V.

V.

La spiaggia in cui alla spicciolata eran convenuti i Calabresi ingaggiati dagli emissari di Maria Carolina era deserta ed inabitabile nella calda stagione, perchè l’aria ne era avvelenata da mortifere esalazioni; pure vi crescevano rigogliosi e selvatici il fico, il melograno e gli innumeri arbusti parassitari. L’acqua stagnante di un piccolo fiume che scorreva sotto i giunchi e le ninfee contribuiva alla insalubrità dell’aria, onde per parecchie miglia all’intorno non s’incontravano nè abitazioni nè abitanti.

La scelta del luogo per lo sbarco degliamici della Regina, come amavano appellarsi quegli audaci avventurieri, era stata ottima perchè del tutto remoto e non soggetto quindi alla sorveglianza degl’Inglesi. Un brik noleggiato dagli emissarî, fra i quali certo Castrone che era stato un tempo valletto alla Corte e che aveva saputo guadagnarsi la fiducia e la confidenza di Sua Maestà, tanto da divenire l’agente principale, imbarcava gl’ingaggiati nella spiaggia di S. Eufemia, e deludendo con abile manovra la crociera inglese, li sbarcava in quel luogo, donde partiva per far ritorno con altra gente. Ma non si era pensato alla provvigione ed all’alloggio, e tale dimenticanza aveva provocato la giusta ira di tutti gli sbarcati che correvano il rischio di morir di fame in quella pianura deserta.

Era questo che Riccardo aveva voluto dire alla Regina, essendosi trovato in mezzo a tutta quella povera gente, alla quale per prudenza aveva occultato che egli avrebbe dovuto esserne il capo. Non era un campo di partigiani ma un’accolta di pezzenti che andavan vagando per quella spiaggia, non osando di avventurarsi nell’interno del paese per provvedere col saccheggio e con le estorsioni ai propri bisogni, e che rimpiangevano di essersi lasciati abbindolare e di aver lasciato i patrî monti, ove correvano pericolo di cadere uccisi, è vero, o di cadere in mano dei Francesi, ciò che era lo stesso, ma dove non mancava ad essi, nè il cibo abbondante e succolento, nè il vino generoso, di cui si rimpinzavano e si gonfiavano accanto alle belle fiamme di tutto un pino, nè l’amore delle belle fanciulle di Carafa o di Garopoli, di Tirolo o di Marcellinara, famosi per le belle donne.

Nel giungere in quel luogo Riccardo era stato guardato con diffidenza per i suoi begli abiti e pel bellissimo cavallo della scuderia della Regina; ma fu creduto anche lui un mistificato e potè sentire le lagnanze irose di tutti quei poveri diavoli il cui numero cresceva sempre più. Ma quale non era stata la sua meraviglia quando aveva visto distaccarsi da uno di quei gruppi due degli sbarcati e correre alla sua volta gridando:

— Capitan Riccardo, capitan Riccardo, siete voi, siete voi!

E quei due avevano preso per le briglie il cavallo che si era fermato, mentre essi continuavano a dire:

— Vivo, sano, e qui con noi! Ah! finalmente, almeno abbiamo chi potrà dirigerci in questo maledetto paese!

— Tu qui, Magaro, tu qui, Ghiro! Anche io son lieto assai di rivedervi.

Aveva riconosciuto quei suoi fedeli seguaci e ne aveva inteso pure lui una gran gioia, anche perchè gli avrebbero facilitato la sua missione, informandolo sui bisogni e sugli umori di tutta quella gente.

Era balzato dal cavallo e seguito dai suoi amici si era ritratto all’ombra di un muricciuolo.

— E il Toro, e Vittoria? — chiese premurosamente.

Non aveva punto dimenticato nè il vecchio scorridore che gli aveva fatto da padre, nè quella donna che per lui si era esposta a tanti pericoli. Ad essi era andato sovente col pensiero in quelle ultime traversie della sua vita, sicuro che non li avrebbe rivisti mai più.

— Pietro il Toro — rispose il Ghiro — si unì alla banda di Benincasa con Vittoria che ha fatto cose inaudite, tanto che essendo caduto Benincasa nelle mani dei Francesi, i quali gli hanno tagliato le braccia a Cosenza e la testa a Rossano, fu acclamata ad unanimità capobanda. Il Guercio che ci ha i peli sul cuore e che ne ha viste e ne ha fatte di tutt’i colori, mi ha raccontato delle cose orribili! Quella lì è divenuta una furia infernale.

— Ed ora? — chiese Riccardo pensoso.

— Ora non so dove sia. Contro la sua banda fu spedito tutto un reggimento ed è stata quasi distrutta. Pure si dice che lei e Pietro il Toro siano riusciti a fuggire.

Il giovane era ricaduto nei suoi pensieri. Era forse quell’amore, che compresso nell’anima di lei perchè senza alcuna speranza, ne aveva vieppiù fatta feroce l’indole, che avrebbe potuto anche piegare al bene ed alla bontà? Ricordava col cuorestretto come da un rimorso, quando quella donna, nata per imperare, che fin dalla prima giovinezza si era usata al sangue ed alla strage, e che aveva vissuto senza fede, senza religione, senza alcun freno ai suoi istinti selvaggi, era stata con lui tenera, dolce, remissiva, e vieppiù che dell’aver rischiato la vita per salvarlo, dell’essersi esposta a cadere in mano dei Francesi per riuscire a farlo evadere, quella tenerezza, quella bontà, quel mutamento avvenuto in lei testimoniavano dell’amore di quella povera creatura che forse non era nata pel male!

E lui aveva respinto quell’amore, l’aveva respinto per tener dietro a due chimere, al capriccio di una regina e ad un sogno dell’adolescenza! Fra quei due amori, egli incerto, insoddisfatto vagava, nessun di essi tenendolo del tutto a sè avvinto, mancando a ciascuno di essi qualcosa che egli stesso non avrebbe saputo dire che fosse.

Pure di quei due amori uno solo brillava di pura luce al suo pensiero, quello di Alma; ma fra lui e lei sorgeva la Regina per separarli, come fra lui e Vittoria si erano interposti da una parte i suoi legami con la Regina, dall’altra il suo purissimo sentimento per Alma.

Tutti questi pensieri già erano balenati in confuso nella mente mentre ascoltava il Ghiro ed il Magaro. Ma si trasse dal ripiegarsi che aveva fatto su sè stesso per chiedere ai due suoi antichi compagni:

— E che dicono i vostri amici sbarcati con voi?

— Dicono che ci hanno ingannato, che vogliono farci morire di fame e di sete; dicono che siamo capitati in un tranello. Alcuni han proposto di assalire la città od il villaggio più vicino per metterlo a sacco; ed anche io mi vo’ persuadendoche sia questo un buon consiglio. A noi ci dissero che avremmo trovato qui la Regina, la quale ci avrebbe provveduto di tutto, come fece a Napoli, vi ricordate? Ma non abbiamo trovato neanche la coda del gatto della Regina. Ieri sera un tale che era sceso da un bastimento, l’istesso che ci ha portato qui, appunto in nome della Regina voleva indurci ad aver pazienza. Buon per lui che vedendo la mala parata s’imbarcò a tempo, chè si era già proposto di farlo a pezzi, e vi assicuro che se la Regina fosse apparsa in quel momento non si avrebbe avuto riguardi neanche per lei.

— Io non ho mangiato da ier l’altro e non ne posso più — disse il Magaro, il cui viso sparuto confermava le sue parole.

— Ebbene — disse Riccardo — se mi promettete di star tranquilli, dimani vi sarà fatta una distribuzione di pane e di carne. Andrò io a parlare col capitano della nave che ora ha gettato l’ancora.

Infatti il brik si era avvicinato alla riva e una barchetta si era staccata dal suo fianco vogando verso terra.

— Sono altri poveri corbellati che vengono a morire di fame con noi!

— Aspettatemi qui — disse Riccardo — finchè non torno dall’aver parlato col capitano.

— Sappiate, inoltre, che, come ho sentito dire da alcuni, gli Inglesi i quali fan qui quello che i Francesi fan da noi, si preparano ad assalirci. Alcuni dei nostri hanno assalito due soldati a cavallo che andavano a... a una città che si chiama Palermo con una lettera per chiedere rinforzi. Diceva la lettera che in questa spiaggia erano sbarcati molti briganti calabresi. Chi chiedeva irinforzi diceva di non aver soldati in buon numero. Questo ho inteso dire da chi ha letta la lettera.

— Abbiamo dunque cinque o sei giorni innanzi a noi per riordinarci.

— E per sfamarci.

— La Regina, non dubitate, provvederà a tutto. Essa nulla sa che vi lasciarono senza provvedere ai vostri bisogni. Dimani verrà lei stessa...

— Non venga se prima non ci fu dato del pane, almeno; non venga...

— Pazientate — disse Riccardo che era risalito a cavallo. — Non dite nulla del nostro incontro finchè io non torno. E se vedete che il bastimento si allontana dal lido, non temete: vuol dire che avrò costretto il capitano ad andare a provvedersi di quel che vi occorre e che io l’accompagno. Seguitemi al lido. Vi lascierò il cavallo per custodirlo fino al mio ritorno.

— La Madonna del Carmine vi ha qui mandato, la Madonna del Carmine! — esclamarono i due.

Trovarono un pescatore che già aveva messo mano ai remi di una barchetta. Riccardo vi entrò e in breve furono ai fianchi del brik presso una scala di corde per la quale il giovane si arrampicò con grande sorpresa dei marinai accorsi.

— Chi volete? — gli chiesero.

— Il capitano, d’ordine della Regina. — rispose Riccardo.

Fu accompagnato alla cabina del capitano, il quale era in colloquio con un vecchietto dal muso di volpe e dagli occhi loschi. Nel vedere il giovane interruppero stupiti i loro discorsi.

— Chi siete e che volete? — disse il capitano con modi bruschi.

— Sono il colonnello Riccardo — rispose il giovane con accento reciso — preposto da Sua Maestà la Regina a capo dei Calabresi che avete qui condotto. Che voglio? Voglio che immantinenti se il brik ne è provvisto si provveda di cibo quella povera gente, o si vada in un porto vicino ove si possa esser sicuri d’imbarcarne.

— Non a me dovete rivolgervi, ma al signore — disse il capitano. — Io non ho altro obbligo che di condurre qui cotesta gente: il signore avrebbe dovuto provvedere al resto.

— Come si chiama il signore? — chiese Riccardo voltosi all’omicciattolo.

— Si chiama Castrone.

— Dunque, caro signor Castrone, avete inteso? Non è possibile che la Regina non vi abbia dato di che provvedere ai bisogni di quei poveri diavoli, e perciò...

— Io non debbo dar conto che a Sua Maestà — rispose il vecchietto dal muso di volpe — o ad un suo rappresentante. Avete voi una lettera, un documento qualsiasi che provi di aver voi il diritto di parlarmi in suo nome?

— Sissignore — disse freddamente Riccardo.

Mise la mano in tasca come per cercar la lettera e ne trasse una pistola che appuntò sulla fronte del vecchietto.

— Se non ordinate al capitano di sbarcare ciò che il bastimento ha di pane e di companatico, vi brucio le cervella.

Il vecchietto era divenuto livido e tremava a verga a verga, mentre il capitano, un rozzo marinaio dalla fisonomia schietta ed aperta, dopo il primo momento di sorpresa aveva dato in una risata fragorosa.

— Ve lo dicevo, vecchietto mio, che chi la tirala spezza! Giuro che il signore, chiunque sia, ha ragione. Anch’io mi permisi di osservare che era un far loro un cattivo giuoco di abbandonarli su una spiaggia, e mi rispondeste che si sarebbero ingegnati.

— Ma io non ho danari! — gemeva l’agente della Regina — appena appena ho potuto dare a ciascun di quei mascalzoni la caparra dell’ingaggio. Ci ho colpa io se prima d’imbarcarsi la sperperarono? Io non ho più del danaro, non ne ho più: questo dicevo testè al capitano che me ne chiedeva.

— Danari o non danari — disse Riccardo — bisogna che quei poveri diavoli abbiano del pane almeno, quindi è inutile far chiacchiere. Se mi conosceste, non dubitereste delle parole mie.

— Sicuro che vi conosco... siete il famoso capobanda che...

— Che ha sempre fatto quel che ha detto. Animo, sbrighiamoci.

— Del resto — disse il capitano contenendo il riso che gli gonfiava le guance — se non ha danaro può provarlo aprendo innanzi ai nostri occhi la valigia che ho visto nella sua cabina, la quale scuotendola manda un certo tintinnio dolcissimo all’orecchio.

E voltosi al vecchietto con un’espressione d’ironica pietà:

— Voglio aiutarvi a convincere il signore che non avete punto mentito. Andrò io stesso, come avevo già in animo di fare, a prendere la vostra valigia...

— Ebbene — esclamò il vecchietto — mi arrendo alla forza, mi arrendo alla violenza. Nella valigia, è vero, vi è qualche moneta, ma è un sacro deposito che debbo restituire appena sbarcato.Prendetelo, spendetelo: saprò io far poi valere le mie ragioni con Sua Maestà la Regina.

La sera di quel giorno il brik che aveva salpato per un villaggetto vicino e ne era tornato ben provvisto, si diede a sbarcare di che soddisfare ai primi bisogni degliamici della Regina. Appena si sparse la nuova fu un accorrere di tutti al lido, finchè ognuno potè ottenere di che sfamarsi.

Quando Riccardo raggiunse i suoi due antichi compagni li trovò seduti sull’arena, lontani dagli altri, e intenti ad empirsi la bocca di pane e di formaggio che il Ghiro aveva procurato mentre il Magaro custodiva il cavallo.

— Voi vi chiamate la Provvidenza, la Provvidenza! — proruppero al vederlo. — E sapete che non ci siamo potuti trattenere e l’abbiam detto a tutti che per voi, solo per voi non siamo morti di fame!

— Orsù — disse Riccardo — ascoltatemi bene. Dovete scegliere fra i vostri amici nove o dieci di quelli a cui non trema il cuore anche se dovessero da soli dar l’assalto ad un reggimento, gente provata insomma in più di una impresa. Direte che la loro fortuna è fatta se sapranno meritarla: glielo direte in mio nome. Per ora avranno un’oncia d’oro per ciascuno... sapete che l’oncia vale trenta carlini... e di che empirsi lo stomaco abbondantemente.

— Che bisogna fare per meritarsi tatto questo ben di Dio? — chiesero i due con occhi scintillanti per la gioia.

— Dimani sera... intendiamoci bene... domani sera vi avvierete per quella strada che sale su per la collina e poi ne discende. Camminerete sempre dritto a voi dinanzi e dopo due ore vi troverete presso una casa di campagna nella qualesarò io ad attendervi. Avete compreso? Sempre dritto...

— Abbiam compreso.

— L’importante è la scelta dei compagni. Non dovete nasconder loro che ci sarà il caso forse di scaldarci un po’ le mani con gl’Inglesi.

— State sicuro — disse il Magaro. — Ne ho già scelti mentalmente cinque o sei che han sempre freddo alle mani e non par loro vero di scaldarsele, coi Francesi o con gl’Inglesi è tutt’uno.

— A domani sera, dunque. A proposito, avete armi?

— Possiamo mancar di pane, ma in quanto alle armi ognun di noi ha il suocrocefissoe due pistole.

Il crocefisso nel gergo dei montanari è il coltello.

— Sta bene e a rivederci.

— Andate con Dio e a rivederci domani a notte.

Il giovane spronò il cavallo e in breve disparve tra gli alberi della collina.

Il giorno appresso, essendo già da un pezzo discesa la notte, Riccardo che da quando vi era rientrato non aveva lasciato la stanzuccia presa a pigione in quel solitario caseggiato a circa un miglio dalla villa reale, uscì bene avvolto nel mantello e bene armato. Giovanni il negro di cui la Regina si fidava più che di ogni altro servo, era andato a dirgli aver lui provveduto per una lettiga che a mezzanotte si sarebbe trovata innanzi la porticina segreta della villa. La Regina avrebbe fatto credere di andare dal Re e perciò avrebbe portato seco anche la sua lettrice.

Questo Riccardo non avrebbe voluto, chè ormai gli riusciva quasi rincrescevole l’incontrarsi con sua cugina. Quantunque non avesse nulla arimproverarsi, quantunque avesse rinunciato financo al titolo cui pure aveva diritto, sapendo che ella non ignorava il vero esser suo, sentiva un imbarazzo, un turbamento al pensiero del contegno che avrebbe dovuto assumere. Finallora l’aveva contemplata a distanza; ora invece non solo aveva il diritto di trattarla da pari, ma anche quello di considerar lei e suo padre come usurpatori dei suoi diritti.

Doveva lui infliggerle una tale umiliazione? Non era pur sempre vivo in lui quell’amore che per tanti anni aveva portato nel cuore come una religione? Ma se avesse taciuto incontrandola non avrebbe potuto credere lei che egli le serbasse rancore? E quali parole le avrebbe dovuto rivolgere se il caso di nuovo li avesse posti a fronte?

A tale domanda che si rivolgeva da più giorni non aveva saputo trovar risposta.

Egli era andato ad aspettare i suoi amici, il Ghiro e il Magaro con gli altri di loro scelta a piè del colle ove sarebbero giunti se, come aveva lor detto, avessero percorso la via che dalla marina saliva dritta verso la villa reale; e non dubitava punto che non si fossero attenuti alle sue indicazioni.

Scese da cavallo ed aspettò con le braccia conserte, le spalle ad un albero, nel silenzio profondo di una notte senza luna e senza stelle.

Era da un pezzo assorto ne’ suoi pensieri quando un sordo calpestio che veniva dal fondo della collina lo riscosse.

— Son dessi — mormorò il giovane facendosi più dappresso alla via.

Un gruppo d’ombre nere s’avanzava silenzioso: quando fu a poca distanza dal giovane, questi fece sentire un sibilo acuto e sottile col qualei suoi compagni avrebbero di certo riconosciuto uno dei seguaci del loro antico condottiero.

Un altro fischio acuto e sottile rispose al suo. Il gruppo si era fermato, ma due ombre se ne distaccarono e mossero verso il giovane.

— Sei tu Ghiro? Sei tu Magaro?

— Siamo noi.

— Che novità?

— Nessuna; solo che oggi un drappello di soldati inglesi, certo per tastare il terreno, come suol dirsi, si avventurò ad attraversare la spiaggia senza però molestarci. Solo quando alcuni dei nostri che non avevan mai visto dei soldati tutti rossi come altrettanti pomidoro, incominciarono a dar loro la baia, si venne alle mani.

— Con qual risultato?

— Che i pomidoro scappano ancora. Erano assai più saldi i Francesi.

— È stato un male, un gran male! mormorò Riccardo. — Bisognava lasciarli andar tranquilli.

— Andate a contar la ragione a certi nostri amici seccati dal non far nulla!

— In quanti siete venuti?

— In dodici. Eravamo in dieci, poi altri due, che non ho visto bene in viso perchè si unirono a noi quando era già notte, mi furono condotti da Curullo, ilpiede di lupo. Vi ricordate? Uno dei più sicuri, che garantisce di essi, e Curullo ilpiede di lupoquando giura sulla Madonna del Carmine...

— Avete armi?

— Pistole e pugnali.

Riccardo si avanzò verso il gruppo che l’accolse con un mormorio.

Due delle ombre si erano distaccate, quasi per nascondersi al giovane, precauzione inutile, perchèle tenebre erano tali da non far discernere i tratti del viso.

Una di tali ombre intanto disse all’altra:

— Io non resisto... sento un bisogno prepotente di gittargli le braccia al collo...

— Taci — rispose l’altra ombra.

— È un tuo capriccio?

— Sì, un capriccio...

— Ma perchè debbo far sempre quello che vuoi tu?

— Amici — disse Riccardo. — Più fortunati degli altri voi iniziate l’impresa per la quale siamo qui. Il compenso sarà proporzionato ai vostri servigi. Il Ghiro ed il Magaro vi distribuiranno fra poco di che rifocillarvi con un po’ di buon vino.

— In tal modo sì che l’impresa incomincia bene! — mormorò un’ombra.

— Capitan Riccardo ha sempre parlato come un sapiente — aggiunse un’altra.

— E dimani — continuò capitan Riccardo — avrete ciascuno un’oncia d’oro, cioè trenta carlini.

— Che bisogna fare? — chiese colui che il Ghiro aveva chiamato Curullo ilPiede di lupo. — A tal patto mi sento capace di prendere per le corna Satanasso in persona.

— Sei tu, Curullo? — disse Riccardo. — Tu non sei mai venuto meno.

— Neanche noi! — esclamarono gli altri.

— Bisogna far da scorta ad una lettiga nella quale sono due donne.

— Tutto questo?

— Ma se mai fossimo assaliti, bisogna farsi ammazzare per difendere quelle due donne.

— Son tali dunque che valgono la vita di noi tutti? — chiese Curullo.

— Una di esse è Sua Maestà la Regina nostra signora e padrona — rispose Riccardo con voce grave.

Un silenzio che era di stupore e di esultanza insieme per l’onore cui eran chiamati seguì alle parole di Riccardo.

— Direte a Sua Maestà che la vita di tutti noi è sua — rispose con voce solenne una delle ombre.

— Vi disporrete secondo la nostra antica usanza: due precederanno la lettiga di venti passi; otto cammineranno ai fianchi lungo i margini della via; altri due seguiranno; Curullo farà da caporale e vi comunicherà i miei ordini.

— Capitan Riccardo — rispose Curullo — io non voglio usurpare i diritti di nessuno; qui c’è un tale che è assai più vecchio di me; a lui tocca di far da caporale.

— Si faccia innanzi, dunque.

— Grazie Curullo, grazie — gridò una voce che fece trasalire capitan Riccardo. — Ah, non ne potevo più! Sono io, sono io, Pietro il Toro!

E il giovane si sentì avvinto da due ferree braccia.

— Tu, tu, Pietro? Dio sia lodato! — esclamò il giovane abbracciando il suo vecchio amico. — E di Vittoria, che n’è di Vittoria?

— Ah, Vittoria! — rispose Pietro il Toro con la voce incerta di chi si trovi in grande imbarazzo — che so io, che so io! Le femmine, perchè quella lì è pur sempre una femmina per quanto abbia un cuore che vale cento uomini, hanno certi capricci... Chi ne comprende nulla di quel che fanno?

— Ma vive, vive, sta bene?

— Sicuro che sta bene, benissimo anzi. Ma parlamidi te, di voi! Ah, credevo di non rivedervi più, di non incontrarvi più...

— Aspetta... dò gli ordini perchè i nostri amici ci seguano e poi faremo insieme la strada.

Il Ghiro ed il Magaro erano rimasti ben sorpresi nel sentir la voce di Pietro il Toro; quando questi si distaccò dal giovane fu salutato da vigorosi pugni che è il saluto più affettuoso dei contadini calabresi.

— Ah vecchio rimbambito, e perchè non ti sei svelato a noi? — gli dicevano i due, sinceramente lieti.

— Perchè, perchè? E che ne so io? Vi prego di non domandarmelo; lo saprete un giorno, domani anzi, perchè queste tenebre non dureranno a lungo. Ma intanto sbrighiamoci chè mi tarda di raggiunger capitan Riccardo. Chi lo avrebbe supposto nello sbarcare stamane? Non ci volevo credere quando mi dissero che anche lui era qui con noi e che bastò la sua presenza per ottenere di che non morir di fame!

Poco dopo il silenzio e l’ordine furono ristabiliti nei dodici avventurieri, che tennero dietro su per la via a capitan Riccardo e a Pietro il Toro.

Quando giunsero nel viale del parco dietro la villa, videro ferma dinanzi la porticina una lettiga rischiarata da due lanterne poste sulle stanghe del davanti. Giovanni il negro si avvicinò a Riccardo dicendogli:

— Sua Maestà è pronta.

— Siete sicuro dei lettighieri? — chiese Riccardo.

— Son due siciliani che Sua Maestà ha preso a proteggere — rispose il negro — perchè perseguitati dagl’Inglesi. Di essi si serve anche nelle sue furtive visite al Re.

— Sta bene dunque... Avvisate Sua Maestà.

Il negro rientrò nella porticina: Riccardo intanto si rivolse a Pietro il Toro che pareva avesse perduto la loquela, tanto nel discorrere era imbarazzato, come chi trovasse ad ogni frase un intoppo.

— Pietro, tu mi nascondi qualche cosa — gli disse Riccardo.

— Io? — esclamò con un riso sforzato il vecchio scorridore — che vuoi ti nasconda? Ho risposto a tutte le tue domande il meglio che ho potuto...

— Possibile che di Vittoria tu non sappia nulla, nulla di preciso, possibile? Non foste insieme con la banda di Benincasa?

— È vero sì, ma... Insomma non so nulla e... non dico nulla.

— Ma parla, ma spiegati... Perchè balbetti, perchè sei incerto? Che cosa devi tacere? — proruppe Riccardo.

— Io capisco che... la gratitudine... lei infine ti salvò la vita, lei ti diede tante prove di devozione... la gratitudine ti fa esser desideroso di sapere di lei quel che è avvenuto, lo capisco; ma sai tu come sono capricciose le femmine! Ebbene, è un capriccio che bisogna rispettare!

Riccardo invano si sforzava di capire le parole smozzicate di Pietro, nelle quali pure intravedeva un mistero. Ma fu distratto dal vedere che la porticina s’apriva per lasciar passare la Regina tutta chiusa in un nero mantello il cui cappuccio le scendeva sulla fronte. Dietro a lei veniva Alma che egli riconobbe alla persona sottile e all’incedere agile e svelto.

Si avvicinò, scontento in fondo che Alma partecipasse a quella gita. Grande era in lui l’imbarazzo nel trovarsi fra quelle due donne, tanto più che daqualche giorno la Regina accentuava in presenza di Alma la sua dimestichezza con lui che, d’altra parte, con irrefrenabile dispetto aveva notato l’impassibilità della giovinetta, la quale aveva sempre evitato di rivolgergli la parola.

La Regina avendo visto le ombre presso la lettiga, disse rivolgendosi al giovane:

— Tutti calabresi, non è vero?

— Tutti.

— Credete che vi sia pericolo di cattivo incontro?

— Gl’Inglesi avran paura d’affrontarci finchè non saranno in buon numero. Ma bisogna far presto quel che si ha da fare.

— Il Parlamento si radunerà fra qualche giorno per votare un’altra tassa sulle granaglie. Sarà quella l’occasione per dare addosso agl’Inglesi. Stasera istessa bisogna che le squadre si avanzino verso Palermo.

Intanto eran giunti presso la lettiga. La Regina nel discorrere si appoggiava al braccio del giovane e di tanto in tanto gli volgeva lo sguardo ch’ei vedeva scintillare al buio. Sentiva tutto il fascino di quel contatto e di quello sguardo nel quale leggeva gli acri desideri di quella donna di cui pur negl’intrighi della politica, nella brama di vendetta, nell’orgasmo della lotta, non si attutivano gl’impeti veementi della sensualità.

— Credevo che sareste venuto ieri sera, ma attesi invano! — gli disse sottovoce mentre si stringeva a lui con tutta la persona, sicchè ei ne sentiva nel volto l’alito ardente che gli fece correre un brivido per le vene.

— Aspettavo coloro che ho scelto per accompagnarci — rispose con voce che risentiva del suo orgasmo.

— Vi aspetterò al ritorno... intendete? Al ritorno!

E gli sorrise. All’incerta luce delle due lanterne vide lo typo for schiudersi di quelle labbra così ardenti e sapienti nei baci, vide il lampo che scoccarono gli occhi azzurri e il seno che ansava, il seno stupendo che aveva visto nello spasimo dell’ebrezza. Ed egli s’intese vinto, intese che ogni altro sentimento dileguava, che al contatto di quella donna era sopraffatto da una sola torrida sensazione nella quale l’anima affogava.

— Aiutatemi a salire — disse lei nel porre il piede sul predellino della lettiga.

La prese alla vita e tremante per l’orgasmo la strinse a sè mentre le labbra sfioravano con un bacio il collo della regale donna che gli si abbandonò per un istante fra le braccia. Poi vincendo con uno sforzo l’incantamento del quale entrambi eran preda, la Regina entrò nella lettiga e sedette.

Egli, come immemore del luogo, dell’ora, delle persone, che quantunque non vedesse perchè fitte eran le tenebre, sapeva a lui d’intorno, era rimasto innanzi allo sportello della lettiga con la mano in quelle dell’amante ch’ei vedeva in tutta la sua bellezza pur nel buio profondo. I suoi propositi di riserva, il suo disegno di sottrarsi a poco a poco al fascino di quella donna, pur rimanendone devoto fino a consacrarle la vita, eran venuti meno a quel contatto: egli sentiva scorrere per le vene il veleno della voluttà, e la stretta convulsa della mano lo rendeva come folle di desiderio.

Aveva tentato di ribellarsi finchè era lontano; ma ora si sentiva riconquistato come se un nuovo e più ardente veleno ella gli avesse trasfuso.

In questo fu urtato bruscamente da un’ombra: una voce che lo fece trasalire disse, volgendosi ad Alma, che in quel mentre se ne era stata in disparte, immobile, silenziosa:

— Salite, signora duchessa.

Comprese in un lampo la sua villania e quantunque iroso chiedesse a se stesso chi della scorta fosse stato così ardito da toglierlo con quell’urto dal dinanzi dello sportello, alla vista di Alma riacquistò la padronanza del suo spirito.

— Perdono — disse — perdono!

E stendeva le braccia per aiutar la giovinetta a salire, ma questa gli si rivolse con tale sguardo ed un gesto di fierezza che egli indietreggiò.

— Posso ben salire da me — disse la giovinetta mettendo il piede sul predellino.

Lui era rimasto immobile, come fulminato, in un canto. Ma essendo ben alto il predellino, la giovinetta non riesciva a trarsi in su, quando quella stessa ombra le si avvicinò.

— Appoggiatevi a me — le disse con voce sorda.

— A voi sì, chiunque siate — rispose Alma che in breve disparve nel fondo buio della lettiga.

L’ombra chiuse lo sportello e poi gridò:

— Avanti.

La lettiga si mosse. Ma in questo Riccardo che aveva vinto lo stupore dal quale era stato sopraffatto, acceso d’ira per quell’audacia, si slanciò sull’ombra che aveva chiuso lo sportello e che si era arrogata il diritto di dar quell’ordine; e, afferratala per la gola, gridò:

— Ma, per Dio, chi sei tu, chi sei?

— Capitan Riccardo. — rispose quell’ombra senza far nessuno sforzo per liberarsi dalla stretta, — avete troppo gli occhi abbagliati per riconoscermi nelle tenebre.

— Quale voce, quale voce è questa? — gridò il giovane retrocedendo.

L’ombra colse quel momento per disparire. Riccardo rimase perplesso, smarrito, in un tumulto di pensieri. Gli era parso di riconoscerla quella voce, ma al certo era stata un’illusione la sua, dovuta all’orgasmo del suo sangue e del suo spirito.

E perchè era sparita? E come rintracciarla in quelle tenebre? Ma doveva più oltre indugiare, poichè già la lettiga erasi allontanata, a dar gli ordini ai suoi antichi compagni? Era d’uopo rimandare le ricerche per spiegare un tal mistero; bisognava seguir la lettiga mettendosi a capo di coloro che eran venuti per iscortarla. S’impose di esser calmo, che ben comprendeva quale e quanta fosse la responsabilità sua in quell’impresa così rischiosa. Soffocò in sè l’ira, l’apprensione, il rancore contro se stesso per la villania commessa, che era stata una grande villania l’aver dimenticato che Alma aspettava in disparte.

— Che ognuno si disponga secondo il convenuto — disse volgendosi al gruppo delle ombre — Pietro il Toro dia gli ordini stabiliti.

— È già fatto — rispose Pietro il Toro.

La lettiga che si era fermata fu presto raggiunta. Riccardo montò a cavallo.

— Avanti! — gridò, come poc’anzi aveva gridato l’ombra misteriosa.

Il corteo si mosse nelle tenebre fiocamente diradate intorno alla lettiga dalle due lanterne.

Ora il giovane poteva bene abbandonarsi ai suoi pensieri, ai suoi rammarichi. L’aver mancato di cortesia alla giovinetta che aveva tanto amato, e che era forse l’unico suo vero amore, gli aveva messo nell’anima un cruccio ineffabile. Era statoun istante di sopraffazione quello in cui, vinto dal fascino di quella donna, si era in esso obliato e se ne faceva una colpa, e se ne sentiva avvilito, chè bene aveva compreso le disdegnose parole di Alma nel rifiutare il suo appoggio.

E chi era stato degli uomini della scorta che respingendolo aveva riparato alla sua villania? Chi mai di quegli uomini rozzi e villani era capace di una intuizione così sottile e delicata, che se era un oltraggio per lui, era un’ammenda ben meritata al suo fallo? Chi era quell’ombra della quale con sì fiere parole Alma aveva accettato il braccio respingendo quello di lui?

Mentre era in tali pensieri che lo tenevano come sconvolto, cavalcava dietro la lettiga in cui la Regina ed Alma si tenevano silenziose. Non era stato mai così turbato, così scontento di sè, e per un fenomeno strano, pur avendo allora subìto il fascino della regale bellezza, si sentiva tutto pervaso dal suo amore per Alma.


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