LA POMPADOUR

LA POMPADOUR

Aveva appena nove anni quando le fu predetto che sarebbe stata la favorita del re di Francia. La madre, corrotta e galante, diceva di lei ancor giovinetta, ed in sua presenza:È un boccone da re.La natura le aveva dato l’istinto della seduzione, il gusto innato dellatoelette, il sentimento e l’amore dell’arte, una diabolica vivacità parigina, l’orrore della noia, una grazia ineffabile ed una rara bellezza: fisonomia espressiva, simpatica; occhi di un colore misterioso, indefinibile, cupo-azzurri, dagli sguardi lenti, irresistibili; magnificicapelli castagni; denti ammirabili; un sorriso rallegrante su due labbra voluttuose di un roseo pallido. Jeliotte, il famoso Jeliotte, le aveva insegnato il canto ed il cembalo; Guidaubert, il re dei ballerini, la danza; Crébillon, la declamazione. Disegnava, dipingeva, incideva. Cantava con passione, recitava con brio. E quando da madamigella Poisson (ignobile nome che doveva avvelenare i trionfi della futura marchesa, e seppellire per anni ed anni nelle tenebre della Bastiglia quegli infelici che lo ripeterono in velenosicouplets) essa diventò madame d’Etioles, grazie alle savie precauzioni della previdentemaman, tutte quelle armi d’Armida furono adoprate per attirare, arrestare, incatenare ilcristianissimoe annoiatissimo re di Francia.

Nella foresta di Senart, ritrovo delle cacce reali, madame D’Etioles, vestita di raso azzurro,mollemente sdraiata in unphaétoncolor di rosa, si offerse più volte agli sguardi di Luigi XV, passando e ripassando fra i cavalli e i cani da caccia del re come una Diana sorridente e affascinatrice.... Una sera di carnevale, al ballo per le nozze del Delfino, un graziosodomino, dopo aver lungamenteintrigatoil re, sollevò la maschera e lasciò cadere il fazzoletto. Il re, riconosciuta la misteriosa Diana, raccolse il fazzoletto e lo lanciò ridendo dietro a lei che fuggiva. Poche sere dopo, ella abitava al piccoloentre-solsulla camera stessa del re, trepidando, simulando terrori per le gelosie del marito, giurando di aver sempre amato e amare in Luigi l’uomo e non il monarca, sorridente e piangente, insomma una verasalsa-piccanteper l’ottuso palato del monarca libertino e annoiato. E che! dicevano i Condé, i Richelieu, questa borghese, questarobine qui n’est pas néesarà di fatto la regina di Francia? Pur troppo: egli, che a fardispetti c’ingrassava, la fanascerea modo suo, la mette pubblicamente sotto la sua protezione, la onora, le dà palazzi e titolo, vuole che sia da tutti rispettata la sua scelta sovrana, che tutti pieghino il ginocchio dinanzi alla favorita, da lui creatamarchesa di Pompadour. E così fu fatto....

Fu come un risveglio generale, un destarsi da un lungo sonno in quella corte di annoiati. Tutti, dal re al maggiordomo, vivevano nell’aria mefitica del freddo libertinaggio, della stanchezza, della noia. «La improba invitta necessità di consumar la vita» era latorturadi quei languenti: la Pompadour aprì una corrente d’aria vivificante in quel limbo. Capì che per mantenersi arbitra del cuore di Luigi, bisognava distrarlo continuamente, tener sempre desta e sempre appagata la sua curiosità. La delicatezzae la varietà nei piaceri, la seduzione delle sorprese, un rinnovamento continuo ditoelette, di passatempi, resero il gusto della vita a quei moribondi. Il capriccio diventò la legge di corte, ed essa trasportava corte e re da Versailles a Crécy, da Crécy a Bellevue, da Bellevue a Fontainebleau, con rapidi viaggi e brevi soggiorni, inventando nuovi divertimenti in ogni nuova dimora. Ilteatro dei piccoli appartamentifu sua invenzione, e fu il vero teatro dei suoi primi trionfi. Il re assisteva a tutte le rappresentazioni. Il fiore della nobiltà componeva ilparterre. La Vallière, De Nivernois, De Croissy recitavano con madama di Pompadour. Il re si divertiva, rideva, applaudiva; e una sera, incantato dalla magia della voce e del sorriso di lei, le disse con accento di sincera ammirazione: «Vous êtes la plus charmante femme qu’il y ait en France.» E poteva dirlo davvero, abbagliato dalle continue metamorfosi di quellasirena. Cantando e recitando, essa sfoggiava nel suo vestiario le più graziose fantasie della moda, che spesso erano creazioni improvvisate dal suo gusto parigino. Ora appariva in costume di pastorella, con abito ditaffetasbianco guarnito di nastri azzurri (l’azzurro era il colore preferito dalla marchesa) o colla veste procace color rosa di Colin; ora da sultana splendida dicachemirese di gemme, visione abbagliante; ora da bella giardiniera, con un largo cappello di paglia dai nastri celesti, con un vestito bianco ornato di roselline, e un canestro di giacinti al braccio....

Quale contrasto con la vita uniforme, regolare, monastica, della povera regina Maria Leczinska! Alle torture della gelosia, alle lacrime ardenti fattele versare dalla Nesle, dalla Châteauroux, era successa in quellaanima nobile e delicata, una cristiana rassegnazione, una immolazione completa. Quali agonie non le aveva inflitto quel codardissimo fra tutti i re! L’aveva ridotta a tale che essa scriveva alla duchessa di Luynes: «Non mi son concessi nemmeno i più innocenti piaceri della vita.» Quando Luigi si ammalò a Metz, e fu in pericolo, e licenziò la Châteauroux, essa era accorsa al suo letto, apportandogli intero il suo perdono e il suo amore. La conversione duròdue settimane.... La regina dovè ripartire, la favorita tornò gloriosa e trionfante. Fu l’ultima mortificazione che trafiggesse quel nobile cuore. Essa lo elevò al cielo, e lo rese invulnerabile. Ma la sua vita ordinata ed ascetica era soggetto di scherni continui in quella corte corrotta. Fino le sue cameriere si prendevano con lei delle libertà che non avrebbero osato con una semplice dama. Quando la favorita Châteauroux morì improvvisamente, la buona regina che credevaagli spiriti, chiamò di notte una sua cameriera, e le disse: «Dio mio, se quella povera Châteauroux mi apparisse! mi par sempre di vederla!» — «Eh, madama, rispose la cameriera stizzita d’essere stata svegliata, se quella signora tornasse stanotte in questo mondo, non sarebbe Vostra Maestà che riceverebbe la sua prima visita.» I cortigiani e le dame che dovevano per cerimonia esser presenti al suo pranzo, alle sue passeggiate, lo riguardavano come una veracorvée, e regnava un silenzio glaciale. Il Casanova ci ha descritto un pranzo della regina a cui fu presente; durante tutto il quale, la conversazione si ridusse a questo dialogo veramente spartano: «Monsieur de Lowendal!» — «Madame!» — «Je crois que ce ragoût est une fricassée de poulets.» — «Je suis de cet avis, madame.»

Uno dei pochi meriti (dico merito in senso puramente relativo) della nuova favorita fuil suo delicato contegno in presenza della regina. Le parlò sempre in atto di suddita, in tono di ossequio, non permise mai che si facesse con lei la minima allusione irriverente alla povera tradita. E questo sentimento, in donna pervertita dalla propria madre, e corrotta fin dall’infanzia, fu pur qualche cosa; e dobbiamo tenergliene conto.

L’antica mademoiselle Poisson tornava ogni tanto a far capolino nella nuova marchesa: la borghese si lasciava scappare delle parole, delle espressioni, che erano malignamente sottolineate dalle vere dame. Un giorno dirà, per esempio,qu’on m’ôte cet engin de devant moi, a proposito di un cugino con cui era in collera; un altro, chiamerà madame di Amblimontmon torchon. Son noti i due versi che Voltaire le improvvisò all’orecchioquando, pranzando con lei, le sentì chiamargrassouilletteuna quaglia:

Grassouillette, entre nous, me semble un peu caillette,Je vous le dis tout bas, belle Pompadourette.

Grassouillette, entre nous, me semble un peu caillette,Je vous le dis tout bas, belle Pompadourette.

Grassouillette, entre nous, me semble un peu caillette,

Je vous le dis tout bas, belle Pompadourette.

Adagio adagio, seppe imporsi a tutti e trionfare temuta. Ma quali terrori continui, quanti sospetti, quante cure, quante fatiche morali, quanti fisici strapazzi, per mantenersi trionfante! Altre celebri favorite ebbero da fare con reali amanti o spensierati, o generosi, o passionati: essa invece doveva lottare col più calcolato egoismo, col cuore più arido e morto, simulare e dissimulare, occuparsi, per propria difesa, della politica, per la quale non era fatta, lei nata artista, e illuminare spesso col suo buon senso borghese le ottuse intelligenze degli uomini di Stato che governavano allora la povera Francia.... Poi venivano le torture dei sospetti, delle gelosie; vedeva per tutto una rivale, sentiva già gli insulti che la fulminerebberose cadeva dal suo piedistallo. Come riderebbero le Coislin, le D’Argenson!... Poi si spaventava del suo freddo temperamento, temeva che il re libertino si disgustasse di lei, ricorreva a filtri micidiali, a erbe assassine, e si rovinava la salute irreparabilmente per vincere le suefroideurs de macreusecome lui le chiamava....

La vera gloria della Pompadour, — sua gloria e sua scusa — è il vivo e costante amore per l’arte e le lettere, la sua ammirazione, la sua intelligente e affettuosa protezione dei più insigni artisti e scrittori contemporanei. Voltaire, D’Alembert, Diderot, Montesquieu, Duclos, Crébillon, ebbero ripetute occasioni di esserle riconoscenti. Tentò ogni modo di beneficare Jean-Jacques: ma egli, il solo filosofo di buona fede tra queimondani filosofi, evitò i beneficii. Si studiava di eccitare nel re la nobile ambizione di protettore dei grandi contemporanei, gli rammentava gli esempi di Augusto, di Francesco I, di Luigi XIV.... Fiato sprecato. Egli la guardava col suo inerte vitreo occhio di pesce, e sorridendo col suo glaciale sorriso di vecchio libertino, le rispondeva: «Vorreste che gli invitassi tutti a pranzo con me?» E ne citava i nomi, e li contava e concludeva: «A dar retta a voi,tout celacenerebbe ogni sera con me....» — «Ah,tout cela, Sire, non fu invitato a cena da voi,» ma essa era istintivamente con loro. «Dans le fond de son cœur, elle était des nôtres,» scriveva Voltaire a Duclos. Nell’entre-soldella marchesa a Versailles, si riunivano e discutevano colla massima libertà economisti ed enciclopedisti. Vi pranzavano spesso Diderot, Quesnay, Helvétius, Turgot; etout celaanalizzava i mali, prevedeva le tempeste e faceva dire alla Pompadourle memorabili parole, a torto attribuite ad altri:Après moi, le déluge!

Le belle arti non solo furon protette da lei, ma riceverono l’impronta caratteristica del suo gusto elegante e decorativo. Ed era artista lei stessa. Le sueacque fortisono anche oggi pregiate e ammirate. I resti della sua famosa biblioteca sono ricercati avidamente dai bibliofili. Stampò, o aiutò a stampare, con le delicate sue mani, a Versailles, una tragedia del gran Corneille. La manifattura di Sèvres dovette a lei unicamente se le sue porcellane poterono gareggiare con le meraviglie del Giappone. In questiservizidi Sèvres, ilgenere Pompadourbrilla di una grazia e di una eleganza uniche. Protesse Vanloo, protesse Cochin, beneficò costantemente Boucher. A lei si deve l’Amoredi Bouchardon, insignecapolavoro, a lei le pietre incise di Gai. E tutte le grazie, tutto il gusto dell’epoca sembran derivare da lei. Protesse le arti e gli artisti, non come orgogliosa protettrice, ma come compagna; con passione più che con ambizione. L’arte francese del suo tempo fu il suo rifugio e il suo conforto tra i disgusti della favorita, e le noie e le apprensioni della politica. Essa, la prima, combattè l’arte tradizionale e accademica, gli eterni modelli greco-romani, e invitò e spinse pittori e scultori a rappresentare lavita contemporanea. Essa, la prima, volle applicata l’arte all’industria, e mise, per dir così, la suacifraa migliaia d’oggetti d’uso e di lusso, mobili, letti, carrozze, ventagli, astucci, orologi,babiolesd’ogni genere; cifra riconoscibile a prima vista, di unrococoelegante e voluttuoso, in una parola ilgenere pompadour. Aveva dunque ragione Carlo Vanloo, quando durante l’ultima malattia della marchesa, dipinse le Arti inginocchiateai piedi del Destino, intercedenti per la vita di lei....

Ma il Destino fu sordo. Già fino dal 1759 la salute di lei era irreparabilmente perduta, e con la salute, la freschezza e la bellezza. Nella vecchiaHistoire de madame de Pompadourpubblicata a Londra, lei vivente, nel 1759, essa è descritta così: «Le visage de madame de Pompadour n’est plus capable de fixer l’attention.... elle est d’une épouvantable maigreur....» Si sentì morire di una lenta agonia quotidiana per cinque lunghi anni. Moribonda, al sacerdote che stava per lasciare la camera, disse con un sorriso: «Un moment, monsieur le curé, nous nous en irons ensemble.»

Quando il re seppe della sua agonia, della sua morte, non versò una lacrima. E quando da una finestra del castello di Versailles,vide passare il convoglio funebre, la bara conleidentro, tra il vento e la pioggia, disse queste parole cinicamente crudeli: «La marquise n’aura pas beau temps pour son voyage.» Una settimana dopo, la povera regina Maria Leczinska, scrivendo al presidente Hénault, gli diceva: «Il n’est plus question ici decelle qui n’est plus, que si elle n’avait jamais existé. Voilà le monde; c’est bien la peine de l’aimer!»

Quel cadavere che si trasportava in fretta, tra l’acqua e il fango, da Versailles a Parigi, era quella stessa donna che vive ancora e vivrà nel pastello di La Tour al Louvre, vestita di raso bianco ricamato a rami d’oro e mazzettini di rose, mollemente assisa in una poltrona, voluttuosa, sorridente, bellissima, con un quaderno di musica in mano. Ai suoi piedi è una cartelladi incisioni; dietro a lei un vaso di porcellana di Sèvres; sulla tavola accanto, un volume dellaEnciclopediae ilPastor Fido.... Povera favorita! Tutto considerato, le sue angoscie superarono di gran lunga le sue gioie in questa vita. E la derelitta regina rassegnata e credente, fu, senza dubbio, incomparabilmente meno infelice della trionfante rivale.


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