VIII.
I Calabresi erano stati dispersi da un reggimento d’Inglesi mandato da Palermo: male armati, mal vestiti, senza cibo nè ricovero, abbandonati a loro stessi, non avevano neanche cercato di opporre resistenza e si erano sbandati per le campagne, tenendosi però sempre vicini al mare, sperando in qualche barca che li avesse ricondotti in Calabria.
Grande era stata l’imprevidenza della Regina nell’invitare quei poveri diavoli a lasciare i loro monti, e mal riposta la fiducia negli emissarî che dei denari avuti avevano speso ben poco. Inoltre l’aiuto chiesto dalla Regina ai suoi amici delle provincie napolitane aveva suscitato le gelosie dei congiurati di Sicilia che non volevano estranei tra le loro fila, sicchè anche le popolazioni erano ostili a quei poveri delusi, che ignari dei luoghi vagabondavano senza meta, vivacchiando alla meglio coi ladronecci quando non trovavano di che sfamarsi nelle campagne lontane dell’abitato.
Ma il reggimento era stato in fretta e in furia richiamato a Palermo per l’apertura del Parlamento che avrebbe dovuto votare una nuova imposta sui grani, onde si temeva che il popolo si sollevasse, sobillato dai fratelli dell’Arciconfraternita di San Paolo. Correvano delle voci assai gravie e lord Bentinck non voleva trovarsi impreparato. Solo una compagnia rimase accampata sulla marina di Segeste, dalla quale avevano scacciato i Calabresi che oramai non erano più da temersi. Peròdelle pattuglie di soldati percorrevano i dintorni per dar la caccia a coloro che non erano riusciti ad allontanarsi, e non ci era giorno in cui non accadesse qualche scontro tra le pattuglie inglesi e gli sbandati, alcuni dei quali si erano rifugiati nei boschi fiancheggianti la via maestra che i soldati sorvegliavano restringendo sempre più il cerchio per affamarli e così costringerli ad arrendersi.
Per questo coloro che con Alma e Vittoria si erano rifugiati nel vecchio smantellato edificio nel centro del bosco non erano stati assaliti. Al certo gl’Inglesi ignorando quel loro ricovero, credevano che gli sfuggiti vagassero per le macchie ove non era possibile durassero a lungo, perchè il bosco nulla poteva ad essi offrire per sfamarli. A che dunque rischiar la vita dei soldati quando da un istante all’altro quei miseri avrebbero dovuto arrendersi? E ci era un’altra ragione per la quale lord Bentinck aveva raccomandato di non ricorrere alle armi che nei casi estremi: nessuna prova legale si aveva delle intenzioni ostili di quella gente: un’energica azione, non giustificata, contro di essi, avrebbe compromesso la Regina, e gl’Inglesi per altre vie volevano raggiungere l’intento di allontanarla dalla Sicilia.
Era nella loro politica di evitare che le Corti estere potessero dubitare che ai Borboni di Sicilia riuscisse odioso l’intervento dell’Inghilterra negli affari dell’isola, per non destare diffidenze e gelosie. Se negli scontri con gli sbandati qualcuno era caduto ucciso, la cosa si giustificava da sè: erano dei predoni che avevano opposto resistenza; pure, secondo le istruzioni del ministro inglese, tali fatti avrebbero dovuto evitarsi finchè fosse stato possibile, tanto più che già le prepotenze e le angherie perpetrate in Sicilia dalle soldateschedi S. M. Britannica avevano suscitato delle rimostranze, e non si voleva che esse si rinnovassero e si acuissero.
Eran dunque quattro giorni che Alma aveva trascorso fra i ruderi di quel vecchio edificio in compagnia di quella gente che le faceva ribrezzo, pure avendo per lei tutte le premure più ossequiose. In un angolo riparato dai venti e dalle pioggie le avevan fatto un lettuccio di mantelli che per buona fortuna si erano trovati sulle mule da Pietro il Toro sottratte agl’Inglesi.
La stessa notte egli in compagnia del Ghiro e del Magnaro si erano avventurati pel bosco fino al fosso in cui Pietro aveva riversato il carico delle altre mule, e camminando a passo di lupo, con la prudenza e gli accorgimenti che per la lunga vita brigantesca erano divenuti in loro una seconda natura, avevano potuto senza destar l’attenzione delle pattuglie che sorvegliavano il limite del bosco, portare nel loro castello, come chiamavano il diruto edificio, buona quantità di provvigioni, bastevole per alquanti giorni ai bisogni dello stomaco, anzi avevano di che scialarla allegramente, chè quei muli portavano le provvigioni per gli ufficiali e si sa a quale larghezza di trattamento siano usati gli ufficiali inglesi.
La gioia di quegli uomini costretti a vivere giorno per giorno e a godere oggi senza preoccupazioni pel domani era stata immensa nel veder trarre fuori da colmi cofani, carni, salami, formaggi, gallette e, ciò che li aveva fatti delirare addirittura, delle bottiglie del collo dorato che al certo contener dovevano dei vini e dei liquori degni di una mensa regale. Tutto quel ben di Dio, dopo tanti giorni di privazioni, in cui avevan dovuto sfamarsi con l’erba e con le frutta raccolte peicampi, era tale per essi una fortuna che li rendeva grati agl’Inglesi che gliel’avevano procurata.
— Io mo’ che vorrei? — diceva il Ghiro guardando con occhi cupidi i cofani trasportati durante la notte ed ammucchiati in un canto — Esser lasciato in pace qui. Non vorrei più saperne di re, di regine, d’Inglesi e di Francesi! L’aria è buona, l’ombra è fresca, il sole è magnifico, quei cofani son pieni di ogni delizia. Perchè dunque non dobbiamo vivere in pace e in amicizia con tutto il mondo?
Pietro il Toro aveva severamente sorvegliato perchè nulla fosse sottratto a ciò che lui aveva sottratto; e in verità, quantunque fosse rotta ogni disciplina, imponeva troppo rispetto misto a paura perchè si osasse di disubbidire. Egli aveva raccolto i dieci o dodici fuggiaschi che si erano ricoverati in quell’edficio dintorno al mucchio delle provvigioni come dintorno ad un’ara e aveva rivolto ad essi questo discorso:
— Compagni miei, non dobbiamo sgomentarci di trovarci qui in pochi, perchè ciascun di noi ha visto di peggio nella sua vita. Io non vi parlo soltanto in mio nome, ma anche in nome del nostro vero capo, di caporal Vittoria, degna veramente per le sue gesta gloriose di comandare a noi tutti, ed io sono il primo a riconoscere i suoi diritti sulla nostra obbedienza. Non siete del mio avviso?
— Sì, sì — gridarono a coro.
— È una femmina è vero, ma i più famosi capi delle nostre bande si sentivano onorati di combattere sotto i suoi ordini, e chi l’ha vista col coltello in una mano e con la pistola nell’altra precipitarsi sui nemici come io l’ho vista più volte...
— Anche noi, anche noi! — esclamarono gli altri.
— Come noi dunque più volte l’abbiamo vista! Ora essa attende a confortare quella povera creatura che mentre veniva con la Regina, nostra unica padrona e signora, a visitarci nella marina dove eravamo accampati, per non cadere in mano di quei maledetti inglesi dovette al par di noi rifugiarsi in questo bosco. Noi dunque dobbiamo difenderla e proteggerla come difenderemmo la Regina che ella in mezzo a noi rappresenta. Se ci sarà dato di ricondurla al palazzo reale, ove la Regina al certo si strugge in lacrime non sapendo che cosa di lei sia divenuto, e noi lo faremo; se poi saremo assaliti, anzichè a lei sia torto un capello, io pel primo giuro di farmi fare a pezzi. Chi, chi di noi non è contento di dar la vita che abbiamo arrischiato per un capriccio talvolta, in difesa di quell’angelo così bianco e così biondo come l’angelo custode che adorammo quando si era fanciulletti, a cui dicevamo le orazioni che la nonna e la mamma ci avevano insegnato, l’Ave Maria, il Salve Regina... quando non sapevamo nulla ancora di tante brutte cose e ci addormentavamo accanto al focolare col capo sulle ginocchia della vecchia nonna balbettando le preghiere all’angelo custode?
Il vecchio Pietro era commosso e commossi erano pure coloro che l’ascoltavano. Nei cuori più efferati resta sempre un cantuccio in cui gl’infantili teneri sentimenti per lungo tempo addormentati, si risvegliano talvolta, rifacendo fanciulli gli uomini più induriti nel male e nei vizî!
— Or bene — continuò Pietro vincendo la commozione — quella povera creatura, diletta compagna della nostra Regina, che ha vissuto sempre nell’oro e nel velluto; che non si è mai chinata per allacciare le scarpe e che fin dalla culla fu servita da cinque o sei cameriere come unasanta nel suo altare; che fu nutrita di cibi che noi non sapremo mai che gusto abbiano; che dorme in palazzi di marmo alle cui porte fan la guardia i soldati, in certi letti con lenzuola di seta e con coperte a ricami d’oro e di argento, ora si trova qui in mezzo a noi, in un bosco, fra le mura cadenti di un edificio in cui han fatto il nido i corvi e le civette, e ci si trova per noi, perchè era venuta con la sua amica la Regina per salutar noi, per portarci dei denari! E dunque noi dobbiamo difenderla, dobbiamo proteggerla con le nostre braccia, coi nostri petti, come difenderemmo, come proteggeremmo il nostro angelo custode se mai avesse bisogno di noi. Non dico bene?
— Sì, sì, dici bene.
— Vedete, anche Vittoria che, diciamolo, sapendo quel che vale, non si piega facilmente, l’assiste, la conforta, cerca in ogni modo di renderle meno penoso il triste caso che le è capitato. Dunque, compagni miei, noi non sappiamo fin quando dovremo stare qui come volpi nella tana, perciò bisogna saper contenerci e non far sperpero delle provvigioni, che io custodirò, e guai guai a colui che volesse farmi qualche brutto tiro! Sapete che quando dico «guai» si può star sicuri che ci saranno guai!
— Ma dovremmo anche pensare a trarci fuori da questa trappola — disse il Magaro. — Potremo durarla tre, quattro, cinque giorni, ma se gl’Inglesi ci tengon qui assediati per farci morir di fame...
— Noi resteremo qui finchè potremo sostenerci, poi decideremo il da farsi, tanto più che io ho una speranza...
— E perchè non ce la dici?
— Ebbene, ve la dico: io son sicuro che capitan Riccardo verrà al più presto in nostro soccorso...
— Ma sa lui il luogo del nostro ricovero?
— Non mi ci fate pensare, non mi ci fate pensare, chè il cuore mi si spezza se mi raffiguro il dolore di quel povero giovane. Se sapeste quel che so io! Perciò son certo, che se non gli è capitata sventura, verrà al nostro soccorso.
— Ma se non sa dove trovarci?
— È vero, è vero. Pure ci sarebbe un mezzo per avvisarlo che siamo qui. Ma io non saprei chi scegliere di voialtri. Anche se ei deludesse la vigilanza delle pattuglie inglesi che si aggirano pei limiti del bosco e se capitasse in quelle che perlustrano la via maestra, non sarebbe riconosciuto all’accento per calabrese? E pure chi riuscisse a giungere fino alla villa della Regina, ove senza dubbio troverebbe capitan Riccardo, potrebbe contare su una ricompensa da valer bene il rischio al quale si espone! Vediamo, si tratta della vita di tutti noi e della salvezza di quella povera creatura. Ci è qualcuno tra voi che voglia tentar l’impresa?
Gli astanti s’interrogavano, discutendo, cercando di convincersi a vicenda che l’impresa non era poi tanto difficile. La speranza della ricompensa li tentava. Pietro il Toro se ne accorse e ripigliò:
— E credete voi che la figlia del duca di Fagnano non avrebbe di che pagare il gran servigio che le verrebbe reso? Basterebbe un solo anello di quelli che ha al dito per arricchire colui che lo meritasse.
— Vado io — disse un giovanotto che finallora si era tenuto in disparte.
Tutti lo guardarono meravigliati perchè aveva detto quelle parole con accento schiettamente siciliano.
— Vado io perchè, come avete inteso, possofarmi credere siciliano. Ho lavorato alle solfatare prima di far parte della banda di caporal Vittoria e parlo il siciliano come se fossi nato a Messina o a Palermo.
— Ecco, ecco una prova — esclamò Pietro il Toro — che la Madonna del Carmine non abbandona i suoi devoti. Se l’avessi saputo ti avrei fatto partire fin dal primo giorno, perchè immagino, immagino come debba rodersi dal dolore, povero capitan Riccardo!
— In quanto poi — disse il giovane che si era offerto — a quel che avrò meritato...
— Te ne sono garante io, io Pietro il Toro, te lo giuro sulla Madonna del Carmine!
Intanto che questo avveniva tra i fuggiaschi che Pietro il Toro aveva radunati intorno a sè, nel fondo del diruto edificio, in una stanza rimasta pressochè intatta, Vittoria sedeva presso un mucchio di mantelli su cui Alma giaceva addormentata. Col capo fra le palme, i gomiti sui ginocchi, contemplava la giovinetta che nel viso bellissimo aveva le impronte dei disagi, del dolore di quei giorni, al certo i più angosciosi della sua vita.
Nello sguardo di Vittoria passavano i diversi pensieri che le si avvicendavano nell’anima. Pareva in colloquio con sè stessa, anche lei triste in viso, tristezza che spandeva come un velo di dolcezza sulla sua fiera e maschia beltà, onde nessuno avrebbe creduto che proprio lei fosse la donna il cui nome era ripetuto con orrore come quello di un mostro di ferocia. Il contatto con la delicata e nobile creatura ne aveva ammorbidito il cuore che lottava tra i nuovi sentimenti i quali a sua insaputa erano andati germogliando, come fra un roveto irto di spine germogliano i fiorellini silvestri sottilmente olezzanti. In sulle prime ella avevalottato, cercando di far prevalere nell’anima sua l’odio per quella giovinetta che le ricordava gli anni in cui anche lei era stata bella, quantunque di una bellezza assai diversa, buona nella verginale bellezza dell’anima e del corpo; ma poi la soavità che era come il profumo della leggiadria d’Alma ne aveva ammorbidito il cuore, e l’odio si era dissolto dando luogo ad un sentimento indefinibile d’ammirazione affettuosa!
E aveva finito per vincerne l’odio e la gelosia quel vederla sola, abbandonata, ella usata al fasto della reggia, ella a cui s’inchinavano i più cospicui e superbi signori del Regno, in quel diruto edificio fra gente che al certo le faceva ribrezzo, esposta al pericolo di trovarsi da un istante all’altro fra gli orrori di un assalto! E aveva finito di guadagnarsi l’anima torbida di Vittoria la fiducia con la quale Alma ne aveva accolto le premure, la gratitudine che le aveva letto negli occhi lagrimosi allorchè Vittoria, imponendo al suo carattere aspro, ai suoi modi bruschi, pentita e quasi umiliata del non aver saputo in principio usar con lei un po’ di dolcezza nel linguaggio, ne aveva fatto ammenda col mostrarsele buona, quasi umile, col darle coraggio, con l’aver per lei delicatezze e premure, pur tenendosi nei limiti della dimestichezza che non dimentica i riguardi dovuti al grado sociale.
Ma non la pietà forse, non la generosità dell’animo ne avevano così di un tratto modificato il carattere, ma il sospetto che l’amore o il capriccio della Regina per Riccardo fosse riuscito ad entrambe nefasto. Forse quel cuore di fanciulla aveva sofferto quanto il suo, forse Riccardo, come aveva respinto l’amore di lei, aveva dovuto soffocare in cuore l’amore per colei nelle cui vene scorreva l’istesso suo sangue!
Quell’amore o quel capriccio della Regina come aveva sottratto Riccardo all’ardente passione di lei che si era esposta ad ogni pericolo per salvargli la vita e per ridargli la libertà, l’aveva sottratto all’amore per la figlia di suo zio. Ci era dunque qualcosa che le accomunava; e poichè ben comprendeva che i rapporti ormai palesi di Riccardo con la Regina sarebbero stati un ostacolo insormontabile per l’unione dei due giovani, taceva in lei la gelosia, e in suo luogo aveva inteso nascere nel cuore un sentimento di pietà, che l’esser divenuta lei l’unica protettrice di quella nobile e leggiadra fanciulla, aveva mutato in affetto.
E la guardava pressochè intenerita dormire di un sonno stanco ma calmo, col viso bianco e delicato tra l’oro delle chiome sparse pel rozzo giaciglio.
Quando Alma aperse gli occhi e vide a sè vicino quella donna che aveva mantenuta la promessa di non muoversi dal suo canto finchè ella dormisse, mormorò, sollevandosi a sedere mentre raccoglieva la gran massa dei capelli per gettarli indietro:
— Grazie, signora.
— Ah — rispose Vittoria sorridendo con amarezza — fui una signora, ma adesso, oh, adesso non sono che caporal Vittoria, della quale avete sentito certo discorrere come di una orrenda femmina!
— Io so che siete con me assai buona, assai buona in questo orribile mio stato. E... nulla di nuovo?
— Nulla, figliuola mia. Le pattuglie degl’Inglesi van percorrendo i limiti del bosco, ma non osano avventurarsi fin qui.
— E nessuno... nessuno è venuto da parte diSua Maestà per cercare di me, per soccorrermi, per trarmi da questo luogo?
— Nessuno. Ma non bisogna fargliene una colpa, chè ella non sa dove io vi abbia condotto. Se poi non ne potete più, se, come pur troppo comprendo, non vi sentite in grado di più oltre sopportare i disagi di questo stato, così orrendo per voi, non vi resta che uscir fuori da questo bosco e affidarvi alle pattuglie inglesi che di certo incontrereste per esser ricondotta alla villa reale.
— E non dovrei dire il perchè mi trovai qui? E non comprometterei Sua Maestà? No, no: lei innanzi tutto, lei per la quale tanti han sacrificato la vita, lei a cui tutti noi abbiamo giurato fedeltà...
— L’amate molto dunque? — disse Vittoria fissandola per leggerle la verità negli occhi, se mai le parole cercassero di dissimularla.
Ella trasalì lievemente e il volto le si velò di rossore.
— Io amo in lei — rispose dopo un istante di esitazione — quei principî pei quali i miei padri versarono il loro sangue; io amo in lei la regalità che fa sacra ogni fronte su cui Dio ha messo una corona, per la quale darei la mia vita, sicura di compiere un dovere!
— E sacrifichereste la vostra felicità, il vostro avvenire per colei che...?
— Sì: la mia felicità, il mio avvenire, se un tal sacrificio fosse necessario a salvarla.
Vittoria continuava a fissarla, immobile. Poi disse lentamente:
— Ma non avete risposto alla mia domanda; non mi avete detto se l’amate!
— Ella è la mia Regina, ella è la mia padrona e signora per diritto divino. Questo solo so.
Stettero un pezzo in silenzio. La giovinetta avevachinato il capo come se non potesse sostenere lo sguardo fisso, indagatore di Vittoria, ben comprendendo che col rivolgerle tale domanda aveva inteso di leggerle nel cuore. Certo quella donna sapeva ben più di quel che non volesse dire.
D’improvviso le si suscitò un ricordo. Non era stata lei l’amica di Riccardo? Non avevano insieme difeso il castello? Ah, dunque sapeva lei, sapeva che Riccardo l’aveva amata, ma sapeva anche quali fossero i rapporti di lui con la Regina!
A tal pensiero arrossì come se il suo pudore fosse offeso e rimase interdetta, confusa, sotto lo sguardo fiso di quella donna, nel quale leggeva anche un’affettuosa pietà.
— Vostro cugino il duca di Fagnano sarà in gran pensiero per voi! — disse ad un tratto Vittoria rompendo il silenzio.
La giovinetta sussultò e impallidendo:
— Voi sapete, voi sapete? — mormorò stupita.
— Sì, anzi ero presente quando suo padre sul letto di morte lo riconobbe per figlio legittimo.
— Legittimo! — esclamò Alma sollevando la testa.
— Ah, capisco: corre voce ch’ei sia bastardo perchè si crede distrutto il documento che attesta il matrimonio tra il duca di Fagnano e la figliuola del barone di Pietrasanta. Ma io, io vi ripeto, ero presente allorchè suo padre morendo lo riconobbe, io che avevo rischiato di cadere in mano dei Francesi per farlo evadere dalle carceri; io che lo seguii travestita da monaco fino al letto di morte di suo padre; io che poi, riconosciuta, saltai da una finestra, col rischio di rompermi l’osso del collo!
— Voi, voi avete fatto questo per lui! — esclamòla giovinetta fissando alla sua volta gli occhi su Vittoria che ne sosteneva lo sguardo senza scomporsi.
— Io infine, che non avendone più nuove, venni qui sperando di rivederlo!
— Voi dunque l’amate! — esclamò Alma.
— Si, sì... al par di voi!
Ella divenne livida, tanto queste parole le sconvolsero il cuore. Come, come aveva indovinato quel suo segreto così gelosamente custodito? Come in quei pochi giorni ella aveva potuto leggerle nell’anima, mentre prima di allora nessuna parola avevano scambiato che l’avesse indotta a quel sospetto?
— Che ne sapete voi, che ne sapete? — balbettò comprimendosi il cuore che le batteva da scoppiare.
— Che ne so? Ah giovinetta mia, tutto vede, tutto intende, tutto indovina chi...
S’interruppe come vinta da un ritegno: poi ubbidendo ad una subita decisione, ad un impulso prepotente, quasi volesse sgravarsi di un peso insopportabile, per quel bisogno di espansione dei cuori che amano e dei cuori che soffrono:
— A voi sì, a voi voglio dir tutto, tutto! — esclamò. — A te, anzi, chè io sento di poterti parlare così come ad una sorella. Non appartengo anch’io alla casta cui tu appartieni? Sulla porta di casa mia non vi è uno stemma che attesta della nobiltà del mio sangue? I miei non portarono e non portano fieramente un titolo, se non pomposo come il tuo, degno al par del tuo? Puoi offenderti tu della mia dimestichezza, dì, puoi offenderti?
— Voi vi siete mostrata così buona con me, così premurosa...
— Mi date del voi, mi date del voi! Ed è giusto! Che sono io ora, che sono? Una femmina famigerata pei suoi delitti, per la sua e fors’anco per le sue turpitudini! E non è vero, non è vero: feroce sì, crudele sì, perchè l’ho nel sangue il veleno che talvolta mi persuade alla strage; ma mantenni pura l’anima mia come puro il mio corpo dacchè mi divisi dal mostro che fece di me una tigre assetata di sangue!
Era balzata in piedi, arrossata in volto come per un subito sconvolgimento. Si fece alla soglia della porta e respirò ansante l’aria fresca della notte che era già discesa.
Il bosco si distendeva nereggiante dal colle in giù: certo i rifugiati in quell’edificio si erano ritratti in un angolo perchè profondo era il silenzio.
L’aria fresca le fece bene: tornò indietro e per rimettersi in calma si diede a battere l’acciarino per accendere una delle candele trovate nei cofani sottratti agl’Inglesi. La luce della candela rischiarò fiocamente la stanza disegnando sulla parete la nera ombra di Vittoria, mentre Alma la seguiva con lo sguardo, non spaventata ma commossa anche lei da un senso di pietà per quella donna, della quale incominciava a intraveder l’anima tormentata, ed aspettando con ansia ineffabile il seguito della confessione che le era uscita dalle labbra prorompente come un grido di dolore!
Ah, dunque la fatalità della passione aveva potuto anche su lei, su quella donna che pur nella sua vita avventurosa se ne era lasciata sopraffare? Ma era possibile, era possibile che egli avesse resistito alla passione di quella donna che aveva vissuto con lui nella libertà dei boschi e che libera di sè, usata alla violenza ed alla prepotenza non aveva remora alcuna nei pregiudizî, nelle convenienzesociali, nella dignità femminile? E lei, lei amava quell’uomo che dalle braccia di una Regina passava a quelle di un’avventuriera, famigerata per delitti e per ferocia? Amava quell’uomo, la cui beltà, il cui valore si accoppiavano a tali istinti perversi?
E arrossiva pensando che quell’uomo l’aveva amata fin dalla sua prima giovinezza, che aveva osato alzar gli occhi fino a lei anche quando non era che un miserabile servo della gleba, quell’uomo che poi si abbandonava agli amori di un’avventuriera!
Se i rapporti ormai palesi con la Regina avevano scavato fra lei e lui un abisso insormontabile, era giunta a scusarlo di essersi lasciato attrarre dal fascino regale, e giungeva financo a dire a se stessa che egli al certo aveva dovuto subire quei rapporti, pur custodendo gelosamente nell’anima sua come una religione l’amore per lei; ma la rivelazione di Vittoria l’aveva sconvolta come una turpitudine che le aveva messo un indicibile ribrezzo nell’anima.
E quell’uomo pretendeva di essere il vero e unico duca di Fagnano!
Nonpertanto, era punta da un desiderio ansioso di sentire il seguito di quella confessione, così ansioso, che aveva dimenticato il luogo in cui era, la gente con la quale era costretta a vivere chi sa fino a quando, il pericolo che la minacciava, il caso ben terribile in cui era incorsa; e impaziente, ma pur non osando di volgerle la parola, seguiva Vittoria che infine, avendo infisso le candele in un mucchio di rottami, tornò a sedere presso il giaciglio.
— Perdonatemi — le disse — perdonatemi, ma pur troppo è una ben triste natura la mia, e il sanguetalvolta mi pulsa così nel cranio al ricordo degli orrendi casi della mia vita che mi par d’impazzire! Pure sento un bisogno prepotente di dirvi tutto l’animo mio in quest’ora solenne, nella quale un presentimento mi opprime che non ho mai provato, quantunque tutta la mia vita sia trascorsa di audacia in audacia e quasi sempre con la morte sospesa sul capo!
— Parlate — rispose Alma che pur non voleva mostrarsi ansiosa. — Potrò forse lenire le vostre pene o compiangervi almeno!
— Compiangermi! Ah, per dieci anni ho vissuto dimentica del jeri, incurante del dimani ed ho ispirato sempre terrore, non mai pietà! — esclamò Vittoria. — Ma adesso, sì, è vero, merito di esser compianta. L’amore! Che demone infernale! Dicono che blandisca i cuori, che li nobiliti, che li santifichi! Menzogne, menzogne. Io so che non uccisi mai con tanta voluttà del sangue e della strage; io so che mai tanto odio imperversò nel mio cuore come quando vi accolsi l’immagine di un uomo del quale era diventata schiava, io che non mi ero piegata neanche dinanzi a Dio!
— Siete stata così buona, siete stata così pietosa con me! — disse Alma per calmare quella donna che pareva sconvolta dai ricordi e dall’ambascia.
— Ah sì — rispose lei — perchè voi avete sofferto, voi soffrite al par di me, perchè compresi essere anche voi una vittima della fatalità che passa come un turbine pei cuori!
— Se vi ha tradita, se vi ha ingannata — mormorò Alma commossa e in uno spaventata dell’orgasmo di quella donna — forse non fu sua la colpa...
— Tradita, ingannata?! — gridò Vittoria congli occhi balenanti di ferocia. — E non gli avrei strappato il cuore dal petto per veder dove, dove, in quali fibre si annidassero il tradimento e l’inganno?
— Ma dunque, ma dunque — disse Alma sorpresa e confusa, non riuscendo a comprendere l’anima di quella donna. — Quale è dunque la colpa di...?
— La sua colpa? — rispose Vittoria che era rimasta come accasciata dopo quelle aspre e prorompenti parole. — La sua colpa è di esser bello, di esser valoroso come una spada, generoso come un leone, di esser nato per sovrastare a tutti, di esser lui il padrone, lui il signore di ogni cuore, da quello di una regina a quello di una scorridrice dei boschi quali io sono!
E si era accesa nel dir ciò: gli occhi le splendevano fissati a sè dinanzi come se contemplasse l’imagine di lui.
— No — proseguì con una straziante angoscia nella voce — egli non mi ama, egli non mi ha mai amata!
Alma sussultò sentendosi invasa da tale gioia che altra simile non l’aveva mai così inebbriata in sua vita. Dunque a torto l’aveva accusato, a torto? Dunque sì generosi, sì magnanimi erano il carattere, il cuore, l’anima dell’uomo da lei amato che anche nel dolore e nello strazio quella donna l’esaltava?
E poichè era rimasta immobile dissimulando la sua esultanza, ma con gli occhi fissi su Vittoria esprimenti la meraviglia:
— Comprendo il vostro stupore — continuò Vittoria. — No, egli non mi ama e non mi ha mai amata e pur son sicura che darebbe la vita per salvare la mia. Ma è gratitudine, è pietà la sua, nonè amore. Io, io al primo vederlo intesi che non mi appartenevo più, che sarei stata la schiava di quell’uomo sol che avesse voluto; io intesi scorrere come un balsamo per le mie vene, per tutto il mio essere saturo di questo amore che aveva preso il luogo delle malnate passioni mie. Io compresi di essere ancor vergine di cuore se non di corpo, così nuova mi parve quella vampa che egli aveva acceso!
Alma ascoltava come perduta in un sogno. Alle ardenti parole di quella donna sentiva diradarsi il velo che aveva fino allora coperto l’amor suo, lo sentiva svellersi dal fondo del cuore in cui l’aveva relegato e spandersi per tutto l’essere; ascoltava commossa, trepidante come se le parole che sentiva fossero le sue, fossero il grido delle sue visceri.
— E per un anno — continuò Vittoria — per un anno io che pur vivevo la misera e orrenda vita dei boschi, io che avevo respinto lungi da me il demone dell’esistenza mia, colui pel quale l’inferno non avrà abbastanza tormenti per me, pel quale mi resi indegna della misericordia di Dio per quanto immensa, portai nell’anima l’immagine di quell’uomo, innanzi alla quale, mentre i compagni dormivano gonfi di vino e di cibo e stanchi di delitti e di turpitudini, pregavo come non mai avevo pregato Dio. Poi dopo un anno m’incontrai con lui, e me gli offersi, io, io che ho visto strisciare ai miei piedi i più potenti, io che per esser libera, padrona di me e non aver altra volontà che la mia avevo dimenticato e aveva disonorato il nome dei miei padri, affrontato il ludibrio degli uomini e per i miei delitti l’ira del cielo, io me gli offersi ond’egli facesse di me la sua schiava, lieta, superba, felice se mi avesse confinato in una casuccia afilar la lana come la più umile delle donnicciuole, ed egli mi respinse, intendete? mi respinse perchè... perchè ne amava un’altra!...
Alma trasalì a queste parole. Di chi intendeva parlare quella donna, di lei o della Regina? Certo della Regina, con la quale i rapporti di Riccardo non potevano sfuggire ad un occhio geloso! Il cuore le si strinse, ma trattenne la domanda che era per prorompere dalle labbra.
— Ne amava un’altra, ma ebbe per me soavità fraterne, ma ebbe per me premure pietose, onde quest’anima mia tormentata non potè neanche abbandonarsi all’odio, non potè neanche disfogar con la vendetta le sue angoscie, non potè neanche inveire contro la rivale che...
Alma disse gravemente:
— Colei che vi toglieva all’amore di quell’uomo è sacra ed inviolabile, perchè Dio le conferì parte del suo potere...
— La Regina — gridò Vittoria con un amaro sorriso — la Regina, dite voi! No no, egli non amava, egli non ama la Regina, ma un’altra, una altra donna che non sarà mai sua, che non potrà essere mai sua, perchè, ben lo comprendo, ora, ben lo comprendo, potrà dar la vita per chi porta sul capo una corona regale, ma non si piegherà mai, mai a divenire la sposa dell’amante di Sua Maestà! Non è vero, rispondete, non è vero?
— È vero! — rispose Alma impallidendo.
— E per questo, per questo io ho avuto pietà di voi come di me stessa. Per questo mi sono intesa accomunata a voi nella fatalità istessa. Per questo io che ero gelosa di voi, di voi solo quando seppi che egli vi amava fin dalla infanzia, io sento in voi ora le mie angosce e gli odî miei! Compresi in quella notte in cui vi vidi trascurata, quantofatale fosse il fascino che avvincea lui a quella donna, quanto fatale fosse per l’animo vostro, e mi faceste pietà, la pietà che sento per me stessa!
— Quella donna è la Regina — mormorò lei — quella donna è sacra per ogni suddito fedele. Dio le ha posto sul capo una corona: non tocca a noi di giudicarla; tocca a noi, se occorre, di dare la vita per lei!
Stettero un pezzo mute e raccolte, pur non osando abbandonarsi al sentimento che le spingeva una nelle braccia dell’altra. Troppa era la distanza morale che le aveva separate fin allora per poter essere di un tratto posta in obblio, quantunque il dolore le avesse accomunate.
Alma intanto, distratta sino a quel momento dalle parole di Vittoria, era ripiombata nell’angoscia e nella trepidanza. Sentiva una grande amarezza nel cuore al pensiero che forse tanto lui che la Regina l’avevano dimenticata! Invano diceva a se stessa che essi ignoravano al certo il luogo in cui si era rifugiato; lui, lui così ardito, lui così incurante dei pericoli, lui famoso per le temerarie imprese, lui usato agli stratagemmi di quella guerra d’imboscate, lui che era stato il capobanda più temuto per l’occhio sicuro e la intuizione pronta, sarebbe riuscito a rintracciarla, a toglierla da quel bosco se il suo amore per lei glielo avesse imposto!
E una visione le stringeva il cuore, accendendola di sdegno: lui tutto dato al piacere fra le braccia della Regina, dimentico e noncurante!
— Dormite — le disse Vittoria. — Io andrò fuori per assicurarmi se i compagni stan vigili.
Si era alzata, quando udì un grido, al quale seguì lo scoppio di una fucilata.
— Siamo assaliti, siamo assaliti! — esclamò Vittoria.
E ridivenendo la donna che era stata, a cui il pericolo, l’imminenza della lotta infondevano una selvaggia energia, si slanciò sulle armi che aveva posato in un canto.
— Non vi muovete checchè accada, non vi muovete! Saprò, se occorre, morire per difendervi.
E si slanciò all’aperto, mentre alle prime fucilate altre ne seguivano dal basso del colle e dall’alto dell’edificio, segno che la lotta si era impegnata.
Alma era come intontita, dopo il primo spavento che l’aveva fatta raccogliere in un angolo. Vedeva lampeggiare nelle tenebre le fucilate, udiva qua e là delle grida, pur nel suo terrore comprendendo che gl’Inglesi non avevano punto guadagnato terreno.
E per lei, forse, unicamente per lei quella gente si batteva, chè facile al certo le sarebbe stato di fuggire, si batteva mentre la sua Regina, e mentre lui l’avevano dimenticata!
E stava con gli occhi alla porta, aspettando con angoscia ineffabile che vi comparisse qualcuno. E se gl’Inglesi brutali e crudeli irrompessero in quel luogo, che ne sarebbe di lei, che ne sarebbe? Come fuggire intanto, e dove fuggire?
Si era alzata quando le parve che la mischia si avvicinasse vieppiù, avendo al certo gl’Inglesi dato l’assalto: si era alzata pur senza aver coscienza dei suoi atti e si aggirava come smarrita per la stanzuccia che la candela illuminava fiocamente, atterrita da alcune voci di dolore che gemevano nelle tenebre e dal colpo secco di qualche palla perduta che scalcinava le mura.
— Mio Dio, che muoia almeno, che muoia! — balbettava tornendosi le mani.
In questo un’ombra apparve sull’uscio; si fermòprima di entrare, appoggiandosi al muro, poi varcò la soglia. Era Vittoria, con le vesti a brandelli, livida in viso, che a stenti si reggeva in piedi.
— Saremo sopraffatti — disse affannosamente — saremo sopraffatti. Son molti, son molti!.. Io... ho fatto quel che avevo promesso... ma non mi avranno viva... non mi avranno...
Delle grida che venivano da uno dei lati dell’edificio la fecero trasalire. Tese le orecchie, e usata a riconoscere la natura dei rumori di una mischia, gridò trasfigurata in viso:
— Ci è giunto un soccorso... un soccorso. Gli Inglesi son presi alle spalle... Non può essere che lui, lui, capitan Riccardo... Credo di riconoscere il suo grido...
Parve che avesse acquistato nuovo vigore e si slanciò fra le tenebre.
— È ferita! — mormorò Alma. — Non si reggeva in piedi! Ah sì, certo il suo grido le ha ridato le forze! È lui dunque, è lui, venuto per me, venuto per...
Non ebbe il tempo di completare la frase: capitan Riccardo, Pietro il Toro e Vittoria irruppero nella stanza.
— Non un istante da perdere! — gridò capitan Riccardo.
Pietro il Toro aveva preso in braccio la giovinetta e si era precipitato sull’uscio, ma sostò nel veder che Vittoria, sostenuta da Riccardo, si piegava non reggendosi sulle ginocchia.
— Ah — disse con un urlo di rabbia e di dolore — gl’Inglesi l’hanno uccisa, l’hanno uccisa!
E senza lasciar la giovinetta tornò indietro, raccolse con l’altra mano Vittoria sorretta da Riccardo, e con entrambe in braccio, come se fosserostate due bimbe, si precipitò fra le tenebre, seguito dal giovane.
Tutto questo era avvenuto in un lampo.
La mischia fuori continuava, ma chiaro appariva che una delle parti cedeva inseguita dall’altra, perchè i combattenti si erano sparpagliati e i colpi scoppiettavano qua e là intorno all’edificio.
I fuggitivi eran giunti in un angolo che era tutto un cumulo di rovine, sorpassate le quali avrebbero potuto dirsi in salvo.
— Lasciami — gridò Vittoria tentando di svincolarsi — lasciami, non sono una femminuccia, io!
— Zitto — mormorò Riccardo — attireremmo il nemico.
Aveva appena ciò detto quando due o tre fucilate rimbombarono. Erano stati scoperti, ma le tenebre avevano impedito che gl’Inglesi mirassero giusto.
— A terra, Pietro, a terra! — disse Riccardo.
Pietro si lasciò cadere pur sostenendo fra le braccia Alma svenuta; ma Vittoria si sciolse dalle braccia di lui.
— Ah! — urlò con una orrenda bestemmia. — Che muoia almeno come ho vissuto uccidendo!
E si slanciò col coltellaccio in pugno verso il luogo donde erano venuti i colpi ed ove al certo alcuni Inglesi erano appiattati.
— Va, Pietro — gridò Riccardo — va, io non debbo lasciarla sola. Va, salva lei, salva lei, e aspetta mezz’ora al limite del bosco ove è una croce, nel punto in cui ci fermammo con la lettiga.
A venti passi da lui la mischia si era ingaggiata tra Vittoria e i tre o quattro soldati inglesi che di un tratto se l’erano intesa piombare addosso. Ella colpiva sicura, mentre i soldati credendo diaver che fare con parecchi combattenti non riconoscendosi nelle tenebre si ferivano tra loro.
— Eccomi, eccomi, Vittoria, eccomi! — gridò Riccardo slanciandosi in aiuto dell’amica. — Parla, dove sei, dove sei?
— Qui, qui, e grazie fratello, grazie!
La mischia continuò nel buio con grida soffocate, con bestemmie, con imprecazioni; mischia feroce illuminata talvolta dal lampo di una pistolettata, dopo il quale continuava nel buio più fitta. Infine gl’Inglesi, o morti o feriti in parte dai loro stessi colpi, furono sopraffatti: alcuni di essi fuggirono, mentre gli altri gemevano sommessamente.
— Vittoria, Vittoria, dove sei? — gridava Riccardo che aveva colpito rimanendo incolume.
— Muoio! — rispose la voce di Vittoria — muoio, ma son felice, felice di morire!
Egli, guidato dalla voce, giunse dove la giovane donna era caduta e la prese fra le braccia, folle di dolore.
— Salvati, salvati — mormorò lei. — Essi torneranno. I nostri son morti o fuggiti. Essi torneranno e son molti... son molti...
— Con te! — rispose lui con accento di profondo dolore e di tenerezza profonda. — Con te, sorella mia!
La prese in braccio, attingendo la forza dal suo dolore e si diede a correre nelle tenebre verso il punto del bosco che aveva additato a Pietro il Toro.
Intanto gl’Inglesi avevano acceso delle torce che spandevano una luce rossastra e fumosa sul sommo della collina ove più micidiale era stata la zuffa; e alcuni gridando e agitando le torce si dirigevano verso il luogo in cui Riccardo e Vittoriaavevano combattuto. Certo gl’Inglesi accorrenti, avvisati dai compagni superstiti credevano d’aver che fare con un gran numero di nemici.
— Sàlvati — diceva lei. — Io t’impedisco di sottrarti ad essi... Sàlvati, ho pochi istanti di vita... lo sento...
— No, no — ruggiva lui sordamente, continuando a inoltrarsi nel buio, attraverso gli alberi folti.
— Ti raggiungeranno... salvati... Io son felice... non voglio niente più da te... son felice... Così sognavo di morire... così!
Continuavano a rimbombare le fucilate il cui lampo squarciava le tenebre e per poco rischiarava il bosco. Egli sostenendo fra le braccia l’amica sua che sentiva venir meno, passava attraverso fratte e roveti, mentre dietro a lui strideva il fogliame sotto i passi degl’inseguitori, indicati dalla fumosa luce delle torce. Capiva pur troppo di non dover uscire dal bosco ove avrebbe potuto nascondersi, mentre nell’aperta campagna sarebbe stato visto e raggiunto; capiva pur troppo che gl’Inglesi ardevano di vendicare i compagni caduti, ed egli sostenuto dalla speranza che non fossero mortali le ferite di Vittoria, a costo della vita avrebbe voluto portarla in luogo sicuro per prestarle le cure di cui aveva bisogno, e un tal luogo esser doveva la villa reale ove gl’Inglesi non avrebbero osato di spingere le loro ricerche.
Ma gli sarebbe stato possibile? Era risoluto, risoluto a lasciarsi uccidere sul corpo della sua amica, sentendosi sopraffatto da una tenerezza infinita per lei: non era amore, era qualcosa di più: un sentimento fatto di gratitudine, di pietà, di ammirazione anche. Quella donna il cui nome si proferiva con orrore, che aveva lasciato dietro a sè una lunga striscia di sangue, gli si era rivelata intutta la magnanimità della sua abnegazione: aveva intravisto in lei delle virtù forti e rudi di cuore e di carattere ed egli non voleva esser da meno di lei.
— Soffri? — le chiedeva di tanto in tanto stringendola al petto fraternamente.
— Sì, ma per te, per te che ti perdi.. Io, sono felice, così... fra le tue braccia...
— Ti salverò, ti salverò — mormorava lui proseguendo ad inoltrarsi verso il punto che aveva indicato a Pietro il Toro.
Continuava a sentirsi inseguito, ma per buona fortuna gl’Inglesi, che esser dovevano in pochi, andavano or qua, or là, onde egli, quantunque impedito a procedere speditamente pel peso di Vittoria, aveva un vantaggio sopra essi.
— Siamo già presso alla croce — mormorò affannosamente — ma poi, ma poi?
Infatti aveva visto attraverso i rami degli alberi apparire in fondo la lontana curva del cielo stellato, segno che era vicino alla libera campagna.
Ma, e poi? Gl’Inglesi non l’avrebbero sopraggiunto, e la luna nuova che era per sorgere non glielo avrebbe svelato? Ma non sarebbe caduto vivo nelle loro mani; or che Alma era in salvo, egli aveva un sol dovere: morire per quella donna che altra volta aveva rischiato per lui di morire.
Era già presso il limite del bosco, a un cinquanta passi dagli inseguitori di cui sentiva le voci irose che erano al certo delle bestemmie, quando nel silenzio e nelle tenebre sentì una voce che lo fece sussultare.
— Per di qui, capitan Riccardo, per di qui!
Riconobbe la voce di Pietro il Toro che era in fondo ad un fossato.
— Ed Alma? — gridò lui.
— Al sicuro, al sicuro! Ma scendete, presto! Ah, come foste bene ispirato ad indicarmi questo luogo!
Intanto era sorta la luna nuova nella curva estrema del cielo e un velo fioco di luce aveva alquanto diradato le tenebre.
— Ah — gridò Pietro il Toro allorchè vide che Riccardo sosteneva fra le braccia un corpo che esser doveva al certo quello di Vittoria — morta forse, morta!
— No, ferita... Ma zitto!... Gl’Inglesi m’inseguono... sono a cinquanta passi da qui.
— Venite, venite... Ah, perdio, non son pruni pei nostri occhi essi!
Riccardo, usato a tutti gli stratagemmi degli scorridori comprese in un lampo il disegno di Pietro. La strada maestra era attraversata pel largo da un condotto per le acque piovane che di là da quel punto scendevano giù per la rupe fino al torrente.
— Entrate, entrate, presto! — disse Pietro.
— Ma — osservò Riccardo colpito da un pensiero — gl’Inglesi vedranno anch’essi la bocca di questo condotto e comprenderanno.
— E perciò io ne chiuderò la porta — rispose Pietro sghignazzando.
Un gran masso giaceva in mezzo al fossato. Pietro l’abbrancò e rinculando lo trasse a sè con uno sforzo disperato.
— Ed ora — disse quando vide che il masso chiudeva l’entrata — ora possiamo star qui al sicuro come se fossimo cinquanta palmi sotto terra.
— E Alma... Alma? — chiese Riccardo.
— È là in fondo, povera creatura, là in fondo! Seguimi; ci è un po’ di terra molle ove adagiare anche la povera Vittoria.
— L’ho detto sempre, Pietro — mormorò Vittoria — che tu eri nato per fare la guerra!
— Pensa a star bene, pensa a guarire — rispose Pietro. — Ce la prenderemo insieme la rivincita contro cotesti fantocci rossi. Zitto... eccoli... Li senti sul nostro capo? Si son fermati... Sono scesi nel fosso!... State sicuri, non basterebbero venti di essi a smuovere quella pietra, anche se sorgesse a loro un sospetto!
Dal fondo del condotto penetrava un incerto raggio di luna. Riccardo vide un’ombra giacente sul suolo: comprese che era Alma. Senza dir parola depose Vittoria vicino alla giovinetta.
— Non una parola — disse Pietro con voce soffocata. — Sento che gl’Inglesi sono ancora sulla via, proprio sul nostro capo... Certo cercano di spiegarsi la nostra sparizione.
Si era accorta Alma di Riccardo e di Vittoria? Il suo smarrimento, anzi il suo intontimento era tale dall’istante in cui Riccardo era sopraggiunto per portarla via, che aveva perduto ogni percezione del tempo. Si era abbandonata agli avvenimenti, rassegnata a tutto, come se la fatalità della quale era vittima fosse un caso ordinario della sua vita. Non si fermava neanche a considerare l’orrendo contrasto tra la sua condizione sociale e quell’avventura che l’avrebbe ferita nel suo onore di fanciulla, nella sua dignità di donna se non fosse rimasta occulta.
È vero però che ella aveva obbedito a colei che Dio aveva fatto sua signora e padrona, alla Regina, alla quale aveva l’obbligo ineluttabile di sacrificarsi: nello smarrimento era questo il pensiero che ritrovava nel ripiegarsi su sè stessa.
Ma un altro, un altro pensiero le aveva attraversato la mente e di tratto in tratto tornava astringerle il cuore. Per lei o per Vittoria Riccardo era accorso? E perchè egli era rimasto ad affrontare i pericoli della mischia mentre lei era portata via da Pietro?
Intanto il chiarore dell’alba era penetrato per l’angusto sbocco del breve acquedotto. Quando il viso livido di Vittoria che giaceva supina con gli occhi chiusi, le labbra scolorite fu appieno rischiarato, Riccardo che finallora si era tenuto in un canto silenzioso, si alzò spaventato.
— Vittoria — gridò — Vittoria... parla, che hai?
Al suo grido Alma si era sollevata a sedere e fu colta da un brivido nel vedere sordide di sangue le vesti della giovane donna. Le tenebre finallora avevano celato le ferite di quel corpo, il lividore di quel volto.
Riccardo la contemplava ammutolito, mentre Pietro le si era inginnocchiato vicino, mormorando con voce soffocata dai singhiozzi, bestemmiando e gemendo insieme:
— Ah, maledetti, ah maledetti! Vittoria, apri gli occhi, Vittoria! Ed io che mi ero lusingato nel sentirmi lodare! Ferita al petto!... Lo conosco, lo conosco cotesto rantolo!
Invero ella aveva aperto gli occhi ma il respiro le gorgogliava nella gola: i grumi del sangue ostruendo la ferita avevano ritardato l’agonia. Aprì gli occhi che si fissarono su Riccardo con una ineffabile espressione di riconoscenza e di passione; poi sorrise a Pietro il cui viso rozzo e massiccio aveva una solenne espressione di dolore. Stentatamente stese la mano per cercare quella di Alma che le si era fatta vicino e la guardava sconvolta.
— Avrei voluto... morire così... — disse convoce affannosa, rotta dai rantoli. — È stata tutta un turbine la mia vita... un turbine di sangue... di delitti... Io mi credevo nata per la strage... nata per l’infamia... Non era vero, non era vero!.... Quando ti vidi, Riccardo, intesi come se ad un tratto... balzasse fuori un’altra donna... che io non conoscevo... Sarei morta dannata... non avrei chiesto perdono al buon Dio... dei miei delitti... dei miei orrendi delitti... Se... se tu Riccardo non fossi venuto...
Tacque chè il rantolo le soffocava le parole. Chini su lei, quei due uomini da lungo tempo familiarizzati con la morte, quella giovinetta la cui vita era stata tutta una festa, si sentivano accomunati dalla solennità dell’ora.
Per un sentimento di suprema delicatezza tanto Alma che Riccardo evitavano di guardarsi e di rivolgersi la parola. Alma si era avvicinata vieppiù alla morente, ed avendole messo il braccio sotto la testa la teneva stretta a sè, contemplandola con gli occhi gonfi di lagrime.
Nel riaprire gli occhi la morente comprese l’atto affettuoso: ebbe negli occhi che già la morte velava, un lampo di gioia profonda.
— Grazie — mormorò con un sorriso. — Vuol dire che Dio mi ha perdonato... Ma ho una colpa... una grave colpa da confessare a voi... a te, Riccardo, ed anche a te, Pietro... Frugate nella tasca della mia giacca... vi troverete una carta... Datemela.
Pietro il Toro che lagrimava silenziosamente, ubbidì alle parole di Vittoria: ma quando dalla tasca interna della giacca di lei trasse una carta ingiallita e logora dal tempo, macchiata qua e là di sangue, trasalì come se l’avesse riconosciuta.
— Ah diavolo, diavolo! — non potè trattenersi dal mormorare.
— Te l’ho rubata io... un giorno... — disse lei con un vago sorriso — quando tu mi parlasti del... del matrimonio del duca di Fagnano.
Riccardo che ascoltava tutto immerso nel suo dolore, credendo che quelle parole fossero un effetto del delirio, alzò il capo al nome del padre suo.
— Non vi affaticate — mormorò Alma, anche lei credendo che la moribonda fosse in preda al delirio, mentre l’attirava vieppiù a sè ond’ella potesse riposare con più agio.
— No, no, non mi affatico... anzi mi fa bene... Morirò più tranquilla...
— Non morirete; la vostra fibra robusta vincerà...
Ella, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì, e scuotendo il capo:
— No, no: ne ho viste delle ferite simili... eppoi Pietro che se ne intende ha creduto inutile financo di fasciarmi... Dunque, prima che io muoia... do a voi, buona creatura, questa carta che è l’atto matrimoniale del duca di Fagnano... lo do a voi perchè... la diate a lui... per esser riconosciuto.
In ciò dire porse ad Alma la carta che Pietro le aveva tolto dall’abito.
— Voi — continuò la moribonda con voce che sempre più si affievoliva — voi potrete esser felici se perdonate a lui come perdonate a me... Ha subito il destino, ma io ho letto bene nell’anima sua... e so, so... che egli vi ama... Bisogna però che quella donna vada via... quella donna per la quale tanti son morti laggiù! Ah, avrei voluto morire laggiù, fra i miei boschi... i miei morti... ma vicino a voi, così!...
Il rantolo diveniva vieppiù insistente; già leforze erano per esaurirsi. Ella volgeva i tardi occhi ora a Riccardo, ora ad Alma con una espressione ineffabile. Poi, come assalita da un subito pensiero, si rivolse alla giovinetta e le disse con un filo di voce:
— Se la sapete l’Ave Maria, dite l’Ave Maria... Son dieci anni che non ho pregato e non ho sentito pregare!
La giovinetta le si appressò vieppiù e si diede a mormorare l’orazione. Il viso della moribonda parve che al suono di quelle dolci parole si abbuiasse atterrito; ma dopo un istante aprì gli occhi e, come se fissassero una visione, a poco a poco gli occhi sorrisero, le labbra sorrisero, un’aria di pace, di serenità le si diffuse pel volto.
— Madre mia... madre mia!... — mormorò.
La voce finì in un sospiro e il capo le ricadde sul braccio di Alma.
— Morta! — gemette Riccardo che le teneva fissi gli occhi negli occhi e ne aveva prese le mani fra le sue.
— Uccisa dagl’Inglesi, dagl’Inglesi! Ah, maledizione all’anima mia! — gridò Pietro il Toro sconvolto.
La giovinetta, che si era levata in ginocchio, disse con voce solenne:
— Preghiamo per la salvezza di questa povera anima che è volata a Dio pentita e fidente nella sua misericordia!
I dire uomini, in ginocchio anch’essi, piegarono la testa e pregarono sommessamente.
Un’ora dopo, essendo già alto il sole, Riccardo ruppe pel primo il silenzio e disse rivoltosi a Pietro il Toro:
— Ieri nel ricevere il messo che m’indicò dove avrei potuto trovarvi, ordinai che una carrozzasi tenesse pronta presso il fondaco che è a mezz’ora da qui. Bisogna che uno di noi vada ad avvisare il cocchiere perchè qui la conduca.
— Vado io — disse Pietro il Toro.
Alma intanto si era tolto il mantello e ne veniva coprendo il cadavere di Vittoria. Alla risposta di Pietro alzò gli occhi in viso a Riccardo che era rimasto perplesso. Comprese che aspettava il suo assenso per lasciar partire Pietro, temendo che a lei dispiacesse di restar sola con lui.
— Grazie, cugino — gli disse — di aver provveduto e quanto mi è pur necessario, chè davvero non mi reggo. Andate, Pietro, ed è inutile vi raccomandi di usar prudenza.
— Prudenza, prudenza! — borbottò il vecchio scorridore. — Glielo vorrò far scontare, se li incontro, il sangue di quella povera donna!
Volse gli occhi lagrimosi al cadavere di Vittoria, poi dopo aver rimosso l’enorme pietra scese sul greto del torrentello, guardò da ogni parte la sovrastante via maestra e vide che era deserta.
— Povera Vittoria! — disse incamminandosi per un sentieruolo che saliva sulla strada. — Forse la sua morte ha fatto un gran bene a capitan Riccardo. Lei, dunque, lei aveva preso quella carta per trent’anni da me custodita con tanta cura? Ed io che aveva mandato tante bestemmie e tante imprecazioni al ladro! Va a non credere a quel che dicono i nostri vecchi, che le bestemmie e le imprecazioni colgono, colgono quando ci si mette dentro la mala intenzione! Ah se l’avessi saputo, non avrei imprecato così, povera Vittoria!
Riccardo nel sentirsi chiamare cugino da Alma, quantunque profondamente afflitto per la morte di quella povera donna, aveva inteso nel cuore come un’ondata di gioia. Non era soltanto il riconoscimentodel suo diritto, era per lui qualcosa di più, il riconoscimento del legame che li avvinceva.
È vero che una fatalità inesorabile pesava su entrambi: i suoi rapporti con la Regina; ma se tali rapporti impedivano che il suo amore, il suo unico e vero amore fosse coronato da un lieto fine; se non si sentiva il coraggio di spezzarli per non abbandonare colei che era stata da tutti abbandonata, oramai poteva dirsi sicuro che Alma lo amava, quantunque non osasse confessarlo. Lo amava, e forse comprendeva pur troppo che egli per aver ceduto al fascino di un istante si trovava impigliato in quei rapporti che la ferivano nel suo pudore di fanciulla, e pure essendone gelosa senza averne il diritto, le facevano sentir vergogna di tale gelosia!
Essi si tenevano immobili senza scambiar parola, ciascuno nel luogo ove prima stava. Tra lui e lei vi era quel cadavere, ond’ella sentiva custodita il suo pudore ben più che se si trovasse in mezzo ai valletti ed alle cameriere della Corte. Volgeva di tanto in tanto lo sguardo alla morta con una pietà profonda, sentendo come acuito il suo amore per Riccardo.
Quanto l’aveva amato quella poveretta, tanta benefica influenza aveva su lei esercitato quell’amore a cui attribuiva la gentile soavità degli ultimi istanti di colei che era stata sì crudele e sì feroce, a cui attribuiva anche il pentimento che nell’ultima ora aveva dato al viso di lei un’impronta di rassegnata dolcezza! Dunque ben degno dell’amor suo esser doveva quell’uomo, pel quale una regina era scesa dal suo trono e un’avventuriera era morta beata del di lui compianto!
Forse anche influiva la prova irrefutabile che egliera il legittimo figlio del duca di Fagnano, il vero signore e padrone dei domini che il padre suo aveva usurpato, a farle sentire con più violenza, con più deliberato proposito quell’amore che fino a quel giorno era stato un sentimento vago, fluttuante nel suo cuore di giovinetta. Per la prima volta ne subiva tutto il fascino, per la prima volta si sentiva pervasa da un turbamento del tutto nuovo in lei. E rievocava le impressioni di un tempo, quando si era accorta con superbo disdegno che egli, misero trovatello allora, la contemplava con occhi estasiati, e si spiegava adesso perchè, anche in quel superbo disdegno, ella in fondo sentisse come una vaga compiacenza di essere contemplata così. Ci era dunque qualcosa in lui che la interessava incoscientemente, che vinceva il pregiudizio, che giungeva fino a lei pure attraverso l’immane distanza che separava la figliuola del duca di Fagnano dal miserabile e meschino contadinello!
E l’una e l’altro erano in questi pensieri che si incontravano per confondersi di sopra al cadavere freddo, stecchito della povera Vittoria.
Fu lei la prima a rompere il silenzio. Prese la carta che Vittoria le aveva dato e porgendola al giovane disse:
— Questo documento conferma inappellabilmente il vostro diritto, signor duca di Fagnano.
Egli fece un gesto come per respingerla.
— Custoditelo voi, cugina — disse con un sospiro. — Il mio diritto non può venirmi che da voi, ma so bene che voi non varcherete mai l’abisso che ci separa per una fatalità alla quale nessuno di noi può sottrarsi, oramai! Il giorno in cui mi occorresse, ve lo chiederei.
— Nè io nè mio padre vorremo d’oggi innanzi portare un titolo che non ci spetta! — rispose lei.
— Voi lo porterete perchè siete del mio sangue, lo porterete per evitare che i Francesi considerandolo come un’eredità giacente ne investano qualcuno indegno di portarlo. Voi non fate solo a me cosa grata, a me che un giorno o l’altro finirò come è finita quella poveretta, ma ai nostri padri che ci fan l’obbligo di non lasciare spegnere il loro nome!
Ella arrossì a tali parole. Pure vincendo se stessa alzò il capo e figgendo gli occhi negli occhi del giovine:
— Io mi chiuderò in un convento! — disse con tale espressione di risolutezza e di convinzione nello sguardo che egli ne comprese tutto l’amaro significato. Era per prorompere quando Pietro il Toro apparve.
— Presto — disse — presto. La carrozza vi aspetta.
Ella si alzò, ma Riccardo ancora perplesso per le parole di lei non aveva risposto a Pietro.
— Capitan Riccardo — disse questi — ora la strada è deserta e la carrozza potrà percorrerla sicura di non fare cattivi incontri, ma non garantisco se più oltre s’indugia....
Riccardo fece un segno di assenso; poi s’inginocchiò presso il cadavere di Vittoria, sollevò il panno che ne copriva il volto e stette un istante a contemplarla. Gli occhi velati dalla morte avevano come una vaga dolcezza, il viso era improntato ad una tristezza serena.
— Eri nata per la fede, eri nata per l’amore, povera creatura! — disse Riccardo con voce di pietà e di dolore. — Dio ti avrà perdonato perchè avrà ben letto in fondo all’anima tua!
Si chinò per baciarle la fronte gelida e bianca: nel risollevarsi vide che Alma aveva colto alcunifiori silvestri dal roveto che era presso allo sbocco dell’acquedotto.
— Voi siete fatta di bontà e di dolcezza — disse lui commosso, comprendendo il perchè di quei fiori.
Ella depose i fiori sul seno della morta. Poi, dopo avere alquanto esitato, si chinò di nuovo, prese uno di quei fiori e lo porse a Riccardo.
— Grazie! — esclamò lui, baciando la mano che glielo porgeva. — Sì, sì, sia il perdono... se non è la speranza!
Mentre erano per uscire, vedendo che Pietro, il quale si appoggiava ad un badile, non li seguiva, Riccardo gli disse:
— E tu, Pietro, non vieni?
— Io resto qui per seppellirla! — rispose Pietro con le lagrime nella voce.