CAPO XIII.

CAPO XIII.Teoria dinamica della Imputabilità.1. Equilibrio interno ed esterno delle forze; l’idea ed il sentimento di giù. stilla.—2. Che cosa s’intenda perprincipio di causalità.—3. I tre concetti onde risalta la imputabilità; intento della psicologia criminale.—4. I due problemi fondamentali della imputabilità, quello etico e quello del determinismo giuridico: significato e contenuto della morale positiva.—5. Lanecessità effettuale; il determinismo organico o determinismo vitale; conseguenze rispetto alla imputabilità.—6. Svolgimento della teoria dinamica del dolo.—7. Dovere, in pratica, di attenersi agli elementi proprî deldolo specificodi ciascun reato.—8. Dottrina deltemperamento.—9. I due metodi per la indagine del dolo; il metodo obbiettivo.—10. Il metodo subbiettivo: principio fondamentale dellainduzione; tentativo d’una logica della psicologia.—11. Norme imposte al giudice nella indagine del dolo.—12. La prova del dolo nei processi indiziarî; laipotesidel fatto imputabile.—13. Teoria dellacolpa.—14. Psicologia dellaprevedibilitànella colpa.—15. Ladisattenzionee la colpa.—16. Teoria delcaso.1.—Il delitto, abbiamo dimostrato, è, nel ritmo composto dell’aggregato dinamico sociale, un centro di attività con moto divergente, ossia con azione disturbatrice dell’armonia delle forze consociate pel comune scopo di progressivo benessere. Abbiamo eziandio accennato alla verità del principio spenceriano, che la coesistenza universale delle forze antagoniste, che produce l’universalità del ritmo e la decomposizione di tutte le forze in forze divergenti, rende anche necessario l’equilibrio definitivo.Per meglio comprendere le conclusioni, alle quali perverremo, dobbiamo ricordare talune verità chiaramente svolte dallo stesso Spencer: che, cioè, «quei fenomeni, che chiamiamo, subbiettivamente, stati di coscienza, sono obbiettivamente modi di forza: che una certa quantità di sentimentocorrisponde a una certa quantità di moto: che il compimento di un’azione corporea qualunque è la trasformazione di una certa quantità di sentimento nell’equivalente quantità di moto; che quest’azione corporea lotta con varie forze e viene impiegata per vincerle; e in fine, che ciò che rende necessaria la ripetizione frequente di quest’azione è il frequente ritorno delle forze che da quest’azione devono esser vinte. Perciò l’esistenza in un individuo di stimoli emozionali, che siano in equilibrio con certe esigenze esterne, è alla lettera la produzione abituale di una porzione specializzata, di energia nervosa equivalente a un certo ordine di resistenze esterne, che essa abitualmente incontra. Così l’ultimo stato formante il limite, verso cui l’evoluzione ci conduce, è uno stato in cui le specie e le quantità di forze mentali ogni giorno prodotte e trasformate in movimento sono equivalenti ai diversi ordini e ai diversi gradi delle forze ambienti che lottano con questi movimenti o sono con essi in equilibrio»[127].Ritenuto, che il delitto sia un centro di attività perturbatrice dell’ordine sociale, esso rappresenta un’azione divergente dallo stato o intento di equilibrio definitivo al quale volgonsi le azioni degli individui, siccome ad ultima mèta dei loro sforzi per procacciarsi il miglior bene desiderabile. Indi è che, per naturale legge dinamica, all’azione perturbatrice del delitto debba contrapporsi la reazione della collettività; il che avverrà con quei modi che comporta il grado di progresso sociale, secondo la necessità di soddisfare bisogni conformi allo stato della umana coscienza etica e giuridica.Avvisata soggettivamente, cotesta umana tendenza alla integrazione dell’equilibrio sociale ha dato origine al primitivo sentimento ed alla prima idea di giustizia; ciò che è avvenuto per l’affermazione dell’istinto di egoismo contemperato dalla consapevolezza di limitazione della libertà propria a garanzia della libertà altrui. «L’affinità, la vite, la psiche—scrive Ardigò—scaturiscono dalle stesse forze onde esistono i loro soggetti; e ne rappresentano la risultante, che, come tale, si distingue specificamente dalle forze producentimedesime. E così la giustizia scaturisce dalle stesse autonomie prepotenti degli individui, ed è laspecie distinta di essererisultante naturalmente dal loro contemperarsi insieme»[128].—E lo Spencer: «è chiaro che il sentimento egoistico della giustizia è un attributo subbiettivo, il quale corrisponde a quella esigenza obbiettiva che costituisce la giustizia, l’esigenza, cioè, che ogni adulto riceva gli effetti della propria natura e conseguente condotta. Perchè, se tutte le facoltà non hanno libertà di esercitarsi, questi effetti non possono essere ottenuti nè sofferti, e se non esiste un sentimento, il quale favorisca la conservazione di un campo adatto a questa libertà, il campo sarà invaso ed il libero esercizio delle facoltà sarà impedito»[129].2.—Chi desideri approfondire i concetti su esposti, vedrà che la loro origine sia il principio dicausalità, immanente in tutte le nostre cognizioni.—Per principio di causalità vogliamo intendere la sintesi di due termini: d’una idea disuccessionedi più fenomeni, e d’un rapporto dinecessitàpel passaggio dall’uno all’altro fenomeno.Non disputiamo, chè non sarebbe il luogo, se ilprincipio di causalitàderivi dall’osservazione puramente sensibile della costante vicissitudine delle cose (Locke): ovvero se non sia che semplice rapporto di successione da noi riguardato costante in virtù del ricordo e dell’associazione delle idee (Hume); o se appartenga alla interna potenza degli atti di coscienza, ossia alla volontà (Maine de Biran); o se, lungi dall’essere un prodotto empirico, sia uno degli elementi constitutivi, uno dei principî della nostra facoltà di conoscere, una dellecategorie(Kant): per noi, com’è detto, nel principio di causalità deve entrare un elemento sensibile, la successione, ed un elemento soggettivo sorto dalla certezza sperimentale intorno alla conservazione della energia attraverso le trasformazioni dei fenomeni; il che importa che questa conservazione, a condizioni date, produce costantemente dati effetti, e che l’elemento soggettivo o rapporto causale tra le cose sianecessario.3.—Nella parolaimputabilità, generalmente, non si suol vedere che il significato giuridico, quantunque questo significato abbia per presupposto il senso logico di relazione di causa e di effetto. L’agente, si dice, fu causa del maleficio; dunque egli deve esserne imputato. Chi, peraltro, spinga innanzi l’esame, vedrà che il nesso causale suppone, alla sua volta, il concetto dinecessità, il quale racchiude due termini, l’uno logico e soggettivo, e l’altro obbiettivo. Il termine logico si converte nel noto principio di contraddizione, che ciò che è non può non essere; il termine obbiettivo si identifica nella legge universale della conservazione della forza e della materia, ossia nella legge della sostanza, secondo la teoria di Haeckel. Laonde nella imputabilità conviene distinguere:a) un concetto fondamentale dinamico, che si converte nell’equivalente reale dell’energia criminosa;b) un concetto logico, di necessità di causa e di effetto;c) un concetto giuridico, di sanzione legale, che attribuisce all’autore del fatto punibile la responsabilità delle conseguenze.La psicologia criminale, occupandosi della genesi dell’imputabilità, ha l’obbligo di far principio dall’elemento fondamentale dinamico, dal quale, pel processo evolutivo, i coefficienti psicofisici mano mano si determinano, a cominciare dalla efficacia del motivo infino agli atti della volizione e dell’azione.I seguaci della scuola antropologica o, in genere, dell’indirizzo positivo del diritto penale, ritengono che la repressione del reato sia coonestata dal dovere di difesa sociale; ma donde il dovere di difesa se non dalla necessità naturale di ristabilire quell’equilibrio di energie collettive turbato dall’azione anomala del delinquente? Il delitto disintegra o tende a disintegrare l’aggregato; la legge repressiva si sforza di reintegrarlo. Ciò—nel ritmo della vita sociale—non è che contrasto od antagonismo di forze con tendenza all’effettuazione di equilibrio definitivo. La energia criminosa, ritraendo della genesi di stato psicofisico di esquilibrio, rompe l’armonia funzionale dell’organismo collettivo: la legge, prevedendo i tristi effetti, è sollecita di apprestare il rimedio; il che si converte in minaccia di pena contro l’autore del fatto, ossia in sanzione legale di quella imputabilità che ha la origine naturale e logica nella esplicazione della energia criminosa.4.—Le esposte idee ci richiamano a meditare su due problemi, che sono base della imputabilità; il problema etico dei principî direttivi dell’umana condotta, ed il problema del determinismo giuridico.Bandito dalla scienza positiva l’indirizzo dualistico, ed accettata la concezione monistica unitaria, anche la scienza della morale, informata al principio di relatività, si è liberata dalle astrazioni trascendentali metafisiche, restringendosi alla constatazione dei rapporti esigibili tra i componenti l’umano consorzio. «Spetta al secoloxix—scrive il Morselli—il vanto di avere concepita e formata una morale empirica o scientifica, indipendente, utilitaria, trasformistica, sociologica, ossia naturale ed umana nel vero significato dei termini.Empirica, perchè trae i suoi principî unicamente dalla esperienza, al pari d’ogni altra disciplina scientifica;indipendente, perchè si è liberata dal giogo che le avevano imposto le religioni ed ha acquistata piena autonomia;utilitaria, perchè prende di mira unicamente il bene che è poi l’utile collettivo, e a questo dirige e prescrive la condotta dell’individuo, non senza dimenticare il vantaggio dello svolgimento delle attività individuali;trasformistica, perchè si risolve in uno sviluppo di sentimenti che non mancano nell’animalità inferiore e portano nell’uomo soltanto la impronta di essere resi coscienti a causa del loro rappresentarsi all’intelletto; infine,psico-sociologica, perchè desume l’esistenza del senso etico dall’analisi degli elementi costitutivi della natura umana, così nell’individuo come nella specie e razza»[130].5.—Non più, quindi, l’idea del bene, del dovere, della responsabilità morale, alla dipendenza da concezioni trascendentali di ordine o religioso o metafisico; ma insita alla natura umana, alla immanenza dei fattori naturali di cui questa è il risultato; non difforme dalla produzione di fenomeni causati dalle leggi della dinamica universale. Lanecessità effettualenon è la fatalità delle umane azioni, chè queste non sono preordinate da entità estranea al corso spontaneo delle cose, ma obbediscono al processo evolutivo di permanenza delleenergie attraverso le successive forme esteriori. Niuno dubitò che i fenomeni fisici e chimici fossero il risultato di leggi che, a condizioni uguali, dessero luogo ad identici effetti: Claudio Bernard dimostrò, che ciò dovesse eziandio ritenersi pel determinismo organico o determinismo vitale, proclamando, che conoscere il numero e l’ufficio di tutte le funzioni organiche, tale è il punto di partenza del determinismo, ed il suo punto di arrivo è che l’armonia la più rigorosa sia anche la legge delle cose della vita: perchè non dovrebbe il medesimo principio spiegarci i fenomeni psichici, che degli organici hanno la identica origine dinamica?—Quest’ultima verità sperimentale contiene e riassume la dottrina da noi fin qui svolta intorno all’evento psichico del delitto; ed abbiamo voluto esplicitamente enunciarla, perchè essa modifica di molto quanto già ritenemmo e propugnammo altrove circa il fondamento etico della imputabilità[131].6.—Alla dottrina della imputabilità appartiene la teorica deldoloe dellacolpa. Ne parleremo nei limiti richiesti dal nostro assunto esclusivamente psicologico; ciò che faremo riferendo quello che scrivemmo parecchi anni or sono, e che, meno per alcuni concetti ed opinioni meglio svolti e corretti, resta tuttavia, in chiara sintesi, a delineare la teorica dinamica ampiamente esplicata in questo libro.Nella dottrina del dolo—noi scrivemmo—[132]debbono concorrere:a) un fattore iniziale;b) un fattore psicologico;c) un fattore fisio-psicologico;d) un’attività cosciente.Qualunque forza in azione ha un principio ed un fine; un prima ed un poi. Il principio è dato dall’azione impulsiva di altra forza con cui si è in contatto; il fine dall’esaurimento dell’energia, o dell’attitudine in atto. Quando, dunque, diciamofattore iniziale, vogliamo intendere la nozione complessiva del movente, cui si è passivo, e della efficacia impulsiva esercitata sulla nostra forza. Da questo momento comincia il processo di trasformazione della energia passiva in energia attiva dell’io; il tempo, che vi occupa, è maggiore o minorea seconda la maggiore o minore attitudinequalitativadel movente rispetto alla nostra forza ed al grado di resistenza determinato o da precedente nostra conformazione o da stato transitorio poco conforme all’adattamento circa l’azione dello stimolo. Anzi, succede che, se lo stimolo agente è interno, l’adattamento è più agevole, perchè tutto ciò che si presenta coi caratteri o di sentimento o di idea partecipa di già sostanzialmente con la natura della nostra psiche; non essendo logico concepire, che una forza si determini in dato effetto senza che ne abbia conformità di attitudine. L’azione o laefficaciad’un’idea, come diceva il Romagnosi, sulle nostre facoltà psichiche ha tutti i caratteri impulsivi degli stimoli esterni: mentre, per questi, il periodo iniziale è la sensibilità fisica, per l’idea è il sentimento (o iltono sentimentale): la differenza è nel momento evolutivo della energia in atto; ma le due forme di agenti si identificano nella passività psichica. Ed è facile capire che, avuto lo stimolo, si è stabilita una relazione o di accordo o di opposizione tra due energie, le quali o tendono ad equilibrarsi, o si collidono: nel primo caso la risultante ha maggiore vigore e si converte nella intima soddisfazione, che è il grado primo delpiacere; nel secondo caso, o l’impulso vince, e si ha il primo grado dellacoazione psichica; o è vinto, e laspontaneitàdi facoltà si converte in attitudine all’azione. La coscienza di questi primi stadî dell’attività psichica è sottoposta a delle restrizioni notabili: se l’impulso viene dall’esterno, dobbiamo distinguere se appartenga e formi parti dell’ambiente in mezzo a cui viviamo, ovvero se sorga isolatamente da accidentalità di relazioni; nella prima ipotesi, la trasformazione di energia avviene a nostra insaputa, inconsciamente; nella seconda ipotesi, ci è dato accorgercene quando altro stimolo simultaneo non ci preoccupi l’attenzione. E la coscienza, ridestandosi, non fa che notare il nesso ditempoo disuccessionetra la esistenza esterna dello stimolo e la esistenza interna; il che è dato dalla così detta percezione sensitiva, intesa nel significato di affermazione della esistenza di un certo che estraneo al nostro organismo e che col medesimo si è messo a contatto. Se lo stimolo è interno, ovvero nasce da idea prevalente sulle rimanenti, le quali nella simultaneità mentale si addimostrano,bisogna eziandio distinguere se essa idea sorga nuova, ovvero abbia dei lontani germi in idee precedenti: nella prima ipotesi, la sua efficacia può essere minima o massima a seconda l’indole o natura speciale che la distingue e la rende conforme alla serie delle idee e dei sentimenti con cui si connette nello stato attuale interno; nella seconda ipotesi, la efficacia è più forte, perchè l’origine latente, cui si riattacca, risulta a maggiore qualità di adattamento alla nostra psiche, ed a maggiore facoltà di resistenza con le idee concomitanti e che hanno tendenza di prevalere.La coscienza, in questa duplice ipotesi, è in ragione non solo del grado dello stimolo, ma dei precedenti stati di abitudine: poichè, se le idee stimolanti, o idee consimili, abbiano altra volta fatta apparizione nel mondo psichico, la coscienza, essendosi alquanto adattata passivamente, è meno atta a sorprendere il nuovo stato transitorio della interna attività: ma, se la idea è nuova, la coscienza ne avverte di più la presenza o ne sopporta l’azione.Nei descritti fatti, oltre che aver delineato il fattore iniziale del dolo, abbiamo anche compreso il fattore fisiologico ed il fisio-psicologico. Si comprende, in vero, che nel fatto complesso della coscienza, con significato il più ordinario a concepirsi, lo stato fisiologico dell’individuo è il primo dato permanente di qualunque interna modificazione.E se abbiamo distinto il fattore fisiopsichico, ciò è per indicare il momento di passaggio dallo stadio della passività, esterna o di percezione sensitiva ed interna o di sentimento, allo stato di attività cosciente od incosciente.Arrivati a segnalare l’apparire della coscienza, adempiremo l’assunto di studiare la sua attività nei diversi gradi onde suole funzionare.La efficacia dello stimolo, attuatasi, addivienemotivo; vale a dire partecipa l’azione meccanica o dinamica all’io, mettendolo in grado di agire in un modo ovvero in un altro. La coscienza, a questo punto, passa dallo stato di quasi passività al primo stadio di attività: poichè le energie concorrenti, di idee e di sentimenti, si attuano con speciale direzione e mostrano già di essere indirizzate a determinato sogno. Se il simultaneo sorgere di qualche altro stimolo non viene o afrenare, reagendo, o a rivolgere altrove l’attività iniziale, il primo motivo si trasforma in impulso vittorioso, ed alla mente si rappresenta, non già con i caratteri di agente o di stimolo, ma difineultimo da raggiungere, siccome mèta dell’azione. La mente, usando della suarazionalità, vede il nessocausalefra il carattere d’impulsodel motivo e quello difine, edeliberase dar corso all’attività iniziata, ovvero arrestarne la tendenza. Ed in che modo ciò può avvenire?Nella collisione delle energie dei motivi comprendesi che la prevalenza è di chi abbia maggior forza; ma non è così nel rapporto tra il motivo e la psiche. Il motivo, di qualunque origine e natura, non ha che efficacia dinamica; nella psiche evvi, per di più, energiarazionale, cioè consapevole dei proprî atti, o tale da seguire il corso di qualsiasi spinta, con la coscienza di finalità. È qui, veramente, il problema psicologico, e noi non ne sappiamo dare che la dimostrazione per analogia con le restanti forze naturali.Come l’affinità chimica, la forzavitale vegetalee lavitale animalediconsi prevalere ciascuna in un piano particolare di esistenza, similmente nei fenomeni umani la forza razionale è la predominante nel grado più elevato di funzione psichica, e quella che, ritraendo del risultato quantitativo delle coefficienze di energie concorrenti, si spiega nell’attività di funzione circa la scelta di mezzi, i quali debbono procacciarle la soddisfazione di un bisogno. Insomma, ilmotivocomunica alla psiche la energia meccanica; ne ritrae il carattere dirazionalità: dapprima agisce da impulso, poscia acquista la natura discopoe rientra nella sfera di spontaneità di elezione. Si comprende che, a questo punto, ladeterminazionecomincia ad addivenire necessaria, obbedendo allacausalitàdel fine, la cui efficacia ideale assorbisce l’attività e ci trasporta alla esecuzione del proposito, ovvero all’uso dei mezzi prescelti.Riassumendoci, diciamo, che neldolovi è la sintesi delle facoltà psichiche dirette a divisato scopo; la quale sintesi consta:a) di unmotivoconvertibile iniscopo;b) di unasceltadi mezzi adatti all’azione;c) di unadeterminazionead agire. Ai quali fattori occorre aggiungere, che, quantunque lo scopo, talfiata, sia conseguibile per le vie legali, la immoralità deimezzi è sempre intrinsecamente riprovevole e perciò causa di sanzione penale. Ond’è che il dolo può definirsi:La determinazione Ai scelta di mezzi rivolti a fine criminoso. Dicodeterminazione di sceltaper segnare il vero momento psicologico in cui la passività mentale si trasmuta in attività cosciente, cioè nel vedere, misurare ed eleggere quei mezzi, i quali, in sè medesimi, contengono la prova della deliberazione, o inclinazione a raggiungere un fine piuttosto che un altro; ossia di correr diritto, per esempio, alla soddisfazione del desiderio di vendetta, piuttosto che attenersi alla garentia della legge, per vedersi fatta giustizia di qualche offesa ricevuta. Dico, inoltre,mezzi rivolti a fine criminoso, per esprimere, non solamente la natura della deliberazione, ma eziandio la qualità dei detti mezzi, ed il fine speciale cui sono indirizzati perchè servissero ad effetti imputabili penalmente. Trovo del Nani la seguente osservazione degnissima di essere ricordata: «La determinazione della volontà dipende dall’agire la medesima per un principio intrinseco della sua attività e dall’avere una forza elettiva regolatrice delle sue operazioni, per cui fra gli oggetti rappresentati dall’intelletto siasi scelto quello che si poteva rifiutare. L’intelletto è quella facoltà con l’uso della quale si conoscono e si distinguono le qualità assolute e relative di più oggetti, si scuopre la loro convenienza o disconvenienza, e colla istituita comparazione tra le diverse conseguenze, che ne risultano o possono risultarne, si viene a deliberare sulla preferenza dei motivi in vista di cui la volontà si determina piuttosto all’un oggetto che all’altro»[133]. Come vedesi, alla mente del Nani non sfuggiva punto l’intrinseco principio attivo della volontà in correlazione della forza elettiva o della funzione dell’intelletto di deliberare sulla preferenza dei motivi; il che, in complesso, adombra l’odierna teorica dinamica della energia criminosa, completata dall’applicazione della legge della conservazione delle forze e della prevalenza qualitativa e quantitativa di una energia sulle altre concorrenti alla formazione dei fenomeni della natura.7.—Fin qui secondo quello che, come ho detto, ebbi a scrivere parecchi anni or sono. Nondimeno, son di avviso,che la dottrina del dolo, enunciata nelle linee generali o in termini di principî teoretici, nella pratica non abbia che valore molto relativo. Se ne accontenterà lo scienziato, ma il giudice non ne avrà nessun giovamento; anzi potrebbe, nè è raro il caso, esser per lui motivo di difficoltà ed incertezza quando volesse farne scrupolosa applicazione ai fatti sui quali debba dare il giudizio.Invece, tornerà utilissimo prescindere dalle nozioni puramente dottrinarie intorno al dolo in genere, ed approfondire l’analisi delle qualità e degli elementi proprî di questo o di quel dolo specifico; vale a dire dedurre i coefficienti psicofisici di ciascun evento soggettivo criminoso dal genere e dall’indole di ogni singolo delitto.E non basta. Alla stessa guisa che in medicina, così in tema di imputabilità, più che fissarsi alle norme generali scientifiche, molto giova osservare e curare l’individuo. Nella disparità irreducibile, perchè eminentemente mutabile, di qualità psicofisiche individuali, l’obbligo del giudice è di non dipartirsi dalle accidentalità di fatto e dagli elementi soggettivi che lo prepararono e lo causarono. Però, siccome con l’abbandonarsi, egli, ai mutabili ed indefiniti concetti accidentali, molto facilmente incorrerebbe nel sistema d’una casistica pericolosa, stimiamo porre dei limiti alle indagini, noti, non che per le nozioni finora svolte, per le osservazioni che aggiungeremo.8.—Il fondo psicofisico o soggettivo dell’individuo è racchiuso nella specie del suotemperamento. Gli antichi ne compresero l’importanza e si adoperarono, con teorie e distinzioni a sufficienza esatte, di delinearne il concetto scientifico. Il Wundt osserva, che «ciò che l’eccitabilità è per rapporto alla sensazione sensoriale, è il temperamento per rapporto alla emozione ed all’istinto. Noi possiamo discernere una eccitabilità permanente e, in ricambio, delle oscillazioni continue di questa eccitabilità; parimenti, il temperamento apparisce, si manifesta sia come permanente, sia sotto forma di accessi variabili, i quali possono dipendere da cause esterne ed interne»[134].Il temperamento è la risultante di fattori individuali; non è solo la somma di questi fattori, ma la caratteristica che investe e dirige le nostre tendenze e le facoltà ad agire in quel modo onde l’una azione dall’altra è differenziata.Il Béhier avvertiva di doverci guardare dal confondere il temperamento con la costituzione e la idiosincrasia. Son tre espressioni che soglionsi scambiare, perchè esprimono insieme uno stato generale dell’economia; ma la parolatemperamentoesprime la predominanza d’un sistema funzionale sugli altri; esso può ben avere della influenza sulla costituzione; questa, però, offre dei tratti speciali. Per costituzione deve intendersi lo stato generale che risulta dall’azione collettiva dei differenti atti dell’economia e nel quale l’influenza del temperamento entra per la sua parte. L’idiosincrasia, al contrario, è una disposizione generale, che determina una tendenza particolare, più o meno accentuata, a contrarre o ad evitare tale o tal forma patologica. Il temperamento, la costituzione, verisimilmente, concorrono al suo sviluppo; ma questo è affatto ipotetico, e, al di fuori di queste due ultime influenze, si ritrova la idiosincrasia, che noi non possiamo in verun modo riconoscerea priori, che giudichiamo per i suoi risultati sovente sì straordinarî e costituenti un fatto la cui causa ci è interamente sconosciuta.9.—Il fatto imputabile è noto al giudice in forma o espressione sintetica. Egli non lo conosce che per quanto gli vien riferito per testimoni o gli è appreso per documenti. Come farà ad estimarne le circostanze, onde risalire alla conoscenza della esistenza, qualità e quantità del dolo?Il giudice ha dinanzi a sè due metodi, dei quali debba servirsi: l’uno obbiettivo, l’altro subbiettivo. Il metodo obbiettivo consiste nella raccolta ordinata di tutte le circostanze, che precedettero, accompagnarono e seguirono il fatto delittuoso; nel fissare il motivo od i motivi, i quali agirono a suscitare il desiderio o la spinta dell’azione, il grado approssimativo di importanza del motivo o dei motivi medesimi, nonchè le prove apparenti onde il soggetto ebbe a dimostrare di averne risentiti gli effetti. I precedenti del delitto sono riducibili alle cause, o permanenti ovvero occasionali, di nuovi rapporti interceduti tra l’autore del fatto e chi ne fu la vittima; tra lo statopsichico dell’agente, prima che in lui si destasse il desiderio o la spinta al mal fare, ed il tempo in cui l’interno mutamento si verificò; tra il primo impulso criminoso e la serie degli atti esterni rivelatori della lotta sostenuta per schivare od evitare il delitto; tra il grado di efficacia del motivo o dei motivi e la energia criminosa addimostrata nel momento dell’azione.Le circostanze concomitanti formano il cumulo degli argomenti per stabilire, non che il genere e la specie del delitto, la prova direlazione causaletra il motivo od i motivi e l’azione; ciò che induce la mente a ravvicinare i due punti estremi del decorso storico del delitto, il momento della genesi soggettiva del proposito ad agire in controsenso alla legge, ed il momento in cui la interna energia si appalesa nell’attività esterna. In fine, le circostanze susseguenti al fatto, tuttochè sovente non abbiano interessante relazione con gli atti incriminabili, debbono, nondimeno, ben investigarsi, perchè possono essere indizî o prove sicure di ciò che il delinquente ha voluto conseguire col suo operato. Si ricordi, che nel processo logico del delitto ilmotivoad agire si trasforma inintentodell’azione; di guisa che la prova del fine d’una serie di atti interni ed esterni è per noi il materiale logico per non smarrire la via nel risalire, dall’ultimo atto operato, alle prossime e lontane cagioni che ci spiegano il perchè ad agire.10.—Il metodo subbiettivo poggia sull’uso dellainduzioneaiutata dallo sforzo di connettere le proprie rappresentazioni del fatto alla serie delle circostanze storiche dello stesso.La induzione—e chi lo ignora?—ha la base sul principio di uniformità dei fenomeni della natura; il che avviene, non soltanto in senso generale, ma eziandio particolare, nel senso cioè, secondo Bain, che nella uniformità della natura vi hanno delle categorie le quali sono, per dir così, radicalmente distinte l’una dall’altra: di guisa che la espressionelegge della naturadev’essere considerata come l’equivalente di due affermazioni: 1oche la natura sia uniforme; 2oche questa uniformità comprende un gran numero di uniformità distinte[135].Il Bain, in applicazione dei principî generali deduttivi edinduttivi, volle gettare le fondamenta d’una logica della psicologia; ed egli credette di adempiere l’assunto esaminando il problema degli attributi dello spirito, quello dell’unione costante dello spirito e del corpo, e degli aspetti sotto cui si presenta ogni fenomeno dello spirito; per indi trascorrere all’esame delle proposizioni psicologiche, dei metodi logici della psicologia e della logica della scienza del carattere[136]. Il tentativo, secondo me, rimase incompleto, perchè il contenuto d’una logica della psicologia non deve arrestarsi alla genesi ed alle forme degli stati di coscienza, ma deve suggerirci le norme per riprodurre in noi, coordinare ed unificare i fatti della psiche nel loro ordine temporale e spaziale; ciò che appartiene al processorappresentativodegli altrui fenomeni psichici. Il metodo di introspezione può essere adoperato sia per comprendere ciò che intrinsecamente avviene in noi, che quanto sia stato prodotto per sforzo di riflessione e di immaginazione sui ricordi di fatti e di stati interni appartenenti ad altri: è così che noi abbiamo il mezzo, in forma rappresentativa, di osservare, come per riflesso, i dati soggettivi di importanti avvenimenti sociali, nati dalla vita di relazione tra’ simili ed apparsi con effetti esterni. Esempio evidente si ha nell’ufficio del giudice di investigare l’elemento soggettivo del delitto. Qualunque logica formale circa la specie e la qualità di prove giudiziarie sarà insufficiente se il giudice, ben usando del metodo induttivo, non possegga la virtù di riprodurre e rappresentare in sè, in forma almeno fugace, il processo interno dell’agente, connettendo il tutto insieme obbiettivo del fatto a quel complesso di fattori dinamici soggettivi, i quali debbono, in ultimo, farci consapevoli del nesso logico di causalità tra l’evento psichico del delitto ed il suo effettuarsi nell’azione.11.—Abbiamo spesso ripetuto, che le nostre cognizioni son sottoposte alla legge direlatività. Qui non intendiamo parlare di quella relatività per cui Spencer, sulla scorta di Hamilton, concludeva, che la realtà esistente dietro le apparenze è e deve sempre essere sconosciuta; ma della relatività limitata alla conoscenza dei fenomeni umani.Una siffatta relatività dipende in parte dal soggetto, che conosce, ed in parte dall’oggetto della conoscenza. Il psicologo, che vuol comprendere le leggi di certi fenomeni dell’altrui coscienza, dovrebbe aver tutte le attitudini e le opportunità di riprodurre in sè, qualitativamente e quantitativamente, i detti fenomeni; la qual cosa è impossibile che avvenga.In oltre, pur ammesso che egli possegga le qualità richieste, si troverà dinanzi a difficoltà che trascendono il di lui potere; avvegnachè i fatti interni, perchè fossero esattamente riprodotti, dovrebbero essere conosciuti nelle loro più lontane cagioni ed in tutti gli infiniti rapporti casuali che sfuggono alla più minuta ed attenta osservazione.Abbiamo voluto richiamare il lettore sulle fatte osservazioni, perchè vegga quanti siano gli ostacoli frapposti all’opera del giudice che voglia adempiere il dovere di rendersi ragione dello stato soggettivo e dell’elemento del dolo d’un imputato. Ciò non ostante, avverrà pel giudice quello che avviene per ogni studioso di fatti psichici. Egli deve aver cura, in primo luogo, dicondizionarele conoscenze subbiettive del fatto, ricordando quel che Hamilton scriveva, chepensare è condizionare, e che la limitazione condizionale è la legge fondamentale di possibilità del pensiero.Il giudice, per convincersi del perchè di avvenimenti affidati al suo giudizio, dovrà saper distinguere e coordinare le circostanze interessanti, eliminare le superflue e cogliere i punti impercettibili che sono gli anelli intermedî tra le cose e che, poco apprezzati in apparenza, sono in sè di inestimabile valore. Il secreto è di non tralasciare verun dato che non sia, in precedenza, posto in relazione con altri dati soggettivi antecedenti, poichè, al dire di Spencer, «ogni completo atto di coscienza, con la relazione e la distinzione, implica anche la rassomiglianza: prima che uno stato di coscienza diventi idea o costituisca un elemento di conoscenza, deve non solo essere conosciuto come separato di specie da certi stati anteriori, coi quali è notoriamente in relazione di successione, ma deve anche essere conosciuto come appartenente alle stessa specie degli stati anteriori»[137].Le ragioni di precedenti rapporti logici in parte si ricavano dalla pratica della vita, in parte dalla psicologia comune e, massimamente, dalla nostra disciplina: il risultato ottenuto, quale materiale del giudizio definitivo, conterrà la certezza proporzionata al corredo di coltura e di esercizio mentale individuale; avvegnachè, secondo lo stesso Spencer, «una cosa è perfettamente conosciuta solo quando è, sotto tutti gli aspetti, simile a certe cose previamente osservate; e resta incognita in proporzione del numero dei rapporti in cui essa differisce da quelle: in oltre, quando una cosa manca assolutamente di attributi comuni a cose note, essa è assolutamente fuori dai limiti della conoscenza»[138].12.—Le maggiori difficoltà s’incontrano nella prova del dolo in processi indiziarî. In questo caso il giudice procederà per via diipotesi. Egli, cioè, partirà, per la estimazione dei fatti, da congetture che avranno più grande conformità sia con l’indole apparente del reato, che con l’evento verificatosi. Bisogna, intanto, avvertire, 1oche la ipotesi dell’avvenimento non sia nè arbitraria, nè ispirata da impressioni passionali, poichè, altrimenti, o si devierà dal nesso logico effettuale, ovvero si esagererà, pro o contra, l’apprezzamento della qualità e quantità della energia criminosa che abbia causato il delitto. Per quanto si abbia l’abitudine ad apprendere e considerare i fenomeni delittuosi, noi non siamo in grado di spogliarci della impressione che ciascun di essi desta nel nostro animo: la repugnanza, che ognun sente pel maleficio; il sentimento di pietà, di disgusto per le altrui sofferenze; il colorito vivace, che la immaginazione aggiunge al fatto; il modo tutto personale, onde giudichiamo le umane azioni; la influenza esercitata sulla nostra riflessione da’ cento motivi palesi ed occulti, sono altrettante cagioni per cui la mente o è impedita o fuorviata dal cogliere la verità delle cose. Egli è d’uopo spogliarci delle preoccupazioni, o degliidolidella mente, come da Bacone eran chiamati, se vogliamo non errare investigando il perchè logicod’un dato fenomeno. In oltre, 2o, occorre che la ipotesi abbia la consistenza in qualche circostanza essenziale del fatto; circostanza che sia resa ben chiara e che serva di punto di partenza per comprendere la condizione morale del soggetto agente, il primo ridestarsi in lui di motivi, i quali si trasformarono in azione lenta o rapida agli ulteriori atti interni criminosi. Anche in ciò è da avvertire, che, a riguardo della scelta della circostanza fondamentale alla ipotesi, noi sottostiamo, non pure all’abitudine contratta di percepire le cose e di valutarle in modo peculiare, ma alla suggestione partecipataci da’ testimoni, dall’indole sentimentale degli avvenimenti e dall’interesse che, molte volte senza averne sentore, noi annettiamo a date ipotesi per nostre personali predisposizioni di animo, di educazione e di coltura. L’indizio (daindice), accenna alla verità; ma chi di questa non siasi reso padrone con precedenti e lunghi esercizî della mente, scambia i termini del giudizio, e, messosi su falsa strada, erra nel ragionare e nel concludere.13.—Se ildolo—scrivemmo altrove[139]—è nella determinazione di scelta di mezzi, lacolpaè nella mancanza di determinazione di scelta; che è a dire, nell’assenza di estimazione del legame tra l’atto voluto e l’effetto conseguito. Il quale stato di animo si vuol dividere nei seguenti termini:a) un motivo che ci stimola ad operare;b) uno scopo prossimo, e da noi preveduto, da raggiungere;c) uno scopo rimoto fuori le nostre previsioni;d) la scelta di mezzi analoghi direttamente allo scopo prossimo, indirettamente allo scopo rimoto. La relazione tra essi termini, sulla quale si fonda la differenza tra il dolo e la colpa, si è che il motivo non si converte che in iscopo prossimo; e la scelta dei mezzi solo a questo scopo è conforme; mentre la imputabilità dell’atto tira la ragione d’essere dallo scopo rimoto lesivo del diritto. In somma, la nostra dottrina non è differente da quella che ripone la essenza della colpa in unerrore evitabile[140], per effetto del quale si è verificata un’involontaria dannosa conseguenza. Ilfatto inconsulto, di cui parlavano gli interpreti del Diritto romano[141],si risolve sempre nella imprevedibilità o mancanza di cognizione di qualche effetto che poteva essere in relazione coi mezzi destinati a fine diverso. Il Kleinschrod spiega l’enunciato concetto osservando, che «un errore si connette senza contrasto con una determinazione della volontà, in quanto che nella colpa è palesemente riposto il difetto della volontà di usare, operando, di quella diligenza a cui ciascuno è obbligato, e così il difetto della volontà di deporre l’errore, che si sarebbe potuto e dovuto agevolmente scoprire. Ogni uomo di mente sana può e dee sapere, che è tenuto ad un certo grado di diligenza, a fine di non offendere i diritti degli altri. Ogni uomo probo rifletterà più o meno nelle sue azioni di qualche importanza, se sieno conformi alla giustizia, e se possa derivarne alcuna violazione del diritto. Ogni uomo conosce ancora, che la sua azione soggiacerà ad una pena, se trasgredisce colposamente le leggi. Quando, dunque, uno si rende debitore di colpa, non ha la volontà di applicare la necessaria diligenza alle sue azioni: non vuole, in vero, trasgredire la legge, ma non si dà il pensiero, che dovrebbe, per non trasgredirla. Egli, dunque, è punibile, perchè trascurò contro l’ordine giuridico questa diligenza, non si tolse all’errore, e così produsse una violazione del diritto: egli è punibile, in somma, perchè non si servì della forza della sua volontà, per superare un errore, che si poteva facilmente evitare. Se il delinquente doloso commette col vigore della sua volontà il fatto illegale, si può affermare, che il delinquente colposo lo commette con la debolezza della sua volontà, non usando la debita diligenza»[142].14.—Da parecchi scrittori si propugna la teoria che ripone la colpa nel nessoaggettivodell’azione col danno; e noi opiniamo che essa meriti plauso quando trattasi di colpa derivante da quasi-delitti civili; non così in casi di colpa punibile penalmente. La imputabilità, lo abbiamo visto, è l’equivalente giuridico d’una causalità cosciente, o, com’è nella colpa, d’una causalità alla cui coscienza del fatto manchi l’uso d’una facoltà, quello della prevedibilità appartenente al comun mododi funzionamento psichico per evitare le possibili cause di danni altrui.La prevedibilità o la previsione del fatto, e delle conseguenze che da esso derivano, dipende da due fattori, l’unopsicologico, l’altrologico: il fattore psicologico consiste nel buon uso dell’attenzione; il fattore logico nel criterio dipossibilitàdi antivedere le probabili evenienze dannose.Cominciando a trattare del primo fattore, osserveremo:a) che cosa si intenda per attenzione relativamente ad una conseguenza dannosa imputabile;b) in quante categorie vadano divisi i reati colposi per i modi e le specie secondo cui l’attenzione è distinta;c) il meccanismo dell’attenzione nei riguardi dell’obbietto dannoso non preveduto;d) in che consista la disattenzione.Nei precedenti capi abbiamo, più d’una volta, avuta la opportunità di parlare dell’attenzione e del suo funzionamento psichico: usando la definizione di James, diciamo, che essa sia l’atto per cui la mente prende possesso in forma limpida e vivace di uno fra tanti oggetti e fra diverse correnti di pensieri che si presentano come simultaneamente possibili.Avendo per origine deglistati affettivi, i quali hanno per causa delle tendenze, dei bisogni, degli appetiti, l’attenzione si riattacca, in ultima analisi, a ciò che vi è di più profondo nell’individuo, l’istinto di conservazione (Ribot): si converte in una condizione della vita, e conserva il medesimo carattere nelle forme superiori, in cui, cessando di essere un fattore di adattamento all’ambiente fisico, addiviene fattore di adattamento all’ambiente sociale.Restringendo questi concetti al nostro assunto, premettiamo, che l’attenzione, come causa selettiva, concentra la coscienza agli oggetti ed ai rapporti reali che, isolatamente considerati o come effetti di data azione, contengono la violazione del diritto altrui e cadono sotto la sanzione preventiva o repressiva della legge penale. Ond’è che, essendo il difetto di attenzione la causa psicologica dei reati colposi, la diversità degli oggetti, cui si riferisce, costituisce categorie o serie differenti di fatti imputabili. Una prima divisione dell’attenzione è quella disensorialee d’intellettuale,secondochè trattisi di oggetti presenti ai sensi, ovvero di oggetti ideali o rappresentati. Nell’ordine dei reati colposi, appartengono al difetto di attenzione sensoriale quei fatti i quali possono ledere l’integrità fisica dell’individuo, e che dipendono, per l’appunto, dal non aver noi previsto certi avvenimentimaterialiin dipendenzaimmediatacon qualche nostra azione. Ho detto avvenimenti materiali per mostrare la causa reale e sensibile del fatto dannoso; come, ad esempio, sarebbe la lesione prodotta per arma da fuoco, quando l’atto della scarica, di natura sensibile, dia luogo ad una ferita involontaria: ho detto dipendenza immediata, per precisare il rapporto diretto tra l’atto della scarica e ciò che n’è derivato, senza che altro motivo vi sia intervenuto. Appartengono, invece, all’attenzione intellettuale quei reati colposi i quali sono imputabili per ragione strettamente preventiva e perchè sono inerenti ad un dovere di ufficio a cui si era tenuto; come, ad esempio, l’omesso avviso di rinvenimento d’un fanciullo (art. 389 Cod. pen.); l’omessa denuncia d’un reato, per parte d’un pubblico ufficiale (art. 180); la trascurata custodia di detenuti (229, capoverso 2o); oltre le contravvenzioni degli art. 439, 471, 477, 482 Cod. penale.Maggiori difficoltà presenta l’attenzione quando sia studiata nel suo meccanismo, essendo questo tema, secondo il Ribot, finora molto trascurato, e dipendendo da esso, non soltanto il completamento della teoria dell’associazione, ma i concetti per misurare qualitativamente e quantitativamente la specie ed il grado di coscienza necessaria per concludere alla prevedibilità di certi effetti in correlazione con certe cause. Per procedere con ordine, ricordiamo la distinzione dell’attenzione innaturaleospontanea,volontariaodartificiale.«La prima, osserva Ribot, negletta dalla maggior parte dei psicologi, è la forma vera primitiva fondamentale della attenzione. La seconda, sola studiata dalla maggior parte dei psicologi, non è che una imitazione, un risultato dell’educazione, dell’ammaestramento, dell’adattamento. Precaria e vacillante per natura, essa attinge ogni sua sostanza dall’attenzione spontanea, in cui soltanto trova un punto di appoggio. Sotto queste due forme, l’attenzione non è un’attività indeterminata, una specie diatto purodello spirito, agente conmezzi misteriosi ed impercettibili. Il suo meccanismo è essenzialmentemotore, cioè a dire che essa agisce sempre sui muscoli e per i muscoli, principalmente sotto la forma di arresto, ond’è che come epigrafe di questo studio potrebbe scegliersi la frase di Maudsley:colui che è incapace di governare i suoi muscoli è incapace di attenzione»[143].Per l’interesse delle conseguenze dannose, ossia in correlazione alla colpa, giova notare alcuni caratteri principali dell’attenzione. Essa, come si è detto, risiede in uno stato affettivo dell’animo, ossia è mossa e determinata da uninteresseo da unostimolo; ond’è che fu divisa inimmediataederivata. È immediata, secondo James, quando lo stimolo è di per sè interessante, senza relazione con niente altro; derivata quando lo stimolo è interessante soltanto per le associazioni che ha con qualche altra cosa più direttamente interessante. Inoltre, l’attenzione, consistendo nella sostituzione di un’unità relativa della coscienza alla pluralità di stati, al cangiamento che n’è la regola; ed essendo il prodotto, insieme alla coscienza, della connessione delle formazioni psichiche (Wundt), ha la virtù di meglio percepire, concepire, distinguere, ricordare, aumentare le forze cognitive stesse. Quest’ultimo carattere dipende dall’assioma scientifico, che la forza non si crea ma si trasforma soltanto; quindi, aumentare la forza cognitiva può significare soltanto trasformare, a disposizione dell’intelligenza, una forza organica (Brofferio).Da quanto si è detto, nei riguardi psicologici della colpa, crediamo fermare le verità infrascritte:a) La prevedibilità, la quale poggia sull’attenzione spontanea, ha bisogno di minore sforzo che quella la quale poggia sull’attenzione volontaria o artificiale; imperocchè la prima si svolge per potere intrinseco e con adattamento naturale ed in gran parte ereditario; la seconda è soggetta a dei poteri estrinseci e sopraggiunti. Di qui la maggiore responsabilità o il grado maggiore di colpa in quei fatti, i quali si riferiscono all’ordinario modo di vivere, alla comune esperienza; cioè all’uso di quella attenzione che è un portato spontaneo della natura; come la responsabilità minore in avvenimenti per i quali si richiede una sviluppataeducazione, un retto indirizzo, un abituale uso di volontaria attenzione,b) La regola generale qui espressa soffre eccezione nel caso di diminuita prevedibilità per lo stato disorpresao distupore, essendo esso indice di maggiore colpa nell’uso di attenzione volontaria od artificiale, che nell’uso di attenzione spontanea. Avviene, talora, in qualche nostra operazione, che oggetti o fatti nuovi e straordinarî attraggano l’ammirazione, e pel latoemotivorestringano il potere della coscienza in guisa da arrestare il corso alle nostre idee e fissarci potentemente alla contemplazione di un punto solo percettivo. Siffatto fenomeno, non molto raro ad avverarsi, è causa ordinaria di imprevedibilità; epperò va tenuto in considerazione. Il grado di colpa, a cui da luogo, è maggiore nell’attenzione volontaria che nella spontanea, pel principio logico, chechiunque volontariamente intraprenda qualche operazione, seguendo gli artificî che una speciale attitudine ed istruzione gli hanno appreso, ha l’obbligo di meglio attendere a che qualche evento fortuito non lo sorprenda e lo renda causa involontaria di danno altrui.Il chirurgo, per esempio, che intraprende un’operazione, deve attendere che non si verifichi una emorragia; e, se questa lo sorprenda, egli, che non ha saputo prevederla, è responsabile di non lieve colpa.c) L’attenzione spontanea è meglio adatta agli oggetti esterni; la volontaria, o riflessione, meglio agli interni. Darwin ben disse, che quest’ultima è l’attitudine della visione difficile, trasferita dagli oggetti esterni agli avvenimenti interni, i quali si lasciano malagevolmente comprendere.Tutti i reati colposi, i quali appartengono all’adempimento d’un dovere di ufficio, debbono comprendersi nella seconda specie di potere intenzionale o riflessivo: il grado di responsabilità, dal lato subiettivo, è in ragione della maggiore e più protratta attitudine ad attendere; ciò che rientra nella specie colposa dellanegligenza, ossia nell’aver omesso quello che si è soliti di non omettere in adempimento d’un dovere esigibile.15.—A compimento di studio del primo fattore della prevedibilità, il fattore psicologico, dobbiamo parlare delladisattenzione.Chi attende concentra l’energia mentale su un punto fisso, restringendo in esso il campo visivo alla medesima maniera di chi adoperi una lente per raccogliere i raggi sopra unico obbiettivo: chi, invece, non attende, o malamente attende, disperde le attività coscienti ed o resta privo della percezione, o da motivo a confusione di idee e di giudizî. Da ciò lo stato didistrazione, la quale o avviene per incapacità della mente a fissarsi in modo stabile e per la mobilità di passaggio da una all’altra idea; ovvero per l’assorbimento d’un’idea, la quale non lascia agio alla mente di volgersi altrove e di occuparsi altrimenti. Il fenomeno è molto complesso, poichè risultante da particolari condizioni fisiche e di analogo adattamento psichico: basti, però, dire con Helmholz, che noi non avvertiamo tutte quelle impressioni che non hanno valore per noi come segni utili adifferenziare le cose. Intanto, o che, secondo il Müller, le correnti delle impressioni non avvertite da alcuni centri trovino la scarica in altre vie inferiori; o che il potere concentrativo diminuisca gradatamente in proporzione dell’abituale funzionamento cerebrale, permettendo che dallo stato di coscienza si passi in quello d’incoscienza, certa cosa è che la disattenzione forma l’obbietto di serî studî, i quali interessano così la pedagogia come la psichiatria, e cercano ancora la spiegazione di problemi rimasti tuttavia insoluti.In tema di colpa, lo stato di distrazione è generalmente ritenuto motivo di pena: ma fino a che punto ciò è giusto? Vi sono stati normali di distrazione, i quali dipendono da cattiva abitudine dell’uso mentale, ovvero da leggerezza di carattere, e per essi parmi che non vi sia dubbio sulla necessità di mezzi repressivi. Ma altri stati vi sono, i quali mostrano caratteri morbosi, tuttochè non sempre palesi; e parlare di repressione varrebbe quanto contraddire il cardine fondamentale della imputabilità.Il Bianchi molto esattamente tratta del diminuito potere di detenzione nella coscienza ed anche del potere regolatore selettivo, che scapita, imperocchè tutto quello che invade la mente, non per volere del soggetto ed anzi spesso contro il voler suo, non incontra ripulsa. «Esso irrompe liberamente nel campo della coscienza, togliendole più o meno di poterepercettivo e sopratutto del potere dell’appercezione. Trattasi qui sempre di due fatti, i quali si associano e caratterizzano questo stato patologico: da una parte, incapacità a contenere nella coscienza la costellazione ideativa, che è obbietto della attenzione volontaria; incapacità, dall’altra parte, a contenere fuori della coscienza un’altra quantità d’idee, che con le prime non hanno relazione alcuna, e contro le quali si esercita fiaccamente ed inefficacemente il potere volitivo dell’attenzione»[144].Lo stesso Bianchi ricorda i singoli stati più o meno patologici dell’attenzione; il fenomeno diipoprosessi(diminuzione di attenzione) per effetto di stanchezza; la diminuzione del potere della medesima, più del distributivo che del fissativo, prodotta dalle emozioni (Feré, Binet, Pick, Mosso); quel che avvenga nel dominio dell’inconscio, dell’automatismo psichico, negli stati nevrastenici e via discorrendo.16.—Abbiamo detto, che il secondo fattore della prevedibilità sia quello logico consistente nella possibilità di antivedere le probabili conseguenze dannose di un nostro atto. La impossibilità della previsione dà luogo alcaso, e quindi alla nessuna responsabilità del fatto. Che è mai il caso? Nel senso usuale è tutto ciò che non può essere rapportato ad una legge; nel senso logico è la ignoranza di tale legge, ovvero la impossibilità di ricordarla pel cumulo di circostanze accidentali, o di prevederla nel nesso di causalità tra fatti a noi noti e gli eventi a cui avrebbero data l’origine.La teoria del caso, in tutte le attinenze mentali, si fonda sulla teoria della probabilità, appunto perchè, secondo il Mill, noi possiamo supporre che le conclusioni relative alla possibilità d’un fatto riposano sulla conoscenza della proporzione tra i casi in cui si producono dei fatti di questo genere e quelli in cui non si producono; la quale proporzione, d’altronde, può essere trovata per una esperienza speciale o dedotta dalla conoscenza precedente delle cause la cui azione è favorevole alla produzione del fatto in questione, comparate a quelle che la possono neutralizzare.Applicando tali norme al concetto logico di probabilità nella previsione di conseguenze dannose del fatto proprio, si hanno gl’infrascritti corollarî: 1oil grado di probabile previsione d’un effetto ignoto, relativo a causa nota, è in ragione diretta dei casi, in cui l’effetto si verifica, ed in ragione inversa dei casi nei quali suole avvenire il contrario; 2odiminuendo i casi di probabilità, entriamo nel dominio dell’imprevedibile: il che contrassegna una serie indefinita di stati di coscienza incalcolabilia priori, e che vanno dall’accorgimento il più riflessivo alla disattenzione la più abituale; 3oper l’unità funzionale psicofisica della nostra mente, tutto ciò che direttamente o indirettamente diminuisce o turba la facoltà di attendere, rende meno probabile la previsione; così la retta educazione dell’attenzione e l’uso costante delle attitudini inibitorie, nello eliminare le cause di errori, ci facilitano la prevedibilità, rendendoci più pronti nell’eliminare le cause occasionali concorrenti a far nascere da una nostra azione conseguenze che dobbiamo evitare.

CAPO XIII.Teoria dinamica della Imputabilità.1. Equilibrio interno ed esterno delle forze; l’idea ed il sentimento di giù. stilla.—2. Che cosa s’intenda perprincipio di causalità.—3. I tre concetti onde risalta la imputabilità; intento della psicologia criminale.—4. I due problemi fondamentali della imputabilità, quello etico e quello del determinismo giuridico: significato e contenuto della morale positiva.—5. Lanecessità effettuale; il determinismo organico o determinismo vitale; conseguenze rispetto alla imputabilità.—6. Svolgimento della teoria dinamica del dolo.—7. Dovere, in pratica, di attenersi agli elementi proprî deldolo specificodi ciascun reato.—8. Dottrina deltemperamento.—9. I due metodi per la indagine del dolo; il metodo obbiettivo.—10. Il metodo subbiettivo: principio fondamentale dellainduzione; tentativo d’una logica della psicologia.—11. Norme imposte al giudice nella indagine del dolo.—12. La prova del dolo nei processi indiziarî; laipotesidel fatto imputabile.—13. Teoria dellacolpa.—14. Psicologia dellaprevedibilitànella colpa.—15. Ladisattenzionee la colpa.—16. Teoria delcaso.1.—Il delitto, abbiamo dimostrato, è, nel ritmo composto dell’aggregato dinamico sociale, un centro di attività con moto divergente, ossia con azione disturbatrice dell’armonia delle forze consociate pel comune scopo di progressivo benessere. Abbiamo eziandio accennato alla verità del principio spenceriano, che la coesistenza universale delle forze antagoniste, che produce l’universalità del ritmo e la decomposizione di tutte le forze in forze divergenti, rende anche necessario l’equilibrio definitivo.Per meglio comprendere le conclusioni, alle quali perverremo, dobbiamo ricordare talune verità chiaramente svolte dallo stesso Spencer: che, cioè, «quei fenomeni, che chiamiamo, subbiettivamente, stati di coscienza, sono obbiettivamente modi di forza: che una certa quantità di sentimentocorrisponde a una certa quantità di moto: che il compimento di un’azione corporea qualunque è la trasformazione di una certa quantità di sentimento nell’equivalente quantità di moto; che quest’azione corporea lotta con varie forze e viene impiegata per vincerle; e in fine, che ciò che rende necessaria la ripetizione frequente di quest’azione è il frequente ritorno delle forze che da quest’azione devono esser vinte. Perciò l’esistenza in un individuo di stimoli emozionali, che siano in equilibrio con certe esigenze esterne, è alla lettera la produzione abituale di una porzione specializzata, di energia nervosa equivalente a un certo ordine di resistenze esterne, che essa abitualmente incontra. Così l’ultimo stato formante il limite, verso cui l’evoluzione ci conduce, è uno stato in cui le specie e le quantità di forze mentali ogni giorno prodotte e trasformate in movimento sono equivalenti ai diversi ordini e ai diversi gradi delle forze ambienti che lottano con questi movimenti o sono con essi in equilibrio»[127].Ritenuto, che il delitto sia un centro di attività perturbatrice dell’ordine sociale, esso rappresenta un’azione divergente dallo stato o intento di equilibrio definitivo al quale volgonsi le azioni degli individui, siccome ad ultima mèta dei loro sforzi per procacciarsi il miglior bene desiderabile. Indi è che, per naturale legge dinamica, all’azione perturbatrice del delitto debba contrapporsi la reazione della collettività; il che avverrà con quei modi che comporta il grado di progresso sociale, secondo la necessità di soddisfare bisogni conformi allo stato della umana coscienza etica e giuridica.Avvisata soggettivamente, cotesta umana tendenza alla integrazione dell’equilibrio sociale ha dato origine al primitivo sentimento ed alla prima idea di giustizia; ciò che è avvenuto per l’affermazione dell’istinto di egoismo contemperato dalla consapevolezza di limitazione della libertà propria a garanzia della libertà altrui. «L’affinità, la vite, la psiche—scrive Ardigò—scaturiscono dalle stesse forze onde esistono i loro soggetti; e ne rappresentano la risultante, che, come tale, si distingue specificamente dalle forze producentimedesime. E così la giustizia scaturisce dalle stesse autonomie prepotenti degli individui, ed è laspecie distinta di essererisultante naturalmente dal loro contemperarsi insieme»[128].—E lo Spencer: «è chiaro che il sentimento egoistico della giustizia è un attributo subbiettivo, il quale corrisponde a quella esigenza obbiettiva che costituisce la giustizia, l’esigenza, cioè, che ogni adulto riceva gli effetti della propria natura e conseguente condotta. Perchè, se tutte le facoltà non hanno libertà di esercitarsi, questi effetti non possono essere ottenuti nè sofferti, e se non esiste un sentimento, il quale favorisca la conservazione di un campo adatto a questa libertà, il campo sarà invaso ed il libero esercizio delle facoltà sarà impedito»[129].2.—Chi desideri approfondire i concetti su esposti, vedrà che la loro origine sia il principio dicausalità, immanente in tutte le nostre cognizioni.—Per principio di causalità vogliamo intendere la sintesi di due termini: d’una idea disuccessionedi più fenomeni, e d’un rapporto dinecessitàpel passaggio dall’uno all’altro fenomeno.Non disputiamo, chè non sarebbe il luogo, se ilprincipio di causalitàderivi dall’osservazione puramente sensibile della costante vicissitudine delle cose (Locke): ovvero se non sia che semplice rapporto di successione da noi riguardato costante in virtù del ricordo e dell’associazione delle idee (Hume); o se appartenga alla interna potenza degli atti di coscienza, ossia alla volontà (Maine de Biran); o se, lungi dall’essere un prodotto empirico, sia uno degli elementi constitutivi, uno dei principî della nostra facoltà di conoscere, una dellecategorie(Kant): per noi, com’è detto, nel principio di causalità deve entrare un elemento sensibile, la successione, ed un elemento soggettivo sorto dalla certezza sperimentale intorno alla conservazione della energia attraverso le trasformazioni dei fenomeni; il che importa che questa conservazione, a condizioni date, produce costantemente dati effetti, e che l’elemento soggettivo o rapporto causale tra le cose sianecessario.3.—Nella parolaimputabilità, generalmente, non si suol vedere che il significato giuridico, quantunque questo significato abbia per presupposto il senso logico di relazione di causa e di effetto. L’agente, si dice, fu causa del maleficio; dunque egli deve esserne imputato. Chi, peraltro, spinga innanzi l’esame, vedrà che il nesso causale suppone, alla sua volta, il concetto dinecessità, il quale racchiude due termini, l’uno logico e soggettivo, e l’altro obbiettivo. Il termine logico si converte nel noto principio di contraddizione, che ciò che è non può non essere; il termine obbiettivo si identifica nella legge universale della conservazione della forza e della materia, ossia nella legge della sostanza, secondo la teoria di Haeckel. Laonde nella imputabilità conviene distinguere:a) un concetto fondamentale dinamico, che si converte nell’equivalente reale dell’energia criminosa;b) un concetto logico, di necessità di causa e di effetto;c) un concetto giuridico, di sanzione legale, che attribuisce all’autore del fatto punibile la responsabilità delle conseguenze.La psicologia criminale, occupandosi della genesi dell’imputabilità, ha l’obbligo di far principio dall’elemento fondamentale dinamico, dal quale, pel processo evolutivo, i coefficienti psicofisici mano mano si determinano, a cominciare dalla efficacia del motivo infino agli atti della volizione e dell’azione.I seguaci della scuola antropologica o, in genere, dell’indirizzo positivo del diritto penale, ritengono che la repressione del reato sia coonestata dal dovere di difesa sociale; ma donde il dovere di difesa se non dalla necessità naturale di ristabilire quell’equilibrio di energie collettive turbato dall’azione anomala del delinquente? Il delitto disintegra o tende a disintegrare l’aggregato; la legge repressiva si sforza di reintegrarlo. Ciò—nel ritmo della vita sociale—non è che contrasto od antagonismo di forze con tendenza all’effettuazione di equilibrio definitivo. La energia criminosa, ritraendo della genesi di stato psicofisico di esquilibrio, rompe l’armonia funzionale dell’organismo collettivo: la legge, prevedendo i tristi effetti, è sollecita di apprestare il rimedio; il che si converte in minaccia di pena contro l’autore del fatto, ossia in sanzione legale di quella imputabilità che ha la origine naturale e logica nella esplicazione della energia criminosa.4.—Le esposte idee ci richiamano a meditare su due problemi, che sono base della imputabilità; il problema etico dei principî direttivi dell’umana condotta, ed il problema del determinismo giuridico.Bandito dalla scienza positiva l’indirizzo dualistico, ed accettata la concezione monistica unitaria, anche la scienza della morale, informata al principio di relatività, si è liberata dalle astrazioni trascendentali metafisiche, restringendosi alla constatazione dei rapporti esigibili tra i componenti l’umano consorzio. «Spetta al secoloxix—scrive il Morselli—il vanto di avere concepita e formata una morale empirica o scientifica, indipendente, utilitaria, trasformistica, sociologica, ossia naturale ed umana nel vero significato dei termini.Empirica, perchè trae i suoi principî unicamente dalla esperienza, al pari d’ogni altra disciplina scientifica;indipendente, perchè si è liberata dal giogo che le avevano imposto le religioni ed ha acquistata piena autonomia;utilitaria, perchè prende di mira unicamente il bene che è poi l’utile collettivo, e a questo dirige e prescrive la condotta dell’individuo, non senza dimenticare il vantaggio dello svolgimento delle attività individuali;trasformistica, perchè si risolve in uno sviluppo di sentimenti che non mancano nell’animalità inferiore e portano nell’uomo soltanto la impronta di essere resi coscienti a causa del loro rappresentarsi all’intelletto; infine,psico-sociologica, perchè desume l’esistenza del senso etico dall’analisi degli elementi costitutivi della natura umana, così nell’individuo come nella specie e razza»[130].5.—Non più, quindi, l’idea del bene, del dovere, della responsabilità morale, alla dipendenza da concezioni trascendentali di ordine o religioso o metafisico; ma insita alla natura umana, alla immanenza dei fattori naturali di cui questa è il risultato; non difforme dalla produzione di fenomeni causati dalle leggi della dinamica universale. Lanecessità effettualenon è la fatalità delle umane azioni, chè queste non sono preordinate da entità estranea al corso spontaneo delle cose, ma obbediscono al processo evolutivo di permanenza delleenergie attraverso le successive forme esteriori. Niuno dubitò che i fenomeni fisici e chimici fossero il risultato di leggi che, a condizioni uguali, dessero luogo ad identici effetti: Claudio Bernard dimostrò, che ciò dovesse eziandio ritenersi pel determinismo organico o determinismo vitale, proclamando, che conoscere il numero e l’ufficio di tutte le funzioni organiche, tale è il punto di partenza del determinismo, ed il suo punto di arrivo è che l’armonia la più rigorosa sia anche la legge delle cose della vita: perchè non dovrebbe il medesimo principio spiegarci i fenomeni psichici, che degli organici hanno la identica origine dinamica?—Quest’ultima verità sperimentale contiene e riassume la dottrina da noi fin qui svolta intorno all’evento psichico del delitto; ed abbiamo voluto esplicitamente enunciarla, perchè essa modifica di molto quanto già ritenemmo e propugnammo altrove circa il fondamento etico della imputabilità[131].6.—Alla dottrina della imputabilità appartiene la teorica deldoloe dellacolpa. Ne parleremo nei limiti richiesti dal nostro assunto esclusivamente psicologico; ciò che faremo riferendo quello che scrivemmo parecchi anni or sono, e che, meno per alcuni concetti ed opinioni meglio svolti e corretti, resta tuttavia, in chiara sintesi, a delineare la teorica dinamica ampiamente esplicata in questo libro.Nella dottrina del dolo—noi scrivemmo—[132]debbono concorrere:a) un fattore iniziale;b) un fattore psicologico;c) un fattore fisio-psicologico;d) un’attività cosciente.Qualunque forza in azione ha un principio ed un fine; un prima ed un poi. Il principio è dato dall’azione impulsiva di altra forza con cui si è in contatto; il fine dall’esaurimento dell’energia, o dell’attitudine in atto. Quando, dunque, diciamofattore iniziale, vogliamo intendere la nozione complessiva del movente, cui si è passivo, e della efficacia impulsiva esercitata sulla nostra forza. Da questo momento comincia il processo di trasformazione della energia passiva in energia attiva dell’io; il tempo, che vi occupa, è maggiore o minorea seconda la maggiore o minore attitudinequalitativadel movente rispetto alla nostra forza ed al grado di resistenza determinato o da precedente nostra conformazione o da stato transitorio poco conforme all’adattamento circa l’azione dello stimolo. Anzi, succede che, se lo stimolo agente è interno, l’adattamento è più agevole, perchè tutto ciò che si presenta coi caratteri o di sentimento o di idea partecipa di già sostanzialmente con la natura della nostra psiche; non essendo logico concepire, che una forza si determini in dato effetto senza che ne abbia conformità di attitudine. L’azione o laefficaciad’un’idea, come diceva il Romagnosi, sulle nostre facoltà psichiche ha tutti i caratteri impulsivi degli stimoli esterni: mentre, per questi, il periodo iniziale è la sensibilità fisica, per l’idea è il sentimento (o iltono sentimentale): la differenza è nel momento evolutivo della energia in atto; ma le due forme di agenti si identificano nella passività psichica. Ed è facile capire che, avuto lo stimolo, si è stabilita una relazione o di accordo o di opposizione tra due energie, le quali o tendono ad equilibrarsi, o si collidono: nel primo caso la risultante ha maggiore vigore e si converte nella intima soddisfazione, che è il grado primo delpiacere; nel secondo caso, o l’impulso vince, e si ha il primo grado dellacoazione psichica; o è vinto, e laspontaneitàdi facoltà si converte in attitudine all’azione. La coscienza di questi primi stadî dell’attività psichica è sottoposta a delle restrizioni notabili: se l’impulso viene dall’esterno, dobbiamo distinguere se appartenga e formi parti dell’ambiente in mezzo a cui viviamo, ovvero se sorga isolatamente da accidentalità di relazioni; nella prima ipotesi, la trasformazione di energia avviene a nostra insaputa, inconsciamente; nella seconda ipotesi, ci è dato accorgercene quando altro stimolo simultaneo non ci preoccupi l’attenzione. E la coscienza, ridestandosi, non fa che notare il nesso ditempoo disuccessionetra la esistenza esterna dello stimolo e la esistenza interna; il che è dato dalla così detta percezione sensitiva, intesa nel significato di affermazione della esistenza di un certo che estraneo al nostro organismo e che col medesimo si è messo a contatto. Se lo stimolo è interno, ovvero nasce da idea prevalente sulle rimanenti, le quali nella simultaneità mentale si addimostrano,bisogna eziandio distinguere se essa idea sorga nuova, ovvero abbia dei lontani germi in idee precedenti: nella prima ipotesi, la sua efficacia può essere minima o massima a seconda l’indole o natura speciale che la distingue e la rende conforme alla serie delle idee e dei sentimenti con cui si connette nello stato attuale interno; nella seconda ipotesi, la efficacia è più forte, perchè l’origine latente, cui si riattacca, risulta a maggiore qualità di adattamento alla nostra psiche, ed a maggiore facoltà di resistenza con le idee concomitanti e che hanno tendenza di prevalere.La coscienza, in questa duplice ipotesi, è in ragione non solo del grado dello stimolo, ma dei precedenti stati di abitudine: poichè, se le idee stimolanti, o idee consimili, abbiano altra volta fatta apparizione nel mondo psichico, la coscienza, essendosi alquanto adattata passivamente, è meno atta a sorprendere il nuovo stato transitorio della interna attività: ma, se la idea è nuova, la coscienza ne avverte di più la presenza o ne sopporta l’azione.Nei descritti fatti, oltre che aver delineato il fattore iniziale del dolo, abbiamo anche compreso il fattore fisiologico ed il fisio-psicologico. Si comprende, in vero, che nel fatto complesso della coscienza, con significato il più ordinario a concepirsi, lo stato fisiologico dell’individuo è il primo dato permanente di qualunque interna modificazione.E se abbiamo distinto il fattore fisiopsichico, ciò è per indicare il momento di passaggio dallo stadio della passività, esterna o di percezione sensitiva ed interna o di sentimento, allo stato di attività cosciente od incosciente.Arrivati a segnalare l’apparire della coscienza, adempiremo l’assunto di studiare la sua attività nei diversi gradi onde suole funzionare.La efficacia dello stimolo, attuatasi, addivienemotivo; vale a dire partecipa l’azione meccanica o dinamica all’io, mettendolo in grado di agire in un modo ovvero in un altro. La coscienza, a questo punto, passa dallo stato di quasi passività al primo stadio di attività: poichè le energie concorrenti, di idee e di sentimenti, si attuano con speciale direzione e mostrano già di essere indirizzate a determinato sogno. Se il simultaneo sorgere di qualche altro stimolo non viene o afrenare, reagendo, o a rivolgere altrove l’attività iniziale, il primo motivo si trasforma in impulso vittorioso, ed alla mente si rappresenta, non già con i caratteri di agente o di stimolo, ma difineultimo da raggiungere, siccome mèta dell’azione. La mente, usando della suarazionalità, vede il nessocausalefra il carattere d’impulsodel motivo e quello difine, edeliberase dar corso all’attività iniziata, ovvero arrestarne la tendenza. Ed in che modo ciò può avvenire?Nella collisione delle energie dei motivi comprendesi che la prevalenza è di chi abbia maggior forza; ma non è così nel rapporto tra il motivo e la psiche. Il motivo, di qualunque origine e natura, non ha che efficacia dinamica; nella psiche evvi, per di più, energiarazionale, cioè consapevole dei proprî atti, o tale da seguire il corso di qualsiasi spinta, con la coscienza di finalità. È qui, veramente, il problema psicologico, e noi non ne sappiamo dare che la dimostrazione per analogia con le restanti forze naturali.Come l’affinità chimica, la forzavitale vegetalee lavitale animalediconsi prevalere ciascuna in un piano particolare di esistenza, similmente nei fenomeni umani la forza razionale è la predominante nel grado più elevato di funzione psichica, e quella che, ritraendo del risultato quantitativo delle coefficienze di energie concorrenti, si spiega nell’attività di funzione circa la scelta di mezzi, i quali debbono procacciarle la soddisfazione di un bisogno. Insomma, ilmotivocomunica alla psiche la energia meccanica; ne ritrae il carattere dirazionalità: dapprima agisce da impulso, poscia acquista la natura discopoe rientra nella sfera di spontaneità di elezione. Si comprende che, a questo punto, ladeterminazionecomincia ad addivenire necessaria, obbedendo allacausalitàdel fine, la cui efficacia ideale assorbisce l’attività e ci trasporta alla esecuzione del proposito, ovvero all’uso dei mezzi prescelti.Riassumendoci, diciamo, che neldolovi è la sintesi delle facoltà psichiche dirette a divisato scopo; la quale sintesi consta:a) di unmotivoconvertibile iniscopo;b) di unasceltadi mezzi adatti all’azione;c) di unadeterminazionead agire. Ai quali fattori occorre aggiungere, che, quantunque lo scopo, talfiata, sia conseguibile per le vie legali, la immoralità deimezzi è sempre intrinsecamente riprovevole e perciò causa di sanzione penale. Ond’è che il dolo può definirsi:La determinazione Ai scelta di mezzi rivolti a fine criminoso. Dicodeterminazione di sceltaper segnare il vero momento psicologico in cui la passività mentale si trasmuta in attività cosciente, cioè nel vedere, misurare ed eleggere quei mezzi, i quali, in sè medesimi, contengono la prova della deliberazione, o inclinazione a raggiungere un fine piuttosto che un altro; ossia di correr diritto, per esempio, alla soddisfazione del desiderio di vendetta, piuttosto che attenersi alla garentia della legge, per vedersi fatta giustizia di qualche offesa ricevuta. Dico, inoltre,mezzi rivolti a fine criminoso, per esprimere, non solamente la natura della deliberazione, ma eziandio la qualità dei detti mezzi, ed il fine speciale cui sono indirizzati perchè servissero ad effetti imputabili penalmente. Trovo del Nani la seguente osservazione degnissima di essere ricordata: «La determinazione della volontà dipende dall’agire la medesima per un principio intrinseco della sua attività e dall’avere una forza elettiva regolatrice delle sue operazioni, per cui fra gli oggetti rappresentati dall’intelletto siasi scelto quello che si poteva rifiutare. L’intelletto è quella facoltà con l’uso della quale si conoscono e si distinguono le qualità assolute e relative di più oggetti, si scuopre la loro convenienza o disconvenienza, e colla istituita comparazione tra le diverse conseguenze, che ne risultano o possono risultarne, si viene a deliberare sulla preferenza dei motivi in vista di cui la volontà si determina piuttosto all’un oggetto che all’altro»[133]. Come vedesi, alla mente del Nani non sfuggiva punto l’intrinseco principio attivo della volontà in correlazione della forza elettiva o della funzione dell’intelletto di deliberare sulla preferenza dei motivi; il che, in complesso, adombra l’odierna teorica dinamica della energia criminosa, completata dall’applicazione della legge della conservazione delle forze e della prevalenza qualitativa e quantitativa di una energia sulle altre concorrenti alla formazione dei fenomeni della natura.7.—Fin qui secondo quello che, come ho detto, ebbi a scrivere parecchi anni or sono. Nondimeno, son di avviso,che la dottrina del dolo, enunciata nelle linee generali o in termini di principî teoretici, nella pratica non abbia che valore molto relativo. Se ne accontenterà lo scienziato, ma il giudice non ne avrà nessun giovamento; anzi potrebbe, nè è raro il caso, esser per lui motivo di difficoltà ed incertezza quando volesse farne scrupolosa applicazione ai fatti sui quali debba dare il giudizio.Invece, tornerà utilissimo prescindere dalle nozioni puramente dottrinarie intorno al dolo in genere, ed approfondire l’analisi delle qualità e degli elementi proprî di questo o di quel dolo specifico; vale a dire dedurre i coefficienti psicofisici di ciascun evento soggettivo criminoso dal genere e dall’indole di ogni singolo delitto.E non basta. Alla stessa guisa che in medicina, così in tema di imputabilità, più che fissarsi alle norme generali scientifiche, molto giova osservare e curare l’individuo. Nella disparità irreducibile, perchè eminentemente mutabile, di qualità psicofisiche individuali, l’obbligo del giudice è di non dipartirsi dalle accidentalità di fatto e dagli elementi soggettivi che lo prepararono e lo causarono. Però, siccome con l’abbandonarsi, egli, ai mutabili ed indefiniti concetti accidentali, molto facilmente incorrerebbe nel sistema d’una casistica pericolosa, stimiamo porre dei limiti alle indagini, noti, non che per le nozioni finora svolte, per le osservazioni che aggiungeremo.8.—Il fondo psicofisico o soggettivo dell’individuo è racchiuso nella specie del suotemperamento. Gli antichi ne compresero l’importanza e si adoperarono, con teorie e distinzioni a sufficienza esatte, di delinearne il concetto scientifico. Il Wundt osserva, che «ciò che l’eccitabilità è per rapporto alla sensazione sensoriale, è il temperamento per rapporto alla emozione ed all’istinto. Noi possiamo discernere una eccitabilità permanente e, in ricambio, delle oscillazioni continue di questa eccitabilità; parimenti, il temperamento apparisce, si manifesta sia come permanente, sia sotto forma di accessi variabili, i quali possono dipendere da cause esterne ed interne»[134].Il temperamento è la risultante di fattori individuali; non è solo la somma di questi fattori, ma la caratteristica che investe e dirige le nostre tendenze e le facoltà ad agire in quel modo onde l’una azione dall’altra è differenziata.Il Béhier avvertiva di doverci guardare dal confondere il temperamento con la costituzione e la idiosincrasia. Son tre espressioni che soglionsi scambiare, perchè esprimono insieme uno stato generale dell’economia; ma la parolatemperamentoesprime la predominanza d’un sistema funzionale sugli altri; esso può ben avere della influenza sulla costituzione; questa, però, offre dei tratti speciali. Per costituzione deve intendersi lo stato generale che risulta dall’azione collettiva dei differenti atti dell’economia e nel quale l’influenza del temperamento entra per la sua parte. L’idiosincrasia, al contrario, è una disposizione generale, che determina una tendenza particolare, più o meno accentuata, a contrarre o ad evitare tale o tal forma patologica. Il temperamento, la costituzione, verisimilmente, concorrono al suo sviluppo; ma questo è affatto ipotetico, e, al di fuori di queste due ultime influenze, si ritrova la idiosincrasia, che noi non possiamo in verun modo riconoscerea priori, che giudichiamo per i suoi risultati sovente sì straordinarî e costituenti un fatto la cui causa ci è interamente sconosciuta.9.—Il fatto imputabile è noto al giudice in forma o espressione sintetica. Egli non lo conosce che per quanto gli vien riferito per testimoni o gli è appreso per documenti. Come farà ad estimarne le circostanze, onde risalire alla conoscenza della esistenza, qualità e quantità del dolo?Il giudice ha dinanzi a sè due metodi, dei quali debba servirsi: l’uno obbiettivo, l’altro subbiettivo. Il metodo obbiettivo consiste nella raccolta ordinata di tutte le circostanze, che precedettero, accompagnarono e seguirono il fatto delittuoso; nel fissare il motivo od i motivi, i quali agirono a suscitare il desiderio o la spinta dell’azione, il grado approssimativo di importanza del motivo o dei motivi medesimi, nonchè le prove apparenti onde il soggetto ebbe a dimostrare di averne risentiti gli effetti. I precedenti del delitto sono riducibili alle cause, o permanenti ovvero occasionali, di nuovi rapporti interceduti tra l’autore del fatto e chi ne fu la vittima; tra lo statopsichico dell’agente, prima che in lui si destasse il desiderio o la spinta al mal fare, ed il tempo in cui l’interno mutamento si verificò; tra il primo impulso criminoso e la serie degli atti esterni rivelatori della lotta sostenuta per schivare od evitare il delitto; tra il grado di efficacia del motivo o dei motivi e la energia criminosa addimostrata nel momento dell’azione.Le circostanze concomitanti formano il cumulo degli argomenti per stabilire, non che il genere e la specie del delitto, la prova direlazione causaletra il motivo od i motivi e l’azione; ciò che induce la mente a ravvicinare i due punti estremi del decorso storico del delitto, il momento della genesi soggettiva del proposito ad agire in controsenso alla legge, ed il momento in cui la interna energia si appalesa nell’attività esterna. In fine, le circostanze susseguenti al fatto, tuttochè sovente non abbiano interessante relazione con gli atti incriminabili, debbono, nondimeno, ben investigarsi, perchè possono essere indizî o prove sicure di ciò che il delinquente ha voluto conseguire col suo operato. Si ricordi, che nel processo logico del delitto ilmotivoad agire si trasforma inintentodell’azione; di guisa che la prova del fine d’una serie di atti interni ed esterni è per noi il materiale logico per non smarrire la via nel risalire, dall’ultimo atto operato, alle prossime e lontane cagioni che ci spiegano il perchè ad agire.10.—Il metodo subbiettivo poggia sull’uso dellainduzioneaiutata dallo sforzo di connettere le proprie rappresentazioni del fatto alla serie delle circostanze storiche dello stesso.La induzione—e chi lo ignora?—ha la base sul principio di uniformità dei fenomeni della natura; il che avviene, non soltanto in senso generale, ma eziandio particolare, nel senso cioè, secondo Bain, che nella uniformità della natura vi hanno delle categorie le quali sono, per dir così, radicalmente distinte l’una dall’altra: di guisa che la espressionelegge della naturadev’essere considerata come l’equivalente di due affermazioni: 1oche la natura sia uniforme; 2oche questa uniformità comprende un gran numero di uniformità distinte[135].Il Bain, in applicazione dei principî generali deduttivi edinduttivi, volle gettare le fondamenta d’una logica della psicologia; ed egli credette di adempiere l’assunto esaminando il problema degli attributi dello spirito, quello dell’unione costante dello spirito e del corpo, e degli aspetti sotto cui si presenta ogni fenomeno dello spirito; per indi trascorrere all’esame delle proposizioni psicologiche, dei metodi logici della psicologia e della logica della scienza del carattere[136]. Il tentativo, secondo me, rimase incompleto, perchè il contenuto d’una logica della psicologia non deve arrestarsi alla genesi ed alle forme degli stati di coscienza, ma deve suggerirci le norme per riprodurre in noi, coordinare ed unificare i fatti della psiche nel loro ordine temporale e spaziale; ciò che appartiene al processorappresentativodegli altrui fenomeni psichici. Il metodo di introspezione può essere adoperato sia per comprendere ciò che intrinsecamente avviene in noi, che quanto sia stato prodotto per sforzo di riflessione e di immaginazione sui ricordi di fatti e di stati interni appartenenti ad altri: è così che noi abbiamo il mezzo, in forma rappresentativa, di osservare, come per riflesso, i dati soggettivi di importanti avvenimenti sociali, nati dalla vita di relazione tra’ simili ed apparsi con effetti esterni. Esempio evidente si ha nell’ufficio del giudice di investigare l’elemento soggettivo del delitto. Qualunque logica formale circa la specie e la qualità di prove giudiziarie sarà insufficiente se il giudice, ben usando del metodo induttivo, non possegga la virtù di riprodurre e rappresentare in sè, in forma almeno fugace, il processo interno dell’agente, connettendo il tutto insieme obbiettivo del fatto a quel complesso di fattori dinamici soggettivi, i quali debbono, in ultimo, farci consapevoli del nesso logico di causalità tra l’evento psichico del delitto ed il suo effettuarsi nell’azione.11.—Abbiamo spesso ripetuto, che le nostre cognizioni son sottoposte alla legge direlatività. Qui non intendiamo parlare di quella relatività per cui Spencer, sulla scorta di Hamilton, concludeva, che la realtà esistente dietro le apparenze è e deve sempre essere sconosciuta; ma della relatività limitata alla conoscenza dei fenomeni umani.Una siffatta relatività dipende in parte dal soggetto, che conosce, ed in parte dall’oggetto della conoscenza. Il psicologo, che vuol comprendere le leggi di certi fenomeni dell’altrui coscienza, dovrebbe aver tutte le attitudini e le opportunità di riprodurre in sè, qualitativamente e quantitativamente, i detti fenomeni; la qual cosa è impossibile che avvenga.In oltre, pur ammesso che egli possegga le qualità richieste, si troverà dinanzi a difficoltà che trascendono il di lui potere; avvegnachè i fatti interni, perchè fossero esattamente riprodotti, dovrebbero essere conosciuti nelle loro più lontane cagioni ed in tutti gli infiniti rapporti casuali che sfuggono alla più minuta ed attenta osservazione.Abbiamo voluto richiamare il lettore sulle fatte osservazioni, perchè vegga quanti siano gli ostacoli frapposti all’opera del giudice che voglia adempiere il dovere di rendersi ragione dello stato soggettivo e dell’elemento del dolo d’un imputato. Ciò non ostante, avverrà pel giudice quello che avviene per ogni studioso di fatti psichici. Egli deve aver cura, in primo luogo, dicondizionarele conoscenze subbiettive del fatto, ricordando quel che Hamilton scriveva, chepensare è condizionare, e che la limitazione condizionale è la legge fondamentale di possibilità del pensiero.Il giudice, per convincersi del perchè di avvenimenti affidati al suo giudizio, dovrà saper distinguere e coordinare le circostanze interessanti, eliminare le superflue e cogliere i punti impercettibili che sono gli anelli intermedî tra le cose e che, poco apprezzati in apparenza, sono in sè di inestimabile valore. Il secreto è di non tralasciare verun dato che non sia, in precedenza, posto in relazione con altri dati soggettivi antecedenti, poichè, al dire di Spencer, «ogni completo atto di coscienza, con la relazione e la distinzione, implica anche la rassomiglianza: prima che uno stato di coscienza diventi idea o costituisca un elemento di conoscenza, deve non solo essere conosciuto come separato di specie da certi stati anteriori, coi quali è notoriamente in relazione di successione, ma deve anche essere conosciuto come appartenente alle stessa specie degli stati anteriori»[137].Le ragioni di precedenti rapporti logici in parte si ricavano dalla pratica della vita, in parte dalla psicologia comune e, massimamente, dalla nostra disciplina: il risultato ottenuto, quale materiale del giudizio definitivo, conterrà la certezza proporzionata al corredo di coltura e di esercizio mentale individuale; avvegnachè, secondo lo stesso Spencer, «una cosa è perfettamente conosciuta solo quando è, sotto tutti gli aspetti, simile a certe cose previamente osservate; e resta incognita in proporzione del numero dei rapporti in cui essa differisce da quelle: in oltre, quando una cosa manca assolutamente di attributi comuni a cose note, essa è assolutamente fuori dai limiti della conoscenza»[138].12.—Le maggiori difficoltà s’incontrano nella prova del dolo in processi indiziarî. In questo caso il giudice procederà per via diipotesi. Egli, cioè, partirà, per la estimazione dei fatti, da congetture che avranno più grande conformità sia con l’indole apparente del reato, che con l’evento verificatosi. Bisogna, intanto, avvertire, 1oche la ipotesi dell’avvenimento non sia nè arbitraria, nè ispirata da impressioni passionali, poichè, altrimenti, o si devierà dal nesso logico effettuale, ovvero si esagererà, pro o contra, l’apprezzamento della qualità e quantità della energia criminosa che abbia causato il delitto. Per quanto si abbia l’abitudine ad apprendere e considerare i fenomeni delittuosi, noi non siamo in grado di spogliarci della impressione che ciascun di essi desta nel nostro animo: la repugnanza, che ognun sente pel maleficio; il sentimento di pietà, di disgusto per le altrui sofferenze; il colorito vivace, che la immaginazione aggiunge al fatto; il modo tutto personale, onde giudichiamo le umane azioni; la influenza esercitata sulla nostra riflessione da’ cento motivi palesi ed occulti, sono altrettante cagioni per cui la mente o è impedita o fuorviata dal cogliere la verità delle cose. Egli è d’uopo spogliarci delle preoccupazioni, o degliidolidella mente, come da Bacone eran chiamati, se vogliamo non errare investigando il perchè logicod’un dato fenomeno. In oltre, 2o, occorre che la ipotesi abbia la consistenza in qualche circostanza essenziale del fatto; circostanza che sia resa ben chiara e che serva di punto di partenza per comprendere la condizione morale del soggetto agente, il primo ridestarsi in lui di motivi, i quali si trasformarono in azione lenta o rapida agli ulteriori atti interni criminosi. Anche in ciò è da avvertire, che, a riguardo della scelta della circostanza fondamentale alla ipotesi, noi sottostiamo, non pure all’abitudine contratta di percepire le cose e di valutarle in modo peculiare, ma alla suggestione partecipataci da’ testimoni, dall’indole sentimentale degli avvenimenti e dall’interesse che, molte volte senza averne sentore, noi annettiamo a date ipotesi per nostre personali predisposizioni di animo, di educazione e di coltura. L’indizio (daindice), accenna alla verità; ma chi di questa non siasi reso padrone con precedenti e lunghi esercizî della mente, scambia i termini del giudizio, e, messosi su falsa strada, erra nel ragionare e nel concludere.13.—Se ildolo—scrivemmo altrove[139]—è nella determinazione di scelta di mezzi, lacolpaè nella mancanza di determinazione di scelta; che è a dire, nell’assenza di estimazione del legame tra l’atto voluto e l’effetto conseguito. Il quale stato di animo si vuol dividere nei seguenti termini:a) un motivo che ci stimola ad operare;b) uno scopo prossimo, e da noi preveduto, da raggiungere;c) uno scopo rimoto fuori le nostre previsioni;d) la scelta di mezzi analoghi direttamente allo scopo prossimo, indirettamente allo scopo rimoto. La relazione tra essi termini, sulla quale si fonda la differenza tra il dolo e la colpa, si è che il motivo non si converte che in iscopo prossimo; e la scelta dei mezzi solo a questo scopo è conforme; mentre la imputabilità dell’atto tira la ragione d’essere dallo scopo rimoto lesivo del diritto. In somma, la nostra dottrina non è differente da quella che ripone la essenza della colpa in unerrore evitabile[140], per effetto del quale si è verificata un’involontaria dannosa conseguenza. Ilfatto inconsulto, di cui parlavano gli interpreti del Diritto romano[141],si risolve sempre nella imprevedibilità o mancanza di cognizione di qualche effetto che poteva essere in relazione coi mezzi destinati a fine diverso. Il Kleinschrod spiega l’enunciato concetto osservando, che «un errore si connette senza contrasto con una determinazione della volontà, in quanto che nella colpa è palesemente riposto il difetto della volontà di usare, operando, di quella diligenza a cui ciascuno è obbligato, e così il difetto della volontà di deporre l’errore, che si sarebbe potuto e dovuto agevolmente scoprire. Ogni uomo di mente sana può e dee sapere, che è tenuto ad un certo grado di diligenza, a fine di non offendere i diritti degli altri. Ogni uomo probo rifletterà più o meno nelle sue azioni di qualche importanza, se sieno conformi alla giustizia, e se possa derivarne alcuna violazione del diritto. Ogni uomo conosce ancora, che la sua azione soggiacerà ad una pena, se trasgredisce colposamente le leggi. Quando, dunque, uno si rende debitore di colpa, non ha la volontà di applicare la necessaria diligenza alle sue azioni: non vuole, in vero, trasgredire la legge, ma non si dà il pensiero, che dovrebbe, per non trasgredirla. Egli, dunque, è punibile, perchè trascurò contro l’ordine giuridico questa diligenza, non si tolse all’errore, e così produsse una violazione del diritto: egli è punibile, in somma, perchè non si servì della forza della sua volontà, per superare un errore, che si poteva facilmente evitare. Se il delinquente doloso commette col vigore della sua volontà il fatto illegale, si può affermare, che il delinquente colposo lo commette con la debolezza della sua volontà, non usando la debita diligenza»[142].14.—Da parecchi scrittori si propugna la teoria che ripone la colpa nel nessoaggettivodell’azione col danno; e noi opiniamo che essa meriti plauso quando trattasi di colpa derivante da quasi-delitti civili; non così in casi di colpa punibile penalmente. La imputabilità, lo abbiamo visto, è l’equivalente giuridico d’una causalità cosciente, o, com’è nella colpa, d’una causalità alla cui coscienza del fatto manchi l’uso d’una facoltà, quello della prevedibilità appartenente al comun mododi funzionamento psichico per evitare le possibili cause di danni altrui.La prevedibilità o la previsione del fatto, e delle conseguenze che da esso derivano, dipende da due fattori, l’unopsicologico, l’altrologico: il fattore psicologico consiste nel buon uso dell’attenzione; il fattore logico nel criterio dipossibilitàdi antivedere le probabili evenienze dannose.Cominciando a trattare del primo fattore, osserveremo:a) che cosa si intenda per attenzione relativamente ad una conseguenza dannosa imputabile;b) in quante categorie vadano divisi i reati colposi per i modi e le specie secondo cui l’attenzione è distinta;c) il meccanismo dell’attenzione nei riguardi dell’obbietto dannoso non preveduto;d) in che consista la disattenzione.Nei precedenti capi abbiamo, più d’una volta, avuta la opportunità di parlare dell’attenzione e del suo funzionamento psichico: usando la definizione di James, diciamo, che essa sia l’atto per cui la mente prende possesso in forma limpida e vivace di uno fra tanti oggetti e fra diverse correnti di pensieri che si presentano come simultaneamente possibili.Avendo per origine deglistati affettivi, i quali hanno per causa delle tendenze, dei bisogni, degli appetiti, l’attenzione si riattacca, in ultima analisi, a ciò che vi è di più profondo nell’individuo, l’istinto di conservazione (Ribot): si converte in una condizione della vita, e conserva il medesimo carattere nelle forme superiori, in cui, cessando di essere un fattore di adattamento all’ambiente fisico, addiviene fattore di adattamento all’ambiente sociale.Restringendo questi concetti al nostro assunto, premettiamo, che l’attenzione, come causa selettiva, concentra la coscienza agli oggetti ed ai rapporti reali che, isolatamente considerati o come effetti di data azione, contengono la violazione del diritto altrui e cadono sotto la sanzione preventiva o repressiva della legge penale. Ond’è che, essendo il difetto di attenzione la causa psicologica dei reati colposi, la diversità degli oggetti, cui si riferisce, costituisce categorie o serie differenti di fatti imputabili. Una prima divisione dell’attenzione è quella disensorialee d’intellettuale,secondochè trattisi di oggetti presenti ai sensi, ovvero di oggetti ideali o rappresentati. Nell’ordine dei reati colposi, appartengono al difetto di attenzione sensoriale quei fatti i quali possono ledere l’integrità fisica dell’individuo, e che dipendono, per l’appunto, dal non aver noi previsto certi avvenimentimaterialiin dipendenzaimmediatacon qualche nostra azione. Ho detto avvenimenti materiali per mostrare la causa reale e sensibile del fatto dannoso; come, ad esempio, sarebbe la lesione prodotta per arma da fuoco, quando l’atto della scarica, di natura sensibile, dia luogo ad una ferita involontaria: ho detto dipendenza immediata, per precisare il rapporto diretto tra l’atto della scarica e ciò che n’è derivato, senza che altro motivo vi sia intervenuto. Appartengono, invece, all’attenzione intellettuale quei reati colposi i quali sono imputabili per ragione strettamente preventiva e perchè sono inerenti ad un dovere di ufficio a cui si era tenuto; come, ad esempio, l’omesso avviso di rinvenimento d’un fanciullo (art. 389 Cod. pen.); l’omessa denuncia d’un reato, per parte d’un pubblico ufficiale (art. 180); la trascurata custodia di detenuti (229, capoverso 2o); oltre le contravvenzioni degli art. 439, 471, 477, 482 Cod. penale.Maggiori difficoltà presenta l’attenzione quando sia studiata nel suo meccanismo, essendo questo tema, secondo il Ribot, finora molto trascurato, e dipendendo da esso, non soltanto il completamento della teoria dell’associazione, ma i concetti per misurare qualitativamente e quantitativamente la specie ed il grado di coscienza necessaria per concludere alla prevedibilità di certi effetti in correlazione con certe cause. Per procedere con ordine, ricordiamo la distinzione dell’attenzione innaturaleospontanea,volontariaodartificiale.«La prima, osserva Ribot, negletta dalla maggior parte dei psicologi, è la forma vera primitiva fondamentale della attenzione. La seconda, sola studiata dalla maggior parte dei psicologi, non è che una imitazione, un risultato dell’educazione, dell’ammaestramento, dell’adattamento. Precaria e vacillante per natura, essa attinge ogni sua sostanza dall’attenzione spontanea, in cui soltanto trova un punto di appoggio. Sotto queste due forme, l’attenzione non è un’attività indeterminata, una specie diatto purodello spirito, agente conmezzi misteriosi ed impercettibili. Il suo meccanismo è essenzialmentemotore, cioè a dire che essa agisce sempre sui muscoli e per i muscoli, principalmente sotto la forma di arresto, ond’è che come epigrafe di questo studio potrebbe scegliersi la frase di Maudsley:colui che è incapace di governare i suoi muscoli è incapace di attenzione»[143].Per l’interesse delle conseguenze dannose, ossia in correlazione alla colpa, giova notare alcuni caratteri principali dell’attenzione. Essa, come si è detto, risiede in uno stato affettivo dell’animo, ossia è mossa e determinata da uninteresseo da unostimolo; ond’è che fu divisa inimmediataederivata. È immediata, secondo James, quando lo stimolo è di per sè interessante, senza relazione con niente altro; derivata quando lo stimolo è interessante soltanto per le associazioni che ha con qualche altra cosa più direttamente interessante. Inoltre, l’attenzione, consistendo nella sostituzione di un’unità relativa della coscienza alla pluralità di stati, al cangiamento che n’è la regola; ed essendo il prodotto, insieme alla coscienza, della connessione delle formazioni psichiche (Wundt), ha la virtù di meglio percepire, concepire, distinguere, ricordare, aumentare le forze cognitive stesse. Quest’ultimo carattere dipende dall’assioma scientifico, che la forza non si crea ma si trasforma soltanto; quindi, aumentare la forza cognitiva può significare soltanto trasformare, a disposizione dell’intelligenza, una forza organica (Brofferio).Da quanto si è detto, nei riguardi psicologici della colpa, crediamo fermare le verità infrascritte:a) La prevedibilità, la quale poggia sull’attenzione spontanea, ha bisogno di minore sforzo che quella la quale poggia sull’attenzione volontaria o artificiale; imperocchè la prima si svolge per potere intrinseco e con adattamento naturale ed in gran parte ereditario; la seconda è soggetta a dei poteri estrinseci e sopraggiunti. Di qui la maggiore responsabilità o il grado maggiore di colpa in quei fatti, i quali si riferiscono all’ordinario modo di vivere, alla comune esperienza; cioè all’uso di quella attenzione che è un portato spontaneo della natura; come la responsabilità minore in avvenimenti per i quali si richiede una sviluppataeducazione, un retto indirizzo, un abituale uso di volontaria attenzione,b) La regola generale qui espressa soffre eccezione nel caso di diminuita prevedibilità per lo stato disorpresao distupore, essendo esso indice di maggiore colpa nell’uso di attenzione volontaria od artificiale, che nell’uso di attenzione spontanea. Avviene, talora, in qualche nostra operazione, che oggetti o fatti nuovi e straordinarî attraggano l’ammirazione, e pel latoemotivorestringano il potere della coscienza in guisa da arrestare il corso alle nostre idee e fissarci potentemente alla contemplazione di un punto solo percettivo. Siffatto fenomeno, non molto raro ad avverarsi, è causa ordinaria di imprevedibilità; epperò va tenuto in considerazione. Il grado di colpa, a cui da luogo, è maggiore nell’attenzione volontaria che nella spontanea, pel principio logico, chechiunque volontariamente intraprenda qualche operazione, seguendo gli artificî che una speciale attitudine ed istruzione gli hanno appreso, ha l’obbligo di meglio attendere a che qualche evento fortuito non lo sorprenda e lo renda causa involontaria di danno altrui.Il chirurgo, per esempio, che intraprende un’operazione, deve attendere che non si verifichi una emorragia; e, se questa lo sorprenda, egli, che non ha saputo prevederla, è responsabile di non lieve colpa.c) L’attenzione spontanea è meglio adatta agli oggetti esterni; la volontaria, o riflessione, meglio agli interni. Darwin ben disse, che quest’ultima è l’attitudine della visione difficile, trasferita dagli oggetti esterni agli avvenimenti interni, i quali si lasciano malagevolmente comprendere.Tutti i reati colposi, i quali appartengono all’adempimento d’un dovere di ufficio, debbono comprendersi nella seconda specie di potere intenzionale o riflessivo: il grado di responsabilità, dal lato subiettivo, è in ragione della maggiore e più protratta attitudine ad attendere; ciò che rientra nella specie colposa dellanegligenza, ossia nell’aver omesso quello che si è soliti di non omettere in adempimento d’un dovere esigibile.15.—A compimento di studio del primo fattore della prevedibilità, il fattore psicologico, dobbiamo parlare delladisattenzione.Chi attende concentra l’energia mentale su un punto fisso, restringendo in esso il campo visivo alla medesima maniera di chi adoperi una lente per raccogliere i raggi sopra unico obbiettivo: chi, invece, non attende, o malamente attende, disperde le attività coscienti ed o resta privo della percezione, o da motivo a confusione di idee e di giudizî. Da ciò lo stato didistrazione, la quale o avviene per incapacità della mente a fissarsi in modo stabile e per la mobilità di passaggio da una all’altra idea; ovvero per l’assorbimento d’un’idea, la quale non lascia agio alla mente di volgersi altrove e di occuparsi altrimenti. Il fenomeno è molto complesso, poichè risultante da particolari condizioni fisiche e di analogo adattamento psichico: basti, però, dire con Helmholz, che noi non avvertiamo tutte quelle impressioni che non hanno valore per noi come segni utili adifferenziare le cose. Intanto, o che, secondo il Müller, le correnti delle impressioni non avvertite da alcuni centri trovino la scarica in altre vie inferiori; o che il potere concentrativo diminuisca gradatamente in proporzione dell’abituale funzionamento cerebrale, permettendo che dallo stato di coscienza si passi in quello d’incoscienza, certa cosa è che la disattenzione forma l’obbietto di serî studî, i quali interessano così la pedagogia come la psichiatria, e cercano ancora la spiegazione di problemi rimasti tuttavia insoluti.In tema di colpa, lo stato di distrazione è generalmente ritenuto motivo di pena: ma fino a che punto ciò è giusto? Vi sono stati normali di distrazione, i quali dipendono da cattiva abitudine dell’uso mentale, ovvero da leggerezza di carattere, e per essi parmi che non vi sia dubbio sulla necessità di mezzi repressivi. Ma altri stati vi sono, i quali mostrano caratteri morbosi, tuttochè non sempre palesi; e parlare di repressione varrebbe quanto contraddire il cardine fondamentale della imputabilità.Il Bianchi molto esattamente tratta del diminuito potere di detenzione nella coscienza ed anche del potere regolatore selettivo, che scapita, imperocchè tutto quello che invade la mente, non per volere del soggetto ed anzi spesso contro il voler suo, non incontra ripulsa. «Esso irrompe liberamente nel campo della coscienza, togliendole più o meno di poterepercettivo e sopratutto del potere dell’appercezione. Trattasi qui sempre di due fatti, i quali si associano e caratterizzano questo stato patologico: da una parte, incapacità a contenere nella coscienza la costellazione ideativa, che è obbietto della attenzione volontaria; incapacità, dall’altra parte, a contenere fuori della coscienza un’altra quantità d’idee, che con le prime non hanno relazione alcuna, e contro le quali si esercita fiaccamente ed inefficacemente il potere volitivo dell’attenzione»[144].Lo stesso Bianchi ricorda i singoli stati più o meno patologici dell’attenzione; il fenomeno diipoprosessi(diminuzione di attenzione) per effetto di stanchezza; la diminuzione del potere della medesima, più del distributivo che del fissativo, prodotta dalle emozioni (Feré, Binet, Pick, Mosso); quel che avvenga nel dominio dell’inconscio, dell’automatismo psichico, negli stati nevrastenici e via discorrendo.16.—Abbiamo detto, che il secondo fattore della prevedibilità sia quello logico consistente nella possibilità di antivedere le probabili conseguenze dannose di un nostro atto. La impossibilità della previsione dà luogo alcaso, e quindi alla nessuna responsabilità del fatto. Che è mai il caso? Nel senso usuale è tutto ciò che non può essere rapportato ad una legge; nel senso logico è la ignoranza di tale legge, ovvero la impossibilità di ricordarla pel cumulo di circostanze accidentali, o di prevederla nel nesso di causalità tra fatti a noi noti e gli eventi a cui avrebbero data l’origine.La teoria del caso, in tutte le attinenze mentali, si fonda sulla teoria della probabilità, appunto perchè, secondo il Mill, noi possiamo supporre che le conclusioni relative alla possibilità d’un fatto riposano sulla conoscenza della proporzione tra i casi in cui si producono dei fatti di questo genere e quelli in cui non si producono; la quale proporzione, d’altronde, può essere trovata per una esperienza speciale o dedotta dalla conoscenza precedente delle cause la cui azione è favorevole alla produzione del fatto in questione, comparate a quelle che la possono neutralizzare.Applicando tali norme al concetto logico di probabilità nella previsione di conseguenze dannose del fatto proprio, si hanno gl’infrascritti corollarî: 1oil grado di probabile previsione d’un effetto ignoto, relativo a causa nota, è in ragione diretta dei casi, in cui l’effetto si verifica, ed in ragione inversa dei casi nei quali suole avvenire il contrario; 2odiminuendo i casi di probabilità, entriamo nel dominio dell’imprevedibile: il che contrassegna una serie indefinita di stati di coscienza incalcolabilia priori, e che vanno dall’accorgimento il più riflessivo alla disattenzione la più abituale; 3oper l’unità funzionale psicofisica della nostra mente, tutto ciò che direttamente o indirettamente diminuisce o turba la facoltà di attendere, rende meno probabile la previsione; così la retta educazione dell’attenzione e l’uso costante delle attitudini inibitorie, nello eliminare le cause di errori, ci facilitano la prevedibilità, rendendoci più pronti nell’eliminare le cause occasionali concorrenti a far nascere da una nostra azione conseguenze che dobbiamo evitare.

Teoria dinamica della Imputabilità.

1. Equilibrio interno ed esterno delle forze; l’idea ed il sentimento di giù. stilla.—2. Che cosa s’intenda perprincipio di causalità.—3. I tre concetti onde risalta la imputabilità; intento della psicologia criminale.—4. I due problemi fondamentali della imputabilità, quello etico e quello del determinismo giuridico: significato e contenuto della morale positiva.—5. Lanecessità effettuale; il determinismo organico o determinismo vitale; conseguenze rispetto alla imputabilità.—6. Svolgimento della teoria dinamica del dolo.—7. Dovere, in pratica, di attenersi agli elementi proprî deldolo specificodi ciascun reato.—8. Dottrina deltemperamento.—9. I due metodi per la indagine del dolo; il metodo obbiettivo.—10. Il metodo subbiettivo: principio fondamentale dellainduzione; tentativo d’una logica della psicologia.—11. Norme imposte al giudice nella indagine del dolo.—12. La prova del dolo nei processi indiziarî; laipotesidel fatto imputabile.—13. Teoria dellacolpa.—14. Psicologia dellaprevedibilitànella colpa.—15. Ladisattenzionee la colpa.—16. Teoria delcaso.

1.—Il delitto, abbiamo dimostrato, è, nel ritmo composto dell’aggregato dinamico sociale, un centro di attività con moto divergente, ossia con azione disturbatrice dell’armonia delle forze consociate pel comune scopo di progressivo benessere. Abbiamo eziandio accennato alla verità del principio spenceriano, che la coesistenza universale delle forze antagoniste, che produce l’universalità del ritmo e la decomposizione di tutte le forze in forze divergenti, rende anche necessario l’equilibrio definitivo.

Per meglio comprendere le conclusioni, alle quali perverremo, dobbiamo ricordare talune verità chiaramente svolte dallo stesso Spencer: che, cioè, «quei fenomeni, che chiamiamo, subbiettivamente, stati di coscienza, sono obbiettivamente modi di forza: che una certa quantità di sentimentocorrisponde a una certa quantità di moto: che il compimento di un’azione corporea qualunque è la trasformazione di una certa quantità di sentimento nell’equivalente quantità di moto; che quest’azione corporea lotta con varie forze e viene impiegata per vincerle; e in fine, che ciò che rende necessaria la ripetizione frequente di quest’azione è il frequente ritorno delle forze che da quest’azione devono esser vinte. Perciò l’esistenza in un individuo di stimoli emozionali, che siano in equilibrio con certe esigenze esterne, è alla lettera la produzione abituale di una porzione specializzata, di energia nervosa equivalente a un certo ordine di resistenze esterne, che essa abitualmente incontra. Così l’ultimo stato formante il limite, verso cui l’evoluzione ci conduce, è uno stato in cui le specie e le quantità di forze mentali ogni giorno prodotte e trasformate in movimento sono equivalenti ai diversi ordini e ai diversi gradi delle forze ambienti che lottano con questi movimenti o sono con essi in equilibrio»[127].

Ritenuto, che il delitto sia un centro di attività perturbatrice dell’ordine sociale, esso rappresenta un’azione divergente dallo stato o intento di equilibrio definitivo al quale volgonsi le azioni degli individui, siccome ad ultima mèta dei loro sforzi per procacciarsi il miglior bene desiderabile. Indi è che, per naturale legge dinamica, all’azione perturbatrice del delitto debba contrapporsi la reazione della collettività; il che avverrà con quei modi che comporta il grado di progresso sociale, secondo la necessità di soddisfare bisogni conformi allo stato della umana coscienza etica e giuridica.

Avvisata soggettivamente, cotesta umana tendenza alla integrazione dell’equilibrio sociale ha dato origine al primitivo sentimento ed alla prima idea di giustizia; ciò che è avvenuto per l’affermazione dell’istinto di egoismo contemperato dalla consapevolezza di limitazione della libertà propria a garanzia della libertà altrui. «L’affinità, la vite, la psiche—scrive Ardigò—scaturiscono dalle stesse forze onde esistono i loro soggetti; e ne rappresentano la risultante, che, come tale, si distingue specificamente dalle forze producentimedesime. E così la giustizia scaturisce dalle stesse autonomie prepotenti degli individui, ed è laspecie distinta di essererisultante naturalmente dal loro contemperarsi insieme»[128].—E lo Spencer: «è chiaro che il sentimento egoistico della giustizia è un attributo subbiettivo, il quale corrisponde a quella esigenza obbiettiva che costituisce la giustizia, l’esigenza, cioè, che ogni adulto riceva gli effetti della propria natura e conseguente condotta. Perchè, se tutte le facoltà non hanno libertà di esercitarsi, questi effetti non possono essere ottenuti nè sofferti, e se non esiste un sentimento, il quale favorisca la conservazione di un campo adatto a questa libertà, il campo sarà invaso ed il libero esercizio delle facoltà sarà impedito»[129].

2.—Chi desideri approfondire i concetti su esposti, vedrà che la loro origine sia il principio dicausalità, immanente in tutte le nostre cognizioni.—Per principio di causalità vogliamo intendere la sintesi di due termini: d’una idea disuccessionedi più fenomeni, e d’un rapporto dinecessitàpel passaggio dall’uno all’altro fenomeno.

Non disputiamo, chè non sarebbe il luogo, se ilprincipio di causalitàderivi dall’osservazione puramente sensibile della costante vicissitudine delle cose (Locke): ovvero se non sia che semplice rapporto di successione da noi riguardato costante in virtù del ricordo e dell’associazione delle idee (Hume); o se appartenga alla interna potenza degli atti di coscienza, ossia alla volontà (Maine de Biran); o se, lungi dall’essere un prodotto empirico, sia uno degli elementi constitutivi, uno dei principî della nostra facoltà di conoscere, una dellecategorie(Kant): per noi, com’è detto, nel principio di causalità deve entrare un elemento sensibile, la successione, ed un elemento soggettivo sorto dalla certezza sperimentale intorno alla conservazione della energia attraverso le trasformazioni dei fenomeni; il che importa che questa conservazione, a condizioni date, produce costantemente dati effetti, e che l’elemento soggettivo o rapporto causale tra le cose sianecessario.

3.—Nella parolaimputabilità, generalmente, non si suol vedere che il significato giuridico, quantunque questo significato abbia per presupposto il senso logico di relazione di causa e di effetto. L’agente, si dice, fu causa del maleficio; dunque egli deve esserne imputato. Chi, peraltro, spinga innanzi l’esame, vedrà che il nesso causale suppone, alla sua volta, il concetto dinecessità, il quale racchiude due termini, l’uno logico e soggettivo, e l’altro obbiettivo. Il termine logico si converte nel noto principio di contraddizione, che ciò che è non può non essere; il termine obbiettivo si identifica nella legge universale della conservazione della forza e della materia, ossia nella legge della sostanza, secondo la teoria di Haeckel. Laonde nella imputabilità conviene distinguere:a) un concetto fondamentale dinamico, che si converte nell’equivalente reale dell’energia criminosa;b) un concetto logico, di necessità di causa e di effetto;c) un concetto giuridico, di sanzione legale, che attribuisce all’autore del fatto punibile la responsabilità delle conseguenze.

La psicologia criminale, occupandosi della genesi dell’imputabilità, ha l’obbligo di far principio dall’elemento fondamentale dinamico, dal quale, pel processo evolutivo, i coefficienti psicofisici mano mano si determinano, a cominciare dalla efficacia del motivo infino agli atti della volizione e dell’azione.

I seguaci della scuola antropologica o, in genere, dell’indirizzo positivo del diritto penale, ritengono che la repressione del reato sia coonestata dal dovere di difesa sociale; ma donde il dovere di difesa se non dalla necessità naturale di ristabilire quell’equilibrio di energie collettive turbato dall’azione anomala del delinquente? Il delitto disintegra o tende a disintegrare l’aggregato; la legge repressiva si sforza di reintegrarlo. Ciò—nel ritmo della vita sociale—non è che contrasto od antagonismo di forze con tendenza all’effettuazione di equilibrio definitivo. La energia criminosa, ritraendo della genesi di stato psicofisico di esquilibrio, rompe l’armonia funzionale dell’organismo collettivo: la legge, prevedendo i tristi effetti, è sollecita di apprestare il rimedio; il che si converte in minaccia di pena contro l’autore del fatto, ossia in sanzione legale di quella imputabilità che ha la origine naturale e logica nella esplicazione della energia criminosa.

4.—Le esposte idee ci richiamano a meditare su due problemi, che sono base della imputabilità; il problema etico dei principî direttivi dell’umana condotta, ed il problema del determinismo giuridico.

Bandito dalla scienza positiva l’indirizzo dualistico, ed accettata la concezione monistica unitaria, anche la scienza della morale, informata al principio di relatività, si è liberata dalle astrazioni trascendentali metafisiche, restringendosi alla constatazione dei rapporti esigibili tra i componenti l’umano consorzio. «Spetta al secoloxix—scrive il Morselli—il vanto di avere concepita e formata una morale empirica o scientifica, indipendente, utilitaria, trasformistica, sociologica, ossia naturale ed umana nel vero significato dei termini.Empirica, perchè trae i suoi principî unicamente dalla esperienza, al pari d’ogni altra disciplina scientifica;indipendente, perchè si è liberata dal giogo che le avevano imposto le religioni ed ha acquistata piena autonomia;utilitaria, perchè prende di mira unicamente il bene che è poi l’utile collettivo, e a questo dirige e prescrive la condotta dell’individuo, non senza dimenticare il vantaggio dello svolgimento delle attività individuali;trasformistica, perchè si risolve in uno sviluppo di sentimenti che non mancano nell’animalità inferiore e portano nell’uomo soltanto la impronta di essere resi coscienti a causa del loro rappresentarsi all’intelletto; infine,psico-sociologica, perchè desume l’esistenza del senso etico dall’analisi degli elementi costitutivi della natura umana, così nell’individuo come nella specie e razza»[130].

5.—Non più, quindi, l’idea del bene, del dovere, della responsabilità morale, alla dipendenza da concezioni trascendentali di ordine o religioso o metafisico; ma insita alla natura umana, alla immanenza dei fattori naturali di cui questa è il risultato; non difforme dalla produzione di fenomeni causati dalle leggi della dinamica universale. Lanecessità effettualenon è la fatalità delle umane azioni, chè queste non sono preordinate da entità estranea al corso spontaneo delle cose, ma obbediscono al processo evolutivo di permanenza delleenergie attraverso le successive forme esteriori. Niuno dubitò che i fenomeni fisici e chimici fossero il risultato di leggi che, a condizioni uguali, dessero luogo ad identici effetti: Claudio Bernard dimostrò, che ciò dovesse eziandio ritenersi pel determinismo organico o determinismo vitale, proclamando, che conoscere il numero e l’ufficio di tutte le funzioni organiche, tale è il punto di partenza del determinismo, ed il suo punto di arrivo è che l’armonia la più rigorosa sia anche la legge delle cose della vita: perchè non dovrebbe il medesimo principio spiegarci i fenomeni psichici, che degli organici hanno la identica origine dinamica?—Quest’ultima verità sperimentale contiene e riassume la dottrina da noi fin qui svolta intorno all’evento psichico del delitto; ed abbiamo voluto esplicitamente enunciarla, perchè essa modifica di molto quanto già ritenemmo e propugnammo altrove circa il fondamento etico della imputabilità[131].

6.—Alla dottrina della imputabilità appartiene la teorica deldoloe dellacolpa. Ne parleremo nei limiti richiesti dal nostro assunto esclusivamente psicologico; ciò che faremo riferendo quello che scrivemmo parecchi anni or sono, e che, meno per alcuni concetti ed opinioni meglio svolti e corretti, resta tuttavia, in chiara sintesi, a delineare la teorica dinamica ampiamente esplicata in questo libro.

Nella dottrina del dolo—noi scrivemmo—[132]debbono concorrere:a) un fattore iniziale;b) un fattore psicologico;c) un fattore fisio-psicologico;d) un’attività cosciente.

Qualunque forza in azione ha un principio ed un fine; un prima ed un poi. Il principio è dato dall’azione impulsiva di altra forza con cui si è in contatto; il fine dall’esaurimento dell’energia, o dell’attitudine in atto. Quando, dunque, diciamofattore iniziale, vogliamo intendere la nozione complessiva del movente, cui si è passivo, e della efficacia impulsiva esercitata sulla nostra forza. Da questo momento comincia il processo di trasformazione della energia passiva in energia attiva dell’io; il tempo, che vi occupa, è maggiore o minorea seconda la maggiore o minore attitudinequalitativadel movente rispetto alla nostra forza ed al grado di resistenza determinato o da precedente nostra conformazione o da stato transitorio poco conforme all’adattamento circa l’azione dello stimolo. Anzi, succede che, se lo stimolo agente è interno, l’adattamento è più agevole, perchè tutto ciò che si presenta coi caratteri o di sentimento o di idea partecipa di già sostanzialmente con la natura della nostra psiche; non essendo logico concepire, che una forza si determini in dato effetto senza che ne abbia conformità di attitudine. L’azione o laefficaciad’un’idea, come diceva il Romagnosi, sulle nostre facoltà psichiche ha tutti i caratteri impulsivi degli stimoli esterni: mentre, per questi, il periodo iniziale è la sensibilità fisica, per l’idea è il sentimento (o iltono sentimentale): la differenza è nel momento evolutivo della energia in atto; ma le due forme di agenti si identificano nella passività psichica. Ed è facile capire che, avuto lo stimolo, si è stabilita una relazione o di accordo o di opposizione tra due energie, le quali o tendono ad equilibrarsi, o si collidono: nel primo caso la risultante ha maggiore vigore e si converte nella intima soddisfazione, che è il grado primo delpiacere; nel secondo caso, o l’impulso vince, e si ha il primo grado dellacoazione psichica; o è vinto, e laspontaneitàdi facoltà si converte in attitudine all’azione. La coscienza di questi primi stadî dell’attività psichica è sottoposta a delle restrizioni notabili: se l’impulso viene dall’esterno, dobbiamo distinguere se appartenga e formi parti dell’ambiente in mezzo a cui viviamo, ovvero se sorga isolatamente da accidentalità di relazioni; nella prima ipotesi, la trasformazione di energia avviene a nostra insaputa, inconsciamente; nella seconda ipotesi, ci è dato accorgercene quando altro stimolo simultaneo non ci preoccupi l’attenzione. E la coscienza, ridestandosi, non fa che notare il nesso ditempoo disuccessionetra la esistenza esterna dello stimolo e la esistenza interna; il che è dato dalla così detta percezione sensitiva, intesa nel significato di affermazione della esistenza di un certo che estraneo al nostro organismo e che col medesimo si è messo a contatto. Se lo stimolo è interno, ovvero nasce da idea prevalente sulle rimanenti, le quali nella simultaneità mentale si addimostrano,bisogna eziandio distinguere se essa idea sorga nuova, ovvero abbia dei lontani germi in idee precedenti: nella prima ipotesi, la sua efficacia può essere minima o massima a seconda l’indole o natura speciale che la distingue e la rende conforme alla serie delle idee e dei sentimenti con cui si connette nello stato attuale interno; nella seconda ipotesi, la efficacia è più forte, perchè l’origine latente, cui si riattacca, risulta a maggiore qualità di adattamento alla nostra psiche, ed a maggiore facoltà di resistenza con le idee concomitanti e che hanno tendenza di prevalere.

La coscienza, in questa duplice ipotesi, è in ragione non solo del grado dello stimolo, ma dei precedenti stati di abitudine: poichè, se le idee stimolanti, o idee consimili, abbiano altra volta fatta apparizione nel mondo psichico, la coscienza, essendosi alquanto adattata passivamente, è meno atta a sorprendere il nuovo stato transitorio della interna attività: ma, se la idea è nuova, la coscienza ne avverte di più la presenza o ne sopporta l’azione.

Nei descritti fatti, oltre che aver delineato il fattore iniziale del dolo, abbiamo anche compreso il fattore fisiologico ed il fisio-psicologico. Si comprende, in vero, che nel fatto complesso della coscienza, con significato il più ordinario a concepirsi, lo stato fisiologico dell’individuo è il primo dato permanente di qualunque interna modificazione.

E se abbiamo distinto il fattore fisiopsichico, ciò è per indicare il momento di passaggio dallo stadio della passività, esterna o di percezione sensitiva ed interna o di sentimento, allo stato di attività cosciente od incosciente.

Arrivati a segnalare l’apparire della coscienza, adempiremo l’assunto di studiare la sua attività nei diversi gradi onde suole funzionare.

La efficacia dello stimolo, attuatasi, addivienemotivo; vale a dire partecipa l’azione meccanica o dinamica all’io, mettendolo in grado di agire in un modo ovvero in un altro. La coscienza, a questo punto, passa dallo stato di quasi passività al primo stadio di attività: poichè le energie concorrenti, di idee e di sentimenti, si attuano con speciale direzione e mostrano già di essere indirizzate a determinato sogno. Se il simultaneo sorgere di qualche altro stimolo non viene o afrenare, reagendo, o a rivolgere altrove l’attività iniziale, il primo motivo si trasforma in impulso vittorioso, ed alla mente si rappresenta, non già con i caratteri di agente o di stimolo, ma difineultimo da raggiungere, siccome mèta dell’azione. La mente, usando della suarazionalità, vede il nessocausalefra il carattere d’impulsodel motivo e quello difine, edeliberase dar corso all’attività iniziata, ovvero arrestarne la tendenza. Ed in che modo ciò può avvenire?

Nella collisione delle energie dei motivi comprendesi che la prevalenza è di chi abbia maggior forza; ma non è così nel rapporto tra il motivo e la psiche. Il motivo, di qualunque origine e natura, non ha che efficacia dinamica; nella psiche evvi, per di più, energiarazionale, cioè consapevole dei proprî atti, o tale da seguire il corso di qualsiasi spinta, con la coscienza di finalità. È qui, veramente, il problema psicologico, e noi non ne sappiamo dare che la dimostrazione per analogia con le restanti forze naturali.

Come l’affinità chimica, la forzavitale vegetalee lavitale animalediconsi prevalere ciascuna in un piano particolare di esistenza, similmente nei fenomeni umani la forza razionale è la predominante nel grado più elevato di funzione psichica, e quella che, ritraendo del risultato quantitativo delle coefficienze di energie concorrenti, si spiega nell’attività di funzione circa la scelta di mezzi, i quali debbono procacciarle la soddisfazione di un bisogno. Insomma, ilmotivocomunica alla psiche la energia meccanica; ne ritrae il carattere dirazionalità: dapprima agisce da impulso, poscia acquista la natura discopoe rientra nella sfera di spontaneità di elezione. Si comprende che, a questo punto, ladeterminazionecomincia ad addivenire necessaria, obbedendo allacausalitàdel fine, la cui efficacia ideale assorbisce l’attività e ci trasporta alla esecuzione del proposito, ovvero all’uso dei mezzi prescelti.

Riassumendoci, diciamo, che neldolovi è la sintesi delle facoltà psichiche dirette a divisato scopo; la quale sintesi consta:a) di unmotivoconvertibile iniscopo;b) di unasceltadi mezzi adatti all’azione;c) di unadeterminazionead agire. Ai quali fattori occorre aggiungere, che, quantunque lo scopo, talfiata, sia conseguibile per le vie legali, la immoralità deimezzi è sempre intrinsecamente riprovevole e perciò causa di sanzione penale. Ond’è che il dolo può definirsi:La determinazione Ai scelta di mezzi rivolti a fine criminoso. Dicodeterminazione di sceltaper segnare il vero momento psicologico in cui la passività mentale si trasmuta in attività cosciente, cioè nel vedere, misurare ed eleggere quei mezzi, i quali, in sè medesimi, contengono la prova della deliberazione, o inclinazione a raggiungere un fine piuttosto che un altro; ossia di correr diritto, per esempio, alla soddisfazione del desiderio di vendetta, piuttosto che attenersi alla garentia della legge, per vedersi fatta giustizia di qualche offesa ricevuta. Dico, inoltre,mezzi rivolti a fine criminoso, per esprimere, non solamente la natura della deliberazione, ma eziandio la qualità dei detti mezzi, ed il fine speciale cui sono indirizzati perchè servissero ad effetti imputabili penalmente. Trovo del Nani la seguente osservazione degnissima di essere ricordata: «La determinazione della volontà dipende dall’agire la medesima per un principio intrinseco della sua attività e dall’avere una forza elettiva regolatrice delle sue operazioni, per cui fra gli oggetti rappresentati dall’intelletto siasi scelto quello che si poteva rifiutare. L’intelletto è quella facoltà con l’uso della quale si conoscono e si distinguono le qualità assolute e relative di più oggetti, si scuopre la loro convenienza o disconvenienza, e colla istituita comparazione tra le diverse conseguenze, che ne risultano o possono risultarne, si viene a deliberare sulla preferenza dei motivi in vista di cui la volontà si determina piuttosto all’un oggetto che all’altro»[133]. Come vedesi, alla mente del Nani non sfuggiva punto l’intrinseco principio attivo della volontà in correlazione della forza elettiva o della funzione dell’intelletto di deliberare sulla preferenza dei motivi; il che, in complesso, adombra l’odierna teorica dinamica della energia criminosa, completata dall’applicazione della legge della conservazione delle forze e della prevalenza qualitativa e quantitativa di una energia sulle altre concorrenti alla formazione dei fenomeni della natura.

7.—Fin qui secondo quello che, come ho detto, ebbi a scrivere parecchi anni or sono. Nondimeno, son di avviso,che la dottrina del dolo, enunciata nelle linee generali o in termini di principî teoretici, nella pratica non abbia che valore molto relativo. Se ne accontenterà lo scienziato, ma il giudice non ne avrà nessun giovamento; anzi potrebbe, nè è raro il caso, esser per lui motivo di difficoltà ed incertezza quando volesse farne scrupolosa applicazione ai fatti sui quali debba dare il giudizio.

Invece, tornerà utilissimo prescindere dalle nozioni puramente dottrinarie intorno al dolo in genere, ed approfondire l’analisi delle qualità e degli elementi proprî di questo o di quel dolo specifico; vale a dire dedurre i coefficienti psicofisici di ciascun evento soggettivo criminoso dal genere e dall’indole di ogni singolo delitto.

E non basta. Alla stessa guisa che in medicina, così in tema di imputabilità, più che fissarsi alle norme generali scientifiche, molto giova osservare e curare l’individuo. Nella disparità irreducibile, perchè eminentemente mutabile, di qualità psicofisiche individuali, l’obbligo del giudice è di non dipartirsi dalle accidentalità di fatto e dagli elementi soggettivi che lo prepararono e lo causarono. Però, siccome con l’abbandonarsi, egli, ai mutabili ed indefiniti concetti accidentali, molto facilmente incorrerebbe nel sistema d’una casistica pericolosa, stimiamo porre dei limiti alle indagini, noti, non che per le nozioni finora svolte, per le osservazioni che aggiungeremo.

8.—Il fondo psicofisico o soggettivo dell’individuo è racchiuso nella specie del suotemperamento. Gli antichi ne compresero l’importanza e si adoperarono, con teorie e distinzioni a sufficienza esatte, di delinearne il concetto scientifico. Il Wundt osserva, che «ciò che l’eccitabilità è per rapporto alla sensazione sensoriale, è il temperamento per rapporto alla emozione ed all’istinto. Noi possiamo discernere una eccitabilità permanente e, in ricambio, delle oscillazioni continue di questa eccitabilità; parimenti, il temperamento apparisce, si manifesta sia come permanente, sia sotto forma di accessi variabili, i quali possono dipendere da cause esterne ed interne»[134].Il temperamento è la risultante di fattori individuali; non è solo la somma di questi fattori, ma la caratteristica che investe e dirige le nostre tendenze e le facoltà ad agire in quel modo onde l’una azione dall’altra è differenziata.

Il Béhier avvertiva di doverci guardare dal confondere il temperamento con la costituzione e la idiosincrasia. Son tre espressioni che soglionsi scambiare, perchè esprimono insieme uno stato generale dell’economia; ma la parolatemperamentoesprime la predominanza d’un sistema funzionale sugli altri; esso può ben avere della influenza sulla costituzione; questa, però, offre dei tratti speciali. Per costituzione deve intendersi lo stato generale che risulta dall’azione collettiva dei differenti atti dell’economia e nel quale l’influenza del temperamento entra per la sua parte. L’idiosincrasia, al contrario, è una disposizione generale, che determina una tendenza particolare, più o meno accentuata, a contrarre o ad evitare tale o tal forma patologica. Il temperamento, la costituzione, verisimilmente, concorrono al suo sviluppo; ma questo è affatto ipotetico, e, al di fuori di queste due ultime influenze, si ritrova la idiosincrasia, che noi non possiamo in verun modo riconoscerea priori, che giudichiamo per i suoi risultati sovente sì straordinarî e costituenti un fatto la cui causa ci è interamente sconosciuta.

9.—Il fatto imputabile è noto al giudice in forma o espressione sintetica. Egli non lo conosce che per quanto gli vien riferito per testimoni o gli è appreso per documenti. Come farà ad estimarne le circostanze, onde risalire alla conoscenza della esistenza, qualità e quantità del dolo?

Il giudice ha dinanzi a sè due metodi, dei quali debba servirsi: l’uno obbiettivo, l’altro subbiettivo. Il metodo obbiettivo consiste nella raccolta ordinata di tutte le circostanze, che precedettero, accompagnarono e seguirono il fatto delittuoso; nel fissare il motivo od i motivi, i quali agirono a suscitare il desiderio o la spinta dell’azione, il grado approssimativo di importanza del motivo o dei motivi medesimi, nonchè le prove apparenti onde il soggetto ebbe a dimostrare di averne risentiti gli effetti. I precedenti del delitto sono riducibili alle cause, o permanenti ovvero occasionali, di nuovi rapporti interceduti tra l’autore del fatto e chi ne fu la vittima; tra lo statopsichico dell’agente, prima che in lui si destasse il desiderio o la spinta al mal fare, ed il tempo in cui l’interno mutamento si verificò; tra il primo impulso criminoso e la serie degli atti esterni rivelatori della lotta sostenuta per schivare od evitare il delitto; tra il grado di efficacia del motivo o dei motivi e la energia criminosa addimostrata nel momento dell’azione.

Le circostanze concomitanti formano il cumulo degli argomenti per stabilire, non che il genere e la specie del delitto, la prova direlazione causaletra il motivo od i motivi e l’azione; ciò che induce la mente a ravvicinare i due punti estremi del decorso storico del delitto, il momento della genesi soggettiva del proposito ad agire in controsenso alla legge, ed il momento in cui la interna energia si appalesa nell’attività esterna. In fine, le circostanze susseguenti al fatto, tuttochè sovente non abbiano interessante relazione con gli atti incriminabili, debbono, nondimeno, ben investigarsi, perchè possono essere indizî o prove sicure di ciò che il delinquente ha voluto conseguire col suo operato. Si ricordi, che nel processo logico del delitto ilmotivoad agire si trasforma inintentodell’azione; di guisa che la prova del fine d’una serie di atti interni ed esterni è per noi il materiale logico per non smarrire la via nel risalire, dall’ultimo atto operato, alle prossime e lontane cagioni che ci spiegano il perchè ad agire.

10.—Il metodo subbiettivo poggia sull’uso dellainduzioneaiutata dallo sforzo di connettere le proprie rappresentazioni del fatto alla serie delle circostanze storiche dello stesso.

La induzione—e chi lo ignora?—ha la base sul principio di uniformità dei fenomeni della natura; il che avviene, non soltanto in senso generale, ma eziandio particolare, nel senso cioè, secondo Bain, che nella uniformità della natura vi hanno delle categorie le quali sono, per dir così, radicalmente distinte l’una dall’altra: di guisa che la espressionelegge della naturadev’essere considerata come l’equivalente di due affermazioni: 1oche la natura sia uniforme; 2oche questa uniformità comprende un gran numero di uniformità distinte[135].

Il Bain, in applicazione dei principî generali deduttivi edinduttivi, volle gettare le fondamenta d’una logica della psicologia; ed egli credette di adempiere l’assunto esaminando il problema degli attributi dello spirito, quello dell’unione costante dello spirito e del corpo, e degli aspetti sotto cui si presenta ogni fenomeno dello spirito; per indi trascorrere all’esame delle proposizioni psicologiche, dei metodi logici della psicologia e della logica della scienza del carattere[136]. Il tentativo, secondo me, rimase incompleto, perchè il contenuto d’una logica della psicologia non deve arrestarsi alla genesi ed alle forme degli stati di coscienza, ma deve suggerirci le norme per riprodurre in noi, coordinare ed unificare i fatti della psiche nel loro ordine temporale e spaziale; ciò che appartiene al processorappresentativodegli altrui fenomeni psichici. Il metodo di introspezione può essere adoperato sia per comprendere ciò che intrinsecamente avviene in noi, che quanto sia stato prodotto per sforzo di riflessione e di immaginazione sui ricordi di fatti e di stati interni appartenenti ad altri: è così che noi abbiamo il mezzo, in forma rappresentativa, di osservare, come per riflesso, i dati soggettivi di importanti avvenimenti sociali, nati dalla vita di relazione tra’ simili ed apparsi con effetti esterni. Esempio evidente si ha nell’ufficio del giudice di investigare l’elemento soggettivo del delitto. Qualunque logica formale circa la specie e la qualità di prove giudiziarie sarà insufficiente se il giudice, ben usando del metodo induttivo, non possegga la virtù di riprodurre e rappresentare in sè, in forma almeno fugace, il processo interno dell’agente, connettendo il tutto insieme obbiettivo del fatto a quel complesso di fattori dinamici soggettivi, i quali debbono, in ultimo, farci consapevoli del nesso logico di causalità tra l’evento psichico del delitto ed il suo effettuarsi nell’azione.

11.—Abbiamo spesso ripetuto, che le nostre cognizioni son sottoposte alla legge direlatività. Qui non intendiamo parlare di quella relatività per cui Spencer, sulla scorta di Hamilton, concludeva, che la realtà esistente dietro le apparenze è e deve sempre essere sconosciuta; ma della relatività limitata alla conoscenza dei fenomeni umani.

Una siffatta relatività dipende in parte dal soggetto, che conosce, ed in parte dall’oggetto della conoscenza. Il psicologo, che vuol comprendere le leggi di certi fenomeni dell’altrui coscienza, dovrebbe aver tutte le attitudini e le opportunità di riprodurre in sè, qualitativamente e quantitativamente, i detti fenomeni; la qual cosa è impossibile che avvenga.

In oltre, pur ammesso che egli possegga le qualità richieste, si troverà dinanzi a difficoltà che trascendono il di lui potere; avvegnachè i fatti interni, perchè fossero esattamente riprodotti, dovrebbero essere conosciuti nelle loro più lontane cagioni ed in tutti gli infiniti rapporti casuali che sfuggono alla più minuta ed attenta osservazione.

Abbiamo voluto richiamare il lettore sulle fatte osservazioni, perchè vegga quanti siano gli ostacoli frapposti all’opera del giudice che voglia adempiere il dovere di rendersi ragione dello stato soggettivo e dell’elemento del dolo d’un imputato. Ciò non ostante, avverrà pel giudice quello che avviene per ogni studioso di fatti psichici. Egli deve aver cura, in primo luogo, dicondizionarele conoscenze subbiettive del fatto, ricordando quel che Hamilton scriveva, chepensare è condizionare, e che la limitazione condizionale è la legge fondamentale di possibilità del pensiero.

Il giudice, per convincersi del perchè di avvenimenti affidati al suo giudizio, dovrà saper distinguere e coordinare le circostanze interessanti, eliminare le superflue e cogliere i punti impercettibili che sono gli anelli intermedî tra le cose e che, poco apprezzati in apparenza, sono in sè di inestimabile valore. Il secreto è di non tralasciare verun dato che non sia, in precedenza, posto in relazione con altri dati soggettivi antecedenti, poichè, al dire di Spencer, «ogni completo atto di coscienza, con la relazione e la distinzione, implica anche la rassomiglianza: prima che uno stato di coscienza diventi idea o costituisca un elemento di conoscenza, deve non solo essere conosciuto come separato di specie da certi stati anteriori, coi quali è notoriamente in relazione di successione, ma deve anche essere conosciuto come appartenente alle stessa specie degli stati anteriori»[137].

Le ragioni di precedenti rapporti logici in parte si ricavano dalla pratica della vita, in parte dalla psicologia comune e, massimamente, dalla nostra disciplina: il risultato ottenuto, quale materiale del giudizio definitivo, conterrà la certezza proporzionata al corredo di coltura e di esercizio mentale individuale; avvegnachè, secondo lo stesso Spencer, «una cosa è perfettamente conosciuta solo quando è, sotto tutti gli aspetti, simile a certe cose previamente osservate; e resta incognita in proporzione del numero dei rapporti in cui essa differisce da quelle: in oltre, quando una cosa manca assolutamente di attributi comuni a cose note, essa è assolutamente fuori dai limiti della conoscenza»[138].

12.—Le maggiori difficoltà s’incontrano nella prova del dolo in processi indiziarî. In questo caso il giudice procederà per via diipotesi. Egli, cioè, partirà, per la estimazione dei fatti, da congetture che avranno più grande conformità sia con l’indole apparente del reato, che con l’evento verificatosi. Bisogna, intanto, avvertire, 1oche la ipotesi dell’avvenimento non sia nè arbitraria, nè ispirata da impressioni passionali, poichè, altrimenti, o si devierà dal nesso logico effettuale, ovvero si esagererà, pro o contra, l’apprezzamento della qualità e quantità della energia criminosa che abbia causato il delitto. Per quanto si abbia l’abitudine ad apprendere e considerare i fenomeni delittuosi, noi non siamo in grado di spogliarci della impressione che ciascun di essi desta nel nostro animo: la repugnanza, che ognun sente pel maleficio; il sentimento di pietà, di disgusto per le altrui sofferenze; il colorito vivace, che la immaginazione aggiunge al fatto; il modo tutto personale, onde giudichiamo le umane azioni; la influenza esercitata sulla nostra riflessione da’ cento motivi palesi ed occulti, sono altrettante cagioni per cui la mente o è impedita o fuorviata dal cogliere la verità delle cose. Egli è d’uopo spogliarci delle preoccupazioni, o degliidolidella mente, come da Bacone eran chiamati, se vogliamo non errare investigando il perchè logicod’un dato fenomeno. In oltre, 2o, occorre che la ipotesi abbia la consistenza in qualche circostanza essenziale del fatto; circostanza che sia resa ben chiara e che serva di punto di partenza per comprendere la condizione morale del soggetto agente, il primo ridestarsi in lui di motivi, i quali si trasformarono in azione lenta o rapida agli ulteriori atti interni criminosi. Anche in ciò è da avvertire, che, a riguardo della scelta della circostanza fondamentale alla ipotesi, noi sottostiamo, non pure all’abitudine contratta di percepire le cose e di valutarle in modo peculiare, ma alla suggestione partecipataci da’ testimoni, dall’indole sentimentale degli avvenimenti e dall’interesse che, molte volte senza averne sentore, noi annettiamo a date ipotesi per nostre personali predisposizioni di animo, di educazione e di coltura. L’indizio (daindice), accenna alla verità; ma chi di questa non siasi reso padrone con precedenti e lunghi esercizî della mente, scambia i termini del giudizio, e, messosi su falsa strada, erra nel ragionare e nel concludere.

13.—Se ildolo—scrivemmo altrove[139]—è nella determinazione di scelta di mezzi, lacolpaè nella mancanza di determinazione di scelta; che è a dire, nell’assenza di estimazione del legame tra l’atto voluto e l’effetto conseguito. Il quale stato di animo si vuol dividere nei seguenti termini:a) un motivo che ci stimola ad operare;b) uno scopo prossimo, e da noi preveduto, da raggiungere;c) uno scopo rimoto fuori le nostre previsioni;d) la scelta di mezzi analoghi direttamente allo scopo prossimo, indirettamente allo scopo rimoto. La relazione tra essi termini, sulla quale si fonda la differenza tra il dolo e la colpa, si è che il motivo non si converte che in iscopo prossimo; e la scelta dei mezzi solo a questo scopo è conforme; mentre la imputabilità dell’atto tira la ragione d’essere dallo scopo rimoto lesivo del diritto. In somma, la nostra dottrina non è differente da quella che ripone la essenza della colpa in unerrore evitabile[140], per effetto del quale si è verificata un’involontaria dannosa conseguenza. Ilfatto inconsulto, di cui parlavano gli interpreti del Diritto romano[141],si risolve sempre nella imprevedibilità o mancanza di cognizione di qualche effetto che poteva essere in relazione coi mezzi destinati a fine diverso. Il Kleinschrod spiega l’enunciato concetto osservando, che «un errore si connette senza contrasto con una determinazione della volontà, in quanto che nella colpa è palesemente riposto il difetto della volontà di usare, operando, di quella diligenza a cui ciascuno è obbligato, e così il difetto della volontà di deporre l’errore, che si sarebbe potuto e dovuto agevolmente scoprire. Ogni uomo di mente sana può e dee sapere, che è tenuto ad un certo grado di diligenza, a fine di non offendere i diritti degli altri. Ogni uomo probo rifletterà più o meno nelle sue azioni di qualche importanza, se sieno conformi alla giustizia, e se possa derivarne alcuna violazione del diritto. Ogni uomo conosce ancora, che la sua azione soggiacerà ad una pena, se trasgredisce colposamente le leggi. Quando, dunque, uno si rende debitore di colpa, non ha la volontà di applicare la necessaria diligenza alle sue azioni: non vuole, in vero, trasgredire la legge, ma non si dà il pensiero, che dovrebbe, per non trasgredirla. Egli, dunque, è punibile, perchè trascurò contro l’ordine giuridico questa diligenza, non si tolse all’errore, e così produsse una violazione del diritto: egli è punibile, in somma, perchè non si servì della forza della sua volontà, per superare un errore, che si poteva facilmente evitare. Se il delinquente doloso commette col vigore della sua volontà il fatto illegale, si può affermare, che il delinquente colposo lo commette con la debolezza della sua volontà, non usando la debita diligenza»[142].

14.—Da parecchi scrittori si propugna la teoria che ripone la colpa nel nessoaggettivodell’azione col danno; e noi opiniamo che essa meriti plauso quando trattasi di colpa derivante da quasi-delitti civili; non così in casi di colpa punibile penalmente. La imputabilità, lo abbiamo visto, è l’equivalente giuridico d’una causalità cosciente, o, com’è nella colpa, d’una causalità alla cui coscienza del fatto manchi l’uso d’una facoltà, quello della prevedibilità appartenente al comun mododi funzionamento psichico per evitare le possibili cause di danni altrui.

La prevedibilità o la previsione del fatto, e delle conseguenze che da esso derivano, dipende da due fattori, l’unopsicologico, l’altrologico: il fattore psicologico consiste nel buon uso dell’attenzione; il fattore logico nel criterio dipossibilitàdi antivedere le probabili evenienze dannose.

Cominciando a trattare del primo fattore, osserveremo:a) che cosa si intenda per attenzione relativamente ad una conseguenza dannosa imputabile;b) in quante categorie vadano divisi i reati colposi per i modi e le specie secondo cui l’attenzione è distinta;c) il meccanismo dell’attenzione nei riguardi dell’obbietto dannoso non preveduto;d) in che consista la disattenzione.

Nei precedenti capi abbiamo, più d’una volta, avuta la opportunità di parlare dell’attenzione e del suo funzionamento psichico: usando la definizione di James, diciamo, che essa sia l’atto per cui la mente prende possesso in forma limpida e vivace di uno fra tanti oggetti e fra diverse correnti di pensieri che si presentano come simultaneamente possibili.

Avendo per origine deglistati affettivi, i quali hanno per causa delle tendenze, dei bisogni, degli appetiti, l’attenzione si riattacca, in ultima analisi, a ciò che vi è di più profondo nell’individuo, l’istinto di conservazione (Ribot): si converte in una condizione della vita, e conserva il medesimo carattere nelle forme superiori, in cui, cessando di essere un fattore di adattamento all’ambiente fisico, addiviene fattore di adattamento all’ambiente sociale.

Restringendo questi concetti al nostro assunto, premettiamo, che l’attenzione, come causa selettiva, concentra la coscienza agli oggetti ed ai rapporti reali che, isolatamente considerati o come effetti di data azione, contengono la violazione del diritto altrui e cadono sotto la sanzione preventiva o repressiva della legge penale. Ond’è che, essendo il difetto di attenzione la causa psicologica dei reati colposi, la diversità degli oggetti, cui si riferisce, costituisce categorie o serie differenti di fatti imputabili. Una prima divisione dell’attenzione è quella disensorialee d’intellettuale,secondochè trattisi di oggetti presenti ai sensi, ovvero di oggetti ideali o rappresentati. Nell’ordine dei reati colposi, appartengono al difetto di attenzione sensoriale quei fatti i quali possono ledere l’integrità fisica dell’individuo, e che dipendono, per l’appunto, dal non aver noi previsto certi avvenimentimaterialiin dipendenzaimmediatacon qualche nostra azione. Ho detto avvenimenti materiali per mostrare la causa reale e sensibile del fatto dannoso; come, ad esempio, sarebbe la lesione prodotta per arma da fuoco, quando l’atto della scarica, di natura sensibile, dia luogo ad una ferita involontaria: ho detto dipendenza immediata, per precisare il rapporto diretto tra l’atto della scarica e ciò che n’è derivato, senza che altro motivo vi sia intervenuto. Appartengono, invece, all’attenzione intellettuale quei reati colposi i quali sono imputabili per ragione strettamente preventiva e perchè sono inerenti ad un dovere di ufficio a cui si era tenuto; come, ad esempio, l’omesso avviso di rinvenimento d’un fanciullo (art. 389 Cod. pen.); l’omessa denuncia d’un reato, per parte d’un pubblico ufficiale (art. 180); la trascurata custodia di detenuti (229, capoverso 2o); oltre le contravvenzioni degli art. 439, 471, 477, 482 Cod. penale.

Maggiori difficoltà presenta l’attenzione quando sia studiata nel suo meccanismo, essendo questo tema, secondo il Ribot, finora molto trascurato, e dipendendo da esso, non soltanto il completamento della teoria dell’associazione, ma i concetti per misurare qualitativamente e quantitativamente la specie ed il grado di coscienza necessaria per concludere alla prevedibilità di certi effetti in correlazione con certe cause. Per procedere con ordine, ricordiamo la distinzione dell’attenzione innaturaleospontanea,volontariaodartificiale.

«La prima, osserva Ribot, negletta dalla maggior parte dei psicologi, è la forma vera primitiva fondamentale della attenzione. La seconda, sola studiata dalla maggior parte dei psicologi, non è che una imitazione, un risultato dell’educazione, dell’ammaestramento, dell’adattamento. Precaria e vacillante per natura, essa attinge ogni sua sostanza dall’attenzione spontanea, in cui soltanto trova un punto di appoggio. Sotto queste due forme, l’attenzione non è un’attività indeterminata, una specie diatto purodello spirito, agente conmezzi misteriosi ed impercettibili. Il suo meccanismo è essenzialmentemotore, cioè a dire che essa agisce sempre sui muscoli e per i muscoli, principalmente sotto la forma di arresto, ond’è che come epigrafe di questo studio potrebbe scegliersi la frase di Maudsley:colui che è incapace di governare i suoi muscoli è incapace di attenzione»[143].

Per l’interesse delle conseguenze dannose, ossia in correlazione alla colpa, giova notare alcuni caratteri principali dell’attenzione. Essa, come si è detto, risiede in uno stato affettivo dell’animo, ossia è mossa e determinata da uninteresseo da unostimolo; ond’è che fu divisa inimmediataederivata. È immediata, secondo James, quando lo stimolo è di per sè interessante, senza relazione con niente altro; derivata quando lo stimolo è interessante soltanto per le associazioni che ha con qualche altra cosa più direttamente interessante. Inoltre, l’attenzione, consistendo nella sostituzione di un’unità relativa della coscienza alla pluralità di stati, al cangiamento che n’è la regola; ed essendo il prodotto, insieme alla coscienza, della connessione delle formazioni psichiche (Wundt), ha la virtù di meglio percepire, concepire, distinguere, ricordare, aumentare le forze cognitive stesse. Quest’ultimo carattere dipende dall’assioma scientifico, che la forza non si crea ma si trasforma soltanto; quindi, aumentare la forza cognitiva può significare soltanto trasformare, a disposizione dell’intelligenza, una forza organica (Brofferio).

Da quanto si è detto, nei riguardi psicologici della colpa, crediamo fermare le verità infrascritte:a) La prevedibilità, la quale poggia sull’attenzione spontanea, ha bisogno di minore sforzo che quella la quale poggia sull’attenzione volontaria o artificiale; imperocchè la prima si svolge per potere intrinseco e con adattamento naturale ed in gran parte ereditario; la seconda è soggetta a dei poteri estrinseci e sopraggiunti. Di qui la maggiore responsabilità o il grado maggiore di colpa in quei fatti, i quali si riferiscono all’ordinario modo di vivere, alla comune esperienza; cioè all’uso di quella attenzione che è un portato spontaneo della natura; come la responsabilità minore in avvenimenti per i quali si richiede una sviluppataeducazione, un retto indirizzo, un abituale uso di volontaria attenzione,b) La regola generale qui espressa soffre eccezione nel caso di diminuita prevedibilità per lo stato disorpresao distupore, essendo esso indice di maggiore colpa nell’uso di attenzione volontaria od artificiale, che nell’uso di attenzione spontanea. Avviene, talora, in qualche nostra operazione, che oggetti o fatti nuovi e straordinarî attraggano l’ammirazione, e pel latoemotivorestringano il potere della coscienza in guisa da arrestare il corso alle nostre idee e fissarci potentemente alla contemplazione di un punto solo percettivo. Siffatto fenomeno, non molto raro ad avverarsi, è causa ordinaria di imprevedibilità; epperò va tenuto in considerazione. Il grado di colpa, a cui da luogo, è maggiore nell’attenzione volontaria che nella spontanea, pel principio logico, chechiunque volontariamente intraprenda qualche operazione, seguendo gli artificî che una speciale attitudine ed istruzione gli hanno appreso, ha l’obbligo di meglio attendere a che qualche evento fortuito non lo sorprenda e lo renda causa involontaria di danno altrui.

Il chirurgo, per esempio, che intraprende un’operazione, deve attendere che non si verifichi una emorragia; e, se questa lo sorprenda, egli, che non ha saputo prevederla, è responsabile di non lieve colpa.c) L’attenzione spontanea è meglio adatta agli oggetti esterni; la volontaria, o riflessione, meglio agli interni. Darwin ben disse, che quest’ultima è l’attitudine della visione difficile, trasferita dagli oggetti esterni agli avvenimenti interni, i quali si lasciano malagevolmente comprendere.

Tutti i reati colposi, i quali appartengono all’adempimento d’un dovere di ufficio, debbono comprendersi nella seconda specie di potere intenzionale o riflessivo: il grado di responsabilità, dal lato subiettivo, è in ragione della maggiore e più protratta attitudine ad attendere; ciò che rientra nella specie colposa dellanegligenza, ossia nell’aver omesso quello che si è soliti di non omettere in adempimento d’un dovere esigibile.

15.—A compimento di studio del primo fattore della prevedibilità, il fattore psicologico, dobbiamo parlare delladisattenzione.

Chi attende concentra l’energia mentale su un punto fisso, restringendo in esso il campo visivo alla medesima maniera di chi adoperi una lente per raccogliere i raggi sopra unico obbiettivo: chi, invece, non attende, o malamente attende, disperde le attività coscienti ed o resta privo della percezione, o da motivo a confusione di idee e di giudizî. Da ciò lo stato didistrazione, la quale o avviene per incapacità della mente a fissarsi in modo stabile e per la mobilità di passaggio da una all’altra idea; ovvero per l’assorbimento d’un’idea, la quale non lascia agio alla mente di volgersi altrove e di occuparsi altrimenti. Il fenomeno è molto complesso, poichè risultante da particolari condizioni fisiche e di analogo adattamento psichico: basti, però, dire con Helmholz, che noi non avvertiamo tutte quelle impressioni che non hanno valore per noi come segni utili adifferenziare le cose. Intanto, o che, secondo il Müller, le correnti delle impressioni non avvertite da alcuni centri trovino la scarica in altre vie inferiori; o che il potere concentrativo diminuisca gradatamente in proporzione dell’abituale funzionamento cerebrale, permettendo che dallo stato di coscienza si passi in quello d’incoscienza, certa cosa è che la disattenzione forma l’obbietto di serî studî, i quali interessano così la pedagogia come la psichiatria, e cercano ancora la spiegazione di problemi rimasti tuttavia insoluti.

In tema di colpa, lo stato di distrazione è generalmente ritenuto motivo di pena: ma fino a che punto ciò è giusto? Vi sono stati normali di distrazione, i quali dipendono da cattiva abitudine dell’uso mentale, ovvero da leggerezza di carattere, e per essi parmi che non vi sia dubbio sulla necessità di mezzi repressivi. Ma altri stati vi sono, i quali mostrano caratteri morbosi, tuttochè non sempre palesi; e parlare di repressione varrebbe quanto contraddire il cardine fondamentale della imputabilità.

Il Bianchi molto esattamente tratta del diminuito potere di detenzione nella coscienza ed anche del potere regolatore selettivo, che scapita, imperocchè tutto quello che invade la mente, non per volere del soggetto ed anzi spesso contro il voler suo, non incontra ripulsa. «Esso irrompe liberamente nel campo della coscienza, togliendole più o meno di poterepercettivo e sopratutto del potere dell’appercezione. Trattasi qui sempre di due fatti, i quali si associano e caratterizzano questo stato patologico: da una parte, incapacità a contenere nella coscienza la costellazione ideativa, che è obbietto della attenzione volontaria; incapacità, dall’altra parte, a contenere fuori della coscienza un’altra quantità d’idee, che con le prime non hanno relazione alcuna, e contro le quali si esercita fiaccamente ed inefficacemente il potere volitivo dell’attenzione»[144].

Lo stesso Bianchi ricorda i singoli stati più o meno patologici dell’attenzione; il fenomeno diipoprosessi(diminuzione di attenzione) per effetto di stanchezza; la diminuzione del potere della medesima, più del distributivo che del fissativo, prodotta dalle emozioni (Feré, Binet, Pick, Mosso); quel che avvenga nel dominio dell’inconscio, dell’automatismo psichico, negli stati nevrastenici e via discorrendo.

16.—Abbiamo detto, che il secondo fattore della prevedibilità sia quello logico consistente nella possibilità di antivedere le probabili conseguenze dannose di un nostro atto. La impossibilità della previsione dà luogo alcaso, e quindi alla nessuna responsabilità del fatto. Che è mai il caso? Nel senso usuale è tutto ciò che non può essere rapportato ad una legge; nel senso logico è la ignoranza di tale legge, ovvero la impossibilità di ricordarla pel cumulo di circostanze accidentali, o di prevederla nel nesso di causalità tra fatti a noi noti e gli eventi a cui avrebbero data l’origine.

La teoria del caso, in tutte le attinenze mentali, si fonda sulla teoria della probabilità, appunto perchè, secondo il Mill, noi possiamo supporre che le conclusioni relative alla possibilità d’un fatto riposano sulla conoscenza della proporzione tra i casi in cui si producono dei fatti di questo genere e quelli in cui non si producono; la quale proporzione, d’altronde, può essere trovata per una esperienza speciale o dedotta dalla conoscenza precedente delle cause la cui azione è favorevole alla produzione del fatto in questione, comparate a quelle che la possono neutralizzare.

Applicando tali norme al concetto logico di probabilità nella previsione di conseguenze dannose del fatto proprio, si hanno gl’infrascritti corollarî: 1oil grado di probabile previsione d’un effetto ignoto, relativo a causa nota, è in ragione diretta dei casi, in cui l’effetto si verifica, ed in ragione inversa dei casi nei quali suole avvenire il contrario; 2odiminuendo i casi di probabilità, entriamo nel dominio dell’imprevedibile: il che contrassegna una serie indefinita di stati di coscienza incalcolabilia priori, e che vanno dall’accorgimento il più riflessivo alla disattenzione la più abituale; 3oper l’unità funzionale psicofisica della nostra mente, tutto ciò che direttamente o indirettamente diminuisce o turba la facoltà di attendere, rende meno probabile la previsione; così la retta educazione dell’attenzione e l’uso costante delle attitudini inibitorie, nello eliminare le cause di errori, ci facilitano la prevedibilità, rendendoci più pronti nell’eliminare le cause occasionali concorrenti a far nascere da una nostra azione conseguenze che dobbiamo evitare.


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