VI.

VI.

Avevano percorso un buon tratto di strada e già al raggio della nuova luna che in parte diradava le tenebre appariva il mare lontano alla cui riva erano accampati i Calabresi. Le stelle incominciavano ad impallidire, a diffondersi verso oriente del chiarore annunciarne l’alba.

Un fischio che veniva dal fondo della strada riscosse Riccardo dai suoi pensieri. Quel fischio non gli era nuovo: lo riconosceva per averlo sentitotante volte nei boschi: era il fischio col quale le vedette o gli esploratori avvertivano di un imminente pericolo. La lettiga si era fermata.

— Pietro il Toro ha intravisto qualcosa di grave — mormorò il giovane. — Bisogna che io sappia.

Spronò il cavallo e passò senza fermarsi al lato della lettiga che era stata circondata da alcuni della scorta.

— Che è stato, Pietro, che è stato? — chiese appena giunto presso il suo vecchio amico.

Pietro il Toro non rispose in sulle prime: fissava un punto della collina al cui piede si svolgeva la strada. Di un tratto si rivolse a Riccardo dicendogli:

— Hai sentito?

Il giovane aveva anche lui volto lo sguardo alla collina folta di alberi.

— No — rispose — non ho sentito nulla.

— Pure non è possibile che io m’inganni; l’occhio è ancora buono e l’orecchio più buono ancora. Scommetterei il capo contro un pizzico di tabacco che fra quegli alberi ci sono dei soldati.

Intanto il cielo era divenuto di un azzurro cupo, mentre sul mare lontano ancora si addensavano le tenebre.

In questo Pietro e Riccardo furono scossi da un’altra voce: era quella di uno dei due uomini che Pietro il Toro aveva mandato innanzi come avanguardia.

— Degli uomini vestiti di rosso, là, su quel rialzo — disse quell’uomo accennando col braccio al punto opposto a quello che aveva destato i sospetti di Pietro.

— Diavolo, diavolo, siamo circondati — disse il vecchio scorridore. — Nessun dubbio ora chesiano soldati quelli che ho intravisto fra gli alberi. Camminano parallelamente a noi.

Riccardo perplesso volgeva lo sguardo ora al colle ora al rialzo. Non poteva dubitare dell’istinto dei suoi antichi compagni che presentivano il pericolo, quantunque per quanto guardasse gli sfuggissero gli indizi.

— Ma — disse poi — ci avrebbero assaliti...

— O non ci han visto ancora — rispose Pietro — o ci aspettano in fondo alla vallata, sicuri di prenderci in mezzo.

— Al certo qualcuno ci ha traditi — mormorò il giovane.

— Eccoli, eccoli — esclamò Pietro il Toro stendendo il braccio verso la collina.

L’aria si era rischiarata ed anche Riccardo fra i tronchi e i rami degli alberi intravide alcunchè di rosso che si muoveva lentamente.

Non vi era più dubbio: erano gl’Inglesi divisi in due squadre, certo con intenzioni ostili.

— Non posso decider nulla senza prendere gli ordini dalla Regina, ma intanto bisogna che i nostri compagni siano avvisati.

Era ridivenuto il capobanda dalle rapide risoluzioni, a cui l’imminenza del pericolo rendeva vieppiù pronto lo spirito e saldo il cuore.

— Che uno di voi — disse rivolto ai due uomini — vada ad avvisare gli amici onde non siano colti alla sprovveduta. Si sappia che io e Pietro il Toro, siamo in pericolo e che abbiamo bisogno del loro soccorso.

Colui che aveva scoperto gl’Inglesi del rialzo partì correndo.

— Il Volpino ha le gambe leste; fra mezz’ora i nostri saranno avvisati — disse Pietro. — Ma intanto noi che facciamo?

— Bisogna che chiegga il parere della Regina — rispose Riccardo. — Tu intanto non perder d’occhio quei signori.

Spronò il cavallo e in breve giunse presso la lettiga al cui sportello la Regina era affacciata, non sapendo spiegarsi il perchè di quell’attesa.

— Che cosa decide Vostra Maestà — chiese Riccardo dopo averle narrato quel che avveniva.

— Di non indietreggiare — rispose Carolina d’Austria, che mal dissimulava l’ira, il dispetto per gl’inciampi che sorgevano ad ogni suo passo.

Egli aveva un aspetto rispettoso, ma severo, chè troppo gli rimordeva il ricordo dell’abbandono al fascino di quella donna! Da una parte, quantunque non vedesse Alma che si teneva in fondo alla lettiga, comprendeva che ella esser doveva sdegnata con lui, dall’altra il suo dovere gl’imponeva d’essere calmo e padrone di sè.

— Fo osservare a Vostra Maestà — rispose — che una prudente ritirata torna ad onore di un valente capitano. Se gl’Inglesi ci assalgono, poichè sono in gran numero, vana sarebbe ogni nostra resistenza, anche eroica.

— Non sono io la Regina di Napoli e di Sicilia? — proruppe lei. — Che osino, che osino di contendermi apertamente il passo...

— Non l’oseranno, ne son sicuro, ma Vostra Maestà non potrà presentarsi ai Calabresi qui venuti per liberarla scortata da una compagnia di soldati inglesi!

Riccardo aveva detto queste parole con voce ferma e sicura. La Regina, per quanto a malincuore, si convinse che il giovane aveva ragione.

— Ordinate dunque — disse con accento d’irosa sommissione e di angosciosa ironia — ordinate. Foste voi a volere che io imprendessi un tal viaggio, che mi esponessi a un tal pericolo!

Il giovane fu colpito al cuore da tali parole: l’anima sua fiera e generosa si ribellò.

— Fo osservare umilmente alla Maestà Vostra — rispose con voce calma e lenta — che se Ella rischia di essere umiliata, io rischio di essere fucilato e con me tutti quei poveri diavoli che son venuti qui dietro il mio invito.

Non aveva finito di dir ciò che ne fu pentito: la Regina si era fatta pallida in viso, si mordeva le labbra per frenare il dolore, mentre gli occhi le si gonfiavano di lacrime. Egli comprese d’essere stato crudele, di essere stato se non ingiusto, ingeneroso.

— Perdono Maestà — le disse — perdono! Il pericolo che lei corre mi esaspera, ma io darei tutto il mio sangue per risparmiarle una lacrima sola.

— Ah! — esclamò Carolina d’Austria — mi rimproverano di essere stata crudele, di essere stata feroce; ma quale, quale creatura di Dio ha mai sofferto quel che io soffro?...

In questo un Calabrese veniva correndo.

— Gl’Inglesi scendono dalle due colline con l’evidente intenzione di accerchiarci — gridò appena giunto presso la lettiga. — Pietro il Toro chiede che far bisogna.

La Regina a queste parole aveva aperto lo sportello ed era balzata a terra.

— Bisogna combattere — esclamò — per aprirci il passo. Se a voi trema il cuore, non trema a me. Sono io la vostra Regina, io padrona e signora di questo Regno, io padrona ed arbitra della vostra vita.

Gli occhi le sfavillavano, una fiera risoluzione le si leggeva nel viso bellissimo che raggiava di sovrana maestà. Gli uomini della scorta affascinati,esaltati da quelle parole e dall’aspetto regale, le si erano stretti intorno.

— Viva la Regina! — esclamarono.

— Posso dunque contar su voi? — chiese lei volgendo gli occhi fieramente sul gruppo di quei suoi fedeli.

— Fino alla morte — risposero ad una voce.

— Ebbene si continui il cammino. Se gl’Inglesi oseranno attaccarci si risponda al fuoco col fuoco, alla violenza con la violenza. Si tronchi ogni indugio, ogni dissimulazione, ogni esitanza.

Già si era chiarito il giorno e potevan vedersi rosseggiar sulle alture i soldati inglesi che convergevano verso la vallata. Riccardo che era disceso da cavallo, si teneva immobile, con le braccia conserte, pallido in viso, chè ben comprendeva quanto imprudente fosse quella inconsulta temerità della Regina che comprometteva la riuscita dell’impresa. Ella evitava di guardarlo, sdegnata con lui e fors’anco con se stessa non essendo riuscita a dominarsi, vinta dall’impetuosità della sua natura.

— Maestà — disse lui, infine — poichè Ella vuole che io muoia col rimorso di averla condotta al mal passo, e col rammarico di non aver saputo impedire una catastrofe, son pronto ad affrontare gl’Inglesi, checchè possa accadere. Io ho votato la mia vita a Vostra Maestà, e che prima o poi gliela getti ai piedi non importa perchè essa non vale un sol corruccio, sia pure un lieve capriccio della mia Regina. Ma non per un corruccio, non per un capriccio. Ella deve rinunciare alla impresa cui ci ha votati; Ella, sia pure per un giusto orgoglio, non deve esporre la sua vita e gli alti destini a cui è chiamata. Pensi a quel che direbbero i suoi nemici e quale trionfo non sarebbeper essi il poterla accusare di ribellione contro le leggi del Regno che ha il dovere di custodire...

Ella che ascoltava col capo chino, mordicchiandosi le labbra, in una visibile lotta tra la ragione e l’orgoglio, fece un gesto per interrompere il giovane, il quale proseguì con voce calma che riusciva ben più efficace nell’animo di lei:

— Uno scontro, anche vittorioso, sarebbe la rovina dei suoi disegni. Finora gl’Inglesi sono suoi alleati e protettori; sol quando Sua Maestà il Re avrà ripreso le redini del Governo, solo allora sarà suo diritto di trattare come usurpatori e di combattere cotesti Inglesi arroganti ed ingordi.

La Regina ansava, come chi invano si divincolasse nei ceppi che lo stringono, tanto le parole del giovane ne avevano costretto l’orgoglio a piegarsi.

— Mi consigliate dunque di fuggire? — disse irosamente fissando Riccardo con occhi sfolgoranti.

— No: di tornare alla villa sul mio cavallo.

— E voi? — chiese lei.

— Io? — rispose il giovane con accento risoluto — io continuerò il cammino scortando la lettiga. Se mai gl’Inglesi ci assaliranno, l’ho detto a Vostra Maestà, gittar prima o poi la vita ai suoi piedi a me non importa. Non è per me che io vi consiglio di piegarvi alla necessità, non è per me, o Regina!

Ella stette un istante muta e pensosa, con la fronte corrugata, col viso sconvolto dalla tempesta che le ruggeva dentro; poi vinta, ma pur sempre accesa da una sorda ira:

— Avete ragione — disse. — Mi vendicherò, mi vendicherò un giorno di quel che mi han fatto soffrire.

Alma in tutto quel tempo se n’era stata immobile ed impassibile allo sportello. Evitava di guardare il giovane di cui però approvava le assennate parole.

— Su, presto, in sella — disse Riccardo. — Vostra Maestà sa bene la via e in un’ora sarà tornata nei suoi appartamenti mettendo al galoppo il cavallo. Tornando indietro con la lettiga al passo così lento dei muli correremmo il rischio di esser raggiunti.

— Ed Alma? — chiese la Regina tuttora esitante.

— La signora duchessa verrà con noi onde gli Inglesi non possano sospettare quel che è avvenuto se c’intimassero di fermarci. Perocchè non ricorrerò alle armi che in caso estremo.

A queste parole la Regina impallidì vieppiù: si sarebbe detto che in lei più che il pericolo potesse la gelosia. Lasciar che Riccardo accompagnasse Alma era un sacrifizio superiore al suo orgoglio, non le essendo sfuggito lo sdegno della giovinetta che per tutta la via se n’era stata raccolta e silenziosa. A qualunque costo dunque voleva evitare una spiegazione tra i due giovani, onde disse con accento di risolutezza incrollabile:

— Io non debbo, io non voglio tornar sola; preferisco quindi di risalire in lettiga.

In questo un altro messo sopraggiunse mandato da Pietro.

— Gl’Inglesi sono a trecento passi da qui; fra poco ci avranno posto in mezzo. Che fare dunque, che fare?

Ma queste parole non valsero a trarre dalla perplessità nè la Regina nè il giovane. Non era più il pericolo che li teneva incerti; gli è che Riccardo ben leggeva nell’anima della Regina, la quale forsecredeva egli volesse allontanarsi per restar solo con Alma. Nè questa era meno ferita da quella scena di cui non le era sfuggito il significato oltraggioso per lei. Dunque la Regina vedeva in lei una rivale? Dunque egli la credeva così incurante della dignità sua da non aver potuto soffocare in sè, anche se fosse sorto, l’amore per chi in sua presenza non nascondeva d’esser legato a un’altra donna?

Umiliata, confusa, s’era ritratta in fondo alla lettiga per nascondere le lacrime di sdegno e di dolore che le sgorgavano dagli occhi. Pure in quell’orgasmo si chiedeva che volesse da lei uno degli uomini della scorta che, chiuso in un mantello, col viso nascosto, tenendosi dietro a Riccardo e sul ciglio della strada, la contemplava con uno sguardo strano del quale non sapeva intendere l’espressione.

Tutto ciò era accaduto rapidamente, quando una voce s’intese: colui che fin allora si era tenuto in disparte sul ciglio della strada, lasciò cadere il mantello e si avanzò verso il giovane e la Regina.

— Prendo l’impegno — disse con accento vibrato — di ricondurre io la duchessa alla villa. Si stacchino i muli dalla lettiga... Vostra Maestà monti a cavallo, monti capitan Riccardo su uno dei muli per accompagnarla. Poco dopo, ne impegno la mia parola, noi vi raggiungeremo.

Capitan Riccardo era retrocesso con un grido di stupore.

— Vittoria, Vittoria! — esclamò quasi smarrito.

— Chi è quest’uomo? — chiese la Regina.

Ma intanto Vittoria si era data a sciogliere i muli della lettiga, con mano esperta e vigorosa.

— Tu qui, tu qui! — diceva Riccardo con voce che esprimeva tutti i diversi sentimenti fluttuanti nell’animo.

— Direte poi a... a Sua Maestà chi io sia. Salite in groppa, intanto, salite in groppa.

La Regina rassicurata che Riccardo l’avrebbe seguita era già a cavallo. Però non ristava dal guardar Vittoria nella quale aveva riconosciuto la donna di quella notte al castello; ma non volle interromperla nell’opera a cui attendeva, poichè essendo ora sicura che Riccardo non sarebbe rimasto solo con Alma, se il pericolo che le incombeva non la spaventava, aveva compreso alfine che tutti i suoi disegni sarebbero stati compromessi se si fosse lasciata cogliere dagl’Inglesi.

Intanto Vittoria aveva staccato i muli.

— Salite — disse a Riccardo che se ne stava silenzioso, ancora fuor di sè per quell’incontro, sentendo il bisogno ma pur non osando, di mostrar tutta la sua gioia a quella donna che per lui al certo era sbarcata in Sicilia, non osando ricordarle l’intervento di lei, perchè al certo era lei, nella notte innanzi per far posto ad Alma nella lettiga.

Ed era, anche, in collera con se stesso, perchè posto fra quelle tre donne aveva sentito venir meno tutta la sua energia, umiliato altresì dalla intromissione di Vittoria, nella quale vedeva più che un rimprovero pel suo contegno. Egli leggeva, ben leggeva nell’animo di quelle tre donne così diverse per indole, per educazione e per stato sociale, ma accomunate non solo dal pericolo, ma anche da uno stesso sentimento.

Il giovane macchinalmente era salito in groppa al mulo quando dal fondo della strada rimbombò un colpo di fucile.

— Presto, presto, partite! — disse Vittoria che pareva avesse preso la direzione di quella ritirata.

In così dire sferzò il cavallo della Regina che partì di galoppo.

— Io resto — disse Riccardo frenando la cavalcatura che al rimbombo aveva dato un balzo.

Ma Alma che era saltata a terra, stendendo il braccio verso la strada fino allora percorsa:

— Il vostro dovere è là — disse — là. Bisogna anzitutto che la nostra Regina sia salva, intendete? e che giunga alla sua villa seguita almeno da un servo.

— Ma voi, ma voi? — esclamò lui, ferito al cuore da quelle parole.

— Io mi affido a quel generoso che anche stanotte mi fu spontaneamente cortese.

Era lei: lei che lo scacciava, lei che gli ricordava la sua villania, lei che gli ricordava il suo dovere!

— Vi ubbidisco per punirmi — disse lui — ma voi siete ben crudele con me, ben crudele!

Ciò detto spronò il mulo per raggiungere la Regina, la quale, giunta sul colle in cui la strada saliva, si era fermata per attenderlo.

Gli uomini della scorta intanto al rimbombo del colpo di fucile si erano sbandati su per le alture che fiancheggiavano la strada, correndo verso il punto in cui sapevano che li aspettava Pietro il Toro.

— Bisogna al più presto allontanarsi da questo luogo per raggiungere la Regina. Salite, chè io sono usata al cammino e saprei anche andar di pari passo con un cavallo.

— Ma chi siete Voi, chi siete? — disse Alma che aveva riconosciuto in quel suo compagno una donna.

Però solo il viso la tradiva: la persona agile esvelta nelle vesti maschili non avrebbe fatto supporre che fosse quella di una donna.

— Sono un vostro amico o una vostra amica, come vi piace meglio. Ma non perdiamoci in chiacchiere. Sentite? I soldati inseguono a colpi di fucile i miei compagni che al certo si sono sparpagliati per la campagna. Dobbiamo allontanarci al più presto, al più presto per raggiungere, se è possibile, la Regina.

In ciò dire si guardava intorno, chè le grida e gli spari l’avevano messa in gran sospetto.

Alma, quantunque preoccupata, quantunque in orgasmo per trovarsi sola in balìa di quella donna sconosciuta, i cui abiti maschili non la rassicuravano punto, pure si sentiva ad essa attratta da un fascino inesplicabile, anche pel ricordo dell’intervento della scorsa notte, che era indizio d’un’anima capace di delicatezze. E quantunque le ricordasse quell’incidente di cui sentiva ancor tutta l’amarezza, pur nel pericolo ond’era minacciata, non esitava di affidarsi a lei.

— Salite sulla mula, salite: siete troppo delicata e soffrireste troppo se imprendeste a piedi il cammino. Cotesta bellezza si sciuperebbe...

L’aiutò a sedere sulla mula a cui diede una spalmata per incitarla al trotto. Ella non intendeva che raggiungere la Regina, la quale al certo era fuori ogni pericolo; e già erano giunti a piè della collina per la quale saliva la strada, quando Vittoria gridò, arrestando la mula:

— Scendete, scendete: ci è una pattuglia di soldati lassù.

E in così dire stendeva il braccio verso l’alto del colle ove infatti era apparso alcun che di rosso fra gli alberi.

Alma era balzata a terra; pallida per l’emozione,la stanchezza, il caso stranissimo del trovarsi sola in una campagna con quella donna della quale, e il ricordo le era sopravvenuto di un tratto, aveva udito narrare ben terribili cose; per esser esposta a cadere in mano degli Inglesi che già trattavano quali loro nemici i compagni di quella donna travestita, e che, come chiaro appariva dai colpi di fucile rimbombanti qua e là per la campagna, inseguivano senza dare ad essi quartiere.

— Dio mio, Dio mio! — mormorò la giovinetta — che sarà di me, che sarà di me?

Inoltre aveva notato che quella donna, la quale fin allora le si era mostrata così premurosa, aveva avuto una inflessione di amara ironia nell’accennare alla bellezza di lei, e le aveva rivolto uno sguardo truce che l’aveva fatta rabbrividire.

— Animo, animo! — rispose Vittoria quasi bruscamente — sono uscita da ben altri guai, io, da ben altri pericoli! Ma già voi siete una duchessa! Sapete però, sapete che anch’io sono una gentildonna, anche io?

Aveva detto ciò con un accento iroso che vieppiù accrebbe lo spavento di Alma, alla quale quelle inopportune parole riescivano inesplicabili.

Ella se ne avvide e le si rivolse con viso rabbonito e con accento più dolce:

— Bisogna lasciar qui il mulo e avventurarsi pel bosco ove ci terremo nascoste finchè i soldati saranno andati via. Non abbiate paura, fidate in me: quantunque nuova di questi luoghi, vedrete che saprò trovare la via che conduce alla vostra villa.

Ciò detto la prese per la mano e circospetta, guardandosi intorno lasciò la strada maestra e si immise nel bosco. Alma la seguiva quasi smemorata, in quel suo intontimento non avendo volontà,non chiedendosi nemmeno dove ella la conducesse. Salivano fra i roveti che si allacciavano ai fusti degli alberi che lor laceravano le vesti, dovendo talvolta strisciar carponi per allontanarsi sempre più dalla strada in cui il pericolo le minacciava da ogni parte.

Vittoria, usata ai boschi, procedeva dritta a spedita, soffermandosi di tanto in tanto per ascoltare. I colpi di fucile eran divenuti meno frequenti e più lontani, nè voce alcuna giungeva fino ad esse. Il silenzio profondo del bosco le rassicurava, onde impietosita dallo stato in cui era ridotta la giovinetta, che ansava non ne potendo più dal cammino e dall’angoscia, giunte presso un folto roveto che si apriva ad arco sicchè offriva un asilo quasi sicuro, disse:

— Non ne potete più; riposate, via, io intanto salirò fino in cima per esplorare i dintorni.

Alma si lasciò cadere sull’erba mentre Vittoria si allontanava.

Quando si vide sola si guardò intorno come se si fosse allora destata da un lungo sonno. Lei, lei in quel bosco, lei lontano dalla villa ove, per quanto il fasto regale fosse attenuato dalla quasi prigionia della Regina, nulla mancava di ciò che occorre a chi è usato a tutte le delicatezze della vita: lei in balìa di una avventuriera, famigerata per le sue ferocie!

E se suo padre avesse saputo a quale pericolo l’aveva esposta l’avventatezza della Regina, non avrebbe avuto ragione di rimproverarle il rifiuto di lasciar quella donna che non sdegnava di correr la ventura per le strade in compagnia di gente di mal affare pel ricupero di un regno che si era lasciato togliere a causa appunto della sua indole fatta di contrasti, di poche eccelse virtù e di molti vizi volgari?

E perchè non si era rifiutata di seguirla, lei che avrebbe ben potuto prevedere a quali pericoli sarebbe andata incontro, e quale onta gliene sarebbe venuta: perchè?

La risposta ad un tal perchè, risposta che si era data anche prima, l’aveva immersa in un’angoscia profonda. A che dissimulare lo stato del suo cuore? Ella amava colui che non più un misero avventuriero, ma era per lei più che un suo pari, più che un suo intimo congiunto: era un uomo innanzi al quale se non lei, il padre di lei doveva chinar la fronte ed arrossire.

Era stata dunque la gelosia che l’aveva indotta a quel passo di cui ora subiva le conseguenze, la gelosia cieca, irriflessiva che le aveva fatto affrontare con amara voluttà lo spettacolo del fascino che la Regina esercitava su Riccardo, fascino del quale ella intuiva la causa, chè non era tanto inesperta della vita da non comprenderne ciò che per una fanciulla esser deve un mistero. Ed era rimasta profondamente colpita al cuore per lo sgarbato obblìo di Riccardo che, pur sapendola a lui vicino, incurante di lei si era abbandonato alle carezze dell’amante, e lo sguardo ebbro di desiderio del giovane aveva vieppiù scavato l’abisso che da lei lo separava.

Tutto il suo avvenire era compromesso, chè ella si sentiva incapace di darsi ad un altro amore, pur sentendo vergogna di quello che forse da gran tempo aveva custodito nel cuore e che di un tratto era scoppiato così veemente!

Ed ecco che per effetto di quell’amore che si rimproverava come una colpa, come una vergogna, ora si trovava in un bosco, presa nell’ingranaggio di quell’intrigo, travolta senza volerlo in un’avventura che avrebbe avuto conseguenzeben fatali per lei e per suo padre che ella aveva sempre amato, quantunque ne intuisse l’ambizione, ad appagar la quale lo reputava di tutto capace.

E mentre tremava di sgomento in quella solitudine, col pericolo imminente di esser sorpresa dai rozzi e brutali soldati inglesi che l’avrebbero considerata come un’avventuriera, pensava a Riccardo ed alla Regina che erano già al sicuro o immemori o incuranti di lei nella gioia dello scampato pericolo...

Ma qui si arrestava per respingere una visione che la faceva fremere di sdegno e di dolore. La gelosia le aveva rivelato della vita quel che la severa educazione aveva coperto di un velo. Ella sentiva vergogna di quella persistente visione, se ne faceva tuta colpa, pur non riuscendo a scacciarla, quantunque invano, invano chiudesse gli occhi per non vederla. Soli, liberi, lieti dello scampato pericolo forse in quell’ora istessa abbandonavansi alle dolcezze del loro amore, mentre essa in quel bosco smarrita, non sapendo che sarebbe di lei avvenuto, era in preda non solo allo sgomento ma anche ad un’ira sorda che pur si rimproverava come una colpa.

Ma, ed era questo un fenomeno strano, un effetto della sua educazione, non contro la Regina sentiva le punture di quell’acre sentimento che le era sorto nel cuore: la Regina anche coi suoi vizî, anche con le sue sregolatezze era sempre per lei la Regina, inviolabile ed intangibile, per la quale era debito d’ogni suddito di dar la vita, come lei l’avrebbe data; e nell’equità dell’anima sua neanche Riccardo era colpevole. Da quando aveva inteso per lui quel che ora le pungeva il cuore? Non lo aveva per tanti anni tenuto in conto di unvil servo del quale avrebbe sdegnato l’omaggio più devoto? Che cosa aveva fatto lei per meritar che egli le sacrificasse sia pure il capriccio ond’era stata presa per lui la Regina? E se ci era un colpevole non era suo padre la cui ambizione aveva fatto tacere in lui l’affetto fraterno? Era seco stessa dunque che doveva rammaricarsi, contro se stessa doveva volgere la sua ira, e se quella era gelosia, se era amore il sentimento che le pungeva il cuore, era lei la colpevole, lei che si era lasciata vincere, venendo meno al suo orgoglio, alla sua alterezza!

Era in questi pensieri quando fu riscossa dalla voce di Vittoria.

— Venite, venite — le disse questa comparendole innanzi — ho trovato un rifugio su una rupe nel fondo di un bosco ove potremo aspettare al sicuro che la strada sia sgombra. Vi ho trovato alcuni amici che poterono salvarsi dall’inseguimento. In pochi potremmo resistere a tutto un reggimento.

— Voglio andar via, voglio andar via! — gridò la giovanetta sgomenta, cui pareva orribile esser costretta a vivere in comune con quella gente chi sa per quanti giorni.

— Voi dovete seguirmi, intendete? — rispose Vittoria con accento aspro e reciso. — Io non posso, non debbo esporvi ad un incontro con quei maledetti, scostumati e brutali forse più che i Francesi. Sono io che rispondo di voi, io che ho dato la mia parola, e sia pure contro voi stessa, debbo mantenerla.

Alma comprese che era inutile insistere; piegò il capo e si lasciò prendere per la mano.

— Io non so se vi amo o se vi odio, nol so e nol voglio sapere — disse Vittoria con accento lentoe solenne — ma so che darei tutto il mio sangue perchè non vi sia torto un capello. Anch’io ero una gentildonna come voi, ma non fossi altro che Vittoria, Vittoria la feroce, Vittoria la crudele, ho la mia superbia anch’io, e per questa superbia, non dubitate, vi proteggerò per ridarvi a lui fino all’ultima goccia del mio sangue. Venite dunque, venite.

Alma aveva compreso ben poco di quelle parole, ma sentendosi dominata dall’aspetto e dall’accento di quella donna si lasciò condurre verso il folto del bosco. D’altra parte, era così convulsa, così smarrita da non aver più la forza di resistere. Solo chiedevasi perchè quella donna avesse detto che l’avrebbe ridata a lui.

— Sa dunque che io l’amo, sa dunque che io l’amo? — domandavasi con un segreto terrore del quale non avrebbe saputo ridire la causa.

E intanto saliva il colle boscoso dietro quella donna che pareva avesse dei diritti su lei.

— Ecco, siamo giunti — disse infine Vittoria.

Un edificio dalle mura qua rotte, là screpolate si ergeva sulla cima del colle i cui fianchi dal punto in cui finiva il bosco si elevavano brulli e scoscesi. Una angusta stradiciuola incavata nel masso saliva fino ad un piccolo vano dell’edificio di cui un tempo era stato forse la porta. Invero pochi uomini risoluti a vender cara la vita avrebbero potuto da quelle mura tener fronte al nemico per quanto numeroso, non potendo essere assaliti che solo per quell’angusto sentiero.

La giovanetta affannava salendo il dirupato viottolo. Chi mai avrebbe in lei riconosciuta la superba figlia del duca di Fagnano, l’amica della Regina usata a vedersi d’intorno una corte di maggiordomi e di valletti? Con le vesti lacere, labionda capellatura scomposta, il viso scolorito dal disagio e dallo sgomento, si trascinava a stenti dietro quella donna in abito da uomo che di tanto in tanto le si volgeva per incuorarla, guardandola con occhi che esprimevano ora la pietà, ora un sentimento indefinibile da far trasalire la povera fanciulla.

Giunsero così sulla spianata innanzi ai ruderi del vecchio castello, ove trovarono alcuni uomini di quelli della scorta che vi si erano ricoverati.

Al vedere Vittoria le si fecero incontro.

— La fortuna ci ha aiutati — disse Volpino — assai più che non meritassimo. Ho visitato l’interno di queste rovine: vi sono alcune stanze rimaste intatte ove si può dormire al sicuro dalla pioggia. Mi ci acconcerei per benino e per tutta la vita se avessi del buon vino, del pane, del companatico ed anche una di queste siciliane per cantarle delleromanze. Che occhi, San Francesco benedetto, che occhi, che...

— Taci vecchio rimbambito! — gridò Vittoria temendo per riguardo ad Alma il parlare sboccato del rozzo scorridore.

— Quando si tratta di aver buone orecchie e buon naso non sono un rimbambito — rispose il Volpino. — Dunque possiamo bene attendere qui che le strade siano libere.

— Andiamo, andiamo, che questa povera signorina ha bisogno di riposo. Conducine nella stanza meno rovinata e voi altri — disse poi Vittoria voltasi ai compagni — restate in vedetta per evitare che ci si sorprenda.

Aveva la voce e l’accento di chi sia usato al comando.

— State pure tranquilla, caporale — risposero quegli uomini. — Fosse anche una volpe che tentassedi arrampicarsi quassù, non sfuggirebbe alla nostra vista.

— E vi prevengo che se ci scoprono e se saremo assaliti non intendo fuggire. Or che abbiamo trovato un tal ricovero vi staremo finchè non ci sarà dato di raggiungere con sicurezza i nostri.

— Fuggire? E dove? In questo maledetto paese non ci è da raccapezzarsi — rispose il Volpino. — Non siamo fuggiti negli scontri coi Francesi, ciascun dei quali ne valeva dieci di queste aragoste, come i siciliani chiamano gl’Inglesi.

— Però, però — disse il Magaro che era fra gli sfuggiti — come faremo per empirci lo stomaco? Per la sete, ho visto scorrere là in fondo un ruscello; ma l’acqua non può far da pane, e neanche da vino!

— Ci penseremo dopo che avrò trovato un cantuccio ove possa riposare questa poveretta.

Alma ascoltava come intontita. Le pareva un sogno l’esser là in mezzo a quella gente, in un bosco, fra quei ruderi. Pure un pensiero doloroso le pungeva il cuore: lui, lui l’aveva abbandonata in balìa di quella donna! È vero che ella stessa glielo aveva imposto, ma perchè non era tornato, perchè vedendo che il tempo trascorreva senza che ella giungesse alla villa non le era mosso incontro? Ma un altro pensiero la faceva trasalire: se per aver nuove di lei fosse capitato tra gl’Inglesi? Se, mentre lei era in quel bosco tra quei rozzi avventurieri, egli fosse trascinato prigione dal soldati? Se uno di quei colpi che aveva udito rimbombare per la campagna l’avesse ucciso? E se, mentre con tanto spasimo pensava a lui, egli dimentico, nell’esultanza di veder salva la Regina, si abbandonasse al fascino ammaliatore di quella donna?

Così ondeggiava nei pensieri più angosciosi, quando un grido di gioia di tutti gli astanti le fece sollevare il capo essendole balenata nell’anima una speranza.

— Pietro il Toro! È proprio Pietro il Toro che si trae dietro una mula ben carica.

— Sono io, sì, sono io — gridò dal basso del viottolo il vecchio scorridore.

— Evviva Pietro il Toro, evviva!

— Di che diavolo sarà carica quella mula?

— Anche di solo pane, sarebbe pur sempre una provvidenza.

Ed attesero trepidanti che il vecchio li raggiungesse. Anche Vittoria si era fermata, mentre Alma delusa aveva tratto un sospiro.

— Temevo che questa volta ci fossi capitato! — disse il Magaro sinceramente lieto nel veder sano e salvo l’amico.

— Non sono pruni pe’ miei occhi quelli lì — disse Pietro il Toro scrollando le spalle. — I Francesi tiravano meglio, ma io tiro meglio dei Francesi. Nello inseguirci avevan lasciato in un canto del bosco alcune mule cariche di tutto il ben di Dio, come ho potuto accertarmi in un istante di sosta ed erano custodite da alcuni paesani che ho posto in fuga con due o tre bestemmie delle mie. Ho riversato in un fosso il carico delle altre e ho portato meco questo, sicuro che sarebbe giunto opportuno.

— Ma come comprendesti che eravamo qui?

— Dalle vostre pedate, figli miei. Credete voi che abbia dimenticato l’antico mestiere? Un tempo bastava una pietra smossa, un ramoscello spezzato per indovinare quale e quanta gente fosse passata pel bosco. Le impronte che si dirigevano verso il centro del colle erano di gente che fuggiva e che portava le uose: erano dunque le vostre.

— Il castello è ora approvigionato, le armi non mancano, possiamo dunque sostenere un assedio in piena regola.

— A prescindere dal fosso in cui ho riversato l’altra roba. Non speravo punto di trovare anche qui con gli altri, caporal Vittoria...

Ma s’interruppe con un grido di stupore avendo visto Alma che, stanca, oppressa, smarrita, si era lasciata cadere a piè d’un albero il cui tronco l’aveva nascosta finallora agli occhi di Pietro.

— La duchessina qui, la duchessina qui! — esclamò il vecchio volgendo attorno lo sguardo per chiedere spiegazione.

— Per non cadere in mano ai soldati che sopraggiunsero — rispose Vittoria. — quando già la Regina si era posta in salvo e noi muovevamo per seguirla. Del resto, se ci siam noi, ci può bene star lei!

Due opposti sentimenti combattevano nel cuore di Vittoria il cui linguaggio ne subiva l’influenza: ora la pietà ed un istintivo interessamento davano alla sua voce una inflessione di dolcezza; ora l’odio che pur tentava di soffocare la facevano irrompere in aspre parole.

Alma, offesa dalla risposta di Vittoria, non seppe più contenersi: intese divampare tutto l’orgoglio della razza, e alzatasi le volse dicendo alteramente pur fra le lagrime:

— Voglio andar via. Gl’Inglesi rispetteranno in me la figlia del duca di Fagnano!

— Gl’Inglesi vi costringerebbero a dire come voi, figlia del duca di Fagnano, vi siete trovata sola in un bosco mentre essi davano a noi la caccia. Compromettereste così la nostra Regina, per la quale noi siamo disposti a dar la vita — rispose Vittoria con accento severo.

Poi raddolcendo la voce, quasi pentita della sua asprezza, in che però aveva una lieve inflessione d’ironia.

— E saremo disposti anche a darla per voi se non disdegnate la nostra compagnia — aggiunse.

Alma, non rispose; chinò il capo con un sospiro e sedette, come rassegnata alla sua sorte.

Pietro il Toro, che aveva ascoltato scrollando il capo quasi rispondesse ad un segreto pensiero, si avvicinò alla giovinetta e le disse con accento rispettoso e insieme paterno:

— Quella lì — e con la mano accennava a Vittoria — è meno cattiva di quello che si creda. Voi qui siete, per così dire, la sua ospite, e una tigre non difenderebbe tanto ferocemente i suoi figli come ella difenderebbe voi. Abbiate dunque pazienza e vi prometto che appena la strada sarà sicura io stesso vi condurrò da Sua Maestà. Andate, andate ora fra quei ruderi ove vi si acconcerà un buon tettuccio coi mantelli che ho trovato sulla mula tolta agl’Inglesi. E riposate tranquilla chè noi veglieremo; riposate tranquilla meglio che una regina nel suo palazzo.

— Grazie! — rispose lei sollevando i begli occhi gonfi di lacrime.

La Regina intanto, che era passata per la strada fiancheggiante il colle prima che gl’Inglesi scendessero per prendere in mezzo la lettiga con coloro che l’accompagnavano, al certo per l’avviso che avevano ricevuto da qualche loro spia, era giunta alla villa seguita da Riccardo, che però si volgeva ad ogni istante per vedere se Alma e Vittoria li seguissero. Sentiva l’anima oppressa da sinistre apprensioni; per quanto la gratitudine che doveva a Vittoria fosse ben grande, pur sapendone l’indole torbida e violenta acuita vieppiùdalla passione insoddisfatta, non era punto tranquillo. La improvvisa ed imprevista apparizione di quella donna che al certo era passata in Sicilia solo per lui, se da una parte gli era giunta grata, dall’altra lo impensieriva non poco, complicando vieppiù l’incertezza nella quale viveva pel fascino che subiva della regal donna di cui era l’amante, e per quel sentimento profondo che nutriva in cuore per Alma.

Perocchè egli invano si chiedeva qual fosse la sua meta, quale esser potesse il suo domani. Non gl’importava di lasciar la vita in quell’impresa, ma posto tra quelle due donne, se mai la Regina trionfasse, se ritornasse libera e potente, avrebbe dovuto pur decidersi, sia facendo riconoscere i suoi diritti al nome ed al titolo di suo padre, sia rinunciando al suo amore per Alma, o ai suoi intimi rapporti con la Regina. Ma in tal caso come affrontarne l’ira e l’odio che si sarebbero riversati su quella povera giovinetta? E questa, anche se lo amasse, si sarebbe piegata a quell’amore, pur sapendo la natura dei legami che lo avvincevano alla Regina? Il suo amor proprio ferito, la sua gelosia messa a tante dure prove non si sarebbero ribellati? Non avrebbe lei ricordato la involontaria recente villania di lui che innanzi alla regale fascinatrice si era mostrato del tutto dimentico della giovinetta che veramente ed unicamente amava?

Ed ora un’altra donna, violenta nell’odio come nella passione, si frammetteva nella sua vita, una altra donna a cui era legato da tanta gratitudine!

Non era sfuggita alla Regina la preoccupazione del giovane che quanto più si allontanava dal luogo in cui aveva lasciato Alma tanto più apparivaagitato: ma poichè il pericolo non era del tutto scomparso, ella spronava vieppiù il cavallo, quantunque punta da un certo rimorso per aver dovuto distaccarsi dalla sua giovane amica, e dal dispetto di dover sottrarsi con la fuga a coloro che pure erano venuti in Sicilia per proteggerla e per difenderla.

Giunta innanzi la porta della villa, Maria Carolina balzò dal cavallo, ne gittò le redini al negro che era accorso e si fermò sulla porta per aspettare Riccardo che poco dopo la raggiunse.

Il giovane era scuro in viso come chi sia oppresso da un pensiero angoscioso.

— Che Vostra Maestà mi perdoni — disse — ma temo che sia incorso qualche sinistro a... alla sua giovane amica. Dall’alto del colle per quanto è lunga la strada che si volge in fondo alla vallata non ho visto alcuno, eppure avrebbe dovuto....

— Salite — disse lei imperiosamente.

E gli volse le spalle come sicura che avrebbe ubbidito al suo ordine. L’ira, il dispetto ed un altro sentimento ben più logorante le si leggevano nel viso, mentre passava tra i valletti schierati sopraggiunti al suo arrivo.

Il giovane esitò per un istante, ma non osò protestare, e si diede a salir la scala dietro la Sovrana, che non si era neanche rivolta per vedere se la seguisse.

Quando furono in una stanzetta alle cui pareti erano i ritratti di alcuni degl’imperatori e delle imperatrici di Austria, ella si lasciò cadere su un largo divano, mentre il giovane, arrestandosi sull’uscio, si teneva nell’atteggiamento di chi frema impaziente ed abbia altrove volto il pensiero.

— Sedete — ordinò la Regina che affettava un contegno calmo e sicuro.

— Ho avuto l’onore di dire a Vostra Maestà che sono in gran pensiero per...

— Sedete! — ripetè lei fissando il giovane con uno sguardo sfavillante d’ira.

Dominato da quella voce e da quello sguardo, quantunque evidente fosse in lui la lotta che si combatteva nel suo spirito, sedette frenando a stento la sorda ribellione che era per prorompere.

— Nel colloquio che avemmo nella torretta — disse la Regina con le labbra tremanti per l’ira compressa, quantunque si sforzasse di apparir calma — mi narraste quali pericoli doveste affrontare per raggiungermi, per attenere la fede a me giurata. Io vi ascoltavo col cuore palpitante di una gioia che non avevo mai provata, perchè credetti che finalmente l’uomo del quale per tanti anni ero andata in cerca l’avessi trovato in voi, l’uomo che va dritto come una spada verso la meta che si è prefissa, l’uomo che dandosi a una donna e ad una missione è pronto a liberarsi d’ogni altro affetto ed a considerarsi come l’istrumento scelto dalla Provvidenza per menare a termine un gran disegno!

Riccardo a poco a poco aveva alzato fieramente la testa sentendosi punto al cuore dalla parola fredda e calma della Regina, le cui inflessioni ironiche lo esasperavano. Pure non osava d’interromperla e si teneva immobile, quantunque il suo pensiero lottasse tra la ribellione che in lui suscitavano le parole ironiche di lei e la preoccupazione per la sorte toccata ad Alma: ond’egli pur prestando ascolto alla Sovrana, trasaliva ad ogni rumore che potesse essere indizio del ritorno della giovinetta.

— Quando in quella notte fatale a Napoli foste ferito — continuò la Regina — io non ubbidii soltantoad un capriccio di donna col compiacermi di voi, nè alla gratitudine, chè il premio concessovi sarebbe stato troppo anche pel servigio che mi avevate reso: ma gli è che una voce interna mi diceva che voi sareste stato il braccio a me necessario, voi l’uomo che nella rovina di tutto un regno, avreste giganteggiato con me per opporci alla immane catastrofe. Io volli far di voi uno di quei predestinati che s’incontrano talvolta lungo le vie dell’umanità; volli infondervi la mia energia, parte della mia anima, del mio spirito, dei miei odi, delle mie aspirazioni, poichè voi avevate già il valore, la giovinezza e l’anima fatta per comprendere i grandi ideali. Ebbene, mio caro, debbo con rammarico confessare a me stessa che m’ingannai.

Egli si era alzato a queste parole, acceso in volto per l’orgasmo, ma risoluto a respingere quell’oltraggio. Pure contenendosi a stento, come chi retroceda prima di avventarsi, avendo inteso rifluir nell’anima tutto lo sdegno della sua natura impulsiva, disse con voce calma nella quale pur ruggiva tutta la tempesta dell’anima sua:

— Oso chiedere alla Maestà Vostra perchè ora afferma di essersi ingannata!

— Perchè — rispose prorompendo la Regina — perchè ti sei lasciato distrarre, ti sei lasciato vincere dalle moine di una scioccherella che da gran tempo avrei dovuto rimandare a suo padre; perchè quando lei è presente tu appari impacciato, confuso, incerto, come se temessi, mostrando per me quella devozione che mi è dovuta anche se fossi per te niente altro che la tua Regina, come se temessi di arrecarle dolore. Ed ora, dì, ora non sei tu convulso, preoccupato sol perchè non sai quel che sia avvenuto di lei, quasi a te stesse acuore più la sua che la mia salvezza? Parla, rispondi, che da gran tempo io l’aspetto una tua parola che mi faccia leggere addentro nel tuo cuore. Sei tu per me qui? per me affrontasti i pericoli della fuga, per me spezzasti le tue catene dì schiavo, per me rinunciasti a ciò che tuo padre ti offriva, o per lei, per lei che tu amavi sin da quando eri un misero bastardo sudicio di fango e meritevole per tanto ardire delle scudisciate dei servi di quella donna alla quale si volgevano gli occhi tuoi?

La Regina si era andata vieppiù accendendo come se le parole stesse ne acuissero l’ira, pareva fuor di sè per l’orgasmo, irritata vieppiù dal contegno freddo e severo del giovane che con le braccia conserte, ritto a lei dinanzi, livido in viso, si teneva immobile, quantunque gli costasse uno sforzo sovrumano quel contegno apparentemente impassibile.

Ma alle ultime parole della Regina, che erano un estremo oltraggio per lui, egli trasalì, gli occhi balenarono di una luce sanguigna, le labbra gli tremarono; pure, poichè ella ne aspettava la risposta, sperando in cuor suo che fosse umile e dimessa egli disse con voce lenta, ben marcando le parole:

— Vostra Maestà dunque ebbe torto ad aprir le braccia a chi, insudiciato di fango, in quella notte in cui versò buona parte del suo sangue, avrebbe meritato non le regali lusinghe, ma le scudisciate dei suoi valletti, se... vi fosse stato uomo al mondo tanto ardito da osare di fargli oltraggio!

Ella non si aspettava quella fiera risposta. Il suo orgoglio regale, la violenza della sua indole, la sorda ira accesa dalla gelosia combattevano in lei contro il suo amore, senza sopraffarlo ma anco senza esserne vinta. Gli è che pur essendo l’amantedi quel giovane voleva anche esserne la Sovrana; gli è che la sua alterezza non le permetteva di confessare di essere gelosa, lei, la figlia dei superbi imperatori, di una povera giovinetta, della cui beltà tenera, dolce, soave, così diversa dalla sua, ella ora soltanto si era accorta, ora che a quell’unica amica che le era rimasta invidiava la giovinezza e la verginale leggiadria. In quell’istante aveva posto in oblio tutto il gran disegno; la congiura contro gl’Inglesi, il ricupero del potere, l’esiglio, la dignità regale vilipesa. Nulla le sventure, nulla l’avvilimento in cui era caduta avevano influito sul suo carattere che ondeggiar la faceva tra le piccole e le grandi cose, tra le eroiche virtù di Sovrana e i vizi e le passioni di un’anima di donnicciuola.

Le parole di Riccardo la ferirono non solo nel suo orgoglio, ma nella illusione che ella potesse sull’animo di lui fino a vederlo umile e contrito anche negli oltraggi. Scorse nella risposta del giovane la confessione quasi del suo amore per Alma con qualcosa di più atroce: il disdegno dell’uomo per la donna che gli si era data senza amore e per capriccio. Allora comprese in quale abisso fosse canuta: nell’impotenza di punire quell’uomo che aveva risposto con l’oltraggio all’oltraggio; misurò la rovina, la miseria del suo stato dalla quale nulla sarebbe valso a trarla. L’ira, lo sdegno, il dolore le agganciarono così il cuore che ella per poco non seppe dir parola. Poi per le livide guance, mentre gli occhi parevan come impietriti, scorsero le lagrime, ognuna delle quali in altri tempi sarebbe costata la vita ad un uomo.

Egli vide quelle lagrime, comprese tutta l’angoscia del cuore di quella donna, di quella Regina, e ne ebbe pietà, pure nella pietà non obbliando cheforse in quello stesso istante Alma era esposta per la sua devozione alla Regina al pericolo di cader prigioniera degl’Inglesi, pericolo che per l’incertezza si dipingeva orrendamente alla sua fantasia. Ma come lasciar la Regina in quello stato per correre a difendere la giovinetta? E che ne avrebbe detto lei di lui che riaveva abbandonata?

Non mai il suo cuore era stato così in tumulto, non mai aveva sopportato tanto strazio! Come uscir da quel bivio, a quale partito appigliarsi, posto fra quelle due donne alle quali sentiva avvinta tutta la sua vita?

— Vostra Maestà — disse infine con voce soffocata dall’angoscia — ha voluto punirmi acerbamente di una premura che era inspirata dal rimorso, dell’avere io consigliato di avventurarsi in aperta campagna. Avrei avuto una tale premura anche se quella giovinetta non fosse la figlia del fratello di mio padre. Perchè Vostra Maestà ha voluto punirmi di tale mia doverosa premura col ricordarmi la mia misera giovinezza, mentre sa che nelle mie vene scorre sangue di principi e di duchi? E non comprende che il mio orgasmo, il mio dolore per l’incertezza in cui versiamo sulla sorte toccata alla sua amica son prodotti anche dal pericolo che corrono i disegni di Vostra Maestà se mai quella delicata creatura, che non reggerebbe ai maltrattamenti degl’Inglesi, cadesse nelle loro mani?

— Solo per questo? — disse la Regina che a poco a poco alle parole del giovane si era andata rasserenando, quantunque il suo volto e i suoi occhi serbassero ancora le tracce delle angosce sofferte. — Posso io crederti, posso io crederti? Bada di non ingannarmi ti dico. Abbandonata da tutti, sola contro tutti, mentre tutto rovina a me dintorno,coi figli che mi odiano, col marito incurante, spiata dai miei stessi familiari, costretta a vivere come una prigioniera dell’elemosina de’ miei nemici, in te che sei giovane, in te che sei bello, in te che sei forte ho cercato non solo il braccio, l’energia, il valore onde io trionfi come Regina, ma tutte le illusioni, tutte le gioie, tutte le ebbrezze a cui anela ogni cuore di donna. Lo so che gli anni e le sventure hanno sfiorato le mie guance, han tolto il fulgore ai miei occhi, hanno sformato la mia persona, ma non perchè rovinato è il vulcano dalle fiamme che ha eruttato, son meno ardenti le sue vampe, è meno stridente il fuoco che vi arde dentro! Io mi sono appigliata a te perchè giurasti di seguirmi dovunque sulla cima eccelsa o nell’abisso profondo.

— Ed io vi seguirò — rispose lui. — Non son venuto mai meno ai miei giuramenti.

— Mi seguirai anche se.. se ti arride l’amore di una giovane donna che tu forse vagheggiasti fin dalla infanzia? Mi seguirai anche se...

— Anche se dovessi strapparmi il cuore dal petto, o Regina. Un abisso, intendete? un abisso mi separa ormai da colei alla quale un tempo i miei occhi si rivolsero, come quelli di una lucciola si rivolgono ad una stella.

— Ah, confessi dunque che l’hai amata, confessi che l’ami? — gridò la Regina.

— Confesso — rispose lui che non potè trattenere un sospiro d’angoscia per quella rinuncia ad ogni sua illusione, risoluto com’era a soffocare il suo amore per Alma, ma non certo il suo interessamento come per una sorella — che ho consacrato tutta la mia vita a vostra Maestà: confesso d’aver sognato fino a quando in una notte, mentre giacevo ferito in un luogo sconosciuto,una Regina mi apparve che mi legò indissolubilmente al suo destino. Lasciai il sogno e mi avvinsi ad una tale realtà, alla quale come ho dato la mia vita ho sacrificato il mio sogno!

Benchè la Regina fosse mediocremente soddisfatta di questa confessione del giovane, pure ne comprese tutta la sincerità e la schiettezza. Ormai dunque poteva viver sicura che quel giovane di cui sapeva a prova la lealtà, non l’avrebbe ingannata. Pur la sua natura, estrema in tutto, tornò serena e quasi lieta, onde gli stese la mano sulla quale egli impresse un lungo bacio.

— Ora — disse Riccardo rialzandosi — interpretando il desiderio della Regina, è mio dovere correre in soccorso dell’amica di Vostra Maestà che spero di ricondurre qui al più presto.

— Io vi aspetto! — disse la Regina che fissò il giovane con occhi infiammati nei quali egli vide balenare il torrido desiderio di cui unicamente forse era fatto quell’amore.

Quando il giovane uscì, la Regina rimase per un pezzo come affissata in un pensiero.

Poi scrollò le spalle mormorando:

— Anche se le fosse capitata qualche disgrazia... furono scambiati molti colpi di fucile e lei si trovava proprio in mezzo del cerchio formato dagl’Inglesi... anche se le fosse capitata qualche disgrazia, non sarebbe la prima morta pel suo Re e per la sua Regina! Non giurarono gli Ungheresi di sacrificarsi tutti per mia madre, e non diedero ad essa il loro sangue e la loro vita?


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