— Ah! — fece la Regina con un grido di gioia — Le notizie che ho chiesto... Saprò che è avvenuto di quel giovane che oggi mi sarebbe tanto utile! Andiamo, figlia mia, seguimi nella mia stanza.
Poi si rivolse al negro e lo guardò mettendosi un dito sulla bocca.
Il negro aprì le grosse labbra scarlatte ad un sorriso poi incrociò le mani sul petto e s’inchinò profondamente.
Appena nella sua camera la Regina si tolse il mantello e il cappellino di feltro nero sormontato da una nera piuma e lo gittò sul letto con atto impaziente.
Alma comprese che la regal donna era tra turbatae soddisfatta; gravi cose eran dovute accadere e forse molti importanti avvenimenti si maturavano, a giudicare dall’aspetto preoccupato di Maria Carolina, la cui fronte or si spianava mentre le labbra sorridevano, or si corrugava, a seconda i pensieri che fervevano in quella mente.
— Vostra Maestà non va a letto? — le chiese Alma.
— Non per ora, quantunque invero sia stanca. Ma debbo leggere prima le carte che mi ha dato Giovanni, il plico specialmente mi dirà tutti i particolari dell’affar nostro nel Napoletano. Tutta la mia corrispondenza era stata intercettata finora. Quel mendicante, che è uno dei miei fidi, non mi portò che notizie vaghe; ma questa volta son sicura che ne avrò di precise.
In ciò dire si era seduta allo scrittoio e con mano febbrile apriva il plico donde uscirono di molti fogli di carta che la Regina si diede a scorrere mentre il volto rifletteva come uno specchio le impressioni che quella lettura le destava.
Alma non si era mai intesa così turbata, così sconvolta, anzi. Era la prima volta che l’anima sua aveva un segreto da nascondere, un segreto per lei assai più delicato ed imbarazzante che se fosse stato di capitale importanza.
Che avrebbe detto il giorno appresso la Regina nel sapere che ella per tutta una notte le aveva celata la presenza in quella casa del giovane che aveva fatto ricercare per ogni dove? Che avrebbe pensato, che avrebbe creduto? Non indovinerebbe il vero motivo che Alma non confessava neanche a sè stessa, pel quale aveva rimandato al domani la rivelazione? Doveva dunque, checchè potesse accadere, dirle quanto era avvenuto, anche se avesse dovuto esser testimone di un incontroripugnante per tante ragioni alla dignità sua e fors’anche al suo cuore? Al suo cuore, perchè se infine una Regina era discesa dall’alto del suo trono per stendere le braccia a quel giovane, poteva anche ella, libera com’era di sè...
Interruppe a mezzo un tal pensiero che l’aveva fatta vacillare mentre un’onda di sangue le imporporava il viso. A questo era giunta, che il pensiero della possibilità di un intimo rapporto fra lei e quel giovane non era più un vago ondeggiar di sentimenti, ai quali non si poteva dar alcun nome, ma erano così determinati che ne aveva rabbrividito.
Ella la rivale della Regina, ella? Ella, a quella donna che se per gli altri era una perversa creatura, per lei era un’amica buona ed affettuosa, avrebbe tolto forse l’unica gioia degli ultimi anni di una vita così fortunosa, perchè se anche biasimevoli erano i rapporti interceduti fra la Regina e quel giovane non toccava a lei di giudicarli, ma non doveva lei contrastarli.
Alma era sdegnata seco stessa che un tal pensiero le fosse balenato, e ne sentiva offeso il suo pudore di fanciulla, la sua dignità di donna, il suo orgoglio: e se finallora era stata indulgente col proprio cuore che con troppa compiacenza aveva vagheggiato la immagine di lui, si proponeva d’indi innanzi di esser più severa per giungere a scacciarla del tutto.
E si decise di svelare alla Regina la presenza di Riccardo nella torre, si decise, formando il disegno di lasciarli soli appena avesse condotto l’uno all’altra. Pure attese, perchè non le era lecito d’interrompere la lettura della Sovrana, attese che avesse finito.
Ma nel volgere gli occhi lesse nel volto dellaRegina che teneva fissi gli sguardi su un foglio, lo stupore misto ad un sentimento che era tra la gioia e la maraviglia; poi la udì mormorare mentre alzava gli occhi in viso alla giovinetta:
— Possibile, possibile?
E stette come perplessa, or guardando la carta, or guardando la sua lettrice. Infine le disse:
— Leggo qui una notizia assai strana, così strana che non par possibile sia vera, quantunque io non possa punto dubitare della veridicità di chi mi scrive. Sai tu come aveva nome il Commissario civile che seguiva i soldati francesi che assaltarono il castello? Sai tu chi era? Il fratello di tuo padre, colui che da una sentenza della Gran Corte Criminale fu condannato a morte, onde tuo padre potè ottenere la investitura del ducato di Fagnano coi beni e i privilegi che vi erano annessi?
Alma rimase fredda e tranquilla, come se una tale nuova non la riguardasse punto.
— Ora l’antico condannato ha ottenuto dai Francesi il riconoscimento de’ suoi diritti, dei quali ha potuto godere per poco, essendo morto quindici giorni dopo che era rientrato nel suo castello. Come vedi, si tratta di un tuo zio. Ma non è tutto.
La Regina fece una pausa e stette con gli occhi fissi sulla giovinetta, quasi non sapesse risolversi a dirle ciò che più importava.
— Ma — disse poi — lo strano è in questo, che quel tuo zio aveva un figlio, e quel figlio fu da lui riconosciuto per legittimo, nato da non so qual matrimonio, e dichiarato erede del titolo e dei beni.
Ella ascoltava senza punto commuoversi; solo disse, sbadatamente:
— Me l’aveva già detto mio padre stamane.
— Ah, è stato qui tuo padre? E ti ha detto chi sia quel figlio e come ha nome?
— Mi ha detto soltanto che è un bastardo...
— Ma se fu riconosciuto per legittimo, certo in base a documenti... E non sai altro, non sai altro?
— No — rispose lei calma e fredda.
— Ebbene — disse la Regina con voce lenta e fissando la giovinetta come se avesse voluto studiare nella fisonomia di lei la impressione che le sue parole le avrebbero prodotto — ebbene, quel figlio riconosciuto per legittimo da suo padre morente ed erede del titolo e dei beni, si chiamava un tempo... capitan Riccardo!
La giovinetta impallidì tanto che la Regina credette stesse per svenire. Era più che stupore il suo, era uno sconvolgimento di tutto l’esser come per un urto formidabile che avesse mandato in soqquadro tutte le sue idee.
La Regina non la perdeva di vista e aveva nel suo sguardo una pietà profonda, ben comprendendo il complesso dei sentimenti che quella notizia aveva sconvolto. Volle farle animo quantunque non sapesse con quali parole, ignorando in che Alma fosse stata ferita, se nell’orgoglio, se nel suo amore di figlia pel dolore che ne avrebbe provato il padre, se nelle sue vaghe aspirazioni per l’avvenire che quel riconoscimento rendeva assai incerto ed oscuro.
— Non accorarti, via! Del resto — continuò con un sospiro — quel giovane è sparito; nulla si sa più di lui!
Ella intanto aveva avuto il tempo di riaversi, di riprendere il dominio di se stessa: l’orgoglio la sostenne, l’orgoglio le diede la forza di tornar tranquilla e le fece in un baleno comprendere qualfosse oramai il suo dovere. Onde rispose con voce sicura:
— Quel giovane è qui, in una di queste stanze ed aspetta che Vostra Maestà gli conceda l’onore di una udienza.
Toccò alla Regina d’impallidire, colpita da stupore profondo. Credette di avere inteso male, credette, chi sa, fors’anco ad un sarcasmo della figlia del duca di Fagnano, ad una rappresaglia, tanto non le pareva possibile che Riccardo fosse nella torre.
Balzò presso a lei, le mise le mani sugli omeri, e con gli occhi minaccevoli, fissandola in viso:
— Tu non m’inganni — gridò — tu non m’inganni? Bada, i più audaci, anche i miei più fieri nemici han tentato di colpirmi a morte, ma non dì prendersi giuoco di me...
— Vostra Maestà sa bene — rispose Alma senza punto scomporsi — che il mio orgoglio non mi ha permesso di abusar mai della dimestichezza che mi concesse la mia Sovrana. I duchi di Fagnano sanno per lunga consuetudine come si parli a chi Dio fece nascere sul trono.
— Dunque è vero, dunque è vero! — proruppe la Regina sfavillante di una gioia convulsa. — Perdonami, perdonami... Gli è che non sai qual bisogno io ho di un cuore devoto come il suo, da non creder vero che il destino mi abbia concesso finalmente tanta fortuna. Dov’è dunque, dov’è?
— Nella stanza della torre per la quale passa la scala a chiocciola che sale alla piattaforma. Perchè i servi non vi entrassero ne ho chiusa a chiave la porta. Ecco la chiave.
La Regina tuttora convulsa prese la chiave ed era per uscire dalla camera, ma comprendendo chela sua dignità regale ne sarebbe compromessa si fermò, e porgendo la chiave alla giovinetta le disse assumendo un contegno grave quale a lei conveniva:
— Poichè ha chiesto un’udienza, va a dirgli che gliela concedo e che l’aspetto.
Ella non stese la mano per riprendere la chiave e disse facendo un inchino:
— Che Vostra Maestà mi perdoni, ma non mi reggo in piedi e le chiedo il permesso di ritirarmi nella mia camera.
Quelle due donne si guardavano e l’una ben lesse nel cuore dell’altra. La Regina pallida, accigliata, come colpita da un sospetto che le si era conficcato come una spina nel cuore; Alma fiera, ma tranquilla in vista e col viso improntato a risolutezza che dava una espressione del tutto nuova alla sua leggiadria.
— Andate — le disse la Regina con le labbra tremanti per la collera e per la puntura di quel sospetto.
Alma s’inchinò di nuovo, poi uscì dalla camera senza che il suo contegno nulla tradisse di quel che aveva nel cuore.
— Ah! — disse la Regina che l’aveva seguita con lo sguardo — era una fiammella che adesso potrebbe divenire un incendio.
Stette un istante pensosa; poi scrollando il capo:
— No, quella è una natura tutta fatta d’orgoglio. Avrebbe forse amato capitan Riccardo, confessando il suo amore; ma adesso a costo di morire, non confesserebbe l’amore per suo cugino, il duca di Fagnano!
La gioia tornò a sfavillarle negli occhi: scrollò le spalle come se avesse dato troppa importanzaa quello incidente e troppa anche al suo decoro regale che non le permetteva di recarsi nella stanza in cui quel giovane era rinchiuso.
— I miei nemici, i Francesi, che in fondo han del buono, dicono: Alla guerra come alla guerra! E non sono io in una guerra continua e feroce con tutto il mondo quasi, e più forse con quelli che mi si dicono amici?
Era la donna, era la Regina, era l’impavida lottatrice che esultavano in lei, la lottatrice feroce, implacabile da preferir di sommergersi, come scrisse in una lettera, coi figli e col marito in un abisso e trascinar seco nella rovina i popoli del suo regno, anzichè venire a patti col nemico.
La donna già presso a declinare, ardeva ancora di tutte le fiamme del sole al tramonto; la Regina che si era vista abbandonata dai cortigiani, innumeri un tempo, aveva bisogno di un saldo braccio e di un cuore devoto. Ed ecco che lo ritrovava, ed era quale lo aveva sognato, lo aveva cercato, lo aveva voluto. Superstiziosa come tutte le nature violente ed impulsive, le parve quello un buon auspicio per la impresa che si preparava. I duemila Calabresi avevano un capo di loro degno, e se l’impresa non fosse riuscita aveva ora di chi servirsi per tentare un altro mezzo da lei vagheggiato lungamente e che era tale da scacciar per sempre dalla Sicilia gli Inglesi odiati.
Accese una candela ed uscì dalla sua camera. Quando fu innanzi alla porta della stanza indicatale da Alma sostò per calmarsi e per assumere un contegno. Era la donna o la Regina che tremava così, che era così convulsa al pensiero che tra poco si sarebbe trovata innanzi a quel giovane la cui immagine le ridestava ricordi di gioie e di abbandoni che le facevan fremere tutte le visceri?
Capitan Riccardo, rimasto solo, era stato per un pezzo immobile come se ancora vedesse nella realtà innanzi a sè quella soavissima creatura che era da tanti anni nel suo pensiero; nè il sapersi di lei congiunto, a lei uguale per diritto di nascita, nè il saperla usurpatrice, senza di lei colpa, è vero, del suo titolo e de’ suoi beni che mentre lui derelitto, senza pane, senza vesti, senza tetto languiva nella più tetra miseria, la facevan passare superba e sdegnosa a lui dinanzi, a lui povero verme indegno financo di affissar la luce emanata da quella stella; nè il ricordo di quanto aveva sofferto da fanciullo, da giovinetto, da uomo, era valso ad intiepidire il culto che aveva perennemente custodito per quella soavissima creatura. Nè a lui pareva che ora la distanza enorme che un tempo l’aveva separato da lei fosse sparita, nè che l’abisso fosse colmato; anzi vieppiù adesso se ne sentiva lontano, vieppiù adesso vedeva profondo l’abisso.
E non era strano che egli dopo tante vicende dopo aver superato tanti pericoli, giunto in Sicilia, per un incidente che avrebbe potuto costargli la vita, fosse capitato proprio in quella dimora della Regina e di Alma, delle due donne per le quali a tutto rinunciando era venuto in Sicilia?
E non era strano che egli fosse sotto l’istesso tetto con colei che ne aveva tutto il cuore? Perchè lo sentiva bene lui che il sentimento dell’anima sua per Alma non era dell’istessa natura di quello che lo legava alla Regina. Pure al pensiero che essi eran soli in quella torre così angusta; che la giovinetta del suo sogno era separata da lui da una o due di quelle stanzuccie; che insieme respiravano la stessa aria; che bastava avesse alzato la voce perchè ella udisse, un tal pensierolo turbava, un tal pensiero lo sconvolgeva senza però che egli osasse aver desideri oltraggiosi per la purità di lei. Ed ora che si sapeva della stessa famiglia, che poteva pensare a lei come non solo ad una sua pari, ma ad una con la quale aveva comune il nome e comune l’orgoglio di famiglia, scioglieva i freni a quell’amore fino a quel giorno contenuto e si abbandonava ad esso, quantunque fosse risoluto a non esser per lei che capitan Riccardo.
Ma qual contegno avrebbe assunto con la Regina, alla quale aveva promesso una devozione completa?
Certo non era uomo da tornare indietro, da venir meno alla parola data e quindi era venuto deciso a dare per essa la sua vita.
Egli notava in sè stesso un fenomeno strano: di quelle due donne, l’una pallida, bionda, delicata non era che anima per lui, non era che idea che egli vedeva attraverso un velo bianco in alto in alto, come se ella vagasse per l’azzurro infinito del cielo; l’altra invece era la donna turgida di voluttà, la cui matura bellezza sprizzava fiamme, del cui ricordo sentiva arse le visceri. Il pensiero dell’una non s’incontrava coi desiderî dell’altra, perchè il primo si nascondeva, si rincantucciava nel profondo dell’anima quando i desideri gli bruciavano il sangue.
Ed era per lui una dolcezza ineffabile che lo compensava di quante pene aveva sofferto dalla morte di suo padre fino a quella sera in cui una mano benigna l’aveva guidato a quel luogo, era per lui una dolcezza soavissima quel sentirsi vicino a lei, la cui immagine radiosa era rimasta là, dinanzi a lui.
Riccardo non si era offeso del riserbo in cuiAlma, calmato lo stupore, si era tenuta, benchè egli non avesse potuto frenare certi impeti di dispetto: ne aveva compreso l’imbarazzo, ne aveva giustificata la scontrosa timidezza, effetto del suo pudore di fanciulla nel vedersi sola, di notte, con un uomo; e forsanche quella incertezza nel contegno proveniva dal saperlo omicida, avendo assistito alla lotta contro i suoi persecutori. Ma doveva pure esserle riconoscente se aveva assentito a dargli asilo, rendendosi così complice di lui; doveva pur esserle grato se pur essendo per quella nobile e fiera giovinetta un avventuriero aveva promesso di arrecargli con le sue mani di che rifocillarsi. Ah, se ella avesse saputo che a suo cugino avrebbe reso quel servizio, all’unico e legittimo erede del titolo che ella portava! Ma l’avrebbe saputo? Avrebbe egli umiliato quella deità del suo pensiero con l’onta che sarebbe ricaduta sul padre strappando a lei quel titolo che aveva portato sì nobilmente? No, non l’avrebbe mai fatto: ella avrebbe pur sempre visto in lui l’avventuriero, il bastardo, il figlio della gleba ed era questo, questo l’olocausto che ei faceva all’amor suo che lo riabilitava ai suoi occhi di quei rapporti, dei quali al certo lei gli faceva una colpa, con la Regina.
Ma perchè non aveva voluto che la Regina sapesse che lui era lì quando il fischio che veniva dal mare ne annunziò il ritorno? Proprio per non turbare il riposo dell’augusta donna? proprio per una gentile e previdente premura d’amica? Non poteva avere un altro significato il ritegno di lei, un significato che scopriva in parte il segreto di quell’anima giovinetta a cui non era sfuggito al certo ciò che egli aveva in cuore? Non era stata indotta da una vaga e forsanco inconsapevole gelosiaa rimandare al giorno appresso la rivelazione della sua presenza nella torre?
Un tal pensiero lo aveva fatto sussultare di gioia, ma era stato un baleno.
— No, no — disse a se stesso — vi fu indotta dal suo pudore di fanciulla. Ah, io debbo essere ben spregevole ai suoi occhi! Che sa lei di certi strani fenomeni della vita? che sa lei di certi fascini che non giungono fino al cuore e che non tangono l’anima?
Ed aspettava sicuro di vederla apparire per poco per apportargli il cibo: aspettava col cuore gonfio di tenerezza che però avrebbe bene dissimulato per non accrescere il suo imbarazzo quando si fosse trovato in presenza della Regina.
Trasalì nel sentir stridere la chiave nel foro della porta: certo era lei che gli apportava il cibo. Si alzò ed attese.
La porta si aperse e nel vano apparve la Regina.
Egli che non si aspettava quell’apparizione retrocedette sorpreso, confuso.
— Vi siete fatto attendere un bel pezzo signor duca di Fagnano — disse la Regina entrando, mentre con un sorriso porgeva la mano al giovane perchè gliela baciasse.
— Che! — gridò lui — Vostra Maestà sa?...
— La Mia Maestà ha troppo a cuore i suoi sudditi più devoti perchè ignori quel che ad essi avviene. Ma la vostra sorpresa, duca, non deve impedirvi di baciarmi la mano.
— Perdono Maestà, perdono — esclama Riccardo inchinandosi per portare alle labbra la mano piccioletta e bianca di Carolina d’Austria.
Era bastato quel bacio perchè sentisse il sangue accendersi e pulsargli impetuoso nelle vene.Anch’ella aveva rabbrividito mentre contemplava il giovane con occhi accesi.
— Come vi aspettavo — mormorò — come vi aspettavo! Come temetti di non vedervi più, chè, per quanto avessi mandato attorno per aver vostre nuove, nessuno sapeva darmene! Solo stasera lessi in un rapporto l’essere stato voi riconosciuto da vostro padre.
— Regina — disse lui serio e grave — io la supplico di una grazia: di non vedere in me che il colonnello Riccardo, ben potendo assumere qui un tal grado. Ragioni di delicatezza e di riguardo per una persona a lei devota m’impongono di non portar un titolo che d’altra parte mi potrebbe esser conteso non possedendo io, anche se avessi l’intenzione di farlo valere, il documento che si richiede.
— Voi non volete che Alma ne soffra o per lo meno soffra del danno che il vostro riconoscimento apporterebbe a suo padre!
Aveva la collera nello sguardo, e il sospetto geloso le aveva fatto corrugar la fronte e assumere l’aria feroce in lei caratteristica. Senza aspettare la risposta del giovane soggiunse con un convulso tremito nella voce:
— Voi dunque amate quella che un tempo era la figlia dei vostri padroni e che adesso è vostra cugina?
Egli diede un balzo a queste parole: comprese il terribile, il mortale pericolo cui avrebbe esposto Alma se si fosse tradito, se quel suo amore che non aveva alcuna speranza e che egli si proponeva di soffocare nel suo cuore fosse stato scoperto da quella donna così crudele nella sua vendetta e che aveva dei diritti su lui. Onde, poi che in fine dal fascino di quell’ardente bellezza si sentivadi nuovo potentemente agguanciato, le si inginocchiò dinanzi, ne prese le due mani, e alzando gli occhi per ricercar quelli di lei.
— O Regina — le disse — o Regina, per venir qui ho rifiutato la pur lusinghiera offerta di mio padre che avrebbe ottenuto per me un alto grado negli eserciti francesi. Per venir qui sono stato sordo alle sue preghiere, alle sue suppliche e mi son fatto ricondurre in carcere. Per venir qui sono evaso abbandonando il padre mio che ne morì dal dolore. Per venir qui mi sono avventurato solo in una barca, chè sarebbe stato ben pericoloso affidarmi ad una delle navi che approdano in questi porti. Fatto prigioniero da corsari barbareschi, portato da essi come schiavo in Algeri, per venir qui ho spezzato le catene, ho vagato pel deserto affrontando le fiere, soffrendo la fame e la sete, con un solo intento nel cuore, giungere fin qui; con una sola imagine nella mente, la vostra, o Regina; guidato, sostenuto da un sol pensiero, il giuramento che aveva fatto di raggiungervi ad ogni costo. E non di me m’importava, come non mi era importato di mio padre e del grande avvenire, e degli onori e del grado e del titolo che mi si offrivano; ma di voi, o Regina, di voi cui facevano bisogno un braccio sicuro e un cuore devoto. E quando mi credetti sul punto di esser fucilato dai Francesi, d’essere sgozzato dai corsari, di cader vittima dei feroci guardiani degli schiavi in Algeri; allorchè traversando il deserto inseguito da coloro cui ero sfuggito, con le fauci arse dalla sete, con le visceri attenagliate dalla fame, scalzo, lacero, con le antiche ferite che si erano riaperte, temeva di non giungere al mare, io non pensavo punto a me, alle mie sofferenze, alla mia giovinezza, al mio avvenire: io pensavo avoi, a voi e al giuramento che avevo fatto. Ed ora che sono qui ai vostri piedi, ditemi, o Regina che io amo, ditemi voi cui ho dedicato questa vita mia, ditemi se meritavo di essere accolto con quelle tristi parole! Guardatemi in viso e vi leggerete i patimenti sofferti; guardatemi nel cuore e vi troverete una sola immagine, una sola idea, voi!
Ella a poco a poco dalla voce di lui inebbriata aveva inteso dileguar la sua collera e l’atroce sospetto. L’ardente ed eloquente linguaggio del giovane ne rammorbiva a grado a grado il cuore e le carni. Gli aveva messo una mano sulla testa e ne veniva dolcemente carezzando i capelli, mentre i suoi occhi, che da principio aveva stornati, ora pregni di dolcezza fissavano gli occhi del giovane che mentre parlava la vedeva chinarsi sempre più su lui, come attratta da un fascino irresistibile, finchè alle ultime parole le loro bocche s’incontrarono e gli cadde fra le braccia.
Quando ella rinvenne da quell’ebbrezza stette a contemplarlo a lungo, a lungo; poi sollevandone i capelli dalla fronte quasi volesse legger bene nel pensiero di lui:
— No — gli disse — tu non mi tradirai come gli altri mi han tradita. Perdonami, ma gli è che le tante infamie di cui sono stata vittima mi han fatta così trepida, così ombrosa, così facile al dubbio. Tu sei tutto mio dunque, fino ad abbandonare tuo padre, fino a rinunziare ad un grado, ad una fortuna?! Di questi uomini un tempo i re facevano i loro principi, le regine il loro amore; io ti avrei fatto il mio genio. Vuoi tu nell’alto del trono o nel profondo dell’abisso, salire con me o precipitare con me? Di’, lo vuoi tu?
Egli che aveva ancora nel cuore e nelle labbra la voluttà dei baci di quella donna rispose:
— Sì, sul trono o nell’abisso.
— Ascoltami dunque. La Sicilia sta per insorgere contro gl’Inglesi in nome della sua indipendenza. Il Re emanerà un proclama e riprenderà le redini del Governo. Io metterò ai servigi della Rivoluzione duemila dei nostri Calabresi che giungono alla spicciolata e si van raccogliendo nei piani di Segeste. Vuoi tu esserne il capo?
— Io voglio ciò che la mia Regina vuole — rispose lui.
— E non è tutto ancora. Bisogna avere più frecce al proprio arco. Se la Rivoluzione non riesce a scacciare gl’Inglesi, sai tu chi sarà il mio alleato contro di essi?
— Chi?
— Bonaparte.
Il giovane che era rimasto a metà giacente sul letticciuolo facendo del braccio ripiegato sostegno al capo si levò a sedere, tanto quel nome gli parve strano in bocca alla sorella di Maria Antonietta.
— Tra giorni riceverò un suo messo che gl’Inglesi hanno imprigionato in Messina, e poichè desta troppa diffidenza non potrò servirmi di lui per continuare i negoziati. Andrai tu in Francia dal Bonaparte.
— Io?
— Sì, tu. A questo ti destinavo allora quando ti feci giurare che mi avresti raggiunto. Perchè mi guardi con cotesti occhi sorpresi? Non mi credevi tu capace di sì vasti disegni?
— Io — rispose lui sorridendo — sono un povero moscherino che contempla il volo d’un’aquila.
— Di un’aquila che ha le ali ferite e il rostro spuntato, ma che pur fa paura. Io dunque ti associoai miei disegni. Se riesciranno, per quanto tu spinga in alto lo sguardo non vedrai adesso l’altitudine a cui io ti destino. Ah, tu per me hai rinunciato ad un grado nell’esercito di Francia ed al titolo di duca di Fagnano che i Francesi pei servigi a lor resi da tuo padre avrebbero riconosciuto, ma un giorno forse ti parrà povera cosa al confronto di ciò che da me avrai.
— Un’ora come questa — disse lui cingendo col braccio la vita della Regina — vale bene la corona di un re!
— Parliamo d’affari ora — disse lei respingendolo. — Ma se non sarà un’altitudine, sarà l’abisso, te lo prevengo.
— L’abisso con la mia Regina sarà sempre una altitudine — rispose Riccardo serio e grave.
— Ora ascoltami bene. Dimani avrai delle vesti, avrai delle armi, avrai un cavallo e del denaro. Una guida ti condurrà alla pianura di Segeste ove si accampano i Calabresi mano mano che giungono. Lord Bentink può disporre di pochi soldati e li tiene quasi tutti a Palermo temendo una rivolta; quindi tu potrai attendere e disciplinare i tuoi uomini, fra i quali vi saran molti di tua conoscenza. Io tornerò a Castelvetrano ove verrai per i miei ordini ogni tre o quattro giorni. A proposito: hai bisogno di rifocillarti.
— Confesso che...
— Uscirai da questa stanza e andrai in quella che vien dopo la stanza a questa attigua. Troverai la cena che avevano imbandita per me. Io torno in camera mia. Ho da legger molto e da scriver molto stanotte.
Si era alzata e con lei si era alzato anche Riccardo che innanzi a quella donna si sentiva ben meschino. Non era più la donna che pur testè glisi era data con tanto abbandono; nel vederla così calma mentre accennava ai suoi vasti e torbidi disegni, così presente a sè stessa da non dimenticare nessun particolare, così imperiosa e sicura, così trasfigurata in viso da fargli quasi dubitare che fosse la stessa donna uscita allora allora dalle sue braccia, quasi se ne sentiva indispettito pure ammirandola, pure subendone il fascino non solo della bellezza, ma anche della mente e del carattere.
Egli non aveva compreso esser quello un fenomeno di sdoppiamento pel quale la donna e la regina erano quasi due esseri a parte di cui l’uno non influiva sull’altro.
Nel punto di varcare la soglia della stanza gli si rivolse:
— Vi avverto — disse — che la figlia del duca di Fagnano, mia lettrice, sa che voi siete suo cugino. Glielo ho detto io stasera, prima che ella mi dicesse che eravate qui.
— Ah! — fece lui quasi sgomento.
Ma giunse a dissimulare il suo dolore; e poichè la Regina gli stendeva la mano, la prese fra le sue e portandola alle labbra vi depose un lungo bacio.