CAPITOLO XII.La sorella Maria.

CAPITOLO XII.La sorella Maria.Tutti dunque erano contenti; il Papa e il Cardinale nepote, perchè senza tirare fuori uno scudo si tenevano bene edificato il Pelliccioni da cui si ripromettevanomirabiliaper la dispersione dei banditi; quanto ai meriti vecchi, Roma fissa alla utilità presente ed alla futura, della passata poco studio si piglia: ed ella respirò sempre la ingratitudine come l'aria; per lei Giano cessò non pure essere Dio, bensì divenne demonio per infinite cause, massime per quella delle due faccie, una delle quali mira avanti, l'altra indietro. Roma addietro non mira mai; almanco per dare. Certo per via di simile aspetto i Massimi ne venivano a patire, ma oltrechè la grandine su qualche campo bisogna che scoppii, dai Massimi lì per lì non ci era da temere, nè da sperare nulla; capitando il caso diavere a gratificarseli non mancava gente a cui fare la pelle; e fu pratica costante della Curia Romana colmare una fossa cavandone accanto un'altra. — Di Paolo non si parla nè manco; in coteste sue nozze presentiva che lo avrebbero preceduto al talamo le Furie con la teda di Amore: avanti lo tirava il fato; vedeva rosso, se di sangue o di fiamme non bastava a distinguere; ma se sangue, non sempre il sangue di Abele grida vendetta al cospetto di Dio, e se fiamme, traverso al fuoco si salvarono parecchi, e senza miracolo. Al padre Migali sembrava toccare il cielo col dito, e siccome nella mente pertinace del Gesuita non ci ha superba altezza a cui non presuma giungere, e travagliando irrequieto non giunga, mulinava in cuor suo diventare confessore di Sisto decrepito, e allora che non avrebbe ardito o potuto egli, maneggiando a sua posta una volontà di ferro accompagnata da una mente fatta per decrepitezza imbecille? Arridevano al marchese Silla l'accerto di commettere nuovi debiti, e con essi insanire nelle lascivie, prurigine inciprignita dalla vanità e dallaimpotenza senile; anco nella Siberia del cervello del Marchesino così di scancio era penetrato un barlume di compiacimento; a modo suo però e a mille miglia lontano dai presagi materni, imperciocchè mentre il cuore di donna Clelia esultava nella speranza di contemplare il suo portato capitano di gente eletta, magistrato supremo e gonfaloniere della Chiesa, più modesto il Marchesino tripudia nell'estasi di lavorare una girandola grande come quella di San Pietro, di sonare le campane a doppio, di servire la messa, ed anco, — gaudio ineffabile! — egli medesimo cantarla.— Donna Clelia poi era fuori di sè; aveva gittato via la mantiglia, il collare, e per poco non ispogliava la veste e le gonnelle; soffiava, smaniava, non poteva quietare nella medesima posizione un momento; si asciugava il sudore; insomma un qualche Dio o un qualche Diavolo l'agitavano a modo di Pitia. Di un tratto agguantato di forza il braccio del marchese Silla, di qua e di là lo sbatacchia; poi fermatasi in secco con atteggiamento tragico esclama:— Vincemmo!— Chi abbiamo vinto? domanda il Marchese.— Mirate, noi li calchiamo sotto i piedi.— Clelia, sotto i nostri piedi io non ci vedo che mattoni, e più i rotti che i sani....— Noi ci abbiamo i Massimi... Ah! l'ho sgarata alla fine;... non sentite, Silla, la contentezza ineffabile di pestare una volta chi ci tenne tanto tempo sotto i piedi?— Ma io non mi sono sentito pestare da alcuno... anzi con Fabio Massimi c'incontriamo spesso in geniali ritrovi, e con Gabriello talora giochiamo al lanzichenecco.— Già per voi tutte le gioie, tutti gli affanni a me. A me vedermi comparire dinanzi, ogni volta io vado a messa, la odiata marchesa Lucrezia (e pare lo faccia a posta e lo fa di certo), e porgermi l'acqua santa con tale un sussiego, che se non fosse la reverenza del luogo sacro, la schiafferei, e con tale un sorriso che mi taglia la carne sottile come un vetro. A me sentirmi accanto, a piè dello altaresotto la Madonna del Carmine, cotesta superba femmina intonare ilTantum ergocon voce squillante dove si sente chiara la iattanza: lapatrona della cappella sono io! Tanto e tanto ho pregato, che la beata Vergine del Rosario mi ha esaudito..... una volta nella vita godrò di mirarti umiliata..... abbasserai una volta gli occhi davanti a me..... orgogliosa..... superba....— Ma Clelia, non vi scarmanate; la marchesa Lucrezia tanto non è qui, e non vi può ascoltare...— Va, Silla di gesso, prorompe la marchesa Clelia, e datagli una strappata, scaraventa il povero Marchese lontano da sè, e poi gli muove con la mano aperta incontro un passo: — voi avete rubato tutto quanto vi trovate addosso; avete rubato l'acqua del santo battesimo perchè siete il peggior cristiano che io conosca... — Il Marchese dava indietro un passo, e la Marchesa ne spingeva un altro gridando sempre: — voi avete rubato il titolo di Marchese, perchè un da poco pari a voi non visse mai al mondo. — Qui il Marchese un secondo passo indietro, e laMarchesa un secondo passo avanti urlando tuttavia: — avete rubato il sangue perchè non vi si squaglia all'ira, allo sdegno, all'odio, al disprezzo. —Il povero marchese Silla, cacciato di passo in passo, si era ridotto in un canto, e colà pari al cervo inseguito, piegava il capo dandosi per vinto; nè qui si arresterebbero i punti di paragone tra il nobile marito e il cervo anch'egli bestia nobile; al maggiore bisogno, mentre sgomento volge attorno lo sguardo mira prossimo un uscio aperto, e reputandolo grazia di Dio si rannicchia, si fa piccino, e rasentando lungo la parete sguscia dalla porta susurrando:— Che demonio di moglie! —Nel punto stesso donna Clelia esclamava:— Che imbecille di marito! —E avevano ragione tutti e due.Quanto a Tuda non aveva ella dichiarato essere contenta? O almanco repugnanza suprema non oppose ella? E tanto bastava, anzi anche meno, conciossiachè, già lo notammo, le donne contassero nulla allora e poco adesso; nè a torto. Le donnecontrattavansi, e tuttavia contrattansi come giovenche in fiera; conchiuso il negozio il venditore mette la cavezza in mano al compratore, il quale te la mena al presepio o al macello, senza rimedio di vizii redibitori. Ch'è la donna ond'abbia a consultarsi? Ella è la compagna alla vita dell'uomo, parte dei suoi dolori e delle sue gioie, madre dei suoi figliuoli, corona o vituperio della famiglia, contentezza o disperazione, angiolo o demonio; un nonnulla, vedete, ch'è proprio inutile consultare. I matrimoni fatti senza amore duravano senza fedeltà, o si troncavano con morte sanguinosa; non sempre, ma ora qui ora là, a spizzico, e quasi mai per rovello di amore tradito, o per ferocia di gelosia; le più volte per puntiglio o per nobilea offesa, sicchè ad armare la mano del marito più ardenti i fratelli o i prossimi congiunti delle mogli infedeli. Dei tempi che descrivo esempi infelicemente illustri Isabella Orsina, Eleonora di Toledo, e la meno nota Violante Garlonica[12].Ecco com'era Tuda contenta.Fiduciosa nella Provvidenza ella la chiamòin suo soccorso, sicura che le avrebbe risposto pronta e fedele quasi un'eco; ma dal cielo non mosse consiglio, nè angiolo; durante il giorno il sole continuò ad irradiare immoto le vite e le morti, le colpe molte e le virtù poche dei figliuoli degli uomini, nella notte le stelle e la luna non si rimasero da ridere un riso di demenza sopra le miserie della umanità: Tuda stette sbigottita; in breve sentì arruffarlesi lo intelletto e il cuore: per ultimo proruppe. Terribili sono le procelle delle anime che non provarono mai la sventura, appunto come nei climi fortunati l'uragano imperversa con violenza suprema. Guai al naviglio che incontra su i mari! Dopo averlo travolto sopra la superficie delle acque a modo di spuma, come spuma lo disperde, anime e corpi. Le immense foreste spariscono, e piante secolari e tronchi vanno in volta peggio che foglie, il male è sempre ministrato alla stregua del bene; avventurosi i miseri!Perchè la fronte di Niobe commuove così profondo il tuo cuore? Certo cotesta curva è divina, ma altri simulacri la possiedonostupenda più di lei: ella ti commuove perchè sublime di accusa e di minaccia contro la Forza onnipossente, davanti la quale uomini di bronzo piegano pari ai giunchi. La fronte di Tuda così soave si volta in arco, che la Natura dopo averla piegata con le sue proprie mani, sembrava che contenta della opera vi avesse impresso un bacio, stella di gaiezza divina: adesso l'astro era impallidito; ombre succedevano ad ombre quasi nuvole traverso il disco della luna; e gli occhi suoi ella appuntava pugnaci contro il cielo, nel modo stesso che gli Sciti ci vibravano gli strali. Abbandonato il bel corpo, genuflessa, con le braccia pendenti e le mani intrecciate agitava pensieri turbinosi e molesti; tuttavia non definiti; di un tratto cantando con celere curva un uccello traversa e passa via; allora ella pensò allo arcano potente che dà all'uccello il volo, il canto, la libertà dello spazio e lo studio del nido, e al cacciatore il piombo che gli tronca a un punto il volo, il canto e il dolce amore del nido; e pensò eziandio alla vita non supplicata da lei, e concessa insiemea tanta dote di giocondità con la insidia di fargliela scontare più amara; le parvero, come sono, fisime di sacerdoti parabolani, la pazienza figlia dello impossibile convincimento, che quanto la Provvidenza manda è ordinato a fine di bene; imperciocchè onde avviene che ciò non si rimanga chiarito? E se il sacerdote contrappone essere lo umano intelletto imbecille, e senza presumere troppo, doversi stare contento alquia, ella rispondeva in cuor suo: e perchè non dilatava il Creatore il mio spirito? Egli tagliava dalla pezza onde nessuno gli reggeva le mani per tenersi al largo. Da capo il prete la tambussava con parole inani: vuolci fede. E fede sia, rispondeva ella; dove la si compera? Non si vende, nè si compra la fede. Dove dimora ella perchè mi vi possa condurre in pellegrinaggio? Alberga in alto, allato a Dio, nè con piè mortale si viaggia laggiù. Ma almeno dite con quali opere, con quali supplicazioni si acquista? Non valgono opere nè preghiere, è grazia gratis data che scende dal cielo sopra cui lo aspetta meno, e sopra cui menola merita. Dio vi confonda, parabolani, che vi attentate ridurre a scienza l'assurdo. Quando cesserete, o nefari, giocare co' cervelli umani come se fossero aliossi. — E del vaneggiare lungo la conclusione era: meglio morire; l'anima mia è un atomo, però di diamante, che nè anco la macina del fato vale a stritolare; aperta alla vita una porta, alla morte infinite; in questo, e in questo solo veramente misericordioso Dio. —Di siffatti pensieri parte uscì dalle labbra di Tuda vestita di parole, altra no; questi che succedono ella favellava con voce piena d'inestimabile amarezza:— Maria; il sole arrivato a mezzogiorno da ogni lato ci avvampa co' suoi raggi, è tempo partirci di sotto agli arbori che non danno più ombra; la sorgente qui non manda più stilla, nel pozzo vuoto tu cali la secchia invano, vieni, portiamo altrove le nostre tende. —E Maria, che fin lì troppo diversa dagl'importuni amici di Giobbe aveva tentato consolare Tuda col pio silenzio e l'aspetto benigno, rispondeva:— Tuda di poca fede, perchè hai dubitato?— Non dubito, bensì provo; fino a ieri tenuta cara quasi pupilla degli occhi, oggi con vicenda brutale mi si fa manifesto, come l'amor materno non proceda meco disforme all'amore del villano pel ciacco; lo ingrassa per ammazzarlo; custodita dianzi come una gioia ora buttata là per giunta, ad aggiustare la misura, a pareggiare la soma all'asino...— Qualche santo aiuterà...— Quando la madre ti abbandona, qual santo vuoi che pigli cura della povera figliuola? Ieri tutto si pesava alla bilancia dei diamanti, ogni cosa si speculava traverso la lente, oggi la propria utilità ha murato gli occhi e impietrito il cuore; l'odiato Pelliccioni non si può nascondere per quanto si affatichi; come il lume della lanterna del ladro, comunque chiuso, vibra un raggio obliquamente sinistro; che importa questo? Il mostro acquistò potenza di nocere e tanto basterebbe per gittargli nelle mascelle il pasto che chiede; ma il mostro, oltre la potenzadi nocere, possiede quella di giovare.... quale uomo, qual donna gli negherà il miglior sangue, il più puro, a patto che non sia il loro? — Maria, tu conosci meglio di me la virtù delle erbe: domani fa con qualche pretesto di tornare a casa, la campagna va ingombra di aconito... se sempre sia stato così, ignoro; ma adesso per la campagna romana l'aconito cresce spontaneo e rigoglioso, il frumento va seminato; noi ne caveremo il liquore che concilia il sonno donde l'uomo si risveglia in grembo alla eternità.— Tuda, riprese Maria, tu offendi il Signore mentre egli già t'inviava il soccorso che deve consolare le tue tribolazioni.— E dov'è questo soccorso?— Qui, in questa stanza, accanto a te.— Ma dove? dove?— Nel cuore della tua sorella; noi abbiamo bevuto la vita alla medesima sorgente, le nostre braccia strinsero insieme il medesimo collo, le nostre mani si cercavano sul medesimo seno; ora il seno della madre non vale quanto un altareper giurarci amicizia? Siamo due nella carne, una nello spirito: io ti salverò. —E con parlare succinto le aperse l'animo suo; Tuda procurasse tirare le nozze per le lunghe; cause oneste occorrerne più di venti; ad ogni modo pria mancherebbero alla primavera fiori, che a femmina pretesti, ella intanto s'industrierebbe acconciarsi in casa al Cavaliere, dove spiando sottilmente confidava venire a capo di qualche cosa capace a sturbare il negozio. Non difficile il compimento del disegno, imperciocchè la natura le avesse dato forme più atte a garzone, che a donzella, essendo robusta molto, di colore ulivigno, capello ruvido, e nelle sembianze adombrata di calugine: aggiungi certi bucherellamenti di vaiolo, i quali certo non le aveva condotto sul viso la mano delle grazie.Mandarono pertanto le baldanzose giovani un famiglio in ghetto per Nataniele giudeo, che venne guardingo come la volpe, la quale cammina adagio con una zampa levata, e il muso di traverso, punta dall'agonia della rapina e dalla paura della insidia; gli commisero portasse vesti civilida abbigliare di tutto punto Maria in condizione di villano, ma subito. L'ebreo cominciò da mettere innanzi un monte di difficoltà; temeva esporsi a qualche fiero sbaraglio, gli confidassero a quale fine volessero adoperare cotesto travestimento, lo avrebbe tenuto in sè, non fatto trapelare a persona; non ci pensassero nè meno. Maria troncò i fastidiosi sciolemi: se non voleva fornire le vesti, se ne andasse, nè ciarpe, nè ebrei mancavano a Roma; solo si pentiva non avere scelto Mordokai come lui ladro, ma meno sazievole di lui. Allora Nataniele buttati da parte gli arzigogoli si proferse prontissimo a soddisfarla, e Maria di riscontro: aspetterebbe un'ora; quella trascorsa manderebbe per Mordokai; non ne passò mezza che il giudeo tornò con vesti che facevano pietà, più toppe che panno, e più rammendi che toppe; cominciò a lodare. Maria a cui premeva che le fossero a quel modo misere, gli pose in mano sei scudi e gli accennò la porta perchè uscisse. Il primo moto di Nataniele a contemplare sei scudi sbraciati là senza mercanteggiare per tal roba, che non nevaleva mezzo, fu di maraviglia; quasi gli vennero le traveggole agli occhi; ma in meno che non balena, lo istinto ebreo ripigliò il sopravvento, e lamentò i tempi tristi, il guadagno scarso, i grossi balzelli, e via via; sei scudi non pagargli nè manco un bottone; le gentili donzelle mostrarsi poco sperte del pregio delle cose. Maria uggita dalla impronta ingordigia di costui lo abbracciò pel petto esclamando:— Esci giudeo dalla sala, se non vuoi ch'io ti scaraventi giù dalla finestra. —E l'ebreo uscì fregandosi le mani, giubilando in cuore suo per avere di un tratto ficcato nel terreno morbido la vanga, e tuttavia rabbioso di non averci potuto piantare anco il manico; allora gli ebrei così, oggi gli affermano mutati, e sarà; però non tutti nè da per tutto. Pretensionosi si manifestano, e molto, sicchè riescono fastidievoli e molesti; per poco che tu li tocchi levano rumore come se gli scorticassi; e si gettano a pancia all'aria facendo il morto: qual carità perseguitare i perseguitati? Oh! ormai corre il secolo che vi proviamo persecutori. Per me conoscoun luogo, dove la più parte degli ebrei, della libertà loro concessa si è fatta arme per ferire cui volle salutarli fratelli, e la ingratitudine si posero sul petto come i sacerdoti loro ci mettevano l'efod; Amaleciti e Amorrei perpetuamente i popoli in mezzo ai quali essi vivono a guisa dei tarli; e tutti noi estimano Egiziani per applicarci quel detestabile loro aforismo:il ladro che ruba al ladro non commette peccato. La pecunia risucchiata agli ospiti essi hanno profferta a tutte le tirannidi per saldare gli anelli della catena dei popoli; sarebbe vano negarlo, l'oro dei Rothscildi nocque alla umanità più che il ferro dell'Austria; anzi questo non sarebbe stato se quello non era. Guai alla città dove il giudeo prevale! In breve diventa una biscazza, dove la gente giuocando nabissa sostanza, morale e dignità umana; dinanzi ai macelli della avarizia, tu miri pendere dal gancio della mezza lira di ribasso, o di rialzo del debito pubblico i quarti sanguinosi della Patria e della Libertà. Per me, la Dio grazia, nè aborro, nè lodo chi preferisce tagliarsi il prepuzio a rovesciarsiacqua sul capo; solo parmi la prima pratica così dolorosa come barbara, e le religioni considero livree più o meno barocche con le quali gli uomini universi servono un medesimo padrone; però non posso astenermi da considerare che il mosaismo al pari dello islamismo aduggino a mo' di selva selvaggia dove la filosofia non pota mai il morto, il troppo, e il vano, onde si faccia strada un raggio di umanità. Fratelli hanno da essere i giudei, e sono, ma innanzi di accettarli liberamente nel consorzio di cittadini italiani, vuolsi avvertire che per loro Patria veramente si reputi la Italia, e la Libertà amino come retaggio di tutti; assumano sensi di fratellanza dignitosa e verace; si purghino insomma della lebbra, che portarono di Palestina, e non per anco uscita loro dal sangue. Qui poi non si contrappongano i singoli casi, chè le eccezioni non ismentiscono la regola, e presso i maggiorenti ebrei, i pochi nati fra loro di mano prodi, o studiosi della buona filosofia si hanno in conto di folli o di empi. Nei luoghi pubblici vostri, sopra le pareti dei sinedrii,nei soffitti delle case private ho letto, ed ho veduto sempre memorie o segni di abiezione servile, non mai, non mai segno o memoria di Libertà.— Sul fare della notte Anacleto, che fu uno dei pallafrenieri del Pelliccioni, andando alla scuderia per dare una occhiata ai cavalli vide qualche cosa stesa sopra il muricciolo accanto al portone, che mettendogli addosso un po' di sospetto lo persuase a procedere guardingo; distinguendo poi una forma umana, e parendogli che si movesse, domandò con voce burbera:— Chi è là? —Gli fu risposto blando:— Sono un povero garzone venuto da Frascati per accomodarmi al servizio di qualche famiglia, ma fino da stamani giro, e nessuno mi vuole: ho fame, ho sonno e poichè la Provvidenza mi ha messo davanti questo poggiolo di pietra, mi ci sono sdraiato per riposarmi; alla fame la Provvidenza penserà più tardi.— E che cosa saresti buono a fare ne'? Un cavallo sapresti governarlo?— Magari! Anco due. —L'uomo non è mai tutto buono, e nè manco tutto cattivo, e questo notò troppo più saputo maestro, che non sono io; e poi si aggiungeva il vanto, forse sincero, di sentirlo adatto a governare cavalli: per la quale cosa Anacleto un po' raddolcito soggiunse:— Veramente la Provvidenza nello sbracciarti un letto di pietra non ha peccato di prodigalità; vieni dentro alla scuderia, domani ti proverò, e se ti troverai al caso ti terrò meco: per ora il padrone ha troppe faccende pel capo, nè mi darebbe retta; intanto ti accomoderò nel fienile; non essere avaro di farti mangiare quotidianamente i materassi dalle bestie, perchè ti saranno rinnovati al più lungo il giorno dopo, e per una notte il legno proverai meno duro della pietra: quanto alle lenzuola se terrai le imposte della finestra aperte, te le somministrerà la luna e sempre di bucato senza una tecca. Circa a pane per istasera non mi obbligo a nulla: domani ne avrai.ma tanto a farne a meno tu ci eri accomodato: per acqua ci è il pozzo, e ci sono le secchie. Il partito potrebbe essere più largo, ma così com'è a questa ora bruciata non mi sembra che lo avresti a disprezzare.— Anzi gli è grazia vostra, ed io mi butto nelle vostre braccia. —Queste parole disposero sempre meglio Anacleto, il quale aperta la scuderia, c'intromise il garzone, e parendogli che mal si reggesse in piedi lo interrogò:— Come ti chiami?— Mario.— Or be' Mario, va su per questa scala nel fienile e dormi; se stasera mi occorrerà di tornare vedrò di portarti da cena.— Dio ve ne renderà merito. —Salì la scala, e gittatosi giù di sfascio sul fieno, in un bacchio baleno il garzone prese a russare come ghiro; il che udendo Anacleto ebbe a dire:— A sonno panca, e a fame pane....Acceso il lampione governò i cavalli, empì la mangiatoia di strame, stese le paglie perchè giacessero ad agio, e questefaccende conducendo, ora cantava, ed ora favellava co' cavalli, i quali non si rimanevano punto indietro dal rispondergli con tale inflessione di voce, e con discorso per modo lungo diversamente da far credere che essi intendessero, e che da lui fossero intesi.Giusto nel punto in che Anacleto buttava in un canto la forca, si tira giù le maniche della camicia esclamando:— Anco questa è fatta, disse quegli che cacciò in forno la moglie! —Ecco presentarsi sopra la soglia un uomo male in arnese, che si pone a gridare:— Ci ha persona qua dentro? O quell'uomo costà, date retta....— Io me la intendo con chi cammina con quattro gambe, ed anco li tratto con la forca.....— Io non vo' sapere altro se qui sta di casa un Pelliccione, un Pelliccioni..... insomma un pezzo grosso, checircum circasi ha da chiamare così?— E che negozi potete avere voi col cavaliere Pelliccioni...— Io? Dacchè lo detti a balia sentiinominarlo oggi.... mi hanno consegnato una lettera per portargli.— E chi ve la consegnava, e dove?— Ecco, io ve lo dico in quattro battute; voi avete a sapere, ch'io pesco anguille, e tinche se ne capita nello stagno di Nettuno; ora, state attento, andando alla pesca per iscorciare la via rasentai una casa dove corre voce, che ci si facciano sentire diavoli e dannati; però pensate se la gente tira alla larga: se io ci creda o no non vi starò a dire; questo è sicuro ch'io allungava il passo; quando me lo aspetto meno mi parve, che mi chiamassero, non ci badai, e presi a correre; ma la voce da capo, e come chi prega: — fermatevi per amore di Dio. — Gli era chiaro che il Diavolo non poteva pregare per amore di Dio, volsi il capo indietro e non vidi nulla, lo sollevai e mi apparve alla finestra una gentildonna bella quasimente quanto il sole, o giù di lì. Ella mi accennò con la mano mi accostassi, ed io mi feci sotto alla finestra; quivi spendolandosi ella mi disse con voce sommessa: — uomo dabbene (si sa, quando i signorihanno bisogno di noi, siamo tutti uomini dabbene, fatta la festa si leva l'alloro e diventiamo una manica di vassallacci) — dunque, uomo dabbene, per quanto amore portate alla Beatissima Vergine usatemi la carità di pigliare subito la via di Roma; costà cercate del palazzo del cavaliere Pelliccioni, e trovato che lo abbiate, consegnerete proprio nelle mani del cavaliere la lettera, che vi calerò giù con un filo.... non pensate a male, che il cavaliere è mio marito... e per la vostra fatica vi darò uno scudo; se non basta, due.... — Oh! risposi io, di uno scudo ce n'è anco troppo; giù la lettera, e lasciatevi servire. — La signora prima buttò gli scudi, poi la lettera, ed io postami la via fra le gambe, sono venuto a Roma.— Ma le reti riportaste a casa? Diceste alla moglie, che venivate a Roma? Rammentaste il cavaliere Pelliccioni?— Non tornai: tanto Nunziata non mi aspetta a casa stanotte, e il tempo mi basta per ritrovarmi domani sul far del giorno a Nettuno; le reti appiattai nel canneto....— E qui a Roma diceste a persona, che portavate al cavaliere Pelliccioni lettere di sua moglie?— Io? No; domandai a parecchi del suo palazzo, e m'indicarono qui.— E v'indicarono bene, venite; il cavaliere sarà in casa, o tarderà poco a tornare, e anco da lui voi avrete la mancia che meritate.— Faremo a mezzo.— No davvero, la dev'essere tutta per voi....Mario, che il lettore ormai ha compreso essere Maria, non aveva mai dormito: all'opposto spillando con le orecchie tese, e con le mani curve intorno a quelle raccogliendo ogni filo di voce udì senza perdere sillaba lo strano messaggio: le parve averne saputo anco di soverchio, sicchè appena Anacleto e l'altro si furono allontanati, scese cauta tentando svignarsela, ma rinvenne chiusa la porta, e fu sventura: onde tornò ad acquattarsi mulinando nella mente mille fantasie una più terribile dell'altra.Mentre così smaniava ecco un rumore soffocato percoterla, indistinto e pure pauroso come di persone che contendano in lotta disperata, nè sapeva distinguere se movesse da qualche sotterraneo, ovvero dalla stanza contigua divisa dal fienile mediante il muro maestro: le parve udire, e sentì certo un grido; subito dopo silenzio; animosa ella era molto, e nondimanco prese a battere i denti per ribrezzo: la fronte le si bagnò di freddo sudore.Dopo qualche ora di agonía udì aprire con precauzione la porta della stalla, e dalla nota voce riconobbe Anacleto, il quale di giù in fondo alla scala cominciò a chiamare:— Mario! Mario! —Ed ella si astenne da rispondere: per converso finse russare, se non che l'altro replicava la chiamata ingrossando la voce, e inframettendovi qualche bestemmia; allora ella rispose come chi per forza è desto, e tuttora sonnacchioso sbadiglia:— Chi mi chiama? Che volete?— Vieni giù... Dunque sei veramente al caso di sellare un cavallo?— Ma sì... ma sì....— Bada veh! Che se m'inganni ti stacco il capo come una ciliegia. Sellami dunque, e metti la briglia al Moro; tienlo pronto legato al colonnino; guarda ch'è intero ed in ardenza perchè si accosta maggio; là nell'armadio gli arnesi, fa presto e bene; in meno di un credo torno.E se ne andò. Maria si accostò al cavallo, e bene le valsero l'avvertimento di Anacleto, e la propria previdenza, imperciocchè il cavallo o per malignità propria, o impermalito per la nuova persona, o per quale altra causa, s'ingegnasse percoterla sferrando calci di traverso o morderla alla spalla; un po' con le buone, e molto con le acerbe ne venne a capo la valorosa donzella, così che lo trasse bardato fuori dalla posta e lo legò alla campanella del colonnino; ma quantunque e' si mostrasse meno tristo, pure non rifiniva mai di agitarsi trapassando con moto irrequieto ora da destra ed ora da sinistra, zappavadel piè il selciato, e annitriva potentemente; nella parte più remota della stalla non meno smaniosa una cavalla inuzzoliva, e co' nitriti rispondeva. Ciò avendo notato Maria si mise il dito su la fronte, e pensò alquanto, poi come risoluta si appressa alla cavalla, e in meno che non balena anco quellaarnesa[13]; ciò fatto si reca alla porta, e ferma sopra la sogliaspecola di qua e di là; parendole sicuro il luogo, si attenta uscirne per esaminare meglio i dintorni; nè andò guari che le occorsero le macerie di certa casetta in ruina; erano il caso suo; tornando poi indietro, mentre leva gli occhi ormai ausati a scorgere tra le mezze tenebre delle notti d'Italia incontra la carrucola appesa al braccio di ferro sul finestrone del fienile; tratta fuori la cavalla la nascose dietro le macerie, e dopo averla assicurata bene con la cavezza le legò intorno al collo (insinuandoci dentro il muso di quella) un sacco con la biada: certo non per questo ella allontanava il pericolo, che in mal punto annitrendo venisse a scoprire la trama; ma adesso buttarsi in balia della fortuna era prudenza; inoltre risalita presto la scala si mise in cerca, sovvenuta dalla luce del lampione, della fune da tirare su i fasci del fieno e tosto l'ebbe trovata; ne fece gomitolo, e la nascose in parte dove poterla facilmente rinvenire anco al buio: tutto questo compito s'inginocchiò levando le mani giunte, e gli occhi al cielo in atto di tale profonda supplicazione da spalancarele porte del paradiso, fossero pure di bronzo: certo se non si esaudiscono lassù siffatte preghiere surte da cuore così generoso, a fine sì retto, e con tanta speranza, sarebbe tempo perso per noi altri continuare le nostre.Anacleto tornò affannoso come chi teme avere tardato: esaminava il morso, la briglia, e le staffe al cavallo; trovando le cinghie un po' lente le stringeva in fretta; poi lo trasse fuori; spegnendo il lume, confortò Maria a ricoricarsi; e dato un paio di giri alla chiave si allontanò fischiando.Maria lascia scorrere un quarto d'ora, forse anco meno, chè la impazienza le faceva parere il minuto un secolo: indi apre risoluta le imposte del finestrone del fienile; spendolandosi, agguantata al braccio di ferro introduce la fune nella carrucola lasciandola pendere da due parti; circonda le mani di cenci e di pelli di cui trova copia nella scuderia, e poi adagio adagio ora reggendosi da manca, e lasciandosi ire a destra, ed ora aggrappandosi a destra ed ammollando a mancina arriva senza una scorticatura giù in terra; di sbalzodietro alle macerie, di un lampo alla cavezza sostituisce la briglia, di un salto inforca la cavalla, e via.Guardavansi allora, come si custodiscono adesso, le porte di Roma, anzi con diligenza maggiore; nè alla Maria sarebbe riuscito passarle se non le venivano in aiuto la fortuna e l'audacia; però che avendo ella notato tra i gabellieri e i soldati qualche po' di agitazione, la quale stenta a quietarsi allorchè seguita uno scompiglio inopinato e improvviso, s'inoltra franca e dice:— Apritemi tosto, che ho da raggiungere il mio signore cavaliere Pelliccioni. —E si appose con felice astuzia, essendosi per lo appunto poco innanzi presentato il cavaliere Pelliccioni, al quale ebbero aperto le porte senza più che un suo semplice invito, correndo voce per tutta Roma come godesse il favore del Papa, e il Cardinal nepote lo estimasse assai: ma egli mostrò un lascia passare amplissimo per sè e per i suoi familiari, sicchè se gliele spalancassero con un diluvio d'inchini non è da dirsi. Anco sopraMaria scese il credito del Pelliccioni; e gli onesti gabellieri si recarono a scrupolo di trattenerla pure un momento da raggiungere il padrone. Uscita alla campagna Maria ignorava il cammino; peggio anco di questo dubitando seguire troppo da lontano, o troppo accosto al Pelliccioni, si peritava a sostare come a soffermarsi: a cavarla d'impaccio valse il nitrito del cavallo di Paolo, a cui subito tenne dietro quello della giumenta; e per questo modo argomentando la distanza giudicò poterlo seguitare, senza dargli sospetto, a mezzo trotto. Paolo però, sperto della via e premuroso di arrivare, cacciava a briglia sciolta il cavallo, onde Maria ne smarrì la traccia. Giunta al luogo, che reputò essere Nettuno, da per tutto silenzio e tenebre: quale la casa dove colui si fosse chiuso ignorava, e l'avesse saputo, rinvenirla notte tempo non che malagevole impossibile: ella vagava qua e là per la campagna mordendosi le labbra. All'improvviso vide da lontano tremolare un lume, e si avviò da cotesto lato, ma dopo molto cammino conobbe partirsida una casa rustica; prese ad aggirarsi per altra parte, senonchè volta e rivolta si trovò là, donde prima si era partita o le parve; sfidata ormai di avere fatto i passi invano si pose per un sentiero nel proponimento di riaccostarsi bel bello a Roma; ma anco qui fece fallo che dallo affondare delle zampe della giumenta si accorse essersi impegnata sopra un terreno pantanoso; scendendo dubitava non potere risalire, inoltrandosi temeva sprofondare con la cavalla in qualche fitta: per la meno trista deliberò rifare i passi, ma nè anco questo le riusciva agevole, sicchè parendole dopo scorso qualche tratto trovarsi sul sodo smontò dandosi pace, ferma di aspettare all'alba per uscire di pelago.Ma se non riesce a Maria trovare la casa di Paolo, e vedere quello che vi opera dentro, riesce a noi. Il Cavaliere, il quale possedeva le chiavi delle varie porte, da prima ripose il cavallo fumante per sudore nella stalla, poi s'intromise cauto nellacasa; girando gli occhi scorse lume in cucina, ed avviatosi costà rinvenne Renzo, che dormiva chinato il capo su le braccia dinanzi ad una tavola: lo percosse sopra la spalla e quegli desto allo improvviso mise un grido, guardando con occhi strabuzzati la figura comparsagli. Paolo posto il dito su la bocca gli ordinò tacere:— Sono io, che temi poltrone?— Ah! mi sognava in questo punto, che il Diavolo mi portava via.— Quello che si differisce non si perde. La Marchesa dov'è?— Nella sua stanza.— Levati, e sta di guardia accanto alla porta; per rumori che tu ascolti non aprire, non andartene, non moverti. Guai a te se manchi! —Si mise su per le scale; la prima salì difilato; alla seconda prese a battergli violentemente il cuore, e gli parve strano: si trattenne per ricomporsi in capo al pianerottolo, dove cavato il pugnale se lo nascose nella manica: per ultimo entrò. Buia la prima camera, e la seconda; dal foro del serrame alla terza usciva un filo di luce;colà dentro la Violante: aperse piano, e sporto il capo vide la donna genuflessa davanti la immagine della Madonna dei sette dolori. O Madonna, quante mai le tue devote! E grandi, anzi ineffabili furono i tuoi dolori, e nondimanco per molte infelici a dura prova non parvero troppi.La povera Violante così stava allora sprofondata nella preghiera, che non intese aprire l'uscio; in quel punto era immobile da sembrare cosa inanimata, però porgevano testimonio della smania che l'aveva fieramente commossa le vesti scinte, ed il volume dei capelli nerissimi sciolti giù su le spalle e pel volto.Egli rimase fermo a mezza stanza con gli occhi chiusi e la mano stretta a pugno appoggiata alla fronte. Qualche demonio lo teneva certo per la catena al piede. Di tratto la Violante con un gran sospiro levò il capo, e forte squassandolo respinse i capelli dal volto su le spalle; aggiungendo poi a cotesto moto l'atto delle mani se gli spartisce meglio su la fronte, e se gli lega intorno alla nuca: magnifici capelli in verità!Mentre ella getta per la stanza lo sguardo obliquo, parle vedere, e, Vergine benedetta! vede certo il suo sposo, il desiderato cuore del cuor suo. Su ritta, con le braccia tese come se fossero ale gli si avventa addosso, nè potendo o volendo contenere la pienezza dello affetto lo abbraccia delirante, lo bacia pel volto, pei capelli, su gli occhi, e lo bagna di lacrime; egli, Paolo, sopraffatto non può astenersi di cingerla col manco braccio al collo, col destro (nella manica del quale teneva nascosto il coltello) alla vita; e la guardava fisso fisso con isguardi taglienti; frattanto il coltello, caso fosse, od intenzione, gli era scivolato nella mano, e la mano posava sotto la sinistra spalla di lei, là dove sentiamo pulsare il cuore più forte che dal seno. Nè il peggiore dei Demoni, no quanto è vero Dio, nè il peggiore dei Demoni gli susurrava nell'orecchio: — su, spingi forte e improvviso; troncale a un tratto l'affanno e la vita: ti pigli carità della desolata! —Ma non potè, egli se l'aspettava con la ingiuria su le labbra, il furore negli occhi; aveva fatto capitale su i rimproveri,su le accuse, sopra le minaccie per infiammarsi il sangue, e inferocire: — anco se l'avesse trovata in balía del sonno... inerte... dal sonno alla morte così lieve è il passo, che non gli sarebbe parso difficile con un po' di urto sospingervela... ma adesso così umile, così fiduciosa, così ardente di amore sviscerato... tutto ciò gli rompeva i disegni, sicchè da prima sentì sorgersi nella mente un contrasto non mai a quel modo provato, un'uggia, e da sezzo uno sfinimento ch'ebbe bisogno di appoggiarsi forte alla donna per non istramazzare; di subito si sciolse, e traballando verso la porta l'aperse e gridò:— Renzo! Presto, portami vino... presto Renzo!!! Renzo! —E Renzo smemorato portò il fiasco senza bicchiere; ma Paolo non ci attese; abbracciatolo con ambe le mani bevve com'uomo cui martorii l'agonia della sete; lo restituì a mezzo scemo, e del cenno accommiatò il famiglio. La Violante in silenzio si assettava sul lettuccio aspettandovi Paolo, che prese agitato a passeggiare su e giù per la stanza: la coscienzagli dava noia come un dente guasto; nulla però di scomposto appariva in cotesti moti: anzi le belle membra e il portamento egregio venivano ad acquistare risalto, sicchè la Violante ammirando si compiaceva nel suo segreto di sì formoso marito: dalla sciolta andatura, dal maestoso incesso, dalle narici tremanti, dai capelli ventilati, dal guardo di fiamma, dal volto acceso nel vermiglio florido della giovanezza avresti detto che lo invasasse un Dio. Che maraviglia pertanto se il cuore della donna innamorata traboccasse di contentezza pigliando la via degli occhi e della bocca per isboglientirsi ad un punto con lacrime e sospiri? Ah! nel suo intelletto di cattolica Violante pensava — mi pare l'Arcangiolo Michele — il campione del paradiso.Di repente Paolo sta crollando il capo, quasi dopo lunga ambage avesse deliberato il da farsi; e dice:— Voi mi avete desiderato?— Io? Io ti desidero sempre. Vinta dalla impazienza ti ho spedito un messo.— Qual messo? Io non lo vidi.— Come! Non ti fu consegnata una lettera?— Non so di lettera. Non avevate promesso aspettare? E chi spediste voi? Perchè non venne Renzo?— Ricusò obbedirmi: mi contese uscire.— E non prometteste voi di rimanervi in casa? Sopra la soglia, custode dell'obbligo vostro, non avevate posto la data fede?— È vero... ma e tu perchè ci mettesti il carceriere?— Egli è chiarito a prova, che non poteva starmi sicuro della vostra fede.— Perdona... oh! perdona. Se tu provassi... se tu immaginassi una minima parte dello spasimo di donna che sa l'amore suo esposto a pericoli mortali, e sente ogni minuto, ogni attimo fitto ed acuto entrarle nel cuore tormentandolo con l'ansietà, con la paura, con infinite immaginazioni e tutte spaventose, tu non mi rampogneresti. A voi altri uomini la presenza del pericolo accende il sangue e ne scema l'apprensione; la lontananza a noi povere donne lo agghiaccia gittandoci in predaalla truce fantasia: perchè... vedi... Paolo, non te ne insuperbire... io immensamente ti amo.— Voi mi amate?— Forse non lo sai quanto me, ed anco più di me?— Certo, certo voi mi amate, e molto... come il pirata la fusta con la quale va in corso... come l'avaro il suo tesoro... o se volete meglio come la donna ama i pendenti ed i monili che valgono ad umiliare la disadorna rivale. — Non ci ha dubbio, io devo credere, io credo che mi amiate molto, imperciocchè voi in me unicamente amiate voi stessa.— Paolo mio... che hai? Perchè mi ti mostri così acerbo? L'ultima volta che io ti vidi ti provai diverso. Se io ti avessi amato meno mi troverei ora qui? Tu sai qual fossi... Dio mi guardi da rinfacciartelo... oh! questo mai... solo lo ricordo per chiarirti, che a tutto quanto gli uomini costumano reputare beato sopra la terra io preferisco l'amore del mio Paolo.— Ed io, mirate, penso, che questo prodigio di amore lo deva....— A che, Paolo?— A un uscio chiuso.— Sicuro, l'uscio chiuso precipitò gli eventi, ma ormai l'affetto di te così mi si era radicato nell'anima, che nè uomo, nè Dio avrebbe potuto cavarmelo senza tirarsi dietro anco il cuore. Come siete strani voi altri... se una fanciulla incauta vi palesa la fiamma onde arde tutta, voi la stimate invereconda e per poco non la dite sfrontata; se poi s'ingegna nascondervela per pudore, e voi l'accusate d'insidia, d'ipocrisia, e peggio. L'ultimo passo della passione è la somma dei primi; e noi povere innamorate ci sentiamo padrone di non abbandonarci in balia dell'uomo che amiamo come chi si precipita da una torre intenda non percotere sul terreno. — Ma via, perchè con rammarichi intempestivi cresceremo le nuvole di un cielo, che ci si mostrava anco troppo procelloso fin qui? Teniamo, caro Paolo, il bene che unico dipende da noi, che veruno può rapirci se non lo buttiamo via da noi stessi, vo' dire quello di amarci sempre, e stringerci ogni giorno più nei santi affetti di moglie e di marito....— E questo per lo appunto è quello che ormai non può farsi....La Violante rimase impietrita; aperse la bocca, ma non seppe profferire parola, e nè manco ebbe più balía di richiuderla.— Ormai non può farsi — prosegue Paolo di foga avendo rotto il diaccio — la fortuna mi ha proceduto sempre nemica, e se la parola fortuna vi suona pagana, surrogatevi a vostra posta la provvidenza, ed anco addirittura Dio; sì sempre Dio mi ha travolto nelle acque della amarezza, e dopo avermi vie via per istrazio ripescato co' ganci, adesso mi dà il tuffo; che posso io contro la fortuna, la provvidenza, e Dio? A Napoli, voi lo sapete, non mi restava a fare moneta che l'anima; ma tante anime si danno al Diavolo gratis, ch'egli ai giorni nostri le rifiuterebbe anco per uno scudo la dozzina. Tornai a casa; e qui ho dato fondo ad ogni mio capitale... ed ai molti altri che avevano commesso alla mia fede amici e congiunti; nè basta: a rilevare dalle ruine le case paterne ho tolto a usura grossa quantità di pecunia dagli ebrei, ora finchè io erain voce di favorito dal Papa, costoro mi stavano lontano come i lupi spaventati dal fuoco; adesso che mi sanno uscito di grazia, come lupi a fuoco spento, mi si avventano alla vita per divorarmi. La sconoscenza è l'ottavo sacramento qui in Roma; la prestezza con la quale fu condotta la impresa dei banditi porge argomento a dichiararla vulgare; la pericolosa astuzia insidia da masnadiero..... cenere.... insomma, cenere.... non più uffici... non più promessa di farmi restituire i feudi di famiglia usurpati... la porta per cui si penetrava in camera al Papa scomparve; ed io ne cercherei invano la traccia nella parete di granito; l'anima mia nella angosciosa aspettativa se ne andrebbe tutta in limatura: nè basta tanto, che già mi appiccano addosso la ruggine del sospetto, e susurrano me complice un dì, oggi traditore dei banditi. Bisogna partire, anzi fuggire; non impunemente concede le si renda servizio Roma, mi ridurrò in Fiandra dove sotto oscuro nome mi colpirà morte oscura, ovvero in America per diventare pasto dei cannibali o della febbregialla.... vedete, Violante, voi non potete seguitarmi in questa nuova vita piena di miserie....— Ahimè trista! Sotto maligne stelle io venni al mondo. Certo molto per me mi duole, ma a cento doppi più per te; nè posso darti speranze che mancano a me: però la sventura non ci persuade a separarci; quando ne stringe insopportabile il sido troviamo refrigerio nello stringerci insieme: la mano di Dio ci preme abbastanza pesa sul capo, non l'aggraviamo da noi. Ti seguirò Paolo, mi toserò i capelli, orgoglio della mia giovinezza, piglierò vesti maschili, imparerò a governarti il cavallo... di un ragazzo ti farà pure mestieri? In America ormai non vi ha più luogo ai Cortez, nè ai Pizzarro, tuttavia nè manco vi è chiuso il campo a gesti onorati, nè costà patiremo difetto di amici ed altresì dello aiuto di parenti della mia famiglia... Paolo, se (e Dio nol voglia) ferito, chi ti medicherà più amoroso della tua Violante? Se infermo, chi ti veglierà? Chi ti porgerà da bere? Chi avrà cura della tua vita come la tua Violante, a cui,te morto, ogni causa di vivere vien meno? Paolo, è scritto: = quello che Dio ha congiunto l'uomo non separi. =— Senti, Violante, soggiunge Paolo guardandosi attorno, e poi accostatosi a lei con voce sommessa riprese: io te lo confesserò, e tu lo tacerai, perchè a tenerlo sepolto nel tuo seno ci trovi vantaggio quanto me..... il sospetto..... il sospetto non è mica vano....— Qual sospetto? Domandava la donna atterrita.— Non nacqui fango io: nè hanno potuto percotere su me come sopra una pietra; dente per dente, occhio per occhio, anco Dio costumava così; tutti contro me, io contro tutti: essi tinsero il dito loro nel mio sangue, ed io mi sono lavato le mani nel sangue di loro... io... io.... fui capo di banditi.... il furto, il sacrilegio, l'omicidio sonarono le ore del vivere mio.... se ho potuto sottrarre così a lungo questo capo alla mannaia, nasce dal credere che già e' me lo abbiano mozzo; me reputano da molto tempo morto.... la terra da molto tempo mi tiene, sotto nome di VenanzioTombesi. — Separati pertanto quanto puoi più quieta da me; torna a Napoli, e colà chiusa in qualche monastero prega dai santi l'oblio... se non puoi l'oblio, la pazienza,... e se per me allora sepolto vorrai arrisicare una preghiera... mi rimetto in te... ho inteso dire, che le orazioni quando non approfittano al trapassato, tornano accresciute dalla grazia di Dio a consolare chi le disse....La Violante da un pezzo si nascondeva la faccia con ambedue le mani, tra le dita delle quali si erano attortigliate alcune ciocche di capelli: ella rimase lungamente immota nel suo muto dolore, che o sdegnava o vinceva ogni via per cui si manifesta lo spasimo dell'anima umana: allorchè poi le rimosse, miserabile a dirsi! le ciocche dei capelli le si staccarono, a mo' della peluria del fiore di papavero, che al soffio lieve del fanciullo vola via; i nepitelli infiammati così colorivano le lacrime, che gli occhi pareva piangessero sangue; i muscoli contratti, come se un graffio le arroncigliasse il cervello, le avevano sconvolto la sembianza diventataquasi selvatica; tinti in cenere i contorni degli occhi, i solchi delle narici, le labbra. Nè la testa della Niobe, e nè anco quella della Madonna dellaPietàdi Michelangelo possono a gran pezza porgerti idea di cotesto volto doloroso.— Signore, cominciò la Violante con voce sommessa, io provo senza fine amaro il calice della mia passione, ma io me lo sono ministrato con le mie mani ed io lo beverò... intero. Al Cireneo non correva obbligo di sollevare la croce a Cristo, la moglie deve portare la croce del marito innocente o colpevole. Vergogna e dolore, io posso domarvi per ora come belve feroci, — quando avrò portato il refrigerio di posare sopra il mio seno, a quel capo abbrustolito d'infamia, quando avrò temperato con parole di speranza l'arsura di quel sangue febbrile pel terrore della morte vicina, quando avrò unito la mia prece all'ultima sua, affinchè la drizzi e la sorregga verso il cielo dove possa ottenere perdono dalla misericordia di Dio; quando tutto questo sarà compito, allora e solo allora, vergogna e dolore, io mi confessovostra, e più tosto mi sbranerete più l'avrò in grazia. Dio placato mi muterà in tanta gloria lassù quanto di obbrobrio mi toccò su la terra. Eroe o masnadiero, voi siete il mio marito, e quello che Dio ha congiunto l'uomo non separerà.Sotto il cranio di Paolo imperversa adesso una procella quale forse non travolse mai intelletto di demonio; credeva avere a rompere uno spago, sbarazzarsi di una bassetta attortaglisi intorno alle gambe, ed ora sentiva a prova tenerlo una catena, che ad ogni strettone gli si faceva più corta, e più pesa; sbuffava di collera, stralunava le pupille smarrite, le goccie grosse di sudore, che di tratto in tratto gli grondavano giù dalla fronte a pari delle grosse stille di pioggia precorritrici della procella chiarivano, che ei stava in procinto di prorompere.E proruppe, dacchè con bestiale rabbia prese a gridare:— Che Dio! Che vincolo! Voi non foste mai mia moglie, nè io mai vostro marito.— Oh! E l'altare, e il sacerdote, e il sacramento?— Mentito tutto; il sacerdote un bandito, banditi i testimoni: il vero parroco condotto lontano dalla parrocchia...— E le dispense, e il placito di Monsignore Arcivescovo?— False.— O Dio! E perchè tanto strazio?— Eh! Tu volevi pigliare con le tue reti una duchea e un duca, io con le mie un marchesato ed una marchesa; e all'uno e all'altra si sono rotte le maglie.— Di'! quando mentisci, ora od allora?— Giudicalo da te....— Sta bene; dunque tu potente di giovanezza e di forza non hai repugnato abbindolare una fanciulla inesperta, — tu uomo di sangue sei sceso alle insidie, ai tradimenti, e alle frodi per tradire una povera innocente senza madre, — tu non hai abborrito vituperare in me la donna che ti ha generato, tu falco, io colomba: or via, la fanciulla inesperta, la povera donna, la debole creatura... senza aiuto altrui, come senza inganno, ecco come ti rende l'oltraggio....E con quanto aveva di vigore nel braccioa mano rovescia gli appiccò uno schiaffo, aggiungendo con infinito disprezzo:— Piglia,marrano.... —Subito dopo gli sputò in faccia continuando:— Piglia, schiavo. —A mo' che il vento spalancando con impeto le finestre ti spegne di un attimo i lumi della stanza, la dignità di donna offesa, la tenerezza di sposa oltraggiata, il disprezzo, lo scherno strangolarono l'amore, e più che mai veemente tornò a divampare l'orgoglio spagnuolo attutito, non vinto. E mentre Paolo sottosopra per la novità dello insulto attende a forbirsi il volto con la manica, Violante risoluta si fa verso la porta; allora costui frettoloso le si para davanti, e le intima:— Addietro...— Addietro tu... schiavo.— E dove presumi andare?— Ai piedi santi del Papa.... perchè mi faccia troncare un capo, questo capo il tuo.— Addietro ti dico, sciagurata, addietro...— E chi vorrà impedirmi? Tu? E come?— Come? — Rispose il Pelliccioni occupando tutto il vano della porta, con le braccia sotto le ascelle, ed in suono così pauroso di voce, che per parola non si potrebbe significare giammai. A questo punto la Violante inasprita, spumante per furore le labbra, con mano convulsa si cava di tasca il pugnale, dono sinistro del truce marito, e lo minaccia:— Tu me lo desti... ed io lo adopro. —E' sembra, che il sangue o l'anima del Pelliccioni avessero mestieri eccitamento per gittarsi in balía del demonio, imperciocchè rannicchiatosi nelle membra e raccolte le forze, allo improvviso spiccò un salto a guisa di gatto pardo; e l'aggavigna, poi attorcigliatisi alla mano i capelli di una tremenda strappata la scaraventa a rotolare sul terreno. O fosse la grande forza ch'ei ci mise, o le percosse morali, durate nella lunga agonía nel cervello, avessero indebolito le radiche dei capelli, quanti il Pelliccioni ne abbrancò, tanti gliene rimasero in mano; e fu spettacolo da rabbrividire.Trafitta da angoscie, che superano la immaginazione umana, pesta nelle ossa, col capo spasimante come se le avessero strappato il cranio, la donna aiutandosi con le mani si levò su le ginocchia, e strascinandosi pel pavimento giunse ad avvitichiarsi alla gamba sinistra del Pelliccioni: ormai quello che si facesse ella non sapeva, balbutiva parole rotte... non preghiere, non minaccie, suoni di belva trafitta; agitandosi a caso ella venne ad agguantarsi ad una girattiera di velluto chermesino trapunta di perle, e ne strappò due ganci, sicchè ella rimase cinta intorno alla gamba con uno. La Marchesa Clelia in iscambio dei doni nuziali, che magnifici presentò il Pelliccioni, tra gli altri arnesi gli aveva profferto cotesta legaccia, e dettogli averla trapunta a posta per lui la bella Tuda, e non era vero; ma il mondo vive di pane, e di menzogna, ed alla verità tocca scappare fuori dalla bugia, nè più nè meno che il legume si sguscia dalla siliqua.La vista di quel capo tanto mirabile dianzi per la copia dei capelli, adesso inparte calvo come il cranio del decrepito, avrebbe cacciato il raccapriccio nel cuore più duro: di fatti il Pelliccioni si rimase alquanto a considerarlo, e dopo breve spazio di tempo ripose il pugnale nella cintura, e dalla tasca delle brache cavò fuori una pistola. Costui avendo pensato, che a scannarla di coltello troppo guazzo di sangue sariasi fatto per la stanza, deliberò spacciarla di un picchio sul capo; e tosto pensato, tosto compito.... Io non racconterò, che nè anco qui al perverso riusciva a forma dei suoi desiderii, imperciocchè la misera resistesse non pure al primo, ma al terzo colpo, ed al quarto, onde in costui inviperì il delirio dell'omicidio, e giù menava alla disperata come se battesse dentro il mortaio; il cranio schizzò in ischeggie da ogni lato, il cervello si sparpagliò, larga vena di sangue allagò il pavimento: e mentre egli era tutto molle di sudore e di sangue, il corpo miserabile della donna si dimenava convulso, con le gambe dava tratti, e le dita adagio adagio con moto sempre più languido si stringevano e si allargavano.Il Pelliccioni forbito che ebbe il calcio della pistola grommoso di sangue ed impiastrato di cervello, se la ripose in tasca, e scese al piano terreno; quivi trovato Renzo gli disse:— Va su, leva i lenzuoli dal letto, e involtaci dentro la signora Violante, accendi quanti lumi più sai, e spazzando con diligenza in ogni luogo raccogli ossa, cervello e capelli: poi lava e rilava il pavimento, per asciugarlo adoperaci semola che piglierai nella stalla; i panni sanguinosi, la granata, le ossa, il cervello, i capelli raccogli insieme, e formane un fardello, che legherai col corpo: quando sarai lesto chiamami, che ti darò una mano per portare ogni cosa allo stagno, e buttarla nell'acqua... Dov'è il vino? —Renzo gli porse il fiasco senza movere verbo, e quegli attese a votarlo. Votato ch'ei lo ebbe, mirandosi sempre Renzo dinanzi cruccioso gli domandò:— Perchè non vai?— Ho paura.— Va su, poltrone..... o ti scanno come un castrato.— Ammazzatemi.— Dunque non vuoi andare?— Non posso, non me ne sento il coraggio.— No?— No. —Paolo stese la mano alla tasca delle brache; ma intanto che abbassava il braccio pensò: — lo stagno è lontano, e se costui non mi aiuta, la diventa faccenda seria; proviamo prima, saremo sempre a tempo, — e rialzò la mano.— Farò da me, ma tu non ti ricuserai a portare il fagotto allo stagno....— A patto, che veniate anco voi, e non la miri in viso.Per quanta buona volontà ci mettesse Paolo, non venne a capo di compire le diligenze che aveva commesso a Renzo; si sentiva rifinito, e capace di spargere due cotanti più sangue, che non ne aveva la Violante nelle vene, ripugnava a lavarlo; così abborracciando formò una balla di quanto voleva fare scomparire, la strinsein tre parti: finita l'opera nefaria, saliva Renzo, e si recava l'involto su le spalle dalla parte dei piedi, Paolo da capo. A rischiarare il sentiero Renzo portava un fanale; di studiare il passo non era il caso, che da per tutto regnano solitudine e silenzio. Senza ricambiare una parola fra loro, cupi, foschi come la notte in mezzo la quale procedevano, per sentieruzzi appena battuti arrivarono su la sponda dello stagno: quivi deposero il fardello: Paolo più per abito di sospetto, che per essercene di bisogno si guardò dintorno, e dopo preso un po' di fiato, disse:— Su, Renzo, agguanta pei piedi... così... adesso dondola... no... ti pigli un trabocco di sangue — no a quel modo... mettiti d'accordo con me... io conto fino a tre... al terzo lascia andare; uno... due... tre... giù... ha fatto il tonfo! Mira un po' se niente sia rimasto a galla...— Mi pare....— Che cosa....— Un po' di bianco laggiù...— E' pare anco a me.... fa di cercarmi qualche sasso...— Bisogna andare lontano, che qui d'intorno è padule.— Va dove sai di trovarne....— Ho paura.— E tu resta, andrò io.— Ho paura a restare solo... Ah! Madonna santissima... Santi del Paradiso! Sentite....— Che?— Oh! non sentite lì, lì dietro coteste canne qualche cosa si muove.— Sarà un cignale... aspetta — e cavata fuori la pistola la sparò a cotesta volta; si udì un grido represso, e uno stormire di frasche, onde Paolo riprese: — e' pare ch'io lo abbia colto, hai tu sentito come grugniva? Bazza a chi tocca, se dimani lo cercherai, può darsi che tu lo rinvenga quinci oltre morto. —Sassi non trovarono, bensì cataste di legna; se ne caricarono sopra le spalle due pezzi per uno, e tornati sul luogo li gittarono là dove a Renzo pareva vedere bianco.— E ora, interroga Paolo dopochè gli ebbe gittati, ti apparisce più altro?— Non vedo più nulla.— Bene: adesso dunque andiamocene a dormire. Non ci ha visto persona.Il giorno seguente, che aveva ad essere la vigilia delle nozze, Paolo, azzimato, olezzante di rari profumi, vispo, allegro come i raggi del sole di primavera si recò al palazzo Savelli, dove lo accolse il marchese Silla a braccia aperte, e gli disse: attendesse al fatto suo, apparecchiasse ogni cosa, le donne non potersi trovare; chi sa dov'erano? Sarebbe stato lo stesso, che tenere dietro ad una rondine. Fra confessori, sarti, crestaie pareva una Babele, un finimondo. Tutto fermo per domani, mandati gli inviti;sudare di già i fuochia cocere le vivande del festino; pronti i contratti, i notari, la dote in pecunia numerata. Comecchè questo caso sembrasse un po' strano, fu nuvoletta di madreperla, che dondoli pel cielo sereno quasi per farne risaltare meglio l'azzurro smagliante; e poi anche a Paolo toccava compire unmondo di faccende; rivide gli amici, passò dal Cardinale, a cui non potè favellare, perchè ristretto a consiglio di Stato; e così tra una cosa e l'altra si condusse all'ora del pranzo. Venuto vespro s'incamminò al Gesù per confessarsi al suo padre Migali, dacchè corre adesso, e correva allora anco più rigido l'obbligo a qualunque cattolico confessarsi prima di celebrare il matrimonio. Il padre Migali, alla vista del Pelliccioni, tanto non si potè dominare, che qualche segno di maraviglia non gli apparisse sopra la faccia, ma tuffando di subito il naso dentro la tabacchiera, e con la mano, intesa a cacciare su tabacco, coprendosi tutta una gota nascose cotesta ombra, che nata appena si dileguò.— Sicuro è nelle regole confessarsi prima... e un uomo pio come voi non poteva mancare al debito... io vi aspettava... l'aveva detto giusto un momento fa qui a padre Ignazio... è vero? Ma le saranno le solite cose... bagattelle... bagattelle. Andiamo giù in chiesa....— Non potremmo rimanere qui secondo il solito?— Magari! Con tutto il cuore! Ma comincia a far caldo, e in chiesa staremo più freschi.... e poi aspetto la visita del Generale... non è vero, padre Ignazio?... Ma la confessione innanzi a tutto; però quando giunga il Generale, padre Ignazio, voi presso lui mi scuserete: ora andiamo via figliuolo, andiamo in chiesa. —E così secondo il solito il Gesuita cominciò il discorso come se volesse contentare Paolo a rimanere in camera, e lo condusse spingendolo a confessarsi giù in chiesa.Udita la confessione padre Migali esclamava:— Ma se lo diceva io! Le solite bagattelle, pensieri, omissioni... peccatucci veniali; di una gocciola di acqua benedetta ne avanza mezza a lavarli tutti... ecci altro figliuolo?— Ah! Pur troppo la coscienza mi mette a scrupolo la passione che mi arde accesissima per la mia sposa Tuda; temo non sia questo regolato amore; dubito che più che la santità del matrimonio mi tiri il desiderio della carne, e la cupiditàdella ricca dote si mescoli oltre il debito nella reverenza del sacramento.— Eh! circa a questo, dilettissimo mio, bisogna dire essere più agevole confessarsi di simili tentazioni dopo venute, che impedire che le vengano. La spezieria della penitenza non è ricca di droghe come sai; digiuni, orazioni, elemosine, e siamo lesti. Ora importi digiunare nella vigilia delle nozze sarebbe come darti cavolo a merenda; alle orazioni non penso nè manco perchè le ti uscirebbero frastagliate di chi sa quali fantasie, e sarebbe un corri dietro perpetuo della immagine della Beata Vergine e di quella della marchesina Tuda. Resta la elemosina.... grande virtù è questa della elemosina, la quale può farsi così a piede come a cavallo, così di notte come di giorno, digiuni e dopo pranzo, innocenti o colpevoli, è sempre bene e sempre efficacemente....Il frate mascagno s'ingegnava a pigliare la sua parte di pelle anco prima che la bestia si scorticasse.Si sarebbe detto, che il sole presago di illuminare qualche gesto glorioso mettesse fuori i suoi raggi del dì delle feste; l'aria dintorno spirava tepida quasi sospiro di petto innamorato, e con perpetua vicenda ti aliava a onde dintorno ora musicale pei suoni infiniti, che manda la immensità degli enti che nascono, o risuscitano; saluto misterioso della vita alla Natura, — ed ora profumata dagli effluvii delle piante, e dei fiori; — pel cielo si diffondeva un tenue vapore il quale invece d'offuscarne la magnificenza gli dava risalto, come la bellezza avvolta nei veli percuote più potente i petti dei mortali; continua comecchè inosservata pioveva sopra tutta la creazione una rugiada di esultanza e di sorriso. Paolo non conosceva parenti, o gli erano morti; ma quando mai ai fortunati mancarono parenti ed amici? Ora si vedevano spuntare a frotte pari agli avoltoi tirati dalle più remote plaghe dell'orizzonte all'odore del carcame. Ne accorse un diluvio, parte col vestito solo accattato a nolo, col sorriso accattato tutti; chè ognunoaveva procurato ridurre gl'inchini, le piaggerie e le profferte in amo, in gancio, o in forcina per agguantare secondo la ingordigia o ghiozzo o dentice in quel giorno facile di favori; però che anco i tristi quando si sentono contenti aprano la mano. Paolo ebbe avvertenza a radunare cavalli, perchè la comitiva lo seguitasse incavallata, facendo a cotesto modo l'accompagnatura più splendida; e bene gl'incolse, imperciocchè oltre la metà dei clienti venisse pedestre. Richiesti, con premurosa sollecitudine, gli prestarono cavalli gli Orsini, i Buoncompagni, i Falconieri, ed altri parecchi dei maggiorenti Romani, non già perchè gli si professassero amici, al contrario l'odiavano; tuttavia gli facevano servizio, e lo blandivano umilissimi, chè la fortuna spesso tira in alto il patrizio, e ce lo lega come alla gogna per rendere palese al popolo, quanto ei si meriti di essere travolto in fondo: da molto tempo tra noi sembra che il volgo nobile si affatichi arrampicarsi in cima unicamente per far venire la voglia di buttarlo di sotto.La gente traeva a furia per vedere cosìmagnifica cavalcata; — il falegname lasciata la sega in mezzo la tavola, e il calzolaro deposta la forma senza stringere il punto recavansi sopra lo sporto delle botteghe: alle finestre comparivano gremiti i capi delle fanciulle, a mo' di api che facciano gomitolo intorno alle ramelle di timo; e da ogni canto correva un dire — o lei beata! Le belle nozze che sono mai queste! Lo sposo pare un occhio di sole. La sposa li vince tutti e due, e non defalco un baiocco. — Ci furono persino alcune fanciulle le quali cavatisi le ghirlande di giacinti e di rannucoli dal capo, e i mazzolini di viole dal seno li gittarono sopra di Paolo, non mica per petulanza, bensì per superchio di buon naturale, immaginando che, come bello, ei fosse caro e meritevole in tutto della felicità che lo aspettava. Tanto tesoro di affetto serba dentro di sè il popolo, massime le fanciulle; che quando non hanno causa di amare la fingono; e prestano le virtù a cui secondo loro avrebbe a possederle.La maggiore frequenza del popolo chiarivaprossimo il palazzo Savello; di fatti, svoltato il canto, apparve anch'egli spirante una certa aria di festa: su i gradini disposti in ordine di ogni ragione famigli vestiti di sfoggiate livree, quale più, quale meno coperti di fiori. Era eziandio notabile una novità, che iTrabanti[14]del Papa vi facevano la guardia, e nel cortile ve ne stava schierata una compagnia con il suo capitano alla testa: nè questo sfuggì a Paolo, ma dacchè quegli gli rese con la spada il saluto militare, ed i soldati compirono il medesimo officio rizzando l'alabarda, egli pensò il cardinale Alessandro, forse il Papa, inviarli per onorare maggiormente la solennità. In capo scala lo aspettava il marchese Silla, che, secondo il solito, lo accolse a braccia aperte: quivi tanta la calca dei convitati, così fitte e sonore le felicitazioni, che da ogni lato lo inondavano simili agli schizzi di acqua, lepido gioco nei giardini dei magnati, che Paolo non ebbeluogo a distinguere da cui movessero, e scarrucolato di mano in mano, aggirato, intronato venne a cascare nella gran sala. Colà più che mai copia di fiori, in festoni pendenti dalle pareti, in mazzi dentro vasi preziosi, in lingua di profumo pareva che dicessero: — la vita è breve: che monta, purchè deliziata di vaghezza e di odore? — E le mille candele di cui andavano guernite le lumiere di cristallo, ed i viticci sporgenti dalle pareti, a cui avesse potuto capire la loro favella davano avviso: — badate a fare quello che faremo noi; splendendo sul piacere ci consumiamo. — Da per tutto arazzi, broccatelli, e damaschi di magnificenza stupenda; in mezzo, una tavola coperta di tappeto di velluto vermiglio con larghe frange d'oro, e lì sopra guantiere, candelieri, calamai ed altri arnesi di argento; in fondo della sala sovrapposto ad uno zoccolo un forziero di ferro.

Tutti dunque erano contenti; il Papa e il Cardinale nepote, perchè senza tirare fuori uno scudo si tenevano bene edificato il Pelliccioni da cui si ripromettevanomirabiliaper la dispersione dei banditi; quanto ai meriti vecchi, Roma fissa alla utilità presente ed alla futura, della passata poco studio si piglia: ed ella respirò sempre la ingratitudine come l'aria; per lei Giano cessò non pure essere Dio, bensì divenne demonio per infinite cause, massime per quella delle due faccie, una delle quali mira avanti, l'altra indietro. Roma addietro non mira mai; almanco per dare. Certo per via di simile aspetto i Massimi ne venivano a patire, ma oltrechè la grandine su qualche campo bisogna che scoppii, dai Massimi lì per lì non ci era da temere, nè da sperare nulla; capitando il caso diavere a gratificarseli non mancava gente a cui fare la pelle; e fu pratica costante della Curia Romana colmare una fossa cavandone accanto un'altra. — Di Paolo non si parla nè manco; in coteste sue nozze presentiva che lo avrebbero preceduto al talamo le Furie con la teda di Amore: avanti lo tirava il fato; vedeva rosso, se di sangue o di fiamme non bastava a distinguere; ma se sangue, non sempre il sangue di Abele grida vendetta al cospetto di Dio, e se fiamme, traverso al fuoco si salvarono parecchi, e senza miracolo. Al padre Migali sembrava toccare il cielo col dito, e siccome nella mente pertinace del Gesuita non ci ha superba altezza a cui non presuma giungere, e travagliando irrequieto non giunga, mulinava in cuor suo diventare confessore di Sisto decrepito, e allora che non avrebbe ardito o potuto egli, maneggiando a sua posta una volontà di ferro accompagnata da una mente fatta per decrepitezza imbecille? Arridevano al marchese Silla l'accerto di commettere nuovi debiti, e con essi insanire nelle lascivie, prurigine inciprignita dalla vanità e dallaimpotenza senile; anco nella Siberia del cervello del Marchesino così di scancio era penetrato un barlume di compiacimento; a modo suo però e a mille miglia lontano dai presagi materni, imperciocchè mentre il cuore di donna Clelia esultava nella speranza di contemplare il suo portato capitano di gente eletta, magistrato supremo e gonfaloniere della Chiesa, più modesto il Marchesino tripudia nell'estasi di lavorare una girandola grande come quella di San Pietro, di sonare le campane a doppio, di servire la messa, ed anco, — gaudio ineffabile! — egli medesimo cantarla.

— Donna Clelia poi era fuori di sè; aveva gittato via la mantiglia, il collare, e per poco non ispogliava la veste e le gonnelle; soffiava, smaniava, non poteva quietare nella medesima posizione un momento; si asciugava il sudore; insomma un qualche Dio o un qualche Diavolo l'agitavano a modo di Pitia. Di un tratto agguantato di forza il braccio del marchese Silla, di qua e di là lo sbatacchia; poi fermatasi in secco con atteggiamento tragico esclama:

— Vincemmo!

— Chi abbiamo vinto? domanda il Marchese.

— Mirate, noi li calchiamo sotto i piedi.

— Clelia, sotto i nostri piedi io non ci vedo che mattoni, e più i rotti che i sani....

— Noi ci abbiamo i Massimi... Ah! l'ho sgarata alla fine;... non sentite, Silla, la contentezza ineffabile di pestare una volta chi ci tenne tanto tempo sotto i piedi?

— Ma io non mi sono sentito pestare da alcuno... anzi con Fabio Massimi c'incontriamo spesso in geniali ritrovi, e con Gabriello talora giochiamo al lanzichenecco.

— Già per voi tutte le gioie, tutti gli affanni a me. A me vedermi comparire dinanzi, ogni volta io vado a messa, la odiata marchesa Lucrezia (e pare lo faccia a posta e lo fa di certo), e porgermi l'acqua santa con tale un sussiego, che se non fosse la reverenza del luogo sacro, la schiafferei, e con tale un sorriso che mi taglia la carne sottile come un vetro. A me sentirmi accanto, a piè dello altaresotto la Madonna del Carmine, cotesta superba femmina intonare ilTantum ergocon voce squillante dove si sente chiara la iattanza: lapatrona della cappella sono io! Tanto e tanto ho pregato, che la beata Vergine del Rosario mi ha esaudito..... una volta nella vita godrò di mirarti umiliata..... abbasserai una volta gli occhi davanti a me..... orgogliosa..... superba....

— Ma Clelia, non vi scarmanate; la marchesa Lucrezia tanto non è qui, e non vi può ascoltare...

— Va, Silla di gesso, prorompe la marchesa Clelia, e datagli una strappata, scaraventa il povero Marchese lontano da sè, e poi gli muove con la mano aperta incontro un passo: — voi avete rubato tutto quanto vi trovate addosso; avete rubato l'acqua del santo battesimo perchè siete il peggior cristiano che io conosca... — Il Marchese dava indietro un passo, e la Marchesa ne spingeva un altro gridando sempre: — voi avete rubato il titolo di Marchese, perchè un da poco pari a voi non visse mai al mondo. — Qui il Marchese un secondo passo indietro, e laMarchesa un secondo passo avanti urlando tuttavia: — avete rubato il sangue perchè non vi si squaglia all'ira, allo sdegno, all'odio, al disprezzo. —

Il povero marchese Silla, cacciato di passo in passo, si era ridotto in un canto, e colà pari al cervo inseguito, piegava il capo dandosi per vinto; nè qui si arresterebbero i punti di paragone tra il nobile marito e il cervo anch'egli bestia nobile; al maggiore bisogno, mentre sgomento volge attorno lo sguardo mira prossimo un uscio aperto, e reputandolo grazia di Dio si rannicchia, si fa piccino, e rasentando lungo la parete sguscia dalla porta susurrando:

— Che demonio di moglie! —

Nel punto stesso donna Clelia esclamava:

— Che imbecille di marito! —

E avevano ragione tutti e due.

Quanto a Tuda non aveva ella dichiarato essere contenta? O almanco repugnanza suprema non oppose ella? E tanto bastava, anzi anche meno, conciossiachè, già lo notammo, le donne contassero nulla allora e poco adesso; nè a torto. Le donnecontrattavansi, e tuttavia contrattansi come giovenche in fiera; conchiuso il negozio il venditore mette la cavezza in mano al compratore, il quale te la mena al presepio o al macello, senza rimedio di vizii redibitori. Ch'è la donna ond'abbia a consultarsi? Ella è la compagna alla vita dell'uomo, parte dei suoi dolori e delle sue gioie, madre dei suoi figliuoli, corona o vituperio della famiglia, contentezza o disperazione, angiolo o demonio; un nonnulla, vedete, ch'è proprio inutile consultare. I matrimoni fatti senza amore duravano senza fedeltà, o si troncavano con morte sanguinosa; non sempre, ma ora qui ora là, a spizzico, e quasi mai per rovello di amore tradito, o per ferocia di gelosia; le più volte per puntiglio o per nobilea offesa, sicchè ad armare la mano del marito più ardenti i fratelli o i prossimi congiunti delle mogli infedeli. Dei tempi che descrivo esempi infelicemente illustri Isabella Orsina, Eleonora di Toledo, e la meno nota Violante Garlonica[12].

Ecco com'era Tuda contenta.

Fiduciosa nella Provvidenza ella la chiamòin suo soccorso, sicura che le avrebbe risposto pronta e fedele quasi un'eco; ma dal cielo non mosse consiglio, nè angiolo; durante il giorno il sole continuò ad irradiare immoto le vite e le morti, le colpe molte e le virtù poche dei figliuoli degli uomini, nella notte le stelle e la luna non si rimasero da ridere un riso di demenza sopra le miserie della umanità: Tuda stette sbigottita; in breve sentì arruffarlesi lo intelletto e il cuore: per ultimo proruppe. Terribili sono le procelle delle anime che non provarono mai la sventura, appunto come nei climi fortunati l'uragano imperversa con violenza suprema. Guai al naviglio che incontra su i mari! Dopo averlo travolto sopra la superficie delle acque a modo di spuma, come spuma lo disperde, anime e corpi. Le immense foreste spariscono, e piante secolari e tronchi vanno in volta peggio che foglie, il male è sempre ministrato alla stregua del bene; avventurosi i miseri!

Perchè la fronte di Niobe commuove così profondo il tuo cuore? Certo cotesta curva è divina, ma altri simulacri la possiedonostupenda più di lei: ella ti commuove perchè sublime di accusa e di minaccia contro la Forza onnipossente, davanti la quale uomini di bronzo piegano pari ai giunchi. La fronte di Tuda così soave si volta in arco, che la Natura dopo averla piegata con le sue proprie mani, sembrava che contenta della opera vi avesse impresso un bacio, stella di gaiezza divina: adesso l'astro era impallidito; ombre succedevano ad ombre quasi nuvole traverso il disco della luna; e gli occhi suoi ella appuntava pugnaci contro il cielo, nel modo stesso che gli Sciti ci vibravano gli strali. Abbandonato il bel corpo, genuflessa, con le braccia pendenti e le mani intrecciate agitava pensieri turbinosi e molesti; tuttavia non definiti; di un tratto cantando con celere curva un uccello traversa e passa via; allora ella pensò allo arcano potente che dà all'uccello il volo, il canto, la libertà dello spazio e lo studio del nido, e al cacciatore il piombo che gli tronca a un punto il volo, il canto e il dolce amore del nido; e pensò eziandio alla vita non supplicata da lei, e concessa insiemea tanta dote di giocondità con la insidia di fargliela scontare più amara; le parvero, come sono, fisime di sacerdoti parabolani, la pazienza figlia dello impossibile convincimento, che quanto la Provvidenza manda è ordinato a fine di bene; imperciocchè onde avviene che ciò non si rimanga chiarito? E se il sacerdote contrappone essere lo umano intelletto imbecille, e senza presumere troppo, doversi stare contento alquia, ella rispondeva in cuor suo: e perchè non dilatava il Creatore il mio spirito? Egli tagliava dalla pezza onde nessuno gli reggeva le mani per tenersi al largo. Da capo il prete la tambussava con parole inani: vuolci fede. E fede sia, rispondeva ella; dove la si compera? Non si vende, nè si compra la fede. Dove dimora ella perchè mi vi possa condurre in pellegrinaggio? Alberga in alto, allato a Dio, nè con piè mortale si viaggia laggiù. Ma almeno dite con quali opere, con quali supplicazioni si acquista? Non valgono opere nè preghiere, è grazia gratis data che scende dal cielo sopra cui lo aspetta meno, e sopra cui menola merita. Dio vi confonda, parabolani, che vi attentate ridurre a scienza l'assurdo. Quando cesserete, o nefari, giocare co' cervelli umani come se fossero aliossi. — E del vaneggiare lungo la conclusione era: meglio morire; l'anima mia è un atomo, però di diamante, che nè anco la macina del fato vale a stritolare; aperta alla vita una porta, alla morte infinite; in questo, e in questo solo veramente misericordioso Dio. —

Di siffatti pensieri parte uscì dalle labbra di Tuda vestita di parole, altra no; questi che succedono ella favellava con voce piena d'inestimabile amarezza:

— Maria; il sole arrivato a mezzogiorno da ogni lato ci avvampa co' suoi raggi, è tempo partirci di sotto agli arbori che non danno più ombra; la sorgente qui non manda più stilla, nel pozzo vuoto tu cali la secchia invano, vieni, portiamo altrove le nostre tende. —

E Maria, che fin lì troppo diversa dagl'importuni amici di Giobbe aveva tentato consolare Tuda col pio silenzio e l'aspetto benigno, rispondeva:

— Tuda di poca fede, perchè hai dubitato?

— Non dubito, bensì provo; fino a ieri tenuta cara quasi pupilla degli occhi, oggi con vicenda brutale mi si fa manifesto, come l'amor materno non proceda meco disforme all'amore del villano pel ciacco; lo ingrassa per ammazzarlo; custodita dianzi come una gioia ora buttata là per giunta, ad aggiustare la misura, a pareggiare la soma all'asino...

— Qualche santo aiuterà...

— Quando la madre ti abbandona, qual santo vuoi che pigli cura della povera figliuola? Ieri tutto si pesava alla bilancia dei diamanti, ogni cosa si speculava traverso la lente, oggi la propria utilità ha murato gli occhi e impietrito il cuore; l'odiato Pelliccioni non si può nascondere per quanto si affatichi; come il lume della lanterna del ladro, comunque chiuso, vibra un raggio obliquamente sinistro; che importa questo? Il mostro acquistò potenza di nocere e tanto basterebbe per gittargli nelle mascelle il pasto che chiede; ma il mostro, oltre la potenzadi nocere, possiede quella di giovare.... quale uomo, qual donna gli negherà il miglior sangue, il più puro, a patto che non sia il loro? — Maria, tu conosci meglio di me la virtù delle erbe: domani fa con qualche pretesto di tornare a casa, la campagna va ingombra di aconito... se sempre sia stato così, ignoro; ma adesso per la campagna romana l'aconito cresce spontaneo e rigoglioso, il frumento va seminato; noi ne caveremo il liquore che concilia il sonno donde l'uomo si risveglia in grembo alla eternità.

— Tuda, riprese Maria, tu offendi il Signore mentre egli già t'inviava il soccorso che deve consolare le tue tribolazioni.

— E dov'è questo soccorso?

— Qui, in questa stanza, accanto a te.

— Ma dove? dove?

— Nel cuore della tua sorella; noi abbiamo bevuto la vita alla medesima sorgente, le nostre braccia strinsero insieme il medesimo collo, le nostre mani si cercavano sul medesimo seno; ora il seno della madre non vale quanto un altareper giurarci amicizia? Siamo due nella carne, una nello spirito: io ti salverò. —

E con parlare succinto le aperse l'animo suo; Tuda procurasse tirare le nozze per le lunghe; cause oneste occorrerne più di venti; ad ogni modo pria mancherebbero alla primavera fiori, che a femmina pretesti, ella intanto s'industrierebbe acconciarsi in casa al Cavaliere, dove spiando sottilmente confidava venire a capo di qualche cosa capace a sturbare il negozio. Non difficile il compimento del disegno, imperciocchè la natura le avesse dato forme più atte a garzone, che a donzella, essendo robusta molto, di colore ulivigno, capello ruvido, e nelle sembianze adombrata di calugine: aggiungi certi bucherellamenti di vaiolo, i quali certo non le aveva condotto sul viso la mano delle grazie.

Mandarono pertanto le baldanzose giovani un famiglio in ghetto per Nataniele giudeo, che venne guardingo come la volpe, la quale cammina adagio con una zampa levata, e il muso di traverso, punta dall'agonia della rapina e dalla paura della insidia; gli commisero portasse vesti civilida abbigliare di tutto punto Maria in condizione di villano, ma subito. L'ebreo cominciò da mettere innanzi un monte di difficoltà; temeva esporsi a qualche fiero sbaraglio, gli confidassero a quale fine volessero adoperare cotesto travestimento, lo avrebbe tenuto in sè, non fatto trapelare a persona; non ci pensassero nè meno. Maria troncò i fastidiosi sciolemi: se non voleva fornire le vesti, se ne andasse, nè ciarpe, nè ebrei mancavano a Roma; solo si pentiva non avere scelto Mordokai come lui ladro, ma meno sazievole di lui. Allora Nataniele buttati da parte gli arzigogoli si proferse prontissimo a soddisfarla, e Maria di riscontro: aspetterebbe un'ora; quella trascorsa manderebbe per Mordokai; non ne passò mezza che il giudeo tornò con vesti che facevano pietà, più toppe che panno, e più rammendi che toppe; cominciò a lodare. Maria a cui premeva che le fossero a quel modo misere, gli pose in mano sei scudi e gli accennò la porta perchè uscisse. Il primo moto di Nataniele a contemplare sei scudi sbraciati là senza mercanteggiare per tal roba, che non nevaleva mezzo, fu di maraviglia; quasi gli vennero le traveggole agli occhi; ma in meno che non balena, lo istinto ebreo ripigliò il sopravvento, e lamentò i tempi tristi, il guadagno scarso, i grossi balzelli, e via via; sei scudi non pagargli nè manco un bottone; le gentili donzelle mostrarsi poco sperte del pregio delle cose. Maria uggita dalla impronta ingordigia di costui lo abbracciò pel petto esclamando:

— Esci giudeo dalla sala, se non vuoi ch'io ti scaraventi giù dalla finestra. —

E l'ebreo uscì fregandosi le mani, giubilando in cuore suo per avere di un tratto ficcato nel terreno morbido la vanga, e tuttavia rabbioso di non averci potuto piantare anco il manico; allora gli ebrei così, oggi gli affermano mutati, e sarà; però non tutti nè da per tutto. Pretensionosi si manifestano, e molto, sicchè riescono fastidievoli e molesti; per poco che tu li tocchi levano rumore come se gli scorticassi; e si gettano a pancia all'aria facendo il morto: qual carità perseguitare i perseguitati? Oh! ormai corre il secolo che vi proviamo persecutori. Per me conoscoun luogo, dove la più parte degli ebrei, della libertà loro concessa si è fatta arme per ferire cui volle salutarli fratelli, e la ingratitudine si posero sul petto come i sacerdoti loro ci mettevano l'efod; Amaleciti e Amorrei perpetuamente i popoli in mezzo ai quali essi vivono a guisa dei tarli; e tutti noi estimano Egiziani per applicarci quel detestabile loro aforismo:il ladro che ruba al ladro non commette peccato. La pecunia risucchiata agli ospiti essi hanno profferta a tutte le tirannidi per saldare gli anelli della catena dei popoli; sarebbe vano negarlo, l'oro dei Rothscildi nocque alla umanità più che il ferro dell'Austria; anzi questo non sarebbe stato se quello non era. Guai alla città dove il giudeo prevale! In breve diventa una biscazza, dove la gente giuocando nabissa sostanza, morale e dignità umana; dinanzi ai macelli della avarizia, tu miri pendere dal gancio della mezza lira di ribasso, o di rialzo del debito pubblico i quarti sanguinosi della Patria e della Libertà. Per me, la Dio grazia, nè aborro, nè lodo chi preferisce tagliarsi il prepuzio a rovesciarsiacqua sul capo; solo parmi la prima pratica così dolorosa come barbara, e le religioni considero livree più o meno barocche con le quali gli uomini universi servono un medesimo padrone; però non posso astenermi da considerare che il mosaismo al pari dello islamismo aduggino a mo' di selva selvaggia dove la filosofia non pota mai il morto, il troppo, e il vano, onde si faccia strada un raggio di umanità. Fratelli hanno da essere i giudei, e sono, ma innanzi di accettarli liberamente nel consorzio di cittadini italiani, vuolsi avvertire che per loro Patria veramente si reputi la Italia, e la Libertà amino come retaggio di tutti; assumano sensi di fratellanza dignitosa e verace; si purghino insomma della lebbra, che portarono di Palestina, e non per anco uscita loro dal sangue. Qui poi non si contrappongano i singoli casi, chè le eccezioni non ismentiscono la regola, e presso i maggiorenti ebrei, i pochi nati fra loro di mano prodi, o studiosi della buona filosofia si hanno in conto di folli o di empi. Nei luoghi pubblici vostri, sopra le pareti dei sinedrii,nei soffitti delle case private ho letto, ed ho veduto sempre memorie o segni di abiezione servile, non mai, non mai segno o memoria di Libertà.

— Sul fare della notte Anacleto, che fu uno dei pallafrenieri del Pelliccioni, andando alla scuderia per dare una occhiata ai cavalli vide qualche cosa stesa sopra il muricciolo accanto al portone, che mettendogli addosso un po' di sospetto lo persuase a procedere guardingo; distinguendo poi una forma umana, e parendogli che si movesse, domandò con voce burbera:

— Chi è là? —

Gli fu risposto blando:

— Sono un povero garzone venuto da Frascati per accomodarmi al servizio di qualche famiglia, ma fino da stamani giro, e nessuno mi vuole: ho fame, ho sonno e poichè la Provvidenza mi ha messo davanti questo poggiolo di pietra, mi ci sono sdraiato per riposarmi; alla fame la Provvidenza penserà più tardi.

— E che cosa saresti buono a fare ne'? Un cavallo sapresti governarlo?

— Magari! Anco due. —

L'uomo non è mai tutto buono, e nè manco tutto cattivo, e questo notò troppo più saputo maestro, che non sono io; e poi si aggiungeva il vanto, forse sincero, di sentirlo adatto a governare cavalli: per la quale cosa Anacleto un po' raddolcito soggiunse:

— Veramente la Provvidenza nello sbracciarti un letto di pietra non ha peccato di prodigalità; vieni dentro alla scuderia, domani ti proverò, e se ti troverai al caso ti terrò meco: per ora il padrone ha troppe faccende pel capo, nè mi darebbe retta; intanto ti accomoderò nel fienile; non essere avaro di farti mangiare quotidianamente i materassi dalle bestie, perchè ti saranno rinnovati al più lungo il giorno dopo, e per una notte il legno proverai meno duro della pietra: quanto alle lenzuola se terrai le imposte della finestra aperte, te le somministrerà la luna e sempre di bucato senza una tecca. Circa a pane per istasera non mi obbligo a nulla: domani ne avrai.ma tanto a farne a meno tu ci eri accomodato: per acqua ci è il pozzo, e ci sono le secchie. Il partito potrebbe essere più largo, ma così com'è a questa ora bruciata non mi sembra che lo avresti a disprezzare.

— Anzi gli è grazia vostra, ed io mi butto nelle vostre braccia. —

Queste parole disposero sempre meglio Anacleto, il quale aperta la scuderia, c'intromise il garzone, e parendogli che mal si reggesse in piedi lo interrogò:

— Come ti chiami?

— Mario.

— Or be' Mario, va su per questa scala nel fienile e dormi; se stasera mi occorrerà di tornare vedrò di portarti da cena.

— Dio ve ne renderà merito. —

Salì la scala, e gittatosi giù di sfascio sul fieno, in un bacchio baleno il garzone prese a russare come ghiro; il che udendo Anacleto ebbe a dire:

— A sonno panca, e a fame pane....

Acceso il lampione governò i cavalli, empì la mangiatoia di strame, stese le paglie perchè giacessero ad agio, e questefaccende conducendo, ora cantava, ed ora favellava co' cavalli, i quali non si rimanevano punto indietro dal rispondergli con tale inflessione di voce, e con discorso per modo lungo diversamente da far credere che essi intendessero, e che da lui fossero intesi.

Giusto nel punto in che Anacleto buttava in un canto la forca, si tira giù le maniche della camicia esclamando:

— Anco questa è fatta, disse quegli che cacciò in forno la moglie! —

Ecco presentarsi sopra la soglia un uomo male in arnese, che si pone a gridare:

— Ci ha persona qua dentro? O quell'uomo costà, date retta....

— Io me la intendo con chi cammina con quattro gambe, ed anco li tratto con la forca.....

— Io non vo' sapere altro se qui sta di casa un Pelliccione, un Pelliccioni..... insomma un pezzo grosso, checircum circasi ha da chiamare così?

— E che negozi potete avere voi col cavaliere Pelliccioni...

— Io? Dacchè lo detti a balia sentiinominarlo oggi.... mi hanno consegnato una lettera per portargli.

— E chi ve la consegnava, e dove?

— Ecco, io ve lo dico in quattro battute; voi avete a sapere, ch'io pesco anguille, e tinche se ne capita nello stagno di Nettuno; ora, state attento, andando alla pesca per iscorciare la via rasentai una casa dove corre voce, che ci si facciano sentire diavoli e dannati; però pensate se la gente tira alla larga: se io ci creda o no non vi starò a dire; questo è sicuro ch'io allungava il passo; quando me lo aspetto meno mi parve, che mi chiamassero, non ci badai, e presi a correre; ma la voce da capo, e come chi prega: — fermatevi per amore di Dio. — Gli era chiaro che il Diavolo non poteva pregare per amore di Dio, volsi il capo indietro e non vidi nulla, lo sollevai e mi apparve alla finestra una gentildonna bella quasimente quanto il sole, o giù di lì. Ella mi accennò con la mano mi accostassi, ed io mi feci sotto alla finestra; quivi spendolandosi ella mi disse con voce sommessa: — uomo dabbene (si sa, quando i signorihanno bisogno di noi, siamo tutti uomini dabbene, fatta la festa si leva l'alloro e diventiamo una manica di vassallacci) — dunque, uomo dabbene, per quanto amore portate alla Beatissima Vergine usatemi la carità di pigliare subito la via di Roma; costà cercate del palazzo del cavaliere Pelliccioni, e trovato che lo abbiate, consegnerete proprio nelle mani del cavaliere la lettera, che vi calerò giù con un filo.... non pensate a male, che il cavaliere è mio marito... e per la vostra fatica vi darò uno scudo; se non basta, due.... — Oh! risposi io, di uno scudo ce n'è anco troppo; giù la lettera, e lasciatevi servire. — La signora prima buttò gli scudi, poi la lettera, ed io postami la via fra le gambe, sono venuto a Roma.

— Ma le reti riportaste a casa? Diceste alla moglie, che venivate a Roma? Rammentaste il cavaliere Pelliccioni?

— Non tornai: tanto Nunziata non mi aspetta a casa stanotte, e il tempo mi basta per ritrovarmi domani sul far del giorno a Nettuno; le reti appiattai nel canneto....

— E qui a Roma diceste a persona, che portavate al cavaliere Pelliccioni lettere di sua moglie?

— Io? No; domandai a parecchi del suo palazzo, e m'indicarono qui.

— E v'indicarono bene, venite; il cavaliere sarà in casa, o tarderà poco a tornare, e anco da lui voi avrete la mancia che meritate.

— Faremo a mezzo.

— No davvero, la dev'essere tutta per voi....

Mario, che il lettore ormai ha compreso essere Maria, non aveva mai dormito: all'opposto spillando con le orecchie tese, e con le mani curve intorno a quelle raccogliendo ogni filo di voce udì senza perdere sillaba lo strano messaggio: le parve averne saputo anco di soverchio, sicchè appena Anacleto e l'altro si furono allontanati, scese cauta tentando svignarsela, ma rinvenne chiusa la porta, e fu sventura: onde tornò ad acquattarsi mulinando nella mente mille fantasie una più terribile dell'altra.Mentre così smaniava ecco un rumore soffocato percoterla, indistinto e pure pauroso come di persone che contendano in lotta disperata, nè sapeva distinguere se movesse da qualche sotterraneo, ovvero dalla stanza contigua divisa dal fienile mediante il muro maestro: le parve udire, e sentì certo un grido; subito dopo silenzio; animosa ella era molto, e nondimanco prese a battere i denti per ribrezzo: la fronte le si bagnò di freddo sudore.

Dopo qualche ora di agonía udì aprire con precauzione la porta della stalla, e dalla nota voce riconobbe Anacleto, il quale di giù in fondo alla scala cominciò a chiamare:

— Mario! Mario! —

Ed ella si astenne da rispondere: per converso finse russare, se non che l'altro replicava la chiamata ingrossando la voce, e inframettendovi qualche bestemmia; allora ella rispose come chi per forza è desto, e tuttora sonnacchioso sbadiglia:

— Chi mi chiama? Che volete?

— Vieni giù... Dunque sei veramente al caso di sellare un cavallo?

— Ma sì... ma sì....

— Bada veh! Che se m'inganni ti stacco il capo come una ciliegia. Sellami dunque, e metti la briglia al Moro; tienlo pronto legato al colonnino; guarda ch'è intero ed in ardenza perchè si accosta maggio; là nell'armadio gli arnesi, fa presto e bene; in meno di un credo torno.

E se ne andò. Maria si accostò al cavallo, e bene le valsero l'avvertimento di Anacleto, e la propria previdenza, imperciocchè il cavallo o per malignità propria, o impermalito per la nuova persona, o per quale altra causa, s'ingegnasse percoterla sferrando calci di traverso o morderla alla spalla; un po' con le buone, e molto con le acerbe ne venne a capo la valorosa donzella, così che lo trasse bardato fuori dalla posta e lo legò alla campanella del colonnino; ma quantunque e' si mostrasse meno tristo, pure non rifiniva mai di agitarsi trapassando con moto irrequieto ora da destra ed ora da sinistra, zappavadel piè il selciato, e annitriva potentemente; nella parte più remota della stalla non meno smaniosa una cavalla inuzzoliva, e co' nitriti rispondeva. Ciò avendo notato Maria si mise il dito su la fronte, e pensò alquanto, poi come risoluta si appressa alla cavalla, e in meno che non balena anco quellaarnesa[13]; ciò fatto si reca alla porta, e ferma sopra la sogliaspecola di qua e di là; parendole sicuro il luogo, si attenta uscirne per esaminare meglio i dintorni; nè andò guari che le occorsero le macerie di certa casetta in ruina; erano il caso suo; tornando poi indietro, mentre leva gli occhi ormai ausati a scorgere tra le mezze tenebre delle notti d'Italia incontra la carrucola appesa al braccio di ferro sul finestrone del fienile; tratta fuori la cavalla la nascose dietro le macerie, e dopo averla assicurata bene con la cavezza le legò intorno al collo (insinuandoci dentro il muso di quella) un sacco con la biada: certo non per questo ella allontanava il pericolo, che in mal punto annitrendo venisse a scoprire la trama; ma adesso buttarsi in balia della fortuna era prudenza; inoltre risalita presto la scala si mise in cerca, sovvenuta dalla luce del lampione, della fune da tirare su i fasci del fieno e tosto l'ebbe trovata; ne fece gomitolo, e la nascose in parte dove poterla facilmente rinvenire anco al buio: tutto questo compito s'inginocchiò levando le mani giunte, e gli occhi al cielo in atto di tale profonda supplicazione da spalancarele porte del paradiso, fossero pure di bronzo: certo se non si esaudiscono lassù siffatte preghiere surte da cuore così generoso, a fine sì retto, e con tanta speranza, sarebbe tempo perso per noi altri continuare le nostre.

Anacleto tornò affannoso come chi teme avere tardato: esaminava il morso, la briglia, e le staffe al cavallo; trovando le cinghie un po' lente le stringeva in fretta; poi lo trasse fuori; spegnendo il lume, confortò Maria a ricoricarsi; e dato un paio di giri alla chiave si allontanò fischiando.

Maria lascia scorrere un quarto d'ora, forse anco meno, chè la impazienza le faceva parere il minuto un secolo: indi apre risoluta le imposte del finestrone del fienile; spendolandosi, agguantata al braccio di ferro introduce la fune nella carrucola lasciandola pendere da due parti; circonda le mani di cenci e di pelli di cui trova copia nella scuderia, e poi adagio adagio ora reggendosi da manca, e lasciandosi ire a destra, ed ora aggrappandosi a destra ed ammollando a mancina arriva senza una scorticatura giù in terra; di sbalzodietro alle macerie, di un lampo alla cavezza sostituisce la briglia, di un salto inforca la cavalla, e via.

Guardavansi allora, come si custodiscono adesso, le porte di Roma, anzi con diligenza maggiore; nè alla Maria sarebbe riuscito passarle se non le venivano in aiuto la fortuna e l'audacia; però che avendo ella notato tra i gabellieri e i soldati qualche po' di agitazione, la quale stenta a quietarsi allorchè seguita uno scompiglio inopinato e improvviso, s'inoltra franca e dice:

— Apritemi tosto, che ho da raggiungere il mio signore cavaliere Pelliccioni. —

E si appose con felice astuzia, essendosi per lo appunto poco innanzi presentato il cavaliere Pelliccioni, al quale ebbero aperto le porte senza più che un suo semplice invito, correndo voce per tutta Roma come godesse il favore del Papa, e il Cardinal nepote lo estimasse assai: ma egli mostrò un lascia passare amplissimo per sè e per i suoi familiari, sicchè se gliele spalancassero con un diluvio d'inchini non è da dirsi. Anco sopraMaria scese il credito del Pelliccioni; e gli onesti gabellieri si recarono a scrupolo di trattenerla pure un momento da raggiungere il padrone. Uscita alla campagna Maria ignorava il cammino; peggio anco di questo dubitando seguire troppo da lontano, o troppo accosto al Pelliccioni, si peritava a sostare come a soffermarsi: a cavarla d'impaccio valse il nitrito del cavallo di Paolo, a cui subito tenne dietro quello della giumenta; e per questo modo argomentando la distanza giudicò poterlo seguitare, senza dargli sospetto, a mezzo trotto. Paolo però, sperto della via e premuroso di arrivare, cacciava a briglia sciolta il cavallo, onde Maria ne smarrì la traccia. Giunta al luogo, che reputò essere Nettuno, da per tutto silenzio e tenebre: quale la casa dove colui si fosse chiuso ignorava, e l'avesse saputo, rinvenirla notte tempo non che malagevole impossibile: ella vagava qua e là per la campagna mordendosi le labbra. All'improvviso vide da lontano tremolare un lume, e si avviò da cotesto lato, ma dopo molto cammino conobbe partirsida una casa rustica; prese ad aggirarsi per altra parte, senonchè volta e rivolta si trovò là, donde prima si era partita o le parve; sfidata ormai di avere fatto i passi invano si pose per un sentiero nel proponimento di riaccostarsi bel bello a Roma; ma anco qui fece fallo che dallo affondare delle zampe della giumenta si accorse essersi impegnata sopra un terreno pantanoso; scendendo dubitava non potere risalire, inoltrandosi temeva sprofondare con la cavalla in qualche fitta: per la meno trista deliberò rifare i passi, ma nè anco questo le riusciva agevole, sicchè parendole dopo scorso qualche tratto trovarsi sul sodo smontò dandosi pace, ferma di aspettare all'alba per uscire di pelago.

Ma se non riesce a Maria trovare la casa di Paolo, e vedere quello che vi opera dentro, riesce a noi. Il Cavaliere, il quale possedeva le chiavi delle varie porte, da prima ripose il cavallo fumante per sudore nella stalla, poi s'intromise cauto nellacasa; girando gli occhi scorse lume in cucina, ed avviatosi costà rinvenne Renzo, che dormiva chinato il capo su le braccia dinanzi ad una tavola: lo percosse sopra la spalla e quegli desto allo improvviso mise un grido, guardando con occhi strabuzzati la figura comparsagli. Paolo posto il dito su la bocca gli ordinò tacere:

— Sono io, che temi poltrone?

— Ah! mi sognava in questo punto, che il Diavolo mi portava via.

— Quello che si differisce non si perde. La Marchesa dov'è?

— Nella sua stanza.

— Levati, e sta di guardia accanto alla porta; per rumori che tu ascolti non aprire, non andartene, non moverti. Guai a te se manchi! —

Si mise su per le scale; la prima salì difilato; alla seconda prese a battergli violentemente il cuore, e gli parve strano: si trattenne per ricomporsi in capo al pianerottolo, dove cavato il pugnale se lo nascose nella manica: per ultimo entrò. Buia la prima camera, e la seconda; dal foro del serrame alla terza usciva un filo di luce;colà dentro la Violante: aperse piano, e sporto il capo vide la donna genuflessa davanti la immagine della Madonna dei sette dolori. O Madonna, quante mai le tue devote! E grandi, anzi ineffabili furono i tuoi dolori, e nondimanco per molte infelici a dura prova non parvero troppi.

La povera Violante così stava allora sprofondata nella preghiera, che non intese aprire l'uscio; in quel punto era immobile da sembrare cosa inanimata, però porgevano testimonio della smania che l'aveva fieramente commossa le vesti scinte, ed il volume dei capelli nerissimi sciolti giù su le spalle e pel volto.

Egli rimase fermo a mezza stanza con gli occhi chiusi e la mano stretta a pugno appoggiata alla fronte. Qualche demonio lo teneva certo per la catena al piede. Di tratto la Violante con un gran sospiro levò il capo, e forte squassandolo respinse i capelli dal volto su le spalle; aggiungendo poi a cotesto moto l'atto delle mani se gli spartisce meglio su la fronte, e se gli lega intorno alla nuca: magnifici capelli in verità!

Mentre ella getta per la stanza lo sguardo obliquo, parle vedere, e, Vergine benedetta! vede certo il suo sposo, il desiderato cuore del cuor suo. Su ritta, con le braccia tese come se fossero ale gli si avventa addosso, nè potendo o volendo contenere la pienezza dello affetto lo abbraccia delirante, lo bacia pel volto, pei capelli, su gli occhi, e lo bagna di lacrime; egli, Paolo, sopraffatto non può astenersi di cingerla col manco braccio al collo, col destro (nella manica del quale teneva nascosto il coltello) alla vita; e la guardava fisso fisso con isguardi taglienti; frattanto il coltello, caso fosse, od intenzione, gli era scivolato nella mano, e la mano posava sotto la sinistra spalla di lei, là dove sentiamo pulsare il cuore più forte che dal seno. Nè il peggiore dei Demoni, no quanto è vero Dio, nè il peggiore dei Demoni gli susurrava nell'orecchio: — su, spingi forte e improvviso; troncale a un tratto l'affanno e la vita: ti pigli carità della desolata! —

Ma non potè, egli se l'aspettava con la ingiuria su le labbra, il furore negli occhi; aveva fatto capitale su i rimproveri,su le accuse, sopra le minaccie per infiammarsi il sangue, e inferocire: — anco se l'avesse trovata in balía del sonno... inerte... dal sonno alla morte così lieve è il passo, che non gli sarebbe parso difficile con un po' di urto sospingervela... ma adesso così umile, così fiduciosa, così ardente di amore sviscerato... tutto ciò gli rompeva i disegni, sicchè da prima sentì sorgersi nella mente un contrasto non mai a quel modo provato, un'uggia, e da sezzo uno sfinimento ch'ebbe bisogno di appoggiarsi forte alla donna per non istramazzare; di subito si sciolse, e traballando verso la porta l'aperse e gridò:

— Renzo! Presto, portami vino... presto Renzo!!! Renzo! —

E Renzo smemorato portò il fiasco senza bicchiere; ma Paolo non ci attese; abbracciatolo con ambe le mani bevve com'uomo cui martorii l'agonia della sete; lo restituì a mezzo scemo, e del cenno accommiatò il famiglio. La Violante in silenzio si assettava sul lettuccio aspettandovi Paolo, che prese agitato a passeggiare su e giù per la stanza: la coscienzagli dava noia come un dente guasto; nulla però di scomposto appariva in cotesti moti: anzi le belle membra e il portamento egregio venivano ad acquistare risalto, sicchè la Violante ammirando si compiaceva nel suo segreto di sì formoso marito: dalla sciolta andatura, dal maestoso incesso, dalle narici tremanti, dai capelli ventilati, dal guardo di fiamma, dal volto acceso nel vermiglio florido della giovanezza avresti detto che lo invasasse un Dio. Che maraviglia pertanto se il cuore della donna innamorata traboccasse di contentezza pigliando la via degli occhi e della bocca per isboglientirsi ad un punto con lacrime e sospiri? Ah! nel suo intelletto di cattolica Violante pensava — mi pare l'Arcangiolo Michele — il campione del paradiso.

Di repente Paolo sta crollando il capo, quasi dopo lunga ambage avesse deliberato il da farsi; e dice:

— Voi mi avete desiderato?

— Io? Io ti desidero sempre. Vinta dalla impazienza ti ho spedito un messo.

— Qual messo? Io non lo vidi.

— Come! Non ti fu consegnata una lettera?

— Non so di lettera. Non avevate promesso aspettare? E chi spediste voi? Perchè non venne Renzo?

— Ricusò obbedirmi: mi contese uscire.

— E non prometteste voi di rimanervi in casa? Sopra la soglia, custode dell'obbligo vostro, non avevate posto la data fede?

— È vero... ma e tu perchè ci mettesti il carceriere?

— Egli è chiarito a prova, che non poteva starmi sicuro della vostra fede.

— Perdona... oh! perdona. Se tu provassi... se tu immaginassi una minima parte dello spasimo di donna che sa l'amore suo esposto a pericoli mortali, e sente ogni minuto, ogni attimo fitto ed acuto entrarle nel cuore tormentandolo con l'ansietà, con la paura, con infinite immaginazioni e tutte spaventose, tu non mi rampogneresti. A voi altri uomini la presenza del pericolo accende il sangue e ne scema l'apprensione; la lontananza a noi povere donne lo agghiaccia gittandoci in predaalla truce fantasia: perchè... vedi... Paolo, non te ne insuperbire... io immensamente ti amo.

— Voi mi amate?

— Forse non lo sai quanto me, ed anco più di me?

— Certo, certo voi mi amate, e molto... come il pirata la fusta con la quale va in corso... come l'avaro il suo tesoro... o se volete meglio come la donna ama i pendenti ed i monili che valgono ad umiliare la disadorna rivale. — Non ci ha dubbio, io devo credere, io credo che mi amiate molto, imperciocchè voi in me unicamente amiate voi stessa.

— Paolo mio... che hai? Perchè mi ti mostri così acerbo? L'ultima volta che io ti vidi ti provai diverso. Se io ti avessi amato meno mi troverei ora qui? Tu sai qual fossi... Dio mi guardi da rinfacciartelo... oh! questo mai... solo lo ricordo per chiarirti, che a tutto quanto gli uomini costumano reputare beato sopra la terra io preferisco l'amore del mio Paolo.

— Ed io, mirate, penso, che questo prodigio di amore lo deva....

— A che, Paolo?

— A un uscio chiuso.

— Sicuro, l'uscio chiuso precipitò gli eventi, ma ormai l'affetto di te così mi si era radicato nell'anima, che nè uomo, nè Dio avrebbe potuto cavarmelo senza tirarsi dietro anco il cuore. Come siete strani voi altri... se una fanciulla incauta vi palesa la fiamma onde arde tutta, voi la stimate invereconda e per poco non la dite sfrontata; se poi s'ingegna nascondervela per pudore, e voi l'accusate d'insidia, d'ipocrisia, e peggio. L'ultimo passo della passione è la somma dei primi; e noi povere innamorate ci sentiamo padrone di non abbandonarci in balia dell'uomo che amiamo come chi si precipita da una torre intenda non percotere sul terreno. — Ma via, perchè con rammarichi intempestivi cresceremo le nuvole di un cielo, che ci si mostrava anco troppo procelloso fin qui? Teniamo, caro Paolo, il bene che unico dipende da noi, che veruno può rapirci se non lo buttiamo via da noi stessi, vo' dire quello di amarci sempre, e stringerci ogni giorno più nei santi affetti di moglie e di marito....

— E questo per lo appunto è quello che ormai non può farsi....

La Violante rimase impietrita; aperse la bocca, ma non seppe profferire parola, e nè manco ebbe più balía di richiuderla.

— Ormai non può farsi — prosegue Paolo di foga avendo rotto il diaccio — la fortuna mi ha proceduto sempre nemica, e se la parola fortuna vi suona pagana, surrogatevi a vostra posta la provvidenza, ed anco addirittura Dio; sì sempre Dio mi ha travolto nelle acque della amarezza, e dopo avermi vie via per istrazio ripescato co' ganci, adesso mi dà il tuffo; che posso io contro la fortuna, la provvidenza, e Dio? A Napoli, voi lo sapete, non mi restava a fare moneta che l'anima; ma tante anime si danno al Diavolo gratis, ch'egli ai giorni nostri le rifiuterebbe anco per uno scudo la dozzina. Tornai a casa; e qui ho dato fondo ad ogni mio capitale... ed ai molti altri che avevano commesso alla mia fede amici e congiunti; nè basta: a rilevare dalle ruine le case paterne ho tolto a usura grossa quantità di pecunia dagli ebrei, ora finchè io erain voce di favorito dal Papa, costoro mi stavano lontano come i lupi spaventati dal fuoco; adesso che mi sanno uscito di grazia, come lupi a fuoco spento, mi si avventano alla vita per divorarmi. La sconoscenza è l'ottavo sacramento qui in Roma; la prestezza con la quale fu condotta la impresa dei banditi porge argomento a dichiararla vulgare; la pericolosa astuzia insidia da masnadiero..... cenere.... insomma, cenere.... non più uffici... non più promessa di farmi restituire i feudi di famiglia usurpati... la porta per cui si penetrava in camera al Papa scomparve; ed io ne cercherei invano la traccia nella parete di granito; l'anima mia nella angosciosa aspettativa se ne andrebbe tutta in limatura: nè basta tanto, che già mi appiccano addosso la ruggine del sospetto, e susurrano me complice un dì, oggi traditore dei banditi. Bisogna partire, anzi fuggire; non impunemente concede le si renda servizio Roma, mi ridurrò in Fiandra dove sotto oscuro nome mi colpirà morte oscura, ovvero in America per diventare pasto dei cannibali o della febbregialla.... vedete, Violante, voi non potete seguitarmi in questa nuova vita piena di miserie....

— Ahimè trista! Sotto maligne stelle io venni al mondo. Certo molto per me mi duole, ma a cento doppi più per te; nè posso darti speranze che mancano a me: però la sventura non ci persuade a separarci; quando ne stringe insopportabile il sido troviamo refrigerio nello stringerci insieme: la mano di Dio ci preme abbastanza pesa sul capo, non l'aggraviamo da noi. Ti seguirò Paolo, mi toserò i capelli, orgoglio della mia giovinezza, piglierò vesti maschili, imparerò a governarti il cavallo... di un ragazzo ti farà pure mestieri? In America ormai non vi ha più luogo ai Cortez, nè ai Pizzarro, tuttavia nè manco vi è chiuso il campo a gesti onorati, nè costà patiremo difetto di amici ed altresì dello aiuto di parenti della mia famiglia... Paolo, se (e Dio nol voglia) ferito, chi ti medicherà più amoroso della tua Violante? Se infermo, chi ti veglierà? Chi ti porgerà da bere? Chi avrà cura della tua vita come la tua Violante, a cui,te morto, ogni causa di vivere vien meno? Paolo, è scritto: = quello che Dio ha congiunto l'uomo non separi. =

— Senti, Violante, soggiunge Paolo guardandosi attorno, e poi accostatosi a lei con voce sommessa riprese: io te lo confesserò, e tu lo tacerai, perchè a tenerlo sepolto nel tuo seno ci trovi vantaggio quanto me..... il sospetto..... il sospetto non è mica vano....

— Qual sospetto? Domandava la donna atterrita.

— Non nacqui fango io: nè hanno potuto percotere su me come sopra una pietra; dente per dente, occhio per occhio, anco Dio costumava così; tutti contro me, io contro tutti: essi tinsero il dito loro nel mio sangue, ed io mi sono lavato le mani nel sangue di loro... io... io.... fui capo di banditi.... il furto, il sacrilegio, l'omicidio sonarono le ore del vivere mio.... se ho potuto sottrarre così a lungo questo capo alla mannaia, nasce dal credere che già e' me lo abbiano mozzo; me reputano da molto tempo morto.... la terra da molto tempo mi tiene, sotto nome di VenanzioTombesi. — Separati pertanto quanto puoi più quieta da me; torna a Napoli, e colà chiusa in qualche monastero prega dai santi l'oblio... se non puoi l'oblio, la pazienza,... e se per me allora sepolto vorrai arrisicare una preghiera... mi rimetto in te... ho inteso dire, che le orazioni quando non approfittano al trapassato, tornano accresciute dalla grazia di Dio a consolare chi le disse....

La Violante da un pezzo si nascondeva la faccia con ambedue le mani, tra le dita delle quali si erano attortigliate alcune ciocche di capelli: ella rimase lungamente immota nel suo muto dolore, che o sdegnava o vinceva ogni via per cui si manifesta lo spasimo dell'anima umana: allorchè poi le rimosse, miserabile a dirsi! le ciocche dei capelli le si staccarono, a mo' della peluria del fiore di papavero, che al soffio lieve del fanciullo vola via; i nepitelli infiammati così colorivano le lacrime, che gli occhi pareva piangessero sangue; i muscoli contratti, come se un graffio le arroncigliasse il cervello, le avevano sconvolto la sembianza diventataquasi selvatica; tinti in cenere i contorni degli occhi, i solchi delle narici, le labbra. Nè la testa della Niobe, e nè anco quella della Madonna dellaPietàdi Michelangelo possono a gran pezza porgerti idea di cotesto volto doloroso.

— Signore, cominciò la Violante con voce sommessa, io provo senza fine amaro il calice della mia passione, ma io me lo sono ministrato con le mie mani ed io lo beverò... intero. Al Cireneo non correva obbligo di sollevare la croce a Cristo, la moglie deve portare la croce del marito innocente o colpevole. Vergogna e dolore, io posso domarvi per ora come belve feroci, — quando avrò portato il refrigerio di posare sopra il mio seno, a quel capo abbrustolito d'infamia, quando avrò temperato con parole di speranza l'arsura di quel sangue febbrile pel terrore della morte vicina, quando avrò unito la mia prece all'ultima sua, affinchè la drizzi e la sorregga verso il cielo dove possa ottenere perdono dalla misericordia di Dio; quando tutto questo sarà compito, allora e solo allora, vergogna e dolore, io mi confessovostra, e più tosto mi sbranerete più l'avrò in grazia. Dio placato mi muterà in tanta gloria lassù quanto di obbrobrio mi toccò su la terra. Eroe o masnadiero, voi siete il mio marito, e quello che Dio ha congiunto l'uomo non separerà.

Sotto il cranio di Paolo imperversa adesso una procella quale forse non travolse mai intelletto di demonio; credeva avere a rompere uno spago, sbarazzarsi di una bassetta attortaglisi intorno alle gambe, ed ora sentiva a prova tenerlo una catena, che ad ogni strettone gli si faceva più corta, e più pesa; sbuffava di collera, stralunava le pupille smarrite, le goccie grosse di sudore, che di tratto in tratto gli grondavano giù dalla fronte a pari delle grosse stille di pioggia precorritrici della procella chiarivano, che ei stava in procinto di prorompere.

E proruppe, dacchè con bestiale rabbia prese a gridare:

— Che Dio! Che vincolo! Voi non foste mai mia moglie, nè io mai vostro marito.

— Oh! E l'altare, e il sacerdote, e il sacramento?

— Mentito tutto; il sacerdote un bandito, banditi i testimoni: il vero parroco condotto lontano dalla parrocchia...

— E le dispense, e il placito di Monsignore Arcivescovo?

— False.

— O Dio! E perchè tanto strazio?

— Eh! Tu volevi pigliare con le tue reti una duchea e un duca, io con le mie un marchesato ed una marchesa; e all'uno e all'altra si sono rotte le maglie.

— Di'! quando mentisci, ora od allora?

— Giudicalo da te....

— Sta bene; dunque tu potente di giovanezza e di forza non hai repugnato abbindolare una fanciulla inesperta, — tu uomo di sangue sei sceso alle insidie, ai tradimenti, e alle frodi per tradire una povera innocente senza madre, — tu non hai abborrito vituperare in me la donna che ti ha generato, tu falco, io colomba: or via, la fanciulla inesperta, la povera donna, la debole creatura... senza aiuto altrui, come senza inganno, ecco come ti rende l'oltraggio....

E con quanto aveva di vigore nel braccioa mano rovescia gli appiccò uno schiaffo, aggiungendo con infinito disprezzo:

— Piglia,marrano.... —

Subito dopo gli sputò in faccia continuando:

— Piglia, schiavo. —

A mo' che il vento spalancando con impeto le finestre ti spegne di un attimo i lumi della stanza, la dignità di donna offesa, la tenerezza di sposa oltraggiata, il disprezzo, lo scherno strangolarono l'amore, e più che mai veemente tornò a divampare l'orgoglio spagnuolo attutito, non vinto. E mentre Paolo sottosopra per la novità dello insulto attende a forbirsi il volto con la manica, Violante risoluta si fa verso la porta; allora costui frettoloso le si para davanti, e le intima:

— Addietro...

— Addietro tu... schiavo.

— E dove presumi andare?

— Ai piedi santi del Papa.... perchè mi faccia troncare un capo, questo capo il tuo.

— Addietro ti dico, sciagurata, addietro...

— E chi vorrà impedirmi? Tu? E come?

— Come? — Rispose il Pelliccioni occupando tutto il vano della porta, con le braccia sotto le ascelle, ed in suono così pauroso di voce, che per parola non si potrebbe significare giammai. A questo punto la Violante inasprita, spumante per furore le labbra, con mano convulsa si cava di tasca il pugnale, dono sinistro del truce marito, e lo minaccia:

— Tu me lo desti... ed io lo adopro. —

E' sembra, che il sangue o l'anima del Pelliccioni avessero mestieri eccitamento per gittarsi in balía del demonio, imperciocchè rannicchiatosi nelle membra e raccolte le forze, allo improvviso spiccò un salto a guisa di gatto pardo; e l'aggavigna, poi attorcigliatisi alla mano i capelli di una tremenda strappata la scaraventa a rotolare sul terreno. O fosse la grande forza ch'ei ci mise, o le percosse morali, durate nella lunga agonía nel cervello, avessero indebolito le radiche dei capelli, quanti il Pelliccioni ne abbrancò, tanti gliene rimasero in mano; e fu spettacolo da rabbrividire.

Trafitta da angoscie, che superano la immaginazione umana, pesta nelle ossa, col capo spasimante come se le avessero strappato il cranio, la donna aiutandosi con le mani si levò su le ginocchia, e strascinandosi pel pavimento giunse ad avvitichiarsi alla gamba sinistra del Pelliccioni: ormai quello che si facesse ella non sapeva, balbutiva parole rotte... non preghiere, non minaccie, suoni di belva trafitta; agitandosi a caso ella venne ad agguantarsi ad una girattiera di velluto chermesino trapunta di perle, e ne strappò due ganci, sicchè ella rimase cinta intorno alla gamba con uno. La Marchesa Clelia in iscambio dei doni nuziali, che magnifici presentò il Pelliccioni, tra gli altri arnesi gli aveva profferto cotesta legaccia, e dettogli averla trapunta a posta per lui la bella Tuda, e non era vero; ma il mondo vive di pane, e di menzogna, ed alla verità tocca scappare fuori dalla bugia, nè più nè meno che il legume si sguscia dalla siliqua.

La vista di quel capo tanto mirabile dianzi per la copia dei capelli, adesso inparte calvo come il cranio del decrepito, avrebbe cacciato il raccapriccio nel cuore più duro: di fatti il Pelliccioni si rimase alquanto a considerarlo, e dopo breve spazio di tempo ripose il pugnale nella cintura, e dalla tasca delle brache cavò fuori una pistola. Costui avendo pensato, che a scannarla di coltello troppo guazzo di sangue sariasi fatto per la stanza, deliberò spacciarla di un picchio sul capo; e tosto pensato, tosto compito.... Io non racconterò, che nè anco qui al perverso riusciva a forma dei suoi desiderii, imperciocchè la misera resistesse non pure al primo, ma al terzo colpo, ed al quarto, onde in costui inviperì il delirio dell'omicidio, e giù menava alla disperata come se battesse dentro il mortaio; il cranio schizzò in ischeggie da ogni lato, il cervello si sparpagliò, larga vena di sangue allagò il pavimento: e mentre egli era tutto molle di sudore e di sangue, il corpo miserabile della donna si dimenava convulso, con le gambe dava tratti, e le dita adagio adagio con moto sempre più languido si stringevano e si allargavano.

Il Pelliccioni forbito che ebbe il calcio della pistola grommoso di sangue ed impiastrato di cervello, se la ripose in tasca, e scese al piano terreno; quivi trovato Renzo gli disse:

— Va su, leva i lenzuoli dal letto, e involtaci dentro la signora Violante, accendi quanti lumi più sai, e spazzando con diligenza in ogni luogo raccogli ossa, cervello e capelli: poi lava e rilava il pavimento, per asciugarlo adoperaci semola che piglierai nella stalla; i panni sanguinosi, la granata, le ossa, il cervello, i capelli raccogli insieme, e formane un fardello, che legherai col corpo: quando sarai lesto chiamami, che ti darò una mano per portare ogni cosa allo stagno, e buttarla nell'acqua... Dov'è il vino? —

Renzo gli porse il fiasco senza movere verbo, e quegli attese a votarlo. Votato ch'ei lo ebbe, mirandosi sempre Renzo dinanzi cruccioso gli domandò:

— Perchè non vai?

— Ho paura.

— Va su, poltrone..... o ti scanno come un castrato.

— Ammazzatemi.

— Dunque non vuoi andare?

— Non posso, non me ne sento il coraggio.

— No?

— No. —

Paolo stese la mano alla tasca delle brache; ma intanto che abbassava il braccio pensò: — lo stagno è lontano, e se costui non mi aiuta, la diventa faccenda seria; proviamo prima, saremo sempre a tempo, — e rialzò la mano.

— Farò da me, ma tu non ti ricuserai a portare il fagotto allo stagno....

— A patto, che veniate anco voi, e non la miri in viso.

Per quanta buona volontà ci mettesse Paolo, non venne a capo di compire le diligenze che aveva commesso a Renzo; si sentiva rifinito, e capace di spargere due cotanti più sangue, che non ne aveva la Violante nelle vene, ripugnava a lavarlo; così abborracciando formò una balla di quanto voleva fare scomparire, la strinsein tre parti: finita l'opera nefaria, saliva Renzo, e si recava l'involto su le spalle dalla parte dei piedi, Paolo da capo. A rischiarare il sentiero Renzo portava un fanale; di studiare il passo non era il caso, che da per tutto regnano solitudine e silenzio. Senza ricambiare una parola fra loro, cupi, foschi come la notte in mezzo la quale procedevano, per sentieruzzi appena battuti arrivarono su la sponda dello stagno: quivi deposero il fardello: Paolo più per abito di sospetto, che per essercene di bisogno si guardò dintorno, e dopo preso un po' di fiato, disse:

— Su, Renzo, agguanta pei piedi... così... adesso dondola... no... ti pigli un trabocco di sangue — no a quel modo... mettiti d'accordo con me... io conto fino a tre... al terzo lascia andare; uno... due... tre... giù... ha fatto il tonfo! Mira un po' se niente sia rimasto a galla...

— Mi pare....

— Che cosa....

— Un po' di bianco laggiù...

— E' pare anco a me.... fa di cercarmi qualche sasso...

— Bisogna andare lontano, che qui d'intorno è padule.

— Va dove sai di trovarne....

— Ho paura.

— E tu resta, andrò io.

— Ho paura a restare solo... Ah! Madonna santissima... Santi del Paradiso! Sentite....

— Che?

— Oh! non sentite lì, lì dietro coteste canne qualche cosa si muove.

— Sarà un cignale... aspetta — e cavata fuori la pistola la sparò a cotesta volta; si udì un grido represso, e uno stormire di frasche, onde Paolo riprese: — e' pare ch'io lo abbia colto, hai tu sentito come grugniva? Bazza a chi tocca, se dimani lo cercherai, può darsi che tu lo rinvenga quinci oltre morto. —

Sassi non trovarono, bensì cataste di legna; se ne caricarono sopra le spalle due pezzi per uno, e tornati sul luogo li gittarono là dove a Renzo pareva vedere bianco.

— E ora, interroga Paolo dopochè gli ebbe gittati, ti apparisce più altro?

— Non vedo più nulla.

— Bene: adesso dunque andiamocene a dormire. Non ci ha visto persona.

Il giorno seguente, che aveva ad essere la vigilia delle nozze, Paolo, azzimato, olezzante di rari profumi, vispo, allegro come i raggi del sole di primavera si recò al palazzo Savelli, dove lo accolse il marchese Silla a braccia aperte, e gli disse: attendesse al fatto suo, apparecchiasse ogni cosa, le donne non potersi trovare; chi sa dov'erano? Sarebbe stato lo stesso, che tenere dietro ad una rondine. Fra confessori, sarti, crestaie pareva una Babele, un finimondo. Tutto fermo per domani, mandati gli inviti;sudare di già i fuochia cocere le vivande del festino; pronti i contratti, i notari, la dote in pecunia numerata. Comecchè questo caso sembrasse un po' strano, fu nuvoletta di madreperla, che dondoli pel cielo sereno quasi per farne risaltare meglio l'azzurro smagliante; e poi anche a Paolo toccava compire unmondo di faccende; rivide gli amici, passò dal Cardinale, a cui non potè favellare, perchè ristretto a consiglio di Stato; e così tra una cosa e l'altra si condusse all'ora del pranzo. Venuto vespro s'incamminò al Gesù per confessarsi al suo padre Migali, dacchè corre adesso, e correva allora anco più rigido l'obbligo a qualunque cattolico confessarsi prima di celebrare il matrimonio. Il padre Migali, alla vista del Pelliccioni, tanto non si potè dominare, che qualche segno di maraviglia non gli apparisse sopra la faccia, ma tuffando di subito il naso dentro la tabacchiera, e con la mano, intesa a cacciare su tabacco, coprendosi tutta una gota nascose cotesta ombra, che nata appena si dileguò.

— Sicuro è nelle regole confessarsi prima... e un uomo pio come voi non poteva mancare al debito... io vi aspettava... l'aveva detto giusto un momento fa qui a padre Ignazio... è vero? Ma le saranno le solite cose... bagattelle... bagattelle. Andiamo giù in chiesa....

— Non potremmo rimanere qui secondo il solito?

— Magari! Con tutto il cuore! Ma comincia a far caldo, e in chiesa staremo più freschi.... e poi aspetto la visita del Generale... non è vero, padre Ignazio?... Ma la confessione innanzi a tutto; però quando giunga il Generale, padre Ignazio, voi presso lui mi scuserete: ora andiamo via figliuolo, andiamo in chiesa. —

E così secondo il solito il Gesuita cominciò il discorso come se volesse contentare Paolo a rimanere in camera, e lo condusse spingendolo a confessarsi giù in chiesa.

Udita la confessione padre Migali esclamava:

— Ma se lo diceva io! Le solite bagattelle, pensieri, omissioni... peccatucci veniali; di una gocciola di acqua benedetta ne avanza mezza a lavarli tutti... ecci altro figliuolo?

— Ah! Pur troppo la coscienza mi mette a scrupolo la passione che mi arde accesissima per la mia sposa Tuda; temo non sia questo regolato amore; dubito che più che la santità del matrimonio mi tiri il desiderio della carne, e la cupiditàdella ricca dote si mescoli oltre il debito nella reverenza del sacramento.

— Eh! circa a questo, dilettissimo mio, bisogna dire essere più agevole confessarsi di simili tentazioni dopo venute, che impedire che le vengano. La spezieria della penitenza non è ricca di droghe come sai; digiuni, orazioni, elemosine, e siamo lesti. Ora importi digiunare nella vigilia delle nozze sarebbe come darti cavolo a merenda; alle orazioni non penso nè manco perchè le ti uscirebbero frastagliate di chi sa quali fantasie, e sarebbe un corri dietro perpetuo della immagine della Beata Vergine e di quella della marchesina Tuda. Resta la elemosina.... grande virtù è questa della elemosina, la quale può farsi così a piede come a cavallo, così di notte come di giorno, digiuni e dopo pranzo, innocenti o colpevoli, è sempre bene e sempre efficacemente....

Il frate mascagno s'ingegnava a pigliare la sua parte di pelle anco prima che la bestia si scorticasse.

Si sarebbe detto, che il sole presago di illuminare qualche gesto glorioso mettesse fuori i suoi raggi del dì delle feste; l'aria dintorno spirava tepida quasi sospiro di petto innamorato, e con perpetua vicenda ti aliava a onde dintorno ora musicale pei suoni infiniti, che manda la immensità degli enti che nascono, o risuscitano; saluto misterioso della vita alla Natura, — ed ora profumata dagli effluvii delle piante, e dei fiori; — pel cielo si diffondeva un tenue vapore il quale invece d'offuscarne la magnificenza gli dava risalto, come la bellezza avvolta nei veli percuote più potente i petti dei mortali; continua comecchè inosservata pioveva sopra tutta la creazione una rugiada di esultanza e di sorriso. Paolo non conosceva parenti, o gli erano morti; ma quando mai ai fortunati mancarono parenti ed amici? Ora si vedevano spuntare a frotte pari agli avoltoi tirati dalle più remote plaghe dell'orizzonte all'odore del carcame. Ne accorse un diluvio, parte col vestito solo accattato a nolo, col sorriso accattato tutti; chè ognunoaveva procurato ridurre gl'inchini, le piaggerie e le profferte in amo, in gancio, o in forcina per agguantare secondo la ingordigia o ghiozzo o dentice in quel giorno facile di favori; però che anco i tristi quando si sentono contenti aprano la mano. Paolo ebbe avvertenza a radunare cavalli, perchè la comitiva lo seguitasse incavallata, facendo a cotesto modo l'accompagnatura più splendida; e bene gl'incolse, imperciocchè oltre la metà dei clienti venisse pedestre. Richiesti, con premurosa sollecitudine, gli prestarono cavalli gli Orsini, i Buoncompagni, i Falconieri, ed altri parecchi dei maggiorenti Romani, non già perchè gli si professassero amici, al contrario l'odiavano; tuttavia gli facevano servizio, e lo blandivano umilissimi, chè la fortuna spesso tira in alto il patrizio, e ce lo lega come alla gogna per rendere palese al popolo, quanto ei si meriti di essere travolto in fondo: da molto tempo tra noi sembra che il volgo nobile si affatichi arrampicarsi in cima unicamente per far venire la voglia di buttarlo di sotto.

La gente traeva a furia per vedere cosìmagnifica cavalcata; — il falegname lasciata la sega in mezzo la tavola, e il calzolaro deposta la forma senza stringere il punto recavansi sopra lo sporto delle botteghe: alle finestre comparivano gremiti i capi delle fanciulle, a mo' di api che facciano gomitolo intorno alle ramelle di timo; e da ogni canto correva un dire — o lei beata! Le belle nozze che sono mai queste! Lo sposo pare un occhio di sole. La sposa li vince tutti e due, e non defalco un baiocco. — Ci furono persino alcune fanciulle le quali cavatisi le ghirlande di giacinti e di rannucoli dal capo, e i mazzolini di viole dal seno li gittarono sopra di Paolo, non mica per petulanza, bensì per superchio di buon naturale, immaginando che, come bello, ei fosse caro e meritevole in tutto della felicità che lo aspettava. Tanto tesoro di affetto serba dentro di sè il popolo, massime le fanciulle; che quando non hanno causa di amare la fingono; e prestano le virtù a cui secondo loro avrebbe a possederle.

La maggiore frequenza del popolo chiarivaprossimo il palazzo Savello; di fatti, svoltato il canto, apparve anch'egli spirante una certa aria di festa: su i gradini disposti in ordine di ogni ragione famigli vestiti di sfoggiate livree, quale più, quale meno coperti di fiori. Era eziandio notabile una novità, che iTrabanti[14]del Papa vi facevano la guardia, e nel cortile ve ne stava schierata una compagnia con il suo capitano alla testa: nè questo sfuggì a Paolo, ma dacchè quegli gli rese con la spada il saluto militare, ed i soldati compirono il medesimo officio rizzando l'alabarda, egli pensò il cardinale Alessandro, forse il Papa, inviarli per onorare maggiormente la solennità. In capo scala lo aspettava il marchese Silla, che, secondo il solito, lo accolse a braccia aperte: quivi tanta la calca dei convitati, così fitte e sonore le felicitazioni, che da ogni lato lo inondavano simili agli schizzi di acqua, lepido gioco nei giardini dei magnati, che Paolo non ebbeluogo a distinguere da cui movessero, e scarrucolato di mano in mano, aggirato, intronato venne a cascare nella gran sala. Colà più che mai copia di fiori, in festoni pendenti dalle pareti, in mazzi dentro vasi preziosi, in lingua di profumo pareva che dicessero: — la vita è breve: che monta, purchè deliziata di vaghezza e di odore? — E le mille candele di cui andavano guernite le lumiere di cristallo, ed i viticci sporgenti dalle pareti, a cui avesse potuto capire la loro favella davano avviso: — badate a fare quello che faremo noi; splendendo sul piacere ci consumiamo. — Da per tutto arazzi, broccatelli, e damaschi di magnificenza stupenda; in mezzo, una tavola coperta di tappeto di velluto vermiglio con larghe frange d'oro, e lì sopra guantiere, candelieri, calamai ed altri arnesi di argento; in fondo della sala sovrapposto ad uno zoccolo un forziero di ferro.


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