di una parola gentiledal tremendo marito, che, quando voleva, sapeva trovarne delle squisite. Ma talvolta egli incontrava chi teneva fronte ai ruggiti della sua biblica eloquenza: il Mazzini per esempio. Allora la povera Jane era in una vera agonia.... ma tanto sapeva fare, che non accadde mai che uno solo dei maltrattati visitatori, anche dei più illustri, varcasse la soglia, senza esser prima pacificato, senza aver scambiato una cordiale stretta di mano col terribile autore deiLatterday-Pamphlets.
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E tutto ciò è poco, è quasi nulla, paragonato al benefizio immenso, incalcolabile, della ispirazione, dell’impulso, della influenza incoraggiante e fortificante, che la signora Carlyle esercitò sul suo illustre marito. Egli era, l’ho detto, un atleta malato, un titano ipocondriaco. La lente d’ingrandimentodella sua straordinaria fantasia gli ingigantiva gli ostacoli, gli moltiplicava i dubbi, i terrori, gli abbattimenti morali. Essa accorreva allora, come una energica amica, come una madre che sa volere, e gli infondeva il sereno coraggio e la fede. A lei si deve la continuazione dellaStoria della Rivoluzione Franceseche il Carlyle minacciava di lasciare a mezzo; fu lei che gli suggerì la prima idea delleLetture su gli Eroi, e seppe vincere la naturale repugnanza di Carlyle a fare pubbliche conferenze. Nè basta: per anni interi gli fece da segretario, stando a dettatura, copiando, leggendogli, facendo estratti per lui, come la moglie di quell’altro grande storico che nella facoltà imaginatrice edevocatricerassomiglia il Carlyle: la moglie di Michelet.
Aveva poi delle tenerezze infantili, delle ingenuità verginali, che ricordate dopo la morte dall’infelice superstite, lo facevanopiangere. Una volta, nei primi tempi che erano a Chelsea, per economia, facevano a meno della vettura, e armati di ombrello egaloches, andavano a piedi anche di sera, intrepidamente, a far visite ai loro amici. Allesoirées, ove talvolta andavano, essa appariva elegantissima, con piccolissima o quasi nessuna spesa. «La mia cara Jane avea voluto stasera esser bella, e siccome è una incomparabile artista, s’era fatta un abito di una grazia divina, con ghirlande e festoni d’ellera naturale, che non le era costato altro che lo staccarla dagli alberi con le sue mani.» Voleva esser bella, sempre bella per lui, per lui solo, e le bastava il suo sorriso, un ramicello d’ellera sul vestito, un semplice fiore nei suoi bei capelli.
E anche a quarant’anni e più, essa si mantenne bella ed amabile (che è lo stesso). L’innocenza della sposa ha una grazia particolare, che naturalmente tocca il cuore dell’uomo: essa ha la vera libertà dellaparola, dello sguardo, del sorriso, del gesto. Lealtrenon son libere che nei momenti di ebbrezza: nel resto sempre artificiali e legate. Van Dyck, Rembrandt principalmente, lo intesero, e certi loro ritratti matronali sono adorabili. Più si guardano e più si capisce che si fanno amare, perchè hanno labellezza della bontà. Oggi gli uomini fanno poco conto di questa bellezza, e però ne sono puniti, nel carattere, nell’arte, e nella poesia: e ilsoffio che creanon gli anima più a cose grandi e durevoli: sperdon le forze in gingilli: non son più poeti, ma gelidi decoratori, edilettantisenza fede e senza allegro coraggio.
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Quando la prima neve della vecchiezza cominciava a imbiancarle i bei capelli, la signora Carlyle ammalò. Parve dapprima un semplice reuma, ma si convertì presto inuna spaventosa nevrosi generale, alla quale la scienza non seppe trovare rimedio. Accorsero a Chelsea i più illustri medici, e furon tentate, e tutte vanamente, più cure. Anzi gli spasimi parvero farsi più atroci. Perdè il sonno e l’appetito: sembrava uno scheletro vivente.... ma non perdè la serenità, la calma, la dolcezza dello sguardo e della parola. Anche dal suo letto di dolori, si preoccupava del suopovero grand’uomo. Ed egli, l’infelice, agonizzava moralmente, ma dissimulava la propria agonia. Sentì che stava per perderla, e diventò costantemente taciturno. Egli che aveva nei suoi libri inneggiato alsilenziocome indizio di forza, e contrassegno degli eroi, in pratica aveva sempre contradetta la sua teoria, e amato di parlare e essere ascoltato come tutti i grandi oratori. Il dolore gli insegna ora il silenzio: un silenzio commovente su quelle labbra tuonanti.... un silenzio di vecchio colpito dal fato, un silenzio tragico.
Povera Jane! agli spasimi fisici si aggiunse il terrore della pazzia. Le parve che neppure la sua potente volontà saprebbe salvar dal naufragio la sua intelligenza.
— Oh, amico mio — disse due volte al marito, — promettimi, qualunque cosa accada, che mi terrai in casa, che non mi manderai al manicomio. O caro, io sento che divento pazza, e ho tanta paura.... — E il vecchio Carlyle a calmarla, a prometterle solennemente di non staccarsi mai un giorno da lei....
Nei primi del 64, fu deciso di tentare un cambiamento d’aria. «Faceva freddo e pioveva quando partimmo, il due di marzo, per la casa sul mare, generosamente offertaci da un amico. Quale scena! non ne vedrò mai l’eguale! Il giorno in cui la portarono in sepoltura a Haddington, non fu più orribile. Quel giorno almeno essa non soffriva più. Essa era composta nel suo riposo, era vittoriosa per sempre.... Ma ora!... Accostaronoalla porta di casa uncarro-lettoda malati che somigliava a una bara. Mi par di vederla ancora la mia cara Jane, quando la portavan giù per le scale. Il dolore fisico e un ineffabile dolore morale eran dipinti sul cereo suo viso; ma essa si serbò anche in quel punto eguale a sè stessa, cioè energica, risoluta, e prudente. Con voce debole, ma sicura, dette i suoi ordini per il trasporto: e tutto fu fatto sotto la savia sua direzione. Io sapevo che cosa essa pensava in quel momento, e che credeva di uscire di casa sua per non tornarvi mai più: eppure i suoi occhi rimasero asciutti; e pochi minuti dopo eravamo partiti.»
Ma nemmeno il cambiamento d’aria giovò. Potè tornare (e fu il suo ultimo e insperato conforto) alla casa diletta. Vi agonizzò lentamente parecchi mesi. Ogni minimo incidente le era cagione di terrori mortali. Non era pazza, ma di una esaltata sensibilità. Un giorno la condussero a Hyde-Park in carrozza.Un’amica le aveva dato a tenere per un momento un suo cagnolino. Non si sa come, questo ruzzolò sotto le ruote del legno, e lo crederono morto. Tremante, moribonda, prese in grembo l’animale ferito che lamentosamente guaiva, e ordinò al cocchiere di tornare indietro. Quando la carrozza si fermò alla porta di casa, la signora Carlyle era morta!...
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Sparito il suo buon angelo, l’illustre vecchio non trovò conforto che nel lavoro, ma scarso, insufficiente conforto. La grandeStoria di Federigopuò dirsi bagnata dalle sue lacrime.
— Non voglion capire che io non posso più vivere — diceva ai suoi visitatori, e restava per ore intere taciturno ed immobile, in quella stanza dove spirava ancora il profumo dilei.
La morte tardò a prenderlo, ma da un pezzo egli aspettava e invocava il colpo finale. E quando venne il momento, la sua fronte granitica parve raggiare di nuova luce, e le sue caustiche labbra si ammollirono in un sorriso ineffabile.... Una bianca suprema visione lo aveva trasfigurato.