IX.

IX.

Era parso a tutti cosa assai strana, anzi un capriccio inesplicabile quello del vecchio Re d’invitare a un ricevimento nel parco della Ficuzza la nobiltà palermitana e gli ufficiali inglesi con le loro famiglie, e la meraviglia era stata maggiore quando si seppe che anche la Regina sarebbe intervenuta per dimorare poi due o tre giorni nel reale eremitaggio, come veramente avrebbe potuto dirsi la villa della Ficuzza.

Alla Regina quell’invito era parso ben singolare, ma il Re le aveva scritto con tanta premura e le aveva fatto intravedere tale un mistero in quel suo invito che ella si era decisa ad andare, tanto più che tutte le sue macchinazioni volgevano alla peggio.

I Calabresi erano stati dispersi; alcuni che si erano lasciati prendere non avevano negato di aver ceduto agli adescamenti di un emissario di lei; la congiura dell’Arciconfraternita di San Paolo era stata sventata, e la sommossa della plebe palermitana per l’aumento della tassa sui grani sedata dagl’Inglesi che avevano avuto un rinforzo di due reggimenti. Bisognava dunque aspettare il risultato delle sue offerte all’imperatore Napoleone, che occupato nei preparativi per la spedizione di Russia, non aveva ancora risposto.

La fatalità aveva preseduto a tutta la sua vita, ma ella non rinunciava a continuar nella lotta; anzi vieppiù gli ostacoli, i rovesci, le delusioni la intestardivano nei suoi disegni. Comprese che si diffidava di lei, che essa era un pruno negli occhinon solo degl’Inglesi, ma del marito e dei figli, che se avessero avuto una sola inconfutabile prova dei suoi raggiri, delle sue macchinazioni, l’avrebbero obbligata a lasciare la Sicilia!

Mordeva dunque il freno, dissimulando però innanzi ai familiari le sue ire che la facevano vivere in un continuo orgasmo. Solo Alma e Riccardo bene leggevano nella torbida anima di lei che passava le giornate in una irrequietezza senza posa che talvolta l’abbatteva, tal’altra la faceva prorompere in lamenti e in sospiri, per ridivenir muta, tremante in tutta la persona mentre si mordicchiava il labbro fino a farlo sanguinare.

Alma, dopo la dolorosa avventura toccatale, era stata accolta da lei con una espansione per dir così sospettosa, come se a stento dissimulasse un cruccioso pensiero. Quantunque il vederla in salvo fosse stato per lei un gran sollievo, che se ad Alma fosse capitato qualche sinistro non avrebbe saputo come giustificarsi non solo col duca di Fagnano ma anche con la nobiltà tutta che l’aveva seguita in Sicilia, pure le era di gran tormento che ella dovesse a Riccardo la salvezza, ricordando le premure del giovane e sentendo vieppiù acuire il sospetto ch’egli l’amasse. Ma non osava apertamente rimproverarla comprendendo quanto odiosa sarebbe stata la sua ingratitudine poichè per lei Alma si era esposta a tanti gravi pericoli; per lei aveva vissuto per sei giorni in un bosco in compagnia di rozzi avventurieri; per lei una delle più nobili fanciulle del Regno aveva rischiato di cader preda di brutali soldati. Quale dunque esser non doveva la sua gratitudine?

Ma la gratitudine era come soffocata dalla gelosia, ma la gelosia le mordeva il cuore come un rimorso! Ma la fatalità che faceva abortire ognisuo disegno non era stanca di perseguitarla! Ah, come si sentiva sola, contro tutti, sola contro il destino, sola contro l’amore, quell’ultimo amore della sua vita, al quale invano ella chiedeva un conforto; invano, perchè aveva incominciato a leggere nel cuore di Riccardo ed a comprendere che solo la pietà lo teneva ancora avvinto a lei!

La pietà! Ella, la figlia di un’imperatrice, la nipote di quegli imperatori che avevano ereditato da Dio il diritto al dominio, che erano i continuatori dei Cesari; ella, la Regina di due Regni, vilipesa come regina, umiliata come donna, sempre più, sempre più sprofondando nell’abisso di ogni miseria!

Alma, dacchè era tornata, attendeva al suo servizio freddamente e quasi austeramente tranquilla, evitando d’intrattenersi troppo nelle camere della Regina, la quale non le rivolgeva che ben di rado la parola, grata alla giovinetta di quel riserbo che metteva un distacco nei loro cuori.

Ma ciò che le riusciva amaro, ciò che la umiliava vieppiù era il contegno ossequioso di Riccardo che, quantunque ella lo avesse fatto riconoscere come suo scudiere, non compariva nella villa reale che solo nelle ore in cui servi e valletti ne popolavano le sale. Pure ella non poteva nulla rimproverargli; d’altra parte era così ferita nel suo amor proprio di donna che della sua freddezza non voleva dolersi, quantunque più volte fosse stata lì lì per prorompere!

È vero però che talvolta si faceva delle illusioni, che il rispetto e la prudenza gl’imponessero una tale riserva, anche perchè se con lei si teneva nel contegno di un gentiluomo i cui rapporti con la Sovrana non fossero più intimi di quanto il comportasse l’ufficio che aveva in Corte, non menosevero era il contegno che serbava con Alma; e per quanto invigilasse con occhi gelosi non aveva potuto sorprendere nè un gesto, nè una parola, nè un sorriso che avessero potuto confermarla nei suoi angosciosi sospetti.

Pure sentiva che Riccardo non era più quello di un tempo; sentiva che Alma era crucciata da un occulto pensiero. Che cosa era avvenuto tra quei due mentre egli la riconduceva nella villa reale? Che gli aveva detto lei dopo essere stata messa in salvo? Quale influenza aveva avuto sul cuore della giovinetta l’intervento di Riccardo, che sol per lei aveva sfidato il pericolo di cadere in mano degl’Inglesi?

E il pensiero le ondeggiava tra la rovina di tutti i suoi disegni e i pericoli vaghi, indefiniti del suo amore per Riccardo. Il silenzio dell’Imperatore non le riusciva più esasperante del contegno che serbavano quei due giovani! Forse se Riccardo non le avesse ingenerato dubbi e paure, meno angosciosi sarebbero trascorsi quei giorni in cui più immane aveva inteso il pondo della fatalità, di quella fatalità che da dieci anni pesava su lei!

Bisognava dunque che ella sapesse; bisognava dunque che ella costringesse Riccardo a svelarle tutta l’anima sua; bisognava che ella riafferrasse l’amante che le sfuggiva!

Era l’ultimo suo amante: e l’ultimo amante si ama con una furia di possesso: l’ultimo amore è fatto di tutti i ricordi, di tutte le fiamme, di tutti i dolori e di tutte le gioie degli amori che lo precedettero in un cuore di donna. Ella era in quell’età in cui la donna o non ama più o ama col delirio di tutto l’esser suo: ella era in quell’età in cui la donna si afferra all’ultimo amante come ilnaufrago allo scoglio, anche se vi debba morire per gli urti della tempesta. Di tutta la sua vita avventurosa di donna e di regina era quello l’ultimo avanzo, ed ella vi si afferrava disperatamente come all’unico sostegno del cuore trambasciato!

Oramai non aveva che una realtà e una illusione: l’amore di Riccardo, come donna; l’intervento dell’imperatore Napoleone negli affari di Sicilia come regina.

Risoluta ad assicurarsi di non aver nulla perduto nel cuore di Riccardo, sperando che il suo riserbato e severo contegno fosse dovuto unicamente alla presenza di Alma che dormiva nella camera attigua alla sua, aveva fatto dire al nuovo scudiere di andar da lei che aveva gran bisogno di parlargli. Lo aveva ricevuto nel gabinetto ove spesso si ritirava, e facendolo sedere a lei vicino gli aveva detto:

— Parla, ora che nessuno ci ascolta: fa che io legga nell’anima tua. Perchè tu eviti di restar solo con me? Perchè mi hai costretta ad imporre che nessuno entri qui onde tu possa libero parlarmi? Perchè non hai compreso che io, ogni notte, ti aspetto invano invano, e quasi perchè non possa fissarti il luogo e l’ora tu ricorri alle astuzie, ti fingi inconsapevole di quel che mi logora il cuore?

Egli aveva ascoltato impassibile, non venendo meno all’austerità del contegno. Pure rispose con accento di un’ossequiosa fermezza:

— Io ho dedicato la mia vita a Vostra Maestà, anche se essa debba trascorrere, come trascorre, nell’ozio vergognoso... Vergognoso, sì, che non sa a che cosa possa oramai servire il mio braccio, il mio cuore, il mio coraggio se non a marcire in una inazione che mi umilia! A capo della miabanda, io ero un soldato di Vostra Maestà; qui che cosa sono io se non.. quel che leggo nel perfido sorriso dei familiari?

— Ah — disse lei prorompendo — allorchè si hanno di questi scrupoli non si ama più, non si ama più!

In questo fu picchiato alla porta ed una voce disse:

— Un corriere di Sua Maestà il Re.

Ella si alzò di botto.

— Un corriere del Re, un corriere del Re? Che cosa è accaduto dunque? — esclamò impallidendo.

— Che Vostra Maestà non indugi a riceverlo — disse Riccardo che si era avvicinato alla porta per aprirla. — Pare anche a me che debba essere apportatore di qualche grave notizia.

— Aprite ed introducetelo — rispose lei tornando a sedere, imponendosi ma invano di rasserenarsi.

— Il Re nostro signore — disse il corriere avanzandosi e porgendo alla Regina una larga lettera dai suggelli rossi in un vassoio d’argento — mi ha ordinato di dire a voce a Vostra Maestà che non metta alcuno indugio a recarsi alla Ficuzza ove l’aspetta impaziente.

La Regina intanto aveva aperto la lettera e leggeva con espressione di stupore come se non giungesse a darsi spiegazione del contenuto di essa.

— Va bene, andate — disse poi al corriere, gittando la lettera sullo scrittoio.

— Se Vostra Maestà vuol restar sola... — disse Riccardo.

— No, no, restate voi, restate.

Il corriere uscì.

— Sapete che contiene quella lettera? — disse la Regina. — L’invito ad una festa che il Re dàalla Ficuzza, alla nobiltà palermitana: un invito fatto in tali termini che mi obbliga per prudenza ad accoglierlo.

— Vostra Maestà fa bene: impedirà così le malignazioni dei suoi nemici.

— Ah — gridò lei fulminandolo dello sguardo — tu ne godi quasi, tu ne godi perchè non sarai costretto più ad infingerti meco, perchè tu non potrai seguirmi e sarai quindi libero di te stesso, libero nei tuoi amori con...

Egli impallidì, ma il suo sdegno fu vinto dalla pietà per quella donna che appariva convulsa. Fece un gesto come per respingere quell’accusa; ma ella non gli diede il tempo di scolparsi e continuò accesa in volto, con le labbra tremanti e la voce roca per la collera:

— Non è, non è la dignità tua, umiliata per l’inazione, non è il perfido sorriso dei miei familiari che ti fa così perplesso a me dinanzi, che ti tiene da me lontano, che ti fa evitare di restar solo con me, onde tu non debba negarti ad un mio invito. È ben altro, ben altro! A che mentire, a che cotesta tua ipocrisia, a che? Credi tu che io non ti legga nel cuore, che non penetri nel segreto dell’anima tua e... e di colei, di colei che è la mia più fiera nemica ora? Tu resterai qui, con lei, e mentre io sarò lontano.. No, no per Iddio, no!

— Io sarò — rispose lui — dove Vostra Maestà vuole che sia.

— Verrai con me alla Ficuzza? — chiese lei con voce incerta, la remissività di lui incominciando a calmarla.

— Se Vostra Maestà me l’ordina... Rifletta bene però che la mia presenza potrebbe esser interpretata malignamente. Il mio grado di scudiere se è riconosciuto qui non sarebbe riconosciuto altrove...

— È vero. Ma dunque solo per questo tu non vuoi venire? Senti — disse poi facendo uno sforzo per dominare sè stessa — non chiedermi qual sia il sentimento che a te mi lega... Io non lo so, non lo so bene e se anche il sapessi, risparmia una confessione a me, misera donna, misera in proporzione di quanto esser dovrei glorificata, umile per quanto dovrei esser superba! Avrò peccato in vita mia, ma l’espiazione è crudele, crudele quanto tu non immagini! Veggo crollar tutto a me d’intorno, tutte le mie speranze, tutte le mie illusioni. In questa guerra impegnata da me sola contro tutti credevo di avere almeno Dio pel mio diritto, Dio per vendicarmi, Dio nel quale riponeva tutta la mia forza. Ebbene, io fidavo in te, in te che mi sfuggi, in te che solo il dovere forse, solo forse un sentimento di generosità, di pietà tiene ancora qui. E sono io, io la tua Regina che così ti parla, che così t’implora, colei che fece cader cento teste superbe, e che osò combattere sola contro il genio di Napoleone Bonaparte!

E nel dir ciò gli occhi di quella donna erano bagnati di lagrime, lagrime spremute dalla tempesta che le infuriava nel cuore, onde egli ne fu commosso pur non sentendosi di nulla colpevole.

Comprendeva bene ciò che ella avrebbe voluto: lo avrebbe voluto più premuroso, fors’anco più avventato nel cercar di penetrare fino a lei, anche a costo di affrontare uno scandalo. Più che l’amore il dispetto la rendeva così convulsa, bene ella comprendendo che la presenza di Alma lo aveva reso così prudente, se era prudenza la sua, e non ritegno di continuare negli antichi rapporti quasi sotto gli occhi di quella giovinetta che era l’unico suo amore!

Sperando di volgere il discorso su un soggettomeno doloroso e meno imbarazzante per lui le disse:

— Vostra Maestà dunque andrà dal Re?

— Sì — rispose lei — è necessario: il tono della lettera mi fa comprendere che vi sia qualcosa in aria. Una tale festa asconde un mistero che debbo penetrare...

Poi divenendo dolce e carezzevole, gli si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla e gli disse sommessamente:

— Colà sarò più libera di qui, forse. So l’appartamento che mi riserva... Una porta della mia camera dà in un giardino... Hai compreso?

Si stringeva a lui in dire ciò con gli occhi accesi e le labbra tremanti: ei sentiva in sè le vibrazioni di quel corpo bello e caldo di passione:

— Sì — le rispose, mentre ella lo attirava a sè.

— Ti terrai nelle vicinanze — continuava a dire con le labbra sulle labbra di lui — e verrai verso la mezzanotte. Io ti aspetterò come... come ti ho aspettato invano qui tante notti, tante notti..

Egli l’aveva presa fra le braccia sentendo come un rimorso. Era quella la Regina, la formidabile sovrana che dieci anni innanzi aveva insanguinato Napoli, la donna feroce che non aveva avuto mai sensi di pietà? Era proprio lei così supplichevole, così umile, così trepidante? Ne sentiva quasi rimorso: per lui era divenuta così vile, così ondeggiante, così immemore di sè?

— Verrai, dunque, non è vero, verrai?...

— Sì, sì, verrò — rispose lui pervaso come le tante altre volte dal fascino fisico di quella donna e dalla pietà insieme.

— Me lo giuri?

— Lo giuro, verrò.

— Staremo soli, sta sicuro: qui, lo comprendo,siamo troppo spiati... Quella ragazza... quell’Alma infine, dormirà lontano da me... lontano... Perchè ti turbi, perchè?...

— No, no. Gli è che temo, non per me, non per me!

— Chi teme non ama, ed io di nulla temo, io. Perchè temi tu, dunque? Il Re!... Ah, il Re non verrà certo nella mia camera... Io sarò sola: intendi tu? sola!...

Quando Riccardo andò via ella diede in un sospiro di sollievo. Lo aveva riconquistato dunque? Per sempre, per sempre?

Era questo il dubbio che ancora la pungeva, dal quale ancora sentiva attenagliata l’anima! Che doveva fare di più per impedire che le sfuggisse, per evitare il pericolo onde era minacciata?

Il pericolo era Alma. Alma nel cui cuore aveva ben letto la passione. Bisognava dunque allontanarla quantunque fosse la sola amica rimastale fedele. Ma sarebbe bastato? No, no, se egli la amasse fino a dimenticare i suoi giuramenti, le sue promesse! Quale ostacolo si sarebbe frapposto tra lui e lei or che egli era il vero, l’unico erede del titolo e del feudo dei duchi di Fagnano?

Un pensiero, un terribile pensiero le attraversò la mente.

— No, no — proruppe come per respingere violentemente un tal terribile pensiero. — Egli non mi perdonerebbe, non mi perdonerebbe!

Partire e costringerlo a seguirla, partire per andare altrove a rannodare le fila del disegno pel ricupero del trono e del potere regale, partire con lui! Questo, questo era l’unico mezzo per scongiurare il pericolo: partire per ritornare poi trionfatrice, per ritornar poi la sovrana assoluta.

La promessa di Riccardo aveva fatto risorgerein lei le speranze, aveva dato nuovo vigore al suo spirito. Il disegno che le era balenato di lasciar la Sicilia per andare altrove a sostenere i suoi diritti era bastato ad infonderle nuovo vigore. Ma esser poteva sicura della riacquistata serenità che un nonnulla bastava a turbare, così le tante disavventure resa l’avevano incerta e trepidante?

Intanto ella aveva dato gli ordini, e dopo un’ora la Regina ed Alma erano in viaggio per la Ficuzza.

Sua Maestà la Regina era stata ricevuta con tutti gli onori che le si dovevano: Ferdinando IV l’aveva stretta al cuore con insolita espansione e l’aveva accompagnata nell’appartamento destinatole ove ella, stanca del viaggio, aveva voluto restar sola. Era proprio l’appartamento che aveva indicato a Riccardo, alcune delle cui porte si aprivano su un giardino lussureggiante di fiori.

Era stato quello il suo primo pensiero, appena rimasta sola, e con una profonda gioia nel cuore aveva visto che ben facile sarebbe stato a Riccardo lo scalare il cancello che si apriva in un sentiero del parco. Ella avrebbe lasciato aperta l’imposta allorchè il silenzio profondo fosse stato indizio che tutti dormivano nella dimora regale.

Intanto giungevano i convitati al gran pranzo, coloro cioè che avrebbero dovuto pernottare nella villa per prender parte alla caccia del mattino la quale doveva precedere la festa campestre. Fra gl’invitati erano anche lord Bentinck e alcuni dei più ragguardevoli ufficiali inglesi. Grande era l’affaccendarsi dei servi e dei cerimonieri che dovevano provvedere agli alloggi di tanta gente, sicchè un insolito movimento regnava nella regale dimora, di consueto così tranquilla e silenziosa.

Alma appena scesa di carrozza aveva scorto traun gruppo di gentiluomini suo padre, che le fece un lieve cenno di saluto, non permettendo l’etichetta di più; ma quando la Regina l’accomiatò per restar sola, ella chiese ad una delle cameriste che l’accompagnasse all’alloggio del duca di Fagnano.

Il quale, attendendo alla sua toeletta pel pranzo, aspettava sua figlia. Appena ne ebbe l’annuncio le corse incontro tutto festoso.

— Ah figlia mia, figlia mia, bisogna pure che te lo dica: io non posso più oltre vivere da te lontano. Già... fra giorni, se quel che si dice è vero, tu mi sarai restituita. L’amore pel Re, il dovere per la Regina sono una bella cosa, ma infine, quando si ha un padre, che fuor di sua figlia non ha nessuno al mondo... Ma ripeto, ho una speranza, una speranza che, senza che tu venga meno a quel che tu dici il tuo dovere, potrò riaverti!

— Io non intendo, padre mio — disse Alma, la quale comprese che il vecchio duca le occultava qualcosa di grave.

— Non comprendi? Eppure tu devi sapere molte cose tu. Puoi negare — disse poi con voce sommessa e sedendole vicino — che... che Sua Maestà ha commesso delle gravi, gravissime imprudenze? Si dà per certo che sia stata lei a soffiare nel malcontento del popolino palermitano in occasione delle tasse sui grani; che fu lei a metter su la cosidetta Arciconfraternita di San Paolo con l’intento di scacciar gl’Inglesi dalla Sicilia; che fu lei ad ingaggiar tanti straccioni capaci di ogni delitto, che dopo averne commesso di nefandi poterono sfuggire alla giustizia dei Francesi. E tu, tu, povera creatura mia, devi vivere con una tal donna?

— Una tal donna, padre mio, rappresenta unprincipio, un diritto, un’idea. Non tocca a noi giudicar delle sue colpe, se ne ha: tocca a Dio.

— Discorriamo, via — disse il duca prendendo le mani tra le sue — discorriamo seriamente. Io sarei venuto a Castelvetrano per continuare il discorso che tu troncasti l’altra volta, con tanto poco riguardo per me, per tuo padre a cui unicamente sta a cuore la felicità tua. Ma è meglio che il nostro incontro sia dovuto al caso perchè... ai tempi che corrono si deve diffidare di tutto e di tutti, e quella donna ha pure le sue spie... Non che io tema di lei: per quanto intrighi, per quanto congiuri, non tornerà più, mai più, ad inferocire su questi poveri popoli!...

— Pure, padre mio, ella espia duramente...

— Ah, tu non la conosci. Si comprende che ella debba soffrire molto; ma credi tu che sia pentita? Credi tu che abbia rimorso del sangue che ha fatto spargere? Dio non voglia che ella torni ad essere regina di fatto: quali orrende vendette basterebbero alla sua ferocia? Ed anche tuo padre, vedi, ne sarebbe colpito, quantunque ti abbia messo al suo servizio. Quella lì è un’ingrata, quella lì è una...

— Vi ho detto, padre mio, che a me fa male sentir parlare così da voi che pur siete uno dei più nobili baroni del Regno...

— Perchè io sono rovinato, intendi? se tu non ti pieghi al mio volere, se tu non abbandoni quella donna al suo destino...

— Giammai, giammai per volontà mia! Dovevate pensarci prima di affannarvi tanto per ottenere la mia nomina a lettrice di Sua Maestà; giammai per il progetto che, come pare, accarezzate ancora!

Il duca si morse le labbra, ben comprendendo che era inutile insistere più oltre.

— Innanzi a cotesta tua testardaggine — disse dopo un istante di silenzio — io piego il capo. Del resto — continuò con un sorriso di uomo che sa più che non voglia dire — ella sarà costretta ad andar via... E se fosse costretta ad andar via, tu non avresti nessun obbligo di seguirla, non è vero? E ritorneresti in casa del povero padre tuo, che dovresti amare più, assai più di quella donna.

— Ma io non l’amo, non l’amo! — proruppe lei per un impulso irriflessivo. — È il dovere, solo il dovere...

Il duca era tutto raggiante d’esser riuscito a strapparle quella confessione.

— Ah, lo sapevo bene che tu, tu che sei una tanto nobile creatura non potevi amare una donna la quale forse senza riguardo alcuno alla purezza dell’anima tua, ti ha fatto assistere a chi sa quali scandali! Perchè si sa, si sa tutto, e il rossore che ti copre il viso mi dice che tu non ignori, nulla ignori di certi suoi obbrobriosi rapporti... Con chi poi, con chi, almeno a quel che si dice? Con uno di quei feroci avventurieri che hanno disonorato il nostro nome, la nostra causa. Ah, tu impallidisci, impallidisci per lo sdegno! Vedi, vedi in quale abisso di vergogna è caduta! E tu, tu, povero fiore immacolato, tu devi vivere a contatto di tali orrori! Ma...

Le si avvicinò, e col viso di chi sveli un gran segreto, guardossi intorno e abbassando vieppiù la voce:

— Non dubitare... saran colti in trappola... le fila sono ben tese... anzi io credo che una tale festa sia data appunto perchè la cosa riesca. Per carità, figlia mia, che non ti sfugga una sola parola... sarei rovinato... gl’Inglesi non me la perdonerebbero, essi che diffidano di me perchè tusei ancora al servizio di quella donna, e avrebbero voluto almeno che per mezzo tuo io sapessi....

— Volevano fare di me una spia! — esclamò lei.

— No, no: perchè adoperi questa parola così aspra? Ma tu dovrai serbarti neutrale, ecco. Tu hai detto che non ami quella... quella donna: puoi stimarla? Neanche. È il dovere, il solo dovere che ti lega a lei... Tu dunque, se accadrà qualcosa che dovrà sottrarti a tale dovere, non per volontà tua, potrai stare in pace con la coscienza. Perchè intendo, ora, intendo: la tua non è devozione ad una donna; è il rispetto ad un principio, e su ciò non ho nulla a ridire, anzi ti lodo, ti lodo.

Ella ascoltava senza interromperlo, sapendo bene che il padre, per la sua loquacità irriflessiva le avrebbe tutto detto. Ma di che trappola, di che tranello si trattava? Un tranello nel quale avrebbe dovuto cadere anche lui, lui, Riccardo?

— Dunque — continuò il duca sommessamente, sempre con la sua aria di uomo che la sa lunga — lui e lei cadranno nel tranello che sarà loro teso questa notte.

— Questa notte?

— Questa notte o un’altra. Noi siamo stati avvisati di tenerci pronti.

— Ma che si vorrà fare, Dio mio? — gridò lei spaventata.

— Nulla, nulla di male. Non ci è poi da impallidire; da tremare così come tu tremi, povera creatura! Si vorrà provocare uno scandaluccio, ecco tutto, onde lei sia costretta ad andar via da questa Sicilia, nella quale, come già fece in Napoli ed in Calabria, avrebbe voluto far scorrere a fiumi il sangue della povera gente, e, quel che è peggio, ha compromesso noi che avremmo potuto accettare le offerte dei Francesi.

— Ma di lui, di lui che ne sarà, che gli faranno? — gridò lei smarrita.

— Lui?... Chi sarebbe mo’ cotestolui?

— Del... dell’altra persona?

— Ah, dell’avventuriero! Siccome deve fare i conti con la giustizia inglese per molti delitti commessi, sarà arrestato, processato e appiccato. Gli Inglesi vanno per le spiccie. Ma che può importare a te di lui?

Alma si conteneva a stenti. Svelar tutto a suo padre, svelargli chi fosse l’uomo del quale parlava con tanta tranquilla indifferenza? Ah, no, chè il suo affetto filiale non le faceva punto velo agli occhi e comprendeva pur troppo che sarebbe stato peggio, assai peggio. Svelare alla Regina il tranello che le si tendeva? Ma le avrebbe prestato fede? Non avrebbe creduto invece che la gelosia parlasse in lei? Eppoi già era l’ora del pranzo; come avvicinarsi alla Sovrana senza venir meno al cerimoniale che era strettamente e pedantescamente osservato in certi giorni? Avvertir lui? Ma dov’era lui, dov’era? Certo esser ci doveva un’intesa con la Regina; ricordava che non aveva voluto che lei dormisse nella camera attigua, facendole intendere che il Re forse ne sarebbe imbarazzato.

Ah, ora capiva, capiva con un angoscioso stringimento di cuore perchè la Regina aveva voluto restar sola! E sarebbe stata la sua rovina! Coglierli in flagrante era questo il tranello, questo!

Intanto il duca aveva finito di abbigliarsi.

— Tu resterai qui? — le chiese.

— Sì; ho pregato Sua Maestà che mi dispensasse dall’intervenire al pranzo.

— Meglio, meglio così, figlia mia; non muoverti dall’alloggio di tuo padre. Parrà a tutti cosa naturalissima.Non commettere imprudenze: aspetta qui gli avvenimenti e vedrai che tutto sarà per il meglio. Confortati col dire a te stessa che in quello che accadrà tu non hai colpa alcuna, che fino all’ultimo hai compiuto il tuo dovere.

Le mandò un bacio con la mano ed uscì tirando a sè la porta.

Che fare, che fare? Doveva ella starsene indifferente mentre la Regina correva un tal pericolo, mentre egli, forse solo colpevole di non saper resistere alla volontà della donna regale, avrebbe scontato col sangue ciò che era in lui non amore, ma cavalleresca abnegazione? Doveva col suo silenzio metter la Regina, con la quale aveva vissuto per cinque anni in dimestichezza e che era stata sempre affettuosa con lei, meno dacchè la gelosia aveva incominciato a roderle il cuore, in piena balìa di quei prepotenti e brutali stranieri?

Pure immersa così nei suoi pensieri, non sentiva in sè l’energia di prendere una risoluzione, tanto si sentiva stanca nel corpo e nello spirito per tutte quelle traversie che l’una dopo l’altra l’avevano travagliata, tanto si sentiva oppressa e combattuta da un cumulo di sentimenti discordi. Ben comprendeva che le cose precipitavano al loro fine, e che di quel dramma nel quale aveva avuto tanta parte si appressava l’ultima scena, dopo la quale non sapeva intendere che cosa di lei dovesse avvenire!

Ella non si sentiva nata per la via avventurosa e irta di pericoli che pure aveva vissuto da qualche tempo: natura dolce e contemplativa, quante volte era tornata col pensiero ai suoi monti verdi, a piè dei quali biancheggiava il paesello poco lungi dalla casa paterna ove aveva vissuto nella serenità! A quali casi strani era andata incontro nel lasciarli!E chi sa se li avrebbe più riveduti, chi sa se sarebbe mai tornata in quella cameretta del vasto castello ove in tanta pace erano trascorsi i primi suoi anni!

Un tal pensiero le richiamò alla mente lui, lui che in quell’ora forse volgeva il passo verso l’abisso. E lei doveva salvarlo, non solo perchè era inutile nascondere a se stessa che l’anima sua era tutta satura di passione, ma anche perchè sentiva l’obbligo di riparare al danno che aveva prodotto l’ambizione del padre suo. Per suo padre, quell’unico e legittimo erede del duca di Fagnano aveva impreso quella vita così indegna: pel padre suo il figlio di uno dei primi signori del Regno era divenuto uno scorridore dei boschi ed ora si trovava impigliato in quell’avventura che al certo sarebbe finita tragicamente per lui! Non le aveva detto il padre che appena caduto in mano degl’Inglesi sarebbe stato processato e quindi tratto all’estremo supplizio?

A un tal pensiero rabbrividiva! Orribile, orribile sarebbe stata la sua colpa se pur potendo salvarlo, nulla avesse tentato per stornare dal capo di lui il triste destino verso il quale in quell’istante volgeva il piede; ella avrebbe continuato l’opera nefasta del padre, ella gli avrebbe tolto la vita come il padre gli aveva tolto il nome ed i beni, meno scusabile in questo del padre ella che l’amava, ella che ne era amata! È vero che quell’amore restar doveva sepolto nel cuore, che inesorabile sorgeva fra loro due la Regina, inesorabili sorgevano i ricordi di quei rapporti che avrebbero pur sempre posto come un’insormontabile barriera fra loro; ma nell’uomo dell’amor suo ci era pure la vittima dell’ambizione di suo padre; e se ella per tanti anni aveva portato sì fieramente un titolo che nonle apparteneva; se per tanti anni aveva goduto di un fasto e di una ricchezza che facevano di lei la giovanetta più cospicua del Regno, non era stata la sua un’usurpazione, incosciente è vero, ma non meno dannosa al figlio legittimo del duca di Fagnano che intanto gemeva nella miseria, e per farsi uno stato era divenuto un avventuriero?

Ed ora che ella poteva fare ammenda al male prodotto da suo padre, ora che ella poteva scongiurare il mortale pericolo cui andava incontro quel giovane, doveva starsene indifferente aspettando di sentirlo preso ed impiccato come un volgare malfattore? E non l’avrebbe maledetta lui, lui che bene avrebbe potuto credere che ella godesse della sua morte, la quale l’avrebbe fatta continuare nel fasto e nella ricchezza, rendendo legittimo il titolo che finallora aveva usurpato?

Parve di un tratto che cedesse ad un prepotente impulso di energia. Si alzò, dicendo a se stessa:

— Salvarlo, salvarlo a costo della mia vita, a costo del mio onore se occorre!

Corse alla porta e la trasse a sè per aprirla, ma la porta resistette.

— Chiusa, chiusa a chiave! — gridò smarrita.

Suo padre dunque aveva diffidato di lei!

Guardò intorno per la stanza: nessuna uscita, nessuna! solo in fondo intravide una finestra a metà nascosta dalle cortine. Si ricordò che l’appartamento di cui faceva parte quella stanza era quasi a pianterreno.

— Uscirò, uscirò — disse quasi convulsa correndo alla finestra.

Ma le sue deboli mani non giungevano a rimuovere i chiavistelli. Col volto acceso, tremante per l’orgasmo in tutte le membra, incurante del dolore, si diede a forzare le imposte che però restavanosalde, come inchiodate. Dopo inutili sforzi cadde esaurita con le dita sanguinanti.

— Non posso, non posso! — gemeva. — Dunque dovrà morire, dovrà morire, lui, lui che amo!

Dalle labbra tremanti le era sfuggita quella confessione che era un grido di tutto l’esser suo. L’amava, sì, l’amava, e se finallora aveva cercato altre ragioni per indursi ad affrontar tutti i pericoli per salvarlo, ora vedeva chiaro nell’anima sua: l’amava come lo aveva sempre amato, l’amava senza speranza, l’amava raccapricciando al pensiero che da un’altra donna era posseduto, ma l’amava, tanto che se lui fosse morto ella ne sarebbe morta.

E intanto si guardava intorno, sperando di trovare un mezzo qualsiasi per uscire da quella prigione; si guardava intorno folle di dolore, con gli occhi accesi di ansia, mentre volgeva a Dio una tacita preghiera onde le fosse venuto in soccorso.

— Come fare, come fare? — mormorava tra i singhiozzi. — Sento che lo salverei, lo salverei se potessi uscir fuori. Ah, padre mio, padre mio, tu non sai che uccidi tua figlia, tu che forse a quest’ora tripudî! Come fare Dio mio?

Balzò in piedi avendo inteso rinascere le forze, tornò alla finestra e si diede di nuovo a trarre a sè le imposte con uno sforzo disperato. Infine le parve di sentire uno scricchiolio che la fece sussultare di gioia.

— Dio mio, Dio mio, grazie, grazie!

E riunendo tutte le forze in un supremo conato giunse a trarre a sè l’imposta. Chi l’avesse vista così convulsa, così vibrante in tutta la delicata persona non avrebbe creduto che ella fosse la pensosa giovinetta dagli occhi di sognatrice, cheaccanto alla turbolenta Regina era un contrasto vivente!

S’affacciò, ma si ritrasse sbigottita: da quella parte il terreno della villa affossava, onde la finestra era di parecchi metri alta dal suolo.

— Non importa, non importa! — esclamò Alma a cui nell’orgasmo era balenato un pensiero. — Saprò come fare, purchè giunga in tempo, mio Dio!

La confortava il sentir sul suo capo, negli appartamenti in alto, il vocìo dei convitati. Ancora dunque la Corte non si era ritratta negli alloggi. Il tranello sarebbe stato teso nell’ora del silenzio, ella ben lo comprendeva, quantunque il suo pudore di fanciulla si sentisse offeso da tal pensiero.

Era già da un pezzo trascorsa la mezzanotte quando la Regina, accompagnata nelle sue stanze dal maggiordomo e dai valletti che reggevano i grandi candelabri d’argento, avendo con un gesto accomiatato le cameriste che l’avevano attesa nell’anticamera, si trovò sola, finalmente.

L’ampia camera con in fondo un’alcova era attigua al parco a cui si accedeva per una porta mascherata dalla tappezzeria; un’altra porticina, chiusa anch’essa, comunicava con le numerose stanze dell’appartamento. La Regina nell’entrare si era lasciata cadere su una poltrona, ed era stata un pezzo in ascolto. I rumori a poco a poco si andavano affievolendo: giungeva a lei qualche sbatacchiar d’imposte, qualche voce soffocata dalla lontananza; poi per la villa reale si stese il silenzio, un silenzio profondo, indizio certo che tutti erano andati a letto.

— Verrà — mormorò lei — verrà. Non ha mancato mai alla sua promessa.

Era bellissima nella magnificenza delle vesti: i ricchi gioielli scintillavano sul seno a metà discoperto, come ghiacciuoli sulla neve intatta. L’attesa del gaudio dava un molle languore al bel corpo abbandonato.

— Verrà, verrà! Bisogna riconquistarlo. Egli era per sfuggirmi. Colpa mia, non sua. L’amore non vuol rivali e le mie tante preoccupazioni mi avevano discostata da lui.

Trasaliva ad ogni lieve rumore. Infine si alzò. Volse uno sguardo alla grande specchiera in fondo all’alcova che rifletteva tutta la stupenda persona e sorrise soddisfatta.

— Gelosa di una scioccarella! — disse con un atto di spregio.

Corse alle imposte che si aprivano sul parco e le trasse a sè lieve lieve. Stette un pezzo in ascolto.

— Nessun rumore... Meglio così. Sarebbe stata un’imprudenza. Vi è ancora qualche servo in giro, qualcuno dei signori sveglio! Certo lui sarà nascosto dietro uno dei grandi alberi...

Lasciò socchiuse le imposte e tornò a sdraiarsi sull’ampia poltrona, sorridendo alle dolcezze che la fantasia le imprometteva in quella notte di gaudio.

— Lord Bentinck è stato con me di una grande cortesia — disse tornando col pensiero alla serata trascorsa. — Certo non ha alcun sospetto, per quanto si dica che abbia ovunque delle spie! Ah, se Bonaparte si deciderà, che bel giochetto gli faremo! Chi ci avesse visto stasera avrebbe creduto che fossimo i più buoni amici di questo mondo!

Nel dir ciò volgeva gli occhi, che già incominciavano ad essere impazienti, verso le socchiuse imposte della veranda.

— Ora poi — disse con voce irosa — la prudenza è un po’ troppo prolungata... E se non venisse?

A tal pensiero, che la fece fremere, il viso si rabbuiò, gli occhi ebbero un lampo di minaccia.

— No, no, ha promesso, e non ha mancato mai alla sua promessa! — mormorò per confortarsi. — Voglio che mi vegga così. Stasera leggevo l’ammirazione in tutti gli sguardi, e non erano sguardi adulatori, no. Anche il Re mi si è mostrato più carezzevole del solito. L’imbecille, che si è lasciato accalappiare da una sguaiatella! È alla mia età che si ama... che si sa amare...

Si era alzata, punta dall’ansia, dall’impazienza e anche da una vaga paura, e si era fatta alle imposte della veranda tenendosi immobile, tutta raccolta nell’ascoltare. Ma nel silenzio profondo non udiva che i convulsi battiti del suo cuore.

— Ah — disse infine soffocando un grido di gioia che era per prorompere — mi par di avere udito un calpestìo... È lui, è lui, la sua ombra... Che m’importa del resto, che m’importa? Mi resta la sua giovinezza, mi resta il suo amore!...

Non era più la Regina, ambiziosa, feroce, col cuore gonfio di odio pel quale tanto sangue aveva fatto spargere; era la donna vibrante di passione, che per un’ora d’amore avrebbe affrontato l’abisso!

Invero era lui.

— Vieni, vieni, vieni amor mio! — mormorò lei stendendogli ambo le mani per trarlo a sè.

Egli entrò, scuro in viso, pensoso, senza rispondere al grido di lei che intanto aveva chiuso le imposte della veranda.

— Che hai, che hai? — diceva lei stringendoglisi al petto. — Non hai atteso anche tu questaora? Io, vedi, tutto dimentico, tutto... Non vo’ pensare a nulla adesso, a nulla, solo a te, solo a te dopo tanti lunghi giorni, dopo tante notti insonni!... Ma che hai?

— Ho paura — rispose lui che pareva incerto e tendeva le orecchie come per sorprendere il menomo rumore nel silenzio profondo della notte.

— Paura tu, paura tu! Ah, diceva il mio povero Nelson che non sapeva di che fosse fatta!

— Paura per voi, non per me!

— Per me?

— Silenzio — esclamò lui restando immobile. — Nel parco vi è della gente...

— Ma no, ma no, son tutti a letto, ora. Eppoi sei con me qui. Chi, chi oserebbe varcar la soglia di quella porta?

Egli si rassicurò, ma rimase pur sempre pensoso.

— Gli è che non mi ami, non mi ami più! — proruppe lei respingendolo. — Che sei venuto a far qui, che sei venuto a fare? Per schernirmi? Schernir me, me che mi sono abbeverata di sangue umano, me che ho fatto rotolar cento teste dal patibolo! Bada che il mio amore può mutarsi in odio, odio atroce! Tu mi credi impotente, tu mi credi tigre senza artigli, vipera senza denti; ma bada, bada...

— Voi siete sempre la Regina — mormorò Riccardo che era ricaduto nelle preoccupazioni perchè mentre la Regina inveiva, usato a distinguere gl’impercettibili rumori della notte, gli era parso di sentire nel parco dei calpestii e delle voci soffocate.

— Qui, a quest’ora, non vi è la Regina: vi è la donna che ti vede freddo e perplesso a sè dinnanzi — rispose lei guardandolo fieramente. — Alladonna parla, alla donna spiega il tuo contegno, alla donna svela tutta l’anima tua...

— Ebbene, sì. Sappiate che da tre giorni mi si pedina... a me non possono sfuggire certe manovre... mi si pedina da gente venduta agl’Inglesi. Mi sono alzato di notte e ho visto giù nella via delle ombre: al mattino quelle stesse ombre erano mendicanti, mulattieri, merciaiuoli. Non è me che si può ingannare con un travestimento... Ovunque sono andato in questi giorni ho visto i merciaiuoli, i mendicanti istessi che pur cercavano di nascondersi. Sono stato prudente perchè.... perchè avevo promesso di venir qui a qualunque costo, e son venuto, ma seguìto a distanza da quelle ombre. Che cosa si trama contro di voi, contro di voi, o Regina, chè io sono ben misera cosa per destar tanto interesse alle spie degl’Inglesi? Non so, ma non m’inganno, non m’inganno: un pericolo vi sovrasta.

Ella aveva ascoltato or con un sorriso di dubbio, ora col viso velato da una nube di preoccupazione. L’accento del giovane era sincero, ma lei gli faceva una colpa della sua paura, pur comprendendo che aveva paura per lei.

— Ah, se mi amasse — diceva a se stessa ascoltandolo — non curerebbe il pericolo anche imminente!

Si sentiva stizzita ed insieme umiliata. Era il devoto, era il suddito fedele, era un partigiano pronto a dar la vita per lei, ma non era l’amante. Comprese che bisognava uscire da quella situazione così penosa per entrambi.

— Io non ho nulla a temere — gli disse, assumendo un’aria austera e sdegnosa. — Io sono Maria Carolina, arciduchessa d’Austria e Regina di Napoli e di Sicilia, l’avete dimenticato forse?

Non aveva finito di dir queste parole quando la porticina in fondo si aprì. Con le vestì scomposte, i capelli disciolti, Alma irruppe, mentre Riccardo e la Regina davano in un grido di stupore e di spavento insieme.

— Salvatevi, salvatevi — gridò Alma affannosamente — vi si è teso un tranello: Salvatevi!

— Un tranello, un tranello a me? — disse la Regina che era stata colpita da un sinistro pensiero e volgeva lo sguardo, in cui si leggeva il sospetto e in cui balenava il furore, or su Riccardo, ora sulla giovinetta.

— Sì, sì, a voi — continuò Alma che vibrava di sgomento e di angoscia in tutta la persona. — Non vedete le mie vesti lacere, queste mani sanguinanti? Mi avevano rinchiusa in una stanza... a gran stento potei aprire la finestra e scender giù facendo una corda di alcune lenzuola...

— Non m’ingannavo dunque — mormorò Riccardo che aveva negli occhi una ineffabile tenerezza per quella giovinetta la quale per salvar lui, lui, lo comprendeva bene, si era esposta a tanto rischio, per salvar lui che pur sapeva in un colloquio d’amore!

— Badate, potrebbe anche essere un vostro vilissimo stratagemma... un concertato fra voi due... badate! Mi vendicherei, mi vendicherei atrocemente!

E la Regina diceva ciò a denti stretti, livida in viso, con le labbra tremanti e gli occhi accesi di una luce sanguigna.

Ma i due giovani non ebbero il tempo di rispondere: nel silenzio della notte si elevarono alcune grida sì dall’interno come dal di fuori della villa.

— Udite? — esclamò la giovinetta fieramente ergendosi in tutto il suo orgoglio offeso dall’oltraggiososospetto della Regina, e come se quelle voci fossero la risposta alle parole di Sua Maestà.

— È vero dunque, è vero! — mormorò Carolina d’Austria fluttuante tra l’ira ed il terrore, ma ancora incerta, mentre le grida vieppiù si avvicinavano.

— Zitto — disse Riccardo che innanzi al pericolo aveva riacquistato tutta la sua energia. — Ascoltiamo.

— Un ladro negli appartamenti di Sua Maestà la Regina — si gridava dal parco su cui si apriva la veranda.

— Intendete, intendete? — proruppe Alma. — Si finge di inseguire un ladro per penetrare in questa stanza...

— Ebbene — disse lui con voce tranquilla — che importa se mi si crede un ladro? Saprò farmi strada fra cento: non è questa la prima volta.

E sguainando il lungo pugnale la cui lama sottile e acuta mandò bagliori sanguigni, balzò presso le imposte della veranda.

La Regina corse a lui, l’afferrô pel braccio e lo trasse a sè dicendogli con parole smozzicate dalla rabbia:

— No, no, non cercano un ladro... cercano il mio amante!

Aveva tutto compreso: il tranello e le sue terribili conseguenze. Lo scandalo l’avrebbe costretta a lasciar la Sicilia, lo scandalo avrebbe troncato tutti i suoi progetti, reso inattuabili tutti i suoi disegni!

Egli si era arrestato, colpito da quelle parole che gli confermavano ciò che per lui finallora era stato un sospetto.

— Ditemi che dovrò fare — disse grave e solenne, volgendosi alla Regina. — Se la mia mortepuò giovarvi, io son pronto. Direte poi che mi sono ucciso per espiare la mia audacia.

In questo fu picchiato alla gran porta che si apriva nell’anticamera e si udì una voce, la voce del maggiordomo, che diceva:

— Maestà, Maestà, un temerario ha osato penetrare qui dentro... Aprite, Maestà!

Ella intanto irrisoluta volgeva lo sguardo or su Riccardo, or su Alma che si teneva immobile. L’abnegazione di quei due giovani pur nell’atroce tempesta dell’anima sua era giunta a commuoverla. Comprese quanto fosse stata ingiusta e con amarezza profonda quanto il suo amore per Riccardo fosse sinistro per quelle due giovani vite, così nobili e così devote ad un dovere e che si sacrificavano per lei.

Intanto bisognava decidersi.

— È la rinunzia a tutti i miei sogni, a tutti i miei progetti — mormorò la Regina — è l’esilio, è l’infamia, è il disprezzo di tutta la Corte!

— Ed è anche la morte dell’uomo che amate! — disse grave e solenne la giovinetta.

La Regina sussultò, chè ancora non le era balenata tale altra terribile verità.

— Che hai tu detto, che hai tu detto?

— Ho detto — continuò Alma — che il figlio del duca di Fagnano sarà appiccato, non perchè vostro amante, ma perchè ladro ed assassino!

— Io, io! — gridò Riccardo. — Va, fanciulla, va, tu non mi conosci! Quanti morti, quanti morti dovran pagare la mia vita!

Poi con gli occhi sfavillanti di orgoglio, risollevandosi in tutta la persona, ridivenendo il capobanda audace e imperioso:

— Ritraetevi in quella stanza — gridò. — Ora io, io qui comando, io che son giunto al fine della mia vita.

— Noi abbiamo l’obbligo di salvar la Regina! — rispose Alma.

Coloro che avevano picchiato, dopo aver atteso un pezzo si eran dati di nuovo a battere alla porta.

— Ma come, ma come? — disse lui tuttora sdegnoso.

— Lo sai tu un mezzo? Dillo, dillo — esclamò la Regina che aveva sentito rinascere la speranza. — Dillo, e la mia riconoscenza sarà eterna.

— Havvene un solo, un solo, che costerà a me il mio onore, ma che salverà la vita a lui, ed a Vostra Maestà il decoro.

Ciò detto, mentre Riccardo e la Regina eran rimasti confusi, stupiti, non sapendo qual disegno volgesse in mente, Alma si diresse verso la porta e l’aprì.

— Che volete, signori? — chiese ai primi che vide.

L’anticamera era affollata. Le grida avevano destato anche coloro che non erano a parte di quel che si macchinava; gli altri non erano andati punto a letto aspettando il grave e per alcuni divertentissimo avvenimento.

— Un ladro, duchessa, oppure un assassino che premedita un sacrilego attentato, si è introdotto nella villa reale e per la veranda della camera di Sua Maestà la Regina è penetrato qui dentro. Fu visto dalle guardie che ora custodiscono il parco.

— Qui non ci è nessuno che possa giustificare un tal sospetto.

— Eccolo, eccolo — gridarono alcune voci additando Riccardo che tuttora sconvolto per la risoluzione di Alma si teneva immobile in mezzo alla stanza.

E la folla, come se il pericolo che correva la Regina la disobbligasse dal cerimoniale, irruppe nella camera.

Carolina d’Austria si era lasciata cadere sulla poltrona. Ella oramai subiva la volontà di Alma, non essendo giunta in tempo per impedirle di mettere in atto il suo disegno, del quale non comprendeva lo scopo. Ma innanzi alla folla la sua indole imperiosa ed audace prese il sopravvento.

— Che volete, signori? Parmi che in questa pur regale dimora, il Re e la Regina abbiano perduto ogni loro prerogativa!

La folla rimase muta e perplessa: qualunque fossero i sentimenti di ciascuno, il fastigio regale poteva troppo sugli animi perchè non s’imponesse la riverenza.

Il duca di Fagnano si fece innanzi e nel rialzarsi dopo un profondo inchino disse:

— Maestà, fummo svegliati dal grido delle guardie che vegliano nella sicurezza del nostro Re e della nostra Regina, e le guardie non si sono ingannate, perchè ecco qui un uomo che deve dar conto dell’esser suo.

Intanto che diceva ciò, lieto in cuor suo di mettersi così in vista e sicuro quindi della riconoscenza di lord Bentinck, si chiedeva come mai la sua figliuola, che egli aveva chiuso a chiave nella sua stanza, fosse lì a quell’ora.

Riccardo a tali parole aveva fatto un passo innanzi ed era per rispondere, quando fu prevenuto da Alma.

— Padre mio — disse la giovinetta — quest’uomo è mio cugino, vostro nipote, figlio legittimo di vostro fratello primogenito Tommaso, duca di Fagnano.

Un mormorio di meraviglia si levò dalla folla: il padre di Alma, livido, sconvolto, guardava sua figlia con una espressione quasi di terrore, mentre la Regina che si era sollevata con gli occhipregni di furore quasi per inveire contro la giovinetta, era ricaduta nella sua poltrona, come se le forze le fossero venute meno.

Solo Riccardo si teneva immobile; pure nello sguardo che aveva rivolto alla giovinetta con lo stupore ci era anche una tenerezza ineffabile.

Ma il duca non si diede per vinto: aveva fatto uno sforzo per tornare sereno e con un sorriso d’ironia, col volto improntato ad ipocrita bontà come se bene comprendesse il sacrificio della figliuola in omaggio alla Regina, disse nel silenzio profondo degli astanti tuttora incerti e sorpresi:

— Io non so, mia cara, io tuo padre, da quale sentimento sei mossa a dir cosa tanto strana e tanto inverosimile; ma per fare di cotesto avventuriero un duca di Fagnano non basta... non basta un generoso per quanto irreflessivo impulso, prodotto, ne convengo e ne esulto anche, da una nobile devozione. Ma gli altri, questi signori che conoscono un solo duca di Fagnano vero e legittimo del quale tu sei la buona ma troppo inesperta figliuola... gli altri crederanno che tu, pur così leale sempre, tu che hai sempre odiato la menzogna, sei ricorsa alla menzogna per...

— Non proseguite padre mio — interruppe Alma raffrenando il suo sdegno, ben comprendendo qual fosse l’intenzione del padre che era rimasto interdetto.

Poi avanzandosi verso la folla, la giovinetta stese il braccio e disse con voce sicura e con aspetto severo e solenne:

— Giuro sulla santa e pura memoria di mia madre che questo giovane è il figlio legittimo di Tommaso duca di Fagnano, fratello primogenito di mio padre, che lo ha riconosciuto in punto di morte; ed ecco l’atto matrimoniale, non che la fededi battesimo che attestano quanto ho detto. A voi, conte di Ferrantino, come notaio della Corona affido questi documenti per gli effetti che ne dovran derivare.

Si avanzò vieppiù verso la folla e porse ad un gentiluomo che era innanzi agli altri l’atto matrimoniale che Vittoria le aveva dato.

Il duca di Ferrantino lo dispiegò: intorno a lui, chè la ben giustificata curiosità vinceva la discretezza, si strinsero i più vicini, sporgendo la testa per leggere il documento il quale spogliava dei titoli e degli averi colui che finallora li aveva posseduti.

Ed era stata la figlia, la figlia istessa la rivelatrice di un tal documento! Si era quasi del tutto obbliato il perchè, infrangendo le regali prerogative, quella gente avesse invaso la camera della Regina; tanto l’accaduto era parso singolare!

Il duca pallido, sconvolto, si rivolgeva ai vicini affettando disinvoltura e mormorando, come se gli altri avessero dovuto comprendere al par di lui che fosse quella una commedia:

— Mia figlia spinge un po’ troppo oltre la devozione, l’abnegazione! Infine che riesce a provare con questa commedia? Riesce a distruggere lo scandalo della presenza di un giovane, chiunque sia, nella camera della Regina, in un’ora così inoltrata della notte?

— Ma come spiegate quel documento in mano della duchessa? — gli chiesero alcuni.

Era questa la domanda che il duca volgeva a se stesso mentre non sapeva trattenersi, pur mostrandosi incurante, di guardare il giovane alla sfuggita. Questi portava nel volto l’impronta della sua nascita, doveva bene confessarlo, ma infine era sicuro, affatto sicuro di non aver nulla a temere, chèpresto l’attenzione sarebbe tornata sullo scandalo, invano dalla figliuola tentato di soffocare.

Durante questa scena la Regina aveva assunto un’aria di sdegnosa indifferenza, come se la cosa non la riguardasse punto. Però era lieta che l’attenzione degli astanti si fosse stornata da lei. La curiosità e l’indole pettegola del nobilume che aveva invaso la sua camera avrebbero avuto un così largo pascolo in quell’avvenimento da non cercare di più, ed ella quindi si proponeva d’intervenire a suo tempo con una di quelle sue frasi fiere ed imperiose che avrebbe troncato il molesto incidente.

Non meno sdegnosamente indifferente di lei era il contegno di Riccardo, che però non giungeva a spiegarsi perchè Alma si fosse indotta a svelare il segreto della di lui nascita, il quale non avrebbe certamente stornato dal suo capo le accuse che gli muovevano gl’Inglesi. Pure sentiva l’anima gonfia di tenerezza per quella giovinetta che aveva proclamato così, innanzi a tutti i di lui diritti con grave danno di sè e del padre suo.

Ah, ella lo amava, lo amava vieppiù che egli non avesse potuto immaginare! Ella lo amava, mentre la sua presenza in quell’ora della notte nella camera della Regina le avrebbe dato il diritto di mostrarglisi sdegnosa: ella per salvarlo, quantunque ei fosse colpevole, umiliava sè, umiliava suo padre innanzi ai cortigiani invidiosi, confessando, col proclamare lui l’erede legittimo del duca di Fagnano, che essi avevano finallora usurpato titoli e beni!

Lo amava! Ma sarebbe giunta a salvarlo? Avrebbe impedito che gl’Inglesi lo arrestassero? Non aveva troppo fidato sugli effetti di quella rivelazione? Se era quello un sotterfugio per salvar la Regina, del quale per altro non giungeva aspiegarsi lo scopo, come e perchè avrebbe stornato il pericolo anche dal suo capo? Intanto non gli erano sfuggiti gli sguardi furtivi di suo zio, pel quale non sentiva alcuna avversione.

Pure si teneva pronto. Se per poco quella scena volgesse a male per lui, egli l’avrebbe troncata aprendosi il passo con l’arma in pugno; anzi sentendosi umiliato dall’intervento di una donna, ferito nel suo orgoglio se mai un tale intervento gli avesse evitato il pericolo, si imprometteva di rivelarsi in tutta la sua audacia a quei frolli e altezzosi cortigiani che susurrando tra loro se lo accennavano con lo sguardo.

— Ah — diceva seco stesso comprimendo l’ira e mordicchiandosi nervosamente il labbro, mentre si teneva immobile con le braccia conserte — ah, se non mi sgombrate il passo, che bella danza faremo tra poco, cari signori!

Ma ci era qualcuno tra la folla che finallora si era tenuto silenzioso, impaziente di quell’indugio, onde si avanzò dicendo con voce grave:

— Non, si tratta, o signori, di discutere sui diritti di quello sconosciuto, nè su chi sia, nè sul luogo donde è qui venuto.

— Lord Bentinck! — mormorarono gli astanti facendosi da parte per dare il passo al temuto ed onnipotente ministro inglese.

— Si tratta invece di sapere perchè nella camera di Sua Maestà la Regina, ove a nessun uomo che non sia il Re è dato di porre il piede, si trovi quel giovane, che, se non erro, deve render conto di gravi delitti!

Poscia indirizzandosi alla Regina le disse dopo un profondo cerimonioso inchino:

— Dica Vostra Maestà se quel malfattore si è introdotto qui per rubare o per recarle oltraggio.Nessuno di noi sospetta che invece di un ladro sia un...

Nel viso della Regina si leggeva la terribile lotta dell’anima. Come un ferro rovente fiammeggiava il suo sguardo. Il suo nemico implacabile, quel lord Bentinck che ella, secondo la sua frase, avrebbe voluto pestare in un mortaio, aveva vinto: ella ne comprendeva il perfido sorriso, leggeva in quel contegno ostentatamente ossequioso l’esultanza del malvagio trionfo. Che rispondere a quella domanda? Accusar lui, Riccardo, per salvare se stessa? Farlo credere un ladro perchè non lo si credesse il suo amante?

Si era alzata, e quantunque con uno sforzo disperato si reggesse in piedi, tremava di rabbia come una tigre in un cerchio di cacciatori. Gli astanti tacevano, sentendo tutta la solennità dell’istante terribile. Solo lord Bentinck freddo, tranquillo, sorrideva.

Riccardo non seppe più contenersi. Era quello l’istante, quello. Ormai bisognava finirla, chè si sentiva sopraffatto da profonda pietà per lo strazio di quella povera donna.

— Ah, perdio — gridò — che non s’insulti più la nostra Regina da un malnato straniero. Ebbene o signori, io vi...

Intese una mano che gli si posava sulla spalla, si volse. Alma lo guardava con una strana espressione nello sguardo.

— Tacete voi, tacete — gli disse. — Tocca a me far sapere il perchè voi siete qui.

Poi volgendosi agli astanti disse con voce ferma:

— Signori, quest’uomo è qui perchè quest’uomo è il mio amante!

— Non è vero, non è vero, mia figlia mente,non è vero! — gridò il duca di Fagnano colpito al cuore da quelle parole.

— Non mento, padre mio — rispose lei. — Ripeto che quest’uomo è qui, quest’uomo, mio cugino, figlio del fratello di mio padre, perchè esso è il mio amante!

Lo stupore in tutti era grande. La Regina, che non si aspettava una tanto audace menzogna, era rimasta più degli altri colpita, pur non osando smentire la giovinetta che guardava con gli occhi sbarrati, quasi con terrore.

Era lei, lei che aveva vinto su tutti, che aveva scombussolato lord Bentinck, il quale ad onta della sua flemma inglese non aveva saputo dissimulare la rabbia nel veder mandati a vuoto i suoi biechi disegni; lei che, esposta a tutti gli sguardi si teneva fieramente dritta in piedi, mentre Riccardo era rimasto come fulminato da quella eroica menzogna.

Ma una voce che si elevò dalla porta ruppe il silenzio che aveva tenuto dietro alle parole di Alma. Quella voce gridò:

— Sua Maestà il Re.

Ferdinando IV apparve sulla soglia e si fermò un istante a guardare quella gente come se di tutto fosse ignaro. Poi:

— Ma che cosa c’è? Vi facevo tutti a letto, signori! Per qual motivo vi veggo così confusi? Che cosa è accaduto dunque?

Prima che alcuno di quei signori rispondesse, Alma si avanzò verso il Re e gli s’inginocchiò dinanzi.

— Maestà — gli disse — ci è qui un uomo che amo al quale io, mentre tutti dormivano, ho aperto la porticina della veranda che dà sul parco. Quell’uomo fu visto e fu creduto un ladro, unmalfattore introdottosi qui con delittuosi intenti. Sua Maestà la Regina, quando si ritrasse nelle sue stanze, lo sorprese in colloquio con me, ma nella sua misericordiosa bontà non volle far palese il mio fallo!

— Fallo ben grave, veramente! — disse il Re.

Ma ci era nella sua voce una inflessione di contento più che di collera. Aveva ben compreso che quella giovinetta si sacrificava al decoro e all’onore della Regina. Da gran tempo si era pentito della sua complicità in quel complotto, ma non osava affrontare i rimproveri della duchessa di Floridia nè il dispetto di lord Bentinck. Non era rimorso il suo, non era sentimento di affettuosa bontà, di indulgenza pietosa per le colpe della moglie: era invece, come abbiamo detto più volte, indolenza da una parte, paura dall’altra che vieppiù fieramente l’aveva sopraffatto appena in presenza della moglie.

Ma l’inaspettato e impreveduto intervento di Alma, la quale o mentendo o dicendo il vero stornava lo scandalo e si offriva vittima volontaria di tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate, evitava al Re le noie ed alla Regina l’onta che su lui maggiormente si sarebbe riflessa. Nè gl’Inglesi nè la duchessa potevano fargli una colpa se il tranello non era riuscito. E perciò, pur affettando una certa aria di severità e insieme di indulgenza, non era stato mai così felice, mai così soddisfatto. Continuò a scuotere la testa mormorando:

— Fallo ben grave, e se tanto io quanto la Regina non tenessimo conto della devozione dei vostri avi e anche della vostra, che ci avete servito fedelmente e con zelo, puniremmo adeguatamente un tale ardire, una tale imprudenza come un delitto di lesa maestà! Pure, alzatevi, via: noi terremoconto della vostra giovinezza e di accordo con la Regina ripareremo alla macchia che avete fatto al nome della vostra casa.

Ella si alzò impassibile. E poichè tutti gli sguardi eran fissi su lei, volse gli occhi in giro senza apparir punto turbata.

— Capperi — mormorarono alcuni che avevan creduto alla sincerità della confessione — sembra che ci sfidi, come se fosse fiera di aver dato appuntamento qui a quel giovane, mentre noi...

— Ma che! — susurrarono alcuni — ci credi tu a quel che ha detto? Ci è un mistero sotto: tutta questa scena è stata preparata da...

— Dalla Regina?

— Nè più ne meno. Quella povera creatura è stata costretta a sacrificarsi. Vedi che viso da sbalordito ha quel povero duca di Fagnano! E lord Bentinck come si morde le labbra per la collera, e la Regina che viso da furia con quel sorriso demoniaco!

— Eccomi Maestà — disse Riccardo avanzando. — Io non son fuggito mai quando con le armi in pugno ho combattuto i nemici del mio Re e della mia Regina, e... e non fuggo neanche adesso.

Ciò dicendo guardò fieramente in giro... Il bello e maschio suo aspetto fece correre un mormorio di ammirazione fra gli astanti, alcuni dei quali però s’intesero feriti dalle superbe parole del giovane.

— Sembra che l’abbia con noi... che ci sfidi! — dissero alcuni.

— Veramente aveva lo sguardo fisso su lord Bentinck come se a lui fossero rivolte quelle sdegnose parole.

— Chi siete voi, signore? — chiese il Re dopoaverlo contemplato un istante quasi con compiacenza.

— Poiché — rispose il giovane — mia cugina, depositaria del segreto della mia nascita, ha voluto svelarlo, io non debbo e non posso smentirla, chè da un nobile intento al certo, nobile quanto l’anima sua, a ciò fu mossa. Io sono Riccardo duca di Fagnano, figlio di Tommaso esule in Francia, e morto fra le mie braccia nel nostro castello.

— Ah — disse il Re aggrottando le ciglia — un esaltato, un repubblicano condannato a morte per stregoneria e per delitti contro lo Stato!

— Mio padre fu vittima del pregiudizio, dell’ignoranza e della calunnia — rispose il giovane. — Egli ha perdonato come io perdono ai suoi nemici, ma io saprò riabilitarne la memoria, io che per Vostra Maestà ho sparso il mio sangue, io che col nome di Riccardo feci parte di quei prodi che capitanati dal grande Cardinale, mentre gli altri signori del Regno vigliacchi ed inetti sfoggiavano di vesti e di gioielli nei balli e nei teatri di Palermo, riconquistarono il Regno alla Maestà Vostra!

— Si vede, si vede che ha vissuto sempre nei boschi e nelle vie maestre — mormorarono i cortigiani scandalizzati! — Che linguaggio è questo? Ricordare al Re che alcuni straccioni gli riconquistarono il trono?

Il Re, turbato appunto da quei ricordi, non molto lusinghieri per lui, fece un gesto quasi per interrompere il giovane. Ma questi proseguì:

— Io dunque, anche se mio padre fosse stato colpevole, ciò che nego, avrei pagato il suo debito. Quante gocce di sangue han versato pel trono dei Borboni e per l’altare di Dio coloro che mi ascoltano sbalorditi della mia audacia? Dov’erano essi quando io, io, duca di Fagnano, scalai le muradel castello di Cotrone, e penetrai per la breccia fra le mura di Andria, e irruppi con dieci dei miei calabresi contro i mille difensori del Ponte della Maddalena? Essi ballavano svenevolmente il minuetto in una festa di Corte, essi che ora mi fulminano dello sguardo, ma che sarebbero fuggiti come un branco di pecore se io, come ne avevo l’intenzione, mi fossi precipitato su essi, armato solo di uno scudiscio!

— Ma c’insulta, c’insulta! — gridarono alcuni conti e alcuni marchesi che erano fra i più cospicui personaggi invitati dal Re.

— Ebbene sì, c’insulta — risposero altri conti e altri marchesi un po’ più schietti — ma chi di noi vuol rischiare la sua vita contro un simile avventuriero?

— Se mio padre ebbe colpe, io, io suo figlio legittimo, ne ho fatto ammenda difendendo il castello dei miei padri, che aveva l’onore di ospitare Sua Maestà la Regina, quando i Francesi irruppero sicuri di farla prigioniera. Non è vero mio caro zio, non è vero? Non vi diedi tempo di fuggire mentre io uccidevo tra il fumo, le fucilate, la mitraglia, uccidevo sicuro di cadere ucciso da un istante all’altro? Non è vero, carissimo zio, che ignoravate come io l’ignoravo, che il famoso capitan Riccardo, terrore dei Francesi, aveva l’onore di essere vostro nepote?

— Voi dunque v’incontraste altre volte? — chiese il Re volgendosi a colui che finallora aveva portato il titolo di duca di Fagnano.

— Sì, è vero — rispose questi che pareva del tutto sconvolto — ma io ignoravo, ignoravo le sue pretese...


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