CAPITOLO DECIMO.SOMMARIO.I. Si sparge la nuova della fuga di Giacomo; grande agitazione.—II. I Lordi si radunano in Guildhall—III. Tumulti in Londra.—IV. La casa dello Ambasciatore di Spagna è saccheggiala.—V. Arresto di Jeffreys.—VI. La Notte Irlandese—VII. Il Re è arrestato presso Sheerness.—VIII. I Lordi ordinano che sia posto in libertà .—IX. Imbarazzo di Guglielmo.—X. Arresto di Feversham; arrivo di Giacomo a Londra.—XI. Consulta tenuta in Windsor.—XII. Le truppe olandesi occupano Whitehall.—XIII. Messaggio del Principe a Giacomo.—XIV. Giacomo parte per Rochester.—XV. Arrivo di Guglielmo al Palazzo San Giacomo.—XVI. Lo consigliano ad assumere la Corona per diritto di conquista.—XVII. Egli convoca i Lordi e i Membri deʼ Parlamenti di Carlo II.—XVIII. Giacomo fugge da Rochester.—XIX. Discussioni e determinazioni deʼ Lordi.—XX. Discussioni e determinazioni deʼ Comuni convocati dal Principe.—XXI. Si convoca una Convenzione; sforzi del Principe per ristabilire lʼordine.—XXII. Sua politica tollerante.—XXIII. Satisfazione deʼ potentati cattolici romani; pubblica opinione in Francia.—XXIV. Accoglienze fatte alla Regina dʼInghilterra in Francia.—XXV. Arrivo di Giacomo a Saint-Germain.—XXVI. Pubblica opinione nelle Province Unite—XXVII. Elezione dei Membri della Convenzione.—XXVIII. Affari di Scozia.—XXIX. Partiti in Inghilterra.—XXX. Disegno di Sherlock—XXXI. Disegno di Sancroft.—XXXII. Disegno di Danby.—XXXIII. Disegno dei Whig. La Convenzione si aduna; membri principali della Camera dei Comuni.—XXXIV. Elezione del Presidente—XXXV. Discussione sopra le condizioni della nazione.—XXXVI. Deliberazione che dichiara vacante il trono. È spedita alla Camera dei Lordi; Discussione nella Camera dei Lordi intorno al disegno di nominare una reggenza.—XXXVII. Scisma tra i Whig e i seguaci di Danby.—XXXVIII. Adunanza in casa del Conte di Devonshire.—XXXIX. Discussione nella Camera deʼ Lordi intorno alla questione se il trono debba considerarsi come vacante. La maggioranza nega.—XL. Agitazione in Londra.—XLI. Lettera di Giacomo alla Convenzione.—XLII. Discussioni; Negoziati; Lettera del Principe dʼOrange a Danby.—XLIII. La principessa Anna aderisce al disegno deʼ Whig.—XLIV. Guglielmo manifesta i proprii pensieri.—XLV. Conferenza delle due Camere.—XLVI. I Lordi cedono.—XLVII. Proposta di nuove Leggi per la sicurezza della Libertà .—XLVIII. Dispute e Concordia.—XLIX. La Dichiarazione dei Diritti.—L. Arrivo di Maria.—LI. Offerta ed accettazione della Corona.—LII. Guglielmo e Maria vengono proclamati.—LIII. Indole speciale della Rivoluzione inglese.I. Northumberland ubbidì fedelmente al comando, e non aprì lʼuscio del regio appartamento se non a giorno chiaro.Lʼanticamera era piena di cortigiani venuti a complire il Re allʼalzarsi da letto, e di Lordi chiamati a consiglio. La nuova della fuga di Giacomo in un istante volò dalla reggia alle strade, e tutta la metropoli ne rimase commossa.Eʼ fu un terribile momento. Il Re se nʼera andato; il Principe non ancora giunto; non era stata istituita una Reggenza; il Gran Sigillo, essenziale allʼamministrazione della ordinaria giustizia, era scomparso. Presto si seppe che Feversham, ricevuta la lettera del Re, aveva subitamente disciolto lo esercito. Quale rispetto per le leggi e la proprietà potevano avere i soldati in armi e raccolti, senza il freno della disciplina militare, e privi delle cose necessaria alla vita? Dallʼaltro canto la plebe di Londra da parecchi giorni mostravasi fortemente inchinevole al tumulto ed alla rapina. La urgenza del caso congiunse per breve tempo tutti coloro ai quali importava la pubblica quiete. Rochester aveva fino a quel giorno fermamente aderito alla causa regia. Adesso conobbe non esservi che una sola via per evitare lo universale scompiglio. «Congregate le vostre guardie» disse egli a Northumberland, «e dichiaratevi pel Principe dʼOrange.» Northumberland seguì prontamente il consiglio. I precipui ufficiali dello esercito che allora trovavansi in Londra convennero a Whitehall, e deliberarono di sottoporsi alle autorità di Guglielmo, e finchè conoscessero la volontà di lui, tenere sotto disciplina i loro soldati, ed assistere la potestà civile onde mantenere lʼordine.[573]II. I Pari recaronsi a Guildhall, e dai magistrati della città vi furono ricevuti con tutti gli onori. A rigore di legge i Pari non avevano maggior diritto che ogni altra classe di persone ad assumere il potere esecutivo. Ma egli era alla pubblica salvezza necessario un governo provvisorio; e gli occhi di tutti naturalmente volgevansi ai magnati ereditari del Regno. La gravità del pericolo trasse Sancroft fuori dal suo palazzo. Occupò il seggio; e, lui presidente, il nuovo Arcivescovo di York, cinque Vescovi, e ventidue Lordi secolari, deliberarono di comporre, sottoscrivere e pubblicare un Manifesto.In questo documento dichiararono di aderire fermamente alla religione e alla costituzione del paese; aggiunsero che avevano vagheggiata la speranza di vedere raddrizzati i torti e ristabilita la pubblica quiete dal Parlamento pur allora convocato dal Re; ma tale speranza rimaneva distrutta dalla sua fuga. Per lo che avevano deliberato di congiungersi col Principe dʼOrange onde rivendicare le patrie libertà , assicurare i diritti della Chiesa, accordare una giusta libertà di coscienza ai dissenzienti e rafforzare in tutto il mondo glʼinteressi del protestantismo. Fino allo arrivo di Sua Altezza essi erano pronti ad assumere la responsabilità di prendere i provvedimenti necessari alla conservazione dellʼordine. Sullʼistante fu spedita una deputazione a presentare il predetto Manifesto al Principe, ed annunziargli chʼegli era impazientemente aspettato a Londra.[574]I Lordi quindi si posero a pensare intorno ai modi di prevenire ogni tumulto. Fecero chiamare i due Segretari di Stato. Middleton ricusò di ubbidire a quella chʼegli considerava autorità usurpata: ma Preston, ancora attonito per la fuga del suo signore, e non sapendo che cosa aspettarsi, obbedì alla chiamata. Un messaggio fu mandato a Skelton Luogotenente della Torre, perchè si presentasse in Guildhall. Andatovi, gli fu detto non esservi più oltre mestieri deʼ suoi servigi, e però consegnasse immediatamente le chiavi. Gli fu sostituito Lord Lucas. Nel tempo stesso i Pari ordinarono che si scrivesse a Darthmouth ingiungendogli dʼastenersi da ogni atto ostile contro la flotta olandese, e di licenziare tutti gli ufficiali papisti a lui sottoposti.[575]La parte che in cotesti procedimenti ebbero Sancroft ed altri che fino a quel giorno si erano mantenuti strettamente fedeli al principio della obbedienza passiva, è degna di speciale considerazione. Usurpare il comando delle forze militari e navali dello Stato, destituire gli ufficiali preposti dal Re al comando deʼ suoi castelli e navigli, e inibire allo ammiraglio di dare battaglia ai nemici di lui, erano niente meno che attidi ribellione. E nonostante vari Tory abili ed onesti, seguaci della scuola di Filmer, erano persuasi di poter fare tutte le sopra dette cose senza incorrere nella colpa di resistere al loro Sovrano. Il loro argomentare era per lo meno ingegnoso. Dicevano, il Governo essere ordinato da Dio, e la monarchia ereditaria eminentemente ordinata da Dio. Finchè il Re comanda ciò che è legittimo, noi siamo tenuti a prestargli obbedienza attiva; comandando ciò che è illegittimo, obbedienza passiva. Non vi è caso estremo che ne possa giustificare ad opporci a lui con la forza. Ma ove a lui piaccia di deporre il suo ufficio, egli perde ogni diritto sopra di noi. Finchè ci governa, quantunque ci governi male, siamo obbligati a chinare la fronte; ma ricusando egli di governarci in veruna maniera, non siamo tenuti a rimanere perpetuamente privi di governo. Lʼanarchia non è ordinamento di Dio; nè egli ci ascriverà a peccato se nel caso che un principe, il quale in onta a gravissime provocazioni non abbiamo cessato mai di onorare e obbedire, si parta senza che noi sappiamo dove, non lasciando un suo vicario, ci apprendiamo al solo partito che ci rimanga a impedire la dissoluzione della società . Se il nostro Sovrano fosse rimasto fra noi, noi saremmo pronti, per quanto poco egli meritasse il nostro affetto, a morire ai suoi piedi. Se, lasciandoci, avesse nominato una reggenza per governarci con autorità delegatale durante la sua assenza, noi ci saremmo rivolti a tale reggenza soltanto. Ma egli è scomparso senza lasciare nessun provvedimento per la conservazione dellʼordine o per lʼamministrazione della giustizia. Con lui e col suo Gran Sigillo è sparita tutta la macchina per mezzo della quale si possa punire un assassino, decidere del diritto di proprietà , distribuire ai creditori i beni dʼun fallito. Il suo ultimo atto è stato di sciogliere migliaia dʼuomini armati dal freno della disciplina militare, e porli in condizioni o di saccheggiare o di morire di fame. Fra poche ore ciascun uomo sʼarmerà contro il suo prossimo. La vita, gli averi, lʼonore delle donne saranno in balìa di ogni uomo sfrenato. Noi adesso ci troviamo in quello stato di natura intorno al quale i filosofi hanno scritto cotanto; nel quale stato siamo posti non per colpa nostra, ma per volontario abbandonodi colui che avrebbe dovuto essere nostro protettore. Il suo abbandono può dirittamente chiamarsi volontario: imperocchè nè la vita nè la libertà sue erano in periglio. I suoi nemici già avevano consentito ad aprire pratiche dʼaccordo sopra una base proposta da lui stesso, ed eransi offerti a sospendere immediatamente le ostilità a patti che egli non negava essere liberali. In tali circostanze egli ha disertato il suo posto. Noi non facciamo la minima ritrattazione; non siamo in cosa alcuna incoerenti. Ci manteniamo tuttavia fermi senza modificazione nelle nostre vecchie dottrine. Seguitiamo a credere che in qualunque caso è peccato resistere al magistrato; ma affermiamo che adesso non vi è verun magistrato cui resistere. Colui che era magistrato, dopo dʼavere per lungo tempo fatto abuso della propria potestà , ha abdicato da sè. Lo abuso non ci dava diritto a deporlo: ma lʼabdicazione ci dà diritto a provvedere al miglior modo di supplire al suo ufficio.III. Per cosiffatte ragioni il partito del Principe si accrebbe di molti che per lʼinnanzi sʼerano tenuti in disparte. A memoria dʼuomo non era mai stata, come in quella congiuntura, una quasi universale concordia fra glʼInglesi; e mai quanto allora vʼera stato sì grande bisogno di concordia. Non vʼera più alcuna autorità legittima. Tutte le tristi passioni che il Governo ha debito dʼinfrenare, e che i migliori Governi imperfettamente infrenano, trovaronsi in un subito sciolte dʼogni ritegno; lʼavarizia, la licenza, la vendetta, il vicendevole odio delle sètte, il vicendevole odio delle razze. In simiglianti casi avviene che le belve umane, le quali, abbandonate dai ministri dello Stato e della religione, barbare fra mezzo alla città , pagane fra mezzo al cristianesimo, brulicano tra ogni fisica e morale bruttura nelle cantine e nelle soffitte delle grandi città , acquistino a un tratto terribile importanza. Così fu di Londra. Allo avvicinarsi della notte—per avventura la più lunga notte dellʼanno—eruppero da ogni spelonca di vizio, dalle taverne di Hockley e dal laberinto dʼosterie e di bordelli nel quartiere di Friars, migliaia di ladroncelli e di ladroni, di borsaiuoli e di briganti. A costoro mescolaronsi migliaia dʼoziosi giovani di bottega, i quali ardevano solo della libidinedi tumultuare. Perfino uomini pacifici ed onesti erano spinti dallʼanimosità religiosa a congiungersi con la sfrenata plebaglia: imperocchè il grido di «Giù il Papismo,» grido che aveva più volte messa a repentaglio la esistenza di Londra, era il segnale dellʼoltraggio e della rapina. Primamente la canaglia gettossi sopra le case appartenenti al culto cattolico. Gli edifici furono atterrati. Banchi, pulpiti, confessionali, breviari furono accatastati ed arsi. Un gran monte di libri e di arredi era in fiamme presso il convento di Clerkenwell. Unʼaltra catasta bruciava innanzi le rovine del convento deʼ Francescani in Lincolnʼs Inn Fields. La cappella in Lime Street, la cappella in Bucklersbury, furono smantellate. Le dipinture, le immagini, i crocifissi vennero condotti trionfalmente per le vie al lume delle torce divelte dagli altari. La processione pareva una selva di spade e di bastoni, e in cima ad ogni spada e bastone era fitta una melarancia. La stamperia reale, donde nei precedenti tre anni erano usciti innumerevoli scritti in difesa della supremazia del Papa, del culto delle immagini, e deʼ voti monastici, per adoperare una grossolana metafora che allora per la prima volta cominciò ad usarsi, fu sventrata. La vasta provigione di carta, che in gran parte non era lordata dalla stampa, apprestò materia ad un immenso falò. Daʼ monasteri, dai templi, dai pubblici uffici la furibonda moltitudine si volse alle private abitazioni. Parecchie case furono saccheggiate e distrutte: ma la pochezza del bottino non appagando i saccheggiatori, tosto si sparse la voce che le cose più preziose deʼ papisti erano state poste al sicuro presso gli ambasciatori stranieri. Nulla importava alla selvaggia e stolta plebaglia il diritto delle genti e il rischio di provocare contro la patria la vendetta di tuttaquanta lʼEuropa. Le case degli ambasciatori furono assediate. Una gran folla si raccolse dinanzi la porta di Barillon in Saint Jamesʼs Square. Ei nondimeno si condusse meglio di quel che si sarebbe creduto. Imperocchè, quantunque il Governo da lui rappresentato fosse tenuto in aborrimento, la liberalità sua nello spendere e la puntualità nel pagare lo avevano reso bene affetto al popolo. Inoltre egli aveva presa la precauzione di chiedere parecchi soldati a guardia della sua casa: e perchèvari uomini dʼalto grado che abitavano vicino a lui, avevano fatto lo stesso, una forza considerevole si raccolse in quella piazza. La tumultuante plebe quindi, assicuratasi che sotto il tetto di Barillon non vʼerano nascosti nè armi nè preti, cessò di molestarlo e ne andò via. Lo ambasciatore veneto fu protetto da una compagnia militare: ma le magioni dove abitavano i ministri dello Elettore Palatino e del Granduca di Toscana, furono distrutte. Una preziosa cassetta il Ministro Toscano riuscì a salvare dalle mani deʼ facinorosi. Vi si contenevano nove volumi di memorie scritte di mano propria da Giacomo. I quali volumi, pervenuti a salvamento in Francia, dopo lo spazio di cento e più anni, perirono fra le stragi dʼuna rivoluzione assai più formidabile di quella dalla quale erano scampati. Ma ne rimangono tuttavia alcuni frammenti, che, comunque gravemente mutili e incastrati in una farragine di fanciullesche finzioni, sono ben meritevoli dʼattento studio.IV. Le ricche argenterie della Cappella Reale erano state depositate in Wild House presso Lincolnʼs Inn Fields, dove abitava Ronquillo ambasciatore di Spagna. Ronquillo, sapendo chʼegli e la sua Corte non avevano male meritato della nazione inglese, non aveva creduto necessario chiedere dei soldati: ma la marmaglia non era in umore da fare sottili distinzioni. Il nome di Spagna da lungo tempo richiamava alla mente degli Inglesi la idea della Inquisizione, dellʼArmada, delle crudeltà di Maria, e delle congiure contro Elisabetta. Ronquillo dal canto suo sʼera acquistato di molti nemici fra il popolo, giovandosi del suo privilegio per non pagare i suoi debiti. E però la sua casa fu saccheggiata senza misericordia; ed una pregevole biblioteca da lui raccolta rimase preda delle fiamme. Il solo conforto chʼegli ebbe in tanto disastro fu di potere salvare dalle mani degli aggressori lʼostia santa che era nella sua cappella.[576]La mattina del di 12 dicembre sorse in assai lugubre aspetto. La metropoli in molti luoghi presentava lo spettacolo dʼuna città presa dʼassalto. I Lordi ragunaronsi in Whitehall e fecero ogni sforzo per ristabilire la quiete. Le milizie civiche furono chiamate alle armi. Un corpo di cavalleria fu tenuto pronto a disperdere i tumultuosi assembramenti. Ai governi stranieri fu peʼ gravi insulti data quella soddisfazione che si potè maggiore in quel momento. Fu promesso un premio a chiunque scoprisse le robe rapite in Wild House; e Ronquillo al quale non era rimasto un solo letto o unʼoncia dʼargento, fu splendidamente alloggiato nel deserto palagio dei Re dʼInghilterra. Gli fu apprestata una sontuosa mensa; e gli ufficiali della Guardia Palatina ebbero ordine di stare nella sua anticamera come costumavasi fare col Sovrano. Tali segni di rispetto abbonirono il puntiglioso orgoglio della Corte Spagnuola, e tolsero ogni pericolo di rottura.[577]V. Ad ogni modo, non ostante i bene intesi sforzi del Governo Provvisorio, lʼagitazione facevasi ognora più formidabile. La fu accresciuta da un caso che anche oggi dopo tanto tempo non può narrarsi senza provare il piacere della vendetta. Uno speculatore che abitava in Wapping, e trafficava prestando ai marini del luogo pecunia ad usura, aveva tempo innanzi prestato una somma, prendendo ipoteca sul carico dʼuna nave. Il debitore ricorse al tribunale detto dʼEquità , per essere sciolto dalla sua obbligazione; e la causa fu portata dinanzi a Jeffreys. Lo avvocato del debitore avendo poche ragioni da allegare, disse che il prestatore era un barcamenante. Il Cancelliere, appena udito ciò, si accese di rabbia. «Un barcamenante! dove è egli? Chʼio lo veda. Ho sentito parlare di quella specie di mostro. A che si assomiglia egli?» Lo sventurato creditore fu costretto a comparire. Il Cancelliere gli rivolse ferocissimo lo sguardo, inveì contro lui, e cacciollo via mezzo morto dallospavento. «Finchè avrò vita» disse il povero uomo uscendo barcollante dalla corte, «non dimenticherò mai quel terribile aspetto.» Ma finalmente era per lui arrivato il giorno della vendetta. Il barcamenante passeggiava per Wapping, allorquando gli parve di conoscere il riso dʼun uomo il quale faceva capolino dalla finestra dʼuna birreria. Non poteva ingannarsi. Aveva rasi i sopraccigli; vestiva lʼabito di un marinajo di Newcastle ed era coperto di polve di carbone: ma il selvaggio occhio e la bocca di Jeffreys non erano tali da non riconoscersi. Fu dato lʼallarme. In un istante la birreria fu circondata da centinaia di popolani che imprecando scuotevano i loro bastoni. Il fuggitivo Cancelliere ebbe salva la vita da una compagnia della milizia civica; e fu condotto dinanzi al Lord Gonfaloniere. Questi era uomo semplice, vissuto sempre nella oscurità , e adesso trovandosi attore importante in una grande rivoluzione, sʼera sentito venire il capogiro. Gli avvenimenti delle ventiquattro ore decorse, e lo stato pericoloso della Città alle sue cure affidata, lo avevano perturbato di mente e di corpo. Allorchè il grande uomo, al cui cipiglio, pochi giorni avanti, aveva tremato lʼintero Regno, fu tratto al tribunale, bruttato di ceneri, mezzo morto di spavento e seguito da una rabbiosa moltitudine, si accrebbe oltre ogni credere lʼagitazione del male arrivato Gonfaloniere. Convulso e fuori di sè fu trasportato a letto, donde non sorse più. Intanto la folla di fuori cresceva sempre, e orribilmente tempestava. Jeffreys pregò dʼessere menato in prigione. Si ottenne a tale effetto un ordine deʼ Lordi che sedevano in Whitehall; ed ei fu condotto in una carrozza alla Torre. Procedeva scortato da due reggimenti della milizia civica, i quali non senza difficoltà potevano frenare il popolo. Più volte si videro nella necessità di ordinarsi come se avessero a sostenere un assalto di cavalleria, e di presentare una selva di picche alla irrompente plebe. La quale vedendo rapirsi la vendetta teneva dietro al cocchio con urli di rabbia fino alla porta della Torre, brandendo bastoni e scuotendo capestri agli occhi del prigioniero. Lo sciagurato intanto tremava di spavento; arrostava le mani, affacciavasi con occhi stralunati ora a questo ora a quello degli sportelli, e fra il tumulto si udiva gridare: «Teneteli lontani,o signori! Per lʼamore di Dio, teneteli lontani!» Infine dopo aver provate amarezze maggiori di quelle della morte, fu in sicurtà alloggiato nella fortezza, dove alcune delle sue più illustri vittime avevano passati gli estremi giorni della loro vita, e dove egli fu destinato a finire la sua con inenarrabile ignominia ed orrore.[578]In tutto questo tempo si cercarono diligentemente i preti cattolici romani. Molti vennero arrestati. Due Vescovi, cioè Ellis e Leyburn, furono mandati a Newgate. Il Nunzio che aveva poca ragione a sperare che la moltitudine rispettasse il suo carattere sacerdotale e politico, fuggì travestito da servitore fra la gente del Ministro di Savoja.[579]VI. Un altro giorno di agitazione e di terrore si chiuse, e fu seguito dalla più strana e terribile notte che fosse mai stata in Inghilterra. Sul far della sera la plebaglia aggredì una magnifica casa pochi mesi avanti edificata per Lord Powis, la quale nel regno di Giorgio II era residenza del Duca di Newcastle, e che si vede anche oggi allʼangolo tra ponente e tramontana di Lincolnʼs Inn Fields. Vi furono mandati alcuni soldati: la plebaglia fu dispersa, la quiete sembrava ristabilita, e i cittadini se ne tornavano in pace alle proprie case, quando sorse un bisbiglio che in un momento divenne tremendo clamore, ed in unʼora da Piccadilly giunse a Whitechapel e si sparse per tutta la metropoli. Dicevasi che glʼIrlandesi lasciati senza freno da Feversham marciavano alla volta di Londra facendo strage dʼogni uomo, donna e fanciullo che incontrassero per via. Allʼuna ora della mattina i tamburi della milizia civica suonavano allʼarme. In ogni dove le donne atterrite piangevano ed arrostavano le mani, mentre i padri e i mariti loro armavansi per uscire a combattere. Prima delle ore due la metropoli presentava un aspetto sì bellicoso che avrebbe potuto atterrire unʼarmata regolare. A tutte le finestre vedevansi i lumi. I luoghi pubblici risplendevano come se fossepieno giorno. Le grandi vie erano asserragliate. Venti e più mila picche ed archibugi fiancheggiavano le strade. Lʼultima alba del solstizio dʼinverno trovò tutta la città ancora in armi. Pel corso di molti anni i Londrini serbarono viva ricordanza di quella chʼessi chiamavano la Notte Irlandese. Come si seppe non esservi nessuna cagione di timore, il Governo cercò studiosamente dʼindagare lʼorigine della ciarla che aveva fatto nascere cotanta agitazione. Sembra che taluni, che avevano sembianze e vesti di contadini pur allora giunti dalla campagna, spargessero poco prima di mezza notte la nuova neʼ suburbi: ma donde venissero e chi li movesse, rimase sempre un mistero. Poco dopo da molti luoghi arrivarono notizie che accrebbero maggiormente la universale perplessità . Il timore panico non aveva invaso la sola Londra. La voce che i soldati irlandesi disciolti venivano a fare scempio deʼ Protestanti era stata sparsa, con maligna destrezza, in molti luoghi lʼuno a lunga distanza dallʼaltro. Gran numero di lettere, con molta arte scritte a fine di spaventare lo ignorante popolo, erano state spedite per le diligenze, i vagoni, e la posta a varie parti della Inghilterra. Tutte queste lettere giunsero aʼ loro indirizzi quasi nel medesimo tempo. In cento città a unʼora la plebe credè che si appressassero i barbari in armi con lo intendimento di commettere scelleratezze simili a quelle che avevano infamata la ribellione dʼUlster. A nessuno deʼ Protestanti si sarebbe usata misericordia. I figliuoli sarebbero stati costretti per mezzo della tortura a trucidare i loro genitori. I bambini sarebbero confitti alle picche o gettati fra le fiammeggianti rovine di quelle che pur dianzi erano felici abitazioni. Grandi turbe di popolo si raccolsero armate; in taluni luoghi cominciarono a distruggere i ponti ed asserragliare le vie: ma il concitamento presto calmossi. In molti distretti coloro che erano stati vittime di tanto inganno udirono con piacere misto di vergogna non esservi un solo soldato papista che non fosse lontano sei o sette giorni di marcia. Veramente in qualche luogo accadde che alcuna banda dispersa dʼIrlandesi si mostrasse e dimandasse pane; ma non può loro attribuirsi a delitto se non si contentassero di morire di fame; e non vʼè prova che commettessero alcun grave oltraggio. Certo eranomeno numerosi di quel che supponevasi comunemente; e trovavansi scorati, vedendosi a un tratto privi di capitani e di vettovaglie framezzo a una potente popolazione, dalla quale erano considerati come un branco di lupi. Fra tutti i sudditi di Giacomo nessuno aveva più ragione ad esecrarlo che questi sciagurati membri della sua Chiesa e difensori del suo trono.[580]È cosa onorevole al carattere deglʼInglesi, che non ostante la generale avversione contro la religione cattolica romana e la razza irlandese, non ostante lʼanarchia che nacque alla fuga di Giacomo, non ostante le subdole macchinazioni adoperate a inferocire la plebe, non fu commesso in quella congiuntura nessuno atroce delitto. Molte facultà , a dir vero, furono distrutte e rapite; le case di molti gentiluomini cattolici romani aggredite; giardini devastati; cervi uccisi e portati via. Alcuni venerandi avanzi della nostra architettura del medio evo serbano tuttora i segni della violenza popolare. In molti luoghi lo andare e venire liberamente per le strade era impedito da una polizia creatasi da sè, la quale fermava ogni viandante onde sincerarsi con prove se fosse papista. Il Tamigi era infestato da una torma di pirati, che sotto pretesto di cercare armi o delinquenti, mettevano sossopra ogni barca che passava; insultati e maltrattati gli uomini impopolari. Molti che tali non erano, reputaronsi fortunati di potere riscattare le persone e la roba loro donando alcune ghinee ai fanatici Protestanti, i quali senza autorità legittima sʼerano fatti inquisitori. Ma in tutta cotesta confusione che durò vari giorni e si estese a molte Contee, nessuno deʼ Cattolici Romani perdè la vita. La plebaglia non mostrò brama di sangue, tranne nel caso di Jeffreys; e lʼodio di che sʼera reso segno costui poteva piuttosto chiamarsi umanità che crudeltà .[581]Molti anni dipoi Ugo Speke affermò che la Notte Irlandese era opera sua, chʼegli aveva istigati i villani che posero in concitazione Londra, e che egli era lo autore delle lettere le quali avevano sparso lo spavento in tutta lʼisola. La sua asserzionenon è intrinsecamente improbabile: ma non ha altra prova tranne le parole di lui. Egli era uomo bene capace di commettere tanta scelleraggine, e anche capace di vantarsi falsamente dʼaverla commessa.[582]Guglielmo era impazientemente aspettato a Londra, poichè nessuno dubitava che egli con la energia e abilità sue ristabilisse tosto lʼordine e la sicurezza pubblica. Nondimeno vi fu qualche indugio, del quale il Principe non può giustamente biasimarsi. La sua primitiva intenzione era stata di recarsi da Hungerford ad Oxford, dove, secondo che lo avevano assicurato, avrebbe avuto onorevoli e affettuose accoglienze: ma lo arrivo della deputazione partita da Guildhall lo indusse a cangiare pensiero e correre speditamente alla metropoli. Per via seppe che Feversham, obbedendo ai comandamenti del Re, aveva disciolto lo esercito, e che migliaia di soldati senza freno, e privi delle cose necessarie alla vita, erano sparse per le Contee le quali attraversa la via che mena a Londra. Gli era quindi impossibile di viaggiare con poco seguito senza grave pericolo non solo per la sua propria persona, di cui non aveva costume dʼessere molto sollecito, ma anche pei grandi interessi a lui affidati. Era mestieri che egli si movesse a seconda del muoversi delle sue milizie, le quali in quei tempi non potevano procedere se non lentamente a mezzo il verno per gli stradali della Inghilterra. In cosiffatte circostanze egli perdè alquanto il suo ordinario contegno. «Con me non si deve trattare a questo modo» esclamò egli con acrimonia, «e Milord Feversham se ne avvedrà bene.» Furono presi pronti e savi provvedimenti per rimediare ai mali cagionati da Giacomo. A Churchill e Grafton fu dato lo incarico di raggranellare la dispersa soldatesca e riordinarla. I soldati inglesi vennero invitati a rientrare nello esercito. Agli irlandesi fu fatto comandamento di rendere le armi sotto pena di essere trattati come banditi, ma fu loro assicurato che, obbedendo con pace, verrebbero provveduti del necessario.[583]Gli ordini del Principe furono quasi senza ostacolo mandatiad esecuzione, tranne la resistenza che fecero i soldati irlandesi che presidiavano Tilbury. Uno di costoro appuntò una pistola contro Grafton; lʼarme non prese fuoco, e lo assassino in sullʼistante fu steso morto da un Inglese. Circa due cento di cotesti sciagurati stranieri coraggiosamente tentarono di ritornare alla loro patria. Impossessaronsi di un bastimento grave di un ricco carico che pur allora dalle Indie era arrivato al Tamigi, e provaronsi di avere a forza piloti a Gravesend. Ma non ne potendo trovare alcuno, furono costretti a confidare in quel poco che essi medesimi sapevano dʼarte nautica. Il legno poco dopo investì contro la spiaggia, e a quei miseri dopo qualche spargimento di sangue fu forza porre giù le armi.[584]Erano già corse cinque settimane da che Guglielmo era in Inghilterra, duranti le quali gli aveva arriso la fortuna. Egli aveva fatto bella mostra di prudenza e fermezza, e nondimeno gli avevano meno giovato queste virtù sue che lʼaltrui insania e pusillanimità .Ed ora che ei sembrava vicino a conseguire il fine della sua intrapresa, sopraggiunse a sconcertargli i disegni uno di quegli strani accidenti che così spesso confondono i più studiati divisamenti della politica.VII. La mattina del di 13 dicembre, il popolo di Londra, non per anco riavutosi dallʼagitazione della Notte Irlandese, rimase attonito alla nuova che il Re era stato fermato ed era sempre nellʼisola. La nuova prese consistenza per tutto il giorno, e avanti sera fu pienamente confermata.Giacomo aveva viaggiato mutando cavalli lungo la riva meridionale del Tamigi, e la mattina del di 12 era giunto ad Emley Ferry presso lʼisola di Sheppey, dove aspettavalo la nave sopra la quale ei doveva imbarcarsi. Vi montò sopra; ma il vento spirava forte, e il padrone non volle rischiarsi a mettere alla vela senza maggior quantità di zavorra. In tal guisa una marea andò perduta. Era quasi a mezzo il suo corso la notte allorquando la nave cominciò a muoversi. In queʼ giorni la nuova che il Re era scomparso, che il paese era senza governo, e Londra tutta sossopra, erasi sparsa lungo il Tamigi,e neʼ luoghi dove era giunta aveva fatto nascere violenza e disordine. I rozzi pescatori della spiaggia di Kent adocchiarono con sospetto e cupidigia la nave. Corse voce che alcuni individui vestiti da gentiluomini erano frettolosamente andati in sul bordo. Forse erano Gesuiti: forse erano ricchi. Cinquanta o sessanta barcaiuoli, spinti a un tempo dallʼodio contro il papismo e dalla avidità di predare, circondarono la nave quando ella era in sul punto di far vela. Fu detto ai passeggieri che bisognava andare a terra per essere esaminati da un magistrato. La figura del Re suscitò deʼ sospetti. «Gli è padre Petre» gridò uno di queʼ ribaldi «lo conosco alle sue scarne ganasce.»—«Fruga cotesto vecchio gesuita, cotesto viso da galera» urlarono tutti ad una voce. Ei tosto fu segno alle ruvide spinte di coloro che lo circondavano. Gli tolsero i danari e lʼoriuolo. Egli aveva addosso lʼanello della incoronazione ed altre gioie di gran valore, che sfuggirono alle ricerche di queʼ ladri, i quali erano così ignoranti in materia di gioie che presero per pezzi di vetro i diamanti delle fibbie del Re.In fine i prigioni furono messi a terra e condotti ad una locanda. Quivi a vederli erasi affollata molta gente; e Giacomo, quantunque fosse sfigurato da una parrucca di forma e colore diversa da quella chʼegli era uso a portare, fu a un tratto riconosciuto. Per un istante la plebaglia parve compresa di terrore; ma i capi esortandola la rianimarono; e la vista di Hales, che tutti ben conoscevano e forte odiavano, infiammò il loro furore. Il suo parco era in quelle vicinanze, e in quel momento stesso una banda di facinorosi saccheggiavano la casa e davano la caccia ai cervi di lui. La folla assicurò il Re, che non aveva intenzione di fargli alcun male, ma ricusò di lasciarlo partire. Avvenne che il Conte di Winchelsea protestante ma fervido realista, capo della famiglia Finch e prossimo parente di Nottingham, si trovasse in Canterbury. Appena seppe lo accaduto corse in fretta alla costa accompagnato da alcuni gentiluomini di Kent. Per mezzo loro il Re fu condotto a un luogo più convenevole: ma rimaneva tuttavia prigioniero. La folla non cessava di vigilare attorno alla casa dove era stato condotto; e alcuni dei capi stavansi a guardia dinanzilʼuscio della sua camera. Il suo contegno infrattanto era quello di un uomo snervato di mente e di corpo sotto il peso delle proprie sciagure. Talvolta parlava con tanta alterigia che i villani, i quali lo guardavano, sentivansi provocati ad insolenti risposte. Poi piegavasi a supplicare. «Lasciatemene andare» diceva egli «procuratemi una barca. Il Principe dʼOrange mi fa la caccia per togliermi la vita. Se non mi lascerete fuggire, eʼ sarà troppo tardi. Il mio sangue ricadrà sulle vostre teste. Colui che non è con me, è contro me.» Togliendo occasione da queste parole del Vangelo predicò per mezzʼora. Favellò stranamente sopra moltissime cose, sopra la disobbedienza deʼ Convittori del Collegio della Maddalena, i miracoli del Pozzo di San Venifredo, la slealtà deʼ preti, la virtù dʼun frammento del vero legno della Santa Croce chʼegli aveva sventuratamente perduto. «E che ho mai fatto?» chiese agli scudieri di Kent che gli stavano attorno. «Ditemi il vero: qual fallo ho io mai commesso?» Coloro, ai quali egli faceva queste domande, furono tanto umani da non dargli le risposte che meritava, e stavansi con compassionevole silenzio ad ascoltare quellʼinsano cicaleccio.[585]Quando pervenne alla metropoli la nuova chʼegli era stato fermato, insultato, manomesso e spogliato, e che tuttavia rimaneva nelle mani di queʼ brutali ribaldi, ridestaronsi molte passioni. I rigidi Anglicani, i quali poche ore innanzi avevano cominciato a credersi liberi dal debito di fedeltà verso lui, adesso scrupoleggiavano. Egli non aveva abbandonato il reame, nè abdicato. Ove egli ripigliasse la regia dignità , potrebbero essi, secondo i principii loro, ricusare di prestargli obbedienza? I veggenti uomini di stato prevedevano con rammarico che tutte le contese che per un momento la sua fuga aveva abbonacciate, tornando egli, tornerebbero a rinascere assai più virulente. Alcuni del popolo basso, comechè animati dal sentimento deʼ recenti torti, sentivano pietà dʼun gran Principe oltraggiato da gente ribalda, e inchinavano a sperare—speranza più onorevole alla indole che al discernimento loro—che anche adesso egli si sarebbe potuto pentiredelle colpe che gli avevano attirato sul capo un così tremendo castigo.Dal momento in che si seppe il Re essere tuttavia in Inghilterra, Sancroft che fino allora era stato capo del Governo Provvisorio, si assentò dalle sedute deʼ Pari. Sul seggio presidenziale fu posto Halifax, il quale era allora ritornato dal quartiere generale degli Olandesi. In poche ore lʼanimo suo era grandemente mutato. Adesso il senso del bene pubblico e privato lo spingeva a collegarsi coi Whig. Ove candidamente si ponderino le prove fino a noi pervenute, è forza credere chʼegli accettasse lʼufficio di Commissario Regio con la sincera speranza di effettuare tra il Re e il Principe un accomodamento a convenevoli patti. Le pratiche dʼaccordo erano incominciate prosperamente: il Principe aveva offerto patti che il Re stesso giudicò convenevoli: il facondo e ingegnoso barcamenante lusingavasi di rendersi mediatore fra le inferocite fazioni, dettare un trattato dʼaccordo fra le opinioni esagerate ed avverse, assicurare le libertà e la religione della patria senza esporla ai pericoli inseparabili da un mutamento di dinastia e da una successione contrastata. Mentre compiacevasi di un pensiero così consentaneo alla indole sua, seppe dʼessere stato ingannato, e adoperato come strumento a ingannare la nazione. La sua commissione ad Hungerford era stata quella dʼuno stolto. Il Re non aveva mai avuto intendimento di osservare le condizioni chʼegli aveva ai Commissari ordinato di proporre. Aveva loro ordinato di dichiarare chʼegli voleva sottoporre tutte le questioni controverse al Parlamento da lui convocato; e mentre essi eseguivano il suo messaggio, aveva bruciati i decreti di convocazione, fatto sparire il Sigillo, sbandato lo esercito, sospesa lʼamministrazione della giustizia, disciolto il Governo, e se nʼera fuggito dalla metropoli. Halifax sʼaccôrse oramai non essere più possibile comporre amichevolmente le cose. È anche da sospettarsi chʼegli provasse quella molestia che è naturale ad un uomo che, godendo grande riputazione di saviezza, si trovi ingannato da una intelligenza immensurabilmente inferiore alla sua propria, e quella molestia che è naturale a chi, essendo espertissimo nellʼarte del dileggio, si trovi posto in una situazioneridicola. Dalla riflessione e dal risentimento fu indotto ad abbandonare ogni pensiero di conciliazione alla quale egli aveva fino allora sempre mirato, e a farsi capo di coloro che volevano porre Guglielmo sul trono.[586]Esiste ancora un Diario dove Halifax scrisse di propria mano tutto ciò che seguì nel Consiglio da lui preseduto.[587]Non fu trascurata precauzione alcuna creduta necessaria a prevenire gli oltraggi e i ladronecci. I Pari si assunsero la responsabilità di ordinare ai soldati, che, ove la plebaglia tumultuasse di nuovo, le facessero fuoco contro. Jeffreys fu condotto a Whitehall e interrogato affinchè rivelasse ciò che era divenuto del Gran Sigillo e dei decreti di convocazione. E pregando egli ardentemente, fu rimandato alla Torre come unico luogo dove potesse avere salva la vita. Si ritirò ringraziando e benedicendo coloro che gli avevano conceduta la protezione del carcere. Un Nobile Whig propose di porre in libertà Oates; ma la proposta venne respinta.[588]Le faccende del giorno erano quasi sbrigate, e Halifax stava per alzarsi dal seggio, quando gli fu annunziato essere giunto un messaggiero da Sheerness. Non vʼera cosa che potesse produrre più perplessità o molestia. Fare o non far nulla importava incorrere in grave responsabilità . Halifax, desiderando probabilmente acquistar tempo per comunicare col Principe, avrebbe voluto differire la sessione; ma Mulgrave pregò i Lordi a rimanere, e fece entrare il messaggiero. Questi raccontò con molte lacrime il successo, consegnò una lettera scritta di mano propria dal Re, la quale non era diretta a nessuno, ma invocava lo aiuto di tutti i buoni Inglesi.[589]VIII. Non era possibile porre in non cale un simiglianteappello. I Lordi ordinarono a Feversham corresse con una compagnia di Guardie del Corpo al luogo dove il Re era arrestato e gli desse libertà .Già Middleton ed altri pochi aderenti di Giacomo sʼerano partiti per soccorrere il loro sventurato signore. Lo trovarono tenuto in istretta prigionia, sì che non fu loro concesso di essere introdotti al cospetto di lui senza aver prima consegnate le spade. Il concorso del popolo era immenso. Taluni gentiluomini Whig di quelle vicinanze avevano condotto un numeroso corpo di milizie civiche per guardarlo. Avevano erroneamente pensato che ritenendolo prigioniero si acquisterebbero la grazia deʼ suoi nemici, e rimasero grandemente conturbati allorchè seppero che il Governo Provvisorio di Londra aveva disapprovato il modo onde il Re era stato trattato, e che era presso a giungere una squadra di cavalleria per liberarlo. Difatti Feversham non indugiò ad arrivare. Aveva lasciate le sue truppe in Sittingbourne; ma non vi fu mestieri adoperare la forza. Il Re fu lasciato partire senza ostacolo, e venne daʼ suoi amici condotto a Rochester, dove prese un poco di riposo di cui aveva sommo bisogno. Era in istato da fare pietà . Non solo aveva onninamente perturbato lo intendimento, che per altro non era stato mai lucidissimo, ma quel coraggio, chʼegli da giovane aveva mostrato in varie battaglie di mare e di terra, lo aveva abbandonato. Eʼ pare che le ruvide fatiche corporali da lui adesso per la prima volta sostenute, lo prostrassero più che ogni altro evento della travagliata sua vita. La diserzione del suo esercito, deʼ suoi bene affetti, della sua famiglia, lo toccava meno delle indegnità patite quando ei venne arrestato in su la nave. La ricordanza di tali indegnità seguitò lungo tempo a invelenirgli il cuore, e una volta fece cose da muovere a scherno tutta la Europa. Nel quarto anno del suo esilio tentò di sedurre i propri sudditi offrendo loro unʼamnistia. Vi si conteneva una lunga lista dʼeccezioni, e in essa i poveri pescatori che gli avevano sgarbatamente frugate le tasche erano notati accanto ai nomi di Churchill e di Danby. Da ciò possiamo giudicare quanto amaramente ei sentisse lʼoltraggio pur dianzi sofferto.[590]Nulladimeno, ove egli avesse avuto un poco di buon senso, si sarebbe accorto che coloro i quali lo avevano arrestato, gli avevano, senza saperlo, reso un gran servigio. Gli eventi successi dopo la sua assenza dalla metropoli lo avrebbero dovuto convincere che, qualora gli fosse riuscito fuggire, non sarebbe più mai ritornato. A suo dispetto era stato salvato dal precipizio. Gli rimaneva unʼaltra sola speranza. Per quanto gravi fossero i suoi delitti, detronizzarlo mentre ei rimaneva nel Regno e mostravasi pronto ad assentire ai patti che glʼimporrebbe un libero Parlamento, sarebbe stato pressochè impossibile.Per breve tempo egli parve propenso a rimanere. Spedì Feversham da Rochester con una lettera a Guglielmo. La sostanza della quale era che Sua Maestà già sʼera messo in cammino per ritornare a Whitehall, che desiderava avere un colloquio col Principe, e che il palazzo di San Giacomo sarebbe apparecchiato per Sua Altezza.[591]IX. Guglielmo era in Windsor. Aveva con profondo rincrescimento saputi i fatti successi nella costa di Kent. Poco avanti che gliene giungesse la nuova, coloro che gli stavano da presso avevano notato chʼegli era dʼinsolito buon umore. Ed aveva ragione di star lieto. Vedevasi dinanzi lo sguardo un trono vacante; parea che tutti i partiti a una voce lo invitassero a salirvi. In un baleno la scena cangiossi: lʼabdicazione non era consumata; molti deʼ suoi stessi fautori avrebbero scrupoleggiato a deporre un Re che rimanesse fra loro, glʼinvitasse ad esporre le loro doglianze in modo parlamentare, e promettesse piena giustizia. Era uopo che il Principe esaminasse le nuove condizioni in cui si trovava, e si appigliasse a nuovo partito. Non vedeva alcuna via alla quale non si potesse nulla obbiettare, nessuna via che lo ponesse in una situazione vantaggiosa al pari di quella dove egli era poche ore innanzi. Nondimeno qualche cosa poteva farsi. Il primo tentativo fatto dal Re per fuggire non era riuscito: era sommamente da desiderarsi chʼegli si ponesse di nuovo alla prova con migliore successo. Bisognava impaurirlo e sedurlo. La liberalità usatagli nelle pratiche dʼaccordo fatte in Hungerford,liberalità alla quale egli aveva risposto rompendo la fede, adesso sarebbe intempestiva. Bisognava non proporgli patti nessuni dʼaccomodamento; e proponendone egli, rispondergli con freddezza; non usargli violenza, e neanche minacce; e nondimeno non era impossibile, anco senza siffatti mezzi, rendere un uomo cotanto pusillanime, inquieto della propria salvezza. E allora, posto di nuovo lʼanimo nel solo pensiero della fuga, era dʼuopo facilitargliela, e procurare che qualche zelante stoltamente non lo arrestasse una seconda volta.X. Tale era il concetto di Guglielmo: e la destrezza e fermezza con che lo mandò ad esecuzione offre uno strano contrasto con la demenza e codardia dellʼuomo con cui egli aveva da fare. Tosto gli si presentò il destro dʼiniziare un sistema dʼintimidazione. Feversham giunse a Windsor portatore della lettera di Giacomo. Il messaggiero non era stato giudiciosamente scelto. Egli era quel desso che aveva disciolto lo esercito regio. A lui principalmente imputavano la confusione e il terrore della Notte Irlandese. Il pubblico ad alta voce lo biasimava. Guglielmo, provocato, aveva profferito poche parole di minaccia; e poche parole di minaccia uscite dalle labbra di Guglielmo sempre significavano qualcosa. A Feversham fu detto mostrasse il salvocondotto. Non ne aveva. Venendo senza esso framezzo a un campo ostile, secondo le leggi della guerra, sʼera reso meritevol dʼessere trattato con estrema severità . Guglielmo non volle vederlo, e comandò che venisse arrestato.[592]Zulestein fu tostamente spedito a riferire a Giacomo che Guglielmo non consentiva il proposto colloquio, e desiderava che la Maestà Sua rimanesse in Rochester.Ma non era più tempo. Giacomo era già in Londra. Aveva esitato circa al viaggio, e una volta si era nuovamente provato a fuggire dallʼisola. Ma infine cedè alle esortazioni degli amici chʼerano più savi di lui, e partì alla volta di Whitehall. Vi arrivò il pomeriggio di domenica, 16 dicembre. Temeva che la plebe, la quale nella sua assenza aveva dato tanti segni della avversione che sentiva contro il Papismo, gli facesse qualche affronto. Ma la stessa violenza dellʼira popolare erasi calmata; la tempesta abbonacciata. Gaiezza e compassioneavevano succeduto al furore. Nessuno mostravasi inchinevole a insultare il Re; qualche acclamazione fu udita mentre il suo cocchio traversava la Città . Le campane di alcune chiese suonarono a festa; furono accesi pochi fuochi di gioia a onorare il suo ritorno.[593]La sua debole mente pur dianzi oppressa dallo scoraggiamento dètte in istravaganze a cotesti inattesi segni di bontà e compassione mostrati dal popolo. Giacomo entrò rinfrancato nel proprio palazzo, il quale subitamente riprese il suo antico aspetto. I preti cattolici romani, che neʼ decorsi giorni sʼerano frettolosamente nascosti neʼ sotterranei e nelle soffitte per scansare il furore della plebe, uscirono dai loro luridi nascondigli chiedendo i loro antichi appartamenti in palazzo. Un Gesuita recitava il rendimento di grazie alla mensa del Re. Il vernacolo irlandese, allora il più odioso di tutti i suoni alle orecchie inglesi, udivasi per tutti i cortili e le sale. Il Re stesso aveva ripresa la sua vecchia alterigia. Tenne un Consiglio—lʼultimo deʼ suoi Consigli—ed anche negli estremi cui era ridotto convocò individui privi deʼ requisiti legali ad intervenirvi. Si mostrò gravemente indignato contro quei Lordi, che nella sua assenza avevano osato assumere il governo dello Stato. Era loro dovere lasciare che la società si dissolvesse, le case degli Ambasciatori venissero distrutte, Londra arsa, più presto che assumere le funzioni chʼegli aveva creduto giusto abbandonare. Fra coloro che ei così gravemente riprendeva, erano alcuni Nobili e Prelati, i quali a dispetto di tutti i suoi errori gli erano rimasti costantemente fedeli, e anche dopo questa altra provocazione non seppero, per timore o speranza, indursi a prestare obbedienza ad altro sovrano.[594]Ma tale coraggio presto gli venne meno. Era egli appena entrato in palazzo allorquando gli fu detto che Zulestein era pur giunto messaggiero del Principe. Zulestein espose la fredda e severa ambasciata di Guglielmo. Il Re insisteva per avere un colloquio col nepote. «Non mi sarei partito da Rochester» disse egli «se avessi saputo tale essere il suo volere: ma da che qui mi ritrovo, spero chʼei voglia venire al palazzo di San Giacomo.»—«Debbo dire chiaramente alla Maestà Vostra» rispose Zulestein «che Sua Altezza non verrà a Londra finchè vi rimarranno soldati che non siano sotto gli ordini suoi.» Il Re confuso a siffatta risposta, ammutolì. Zulestein andonne via; e tosto entrò in camera un gentiluomo recando la nuova dello arresto di Feversham.[595]Giacomo ne rimase grandemente conturbato. Pure la rimembranza deʼ plausi con che era pur dianzi stato accolto, gli confortava lʼanimo. Gli sorse in cuore una stolta speranza. Pensò che Londra, la quale da tanto tempo era stata il baluardo della religione protestante e delle opinioni Whig, fosse pronta a prendere le armi in difesa di lui. Mandò a chiedere al Municipio, se sʼimpegnerebbe a difenderlo contro il Principe, qualora Giacomo si recasse ad abitare nella Città . Ma il Municipio, che non aveva posto in oblio la confisca deʼ suoi privilegi e lo assassinio giuridico di Cornish, ricusò di dare la promessa richiesta. Allora il Re si sentì nuovamente scorato. In qual luogo, diceva egli, troverebbe protezione? Valeva lo stesso essere circondato dalle truppe olandesi che dalle sue Guardie del Corpo. Quanto ai cittadini, adesso egli comprese quanto valessero i plausi e le luminarie. Altro partito non gli rimaneva che fuggire; e nondimeno vedeva bene che nessuna cosa potevano tanto desiderare i suoi nemici, quanto la sua fuga.[596]XI. Mentre egli siffattamente trepidava, in Windsor deliberavasi intorno al suo fato. Adesso la corte di Guglielmo era strabocchevolmente affollata di uomini illustri di tutti i partiti.Vʼerano giunti la più parte deʼ capi della insurrezione delle contrade settentrionali. Vari Lordi, i quali nellʼanarchia deʼ giorni precedenti si erano costituiti da sè in Governo provvisorio, appena ritornato il Re, lasciata Londra, se nʼerano andati al quartier generale. Fra loro era anco Halifax. Guglielmo lo aveva accolto con gran satisfazione, ma non aveva potuto frenare un ironico sorriso vedendo lo ingegnoso e compìto uomo politico, il quale aveva ambito a farsi arbitro in quella grande contesa, essere costretto ad abbandonare ogni via di mezzo e prendere un partito deciso. Fra coloro che in questa congiuntura arrivarono a Windsor erano alcuni che avevano con ignominiosi servigi comperata la grazia di Giacomo, e adesso erano bramosi di scontare, tradendo il loro signore, il delitto dʼavere tradita la patria. Tale era Titus, che aveva seduto in Consiglio in onta alle leggi, e sʼera affaticato a stringere i puritani coʼ Gesuiti in una lega contro la costituzione. Tale era Williams, il quale, per cupidigia di guadagno, di demagogo sʼera fatto campione della regia prerogativa, e adesso era prontissimo a commettere una seconda apostasia. Il Principe con giusto dispregio lasciò che cotesti uomini si stessero vanamente aspettando unʼudienza alla porta del suo appartamento.[597]Il lunedì, 17 dicembre, tutti i Pari che erano in Windsor furono convocati a una solenne consulta da tenersi nel castello. Il subietto delle loro deliberazioni era ciò che fosse da farsi del Re: Guglielmo non reputò savio partito trovarsi presente alla discussione. Ei si ritirò; ed Halifax fu posto sul seggio presidenziale. I Lordi concordavano in una cosa sola, cioè non doversi permettere che il Re rimanesse dove era. Unanimemente estimavano dannoso che lʼun principe si fortificasse in Whitehall, e lʼaltro nel palazzo di San Giacomo, e che vi fossero due guarnigioni nemiche in uno spazio di cento acri. Un tale provvedimento non poteva mancare di far nascere sospetti, insulti, e battibecchi che finirebbero forse col sangue. Per le quali ragioni i Lordi ingannati crederono necessario mandar via Giacomo di Londra. Proposero qual luogo convenevoleHam, che Lauderdale lungo la riva del Tamigi aveva edificato con le ricchezze rubate in Iscozia e con la pecunia datagli dalla Francia a corromperlo, e che era considerato come la più magnifica delle ville. I Lordi, venuti a tale conclusione, invitarono il Principe a recarsi fra loro. Halifax gli comunicò la deliberazione. Guglielmo approvò. Fu scritto un breve messaggio da spedirsi al Re. «E per chi glielo manderemo?» domandò Guglielmo. «Non dovrebbe essergli recato» disse Halifax «da uno degli ufficiali di Vostra Altezza?»—«No, milord,» rispose il principe; «con vostra licenza, il messaggio è spedito per consiglio delle Signorie Vostre; dovrebbe quindi recarglielo alcuno di voi.» Allora senza far sosta, onde non si desse luogo a rimostranze, ei nominò messaggieri Halifax, Shrewsbury e Delamere.[598]Sembra che la deliberazione deʼ Lordi fosse unanime. Ma nellʼassemblea erano alcuni, che non approvavano affatto il provvedimento chʼessi affettavano di approvare, e che desideravano vedere usata verso il Re una severità che non rischiavansi a manifestare. È cosa notevole che capo di questo partito era un Pari, già stato Tory esagerato, che poscia non volle prestare giuramento a Guglielmo: questo Pari era Clarendon. La rapidità onde in cotesta crisi ei passò da uno allʼaltro estremo, parrebbe incredibile a coloro che vivono in tempi di pace, ma non ne maraviglieranno coloro i quali hanno avuto occasione di osservare il corso delle rivoluzioni. Si avvide che lʼasprezza con cui egli al regio cospetto aveva censurato lo intero sistema del governo, aveva mortalmente offeso il suo antico signore. Dallʼaltra parte, come zio delle Principesse, poteva sperare dʼingrandirsi e arricchire nel nuovo ordine di cose che già sʼiniziava. La colonia inglese in Irlanda lo teneva come amico e patrono; ed ei pensava che assai parte della propria importanza riposava sulla fiducia e lo affetto di quella. A tali considerazioni cederono i principii da lui con tanta ostentazione per tutta la sua vita professati. Si recò dunque alle secrete stanze del Principe e gli appresentò il pericolo di lasciare il Re in libertà . I protestanti dʼIrlanda essere inestremo periglio. Uno solo il mezzo ad assicurare loro la roba e la vita, tenere, cioè, Sua Maestà in istretta prigionia. Non essere prudente rinchiuderlo in uno deʼ castelli della Inghilterra: ma potersi mandarlo di là dal mare e chiuderlo nella fortezza di Breda finchè fossero pienamente ricomposte le cose delle Isole Britanniche. Se tanto ostaggio rimanesse nelle mani del Principe, Tyrconnel probabilmente porrebbe giù la spada del comando, e senza strepito la preponderanza inglese verrebbe ristabilita in Irlanda. Se dallʼaltro canto Giacomo fuggisse in Francia, e si mostrasse a Dublino accompagnato da un esercito straniero, ne nascerebbero gli effetti più disastrosi. Guglielmo riconobbe la gravità di cotesti ragionamenti: ma ciò non poteva farsi. Ei conosceva lʼindole di sua moglie, e sapeva bene chʼella non avrebbe mai consentito. E veramente non sarebbe stata per lui onorevole cosa trattare con tanto rigore il vinto suocero. Nè poteva affermarsi come certo la generosità non essere la più sana politica. Chi avrebbe potuto prevedere lo effetto che la severità suggerita da Clarendon produrrebbe nella opinione pubblica della Inghilterra? Era forse impossibile che quello entusiasmo di lealtà , che il Re aveva prostrato con la propria malvagia condotta, risorgesse appena si sapesse egli essere entro le mura di una fortezza straniera? Per queste ragioni Guglielmo si tenne fermissimo a non privare della libertà il proprio suocero; e non è dubbio che ciò fosse savio partito.[599]Giacomo, mentre si discuteva intorno alla sua sorte, rimase in Whitehall, affascinato, a quanto sembra, dalla grandezza e imminenza del pericolo, e inetto a lottare o a fuggire. La sera giunse la nuova che gli Olandesi avevano occupato Chelsea e Kensington. Il Re nondimeno si apparecchiò a riposarsi secondo il consueto. Le guardie dette Coldstream erano di servizio in palazzo. Le comandava Guglielmo Conte di Craven, uomo vecchio, che cinquanta e più anni prima si era reso famoso nelle armi e negli amori, aveva sostenuto a Creutznach con tanto coraggio la disperata battaglia, che vuolsi ilgran Gustavo battendogli la spalla gli dicesse: Bravo!—e credevasi che sopra mille rivali avesse conquistato il cuore della sventurata Regina di Boemia. Craven adesso aveva ottantʼanni, ma il suo spirito non era per anche domo dal tempo.[600]XII. Erano battute le ore dieci allorquando gli fu annunziato che tre battaglioni di fanteria del Principe con alcune legioni di cavalleria venivano giù pel lungo viale del Parco di San Giacomo con micce accese, e prontissimi ad agire. Il Conte Solmes che comandava gli stranieri disse avere ordine dʼimpossessarsi militarmente dei posti attorno a Whitehall, ed esortò Craven a ritirarsi in pace. Craven giurò di lasciarsi piuttosto tagliare a pezzi: ma come il Re, che stavasi spogliando, seppe ciò che seguiva, vietò al valoroso veterano di fare una resistenza che non poteva essere che vana. Verso le ore undici le guardie Coldstream sʼerano ritirate, e a guardia di ogni angolo del palazzo vedevansi le sentinelle olandesi. Alcuni deʼ servitori del Re chiesero se sarebbesi rischiato a dormire circondato daglʼinimici. Rispose che essi non potevano trattarlo peggio di quel che avevano fatto i suoi propri sudditi, e con lʼapatia di un uomo istupidito dalle sciagure andossene a letto e si pose a dormire.[601]XIII. Appena erasi fatto silenzio in palazzo quando esso fu nuovamente interrotto. Poco dopo mezzanotte i tre Lordi giunsero da Windsor. Middleton fu chiamato a riceverli. Gli dissero chʼerano portatori dʼun messaggio che non poteva differirsi. Il Re fu destato dal suo primo sonno; ed essi furono introdotti nella sua camera da letto. Gli posero nelle mani la lettera loro affidata, e gli dissero che il Principe tra poche ore arriverebbe a Westminster, e che Sua Maestà farebbe bene a partire per Ham avanti le ore dieci della mattina. Giacomo fece qualche obiezione. Disse non piacergli Ham, essere luogo gradevole in estate, ma freddo e privo di comodi a Natale; oltre di che era senza mobilia. Halifax rispose che sullʼistante verrebbe ammobiliato. I tre messaggieri ritiraronsi, ma furonosubitamente seguiti da Middleton, il quale disse loro che il Re preferirebbe Rochester ad Ham. Risposero non avere potestà di consentire al desiderio della Maestà Sua, ma manderebbero tosto un messo al Principe, il quale quella notte doveva alloggiare in Sion House. Il messo partì immediatamente, e tornò innanzi lʼalba recando il consenso di Guglielmo; il quale lo diede di gran cuore: imperciocchè non era dubbio che il Re avesse scelto Rochester come luogo che offriva agevolezza a fuggire, e chʼegli fuggisse era ciò che desiderava il suo genero.[602]XIV. La mattina del dì 18 dicembre, giorno di pioggia e di procella, il bargio del Re a buonʼora aspettava dinanzi le scale di Whitehall, ed era circondato da otto o dieci barche ripiene di soldati olandesi. Vari Nobili e gentiluomini accompagnarono il Re fino alla riva. Dicesi, e può ben credersi, che piangessero: imperciocchè anche i più zelanti amici della libertà non potevano vedere senza commuoversi la trista e ignominiosa fine dʼuna dinastia che avrebbe potuto essere sì grande. Shrewsbury fece quanto più potè per consolare il caduto Sovrano. Perfino lʼaspro ed esagerato Delamere era intenerito. Ma fu notato che Halifax, che aveva sempre mostrata tenerezza verso i vinti, in quel caso era meno compassionevole deʼ suoi due colleghi. Aveva tuttavia lʼanima invelenita dalla rimembranza dʼessere stato spedito ambasciatore da scherno a Hungerford.[603]Mentre il bargio reale lentamente procedeva su per le agitate onde del fiume, lo esercito del Principe dallʼoccidente veniva arrivando a Londra. Era stato saviamente ordinato che il servigio della metropoli fosse fatto dai soldati britannici al soldo degli Stati Generali. I tre reggimenti inglesi furono acquartierati dentro e attorno alla Torre, i tre scozzesi in Southwark.[604]XV. Malgrado il cattivo tempo una gran folla di popolosʼera raccolta fra Albemarle House e il palazzo di San Giacomo per plaudire al Principe. Tutti i cappelli e i bastoni erano ornati dʼun nastro colore di melarancia. Le campane suonavano per tutta Londra. Le finestre erano tutte piene di candele per la luminara. Nelle strade vedevansi cataste di legna e fascine per accendere fuochi di gioia. Guglielmo nondimeno cui non garbava lo affollarsi e il rumoreggiare della gente, passò traverso al Parco. Avanti notte giunse al palazzo di San Giacomo in un cocchio leggiero, accompagnato da Schomberg. In breve tutte le stanze e le scale del palazzo furono popolate da coloro che erano accorsi a corteggiarlo. E la folla era tanta, che personaggi dʼaltissimo grado non poterono penetrare nella sala dove stavasi il Principe.[605]Mentre Westminster era in cotesto concitamento, il Municipio in Guildhall apparecchiava un indirizzo di ringraziamenti e congratulazioni. Il Lord Gonfaloniere non potè presedere. Non aveva mai più alzato il capo da letto sino dal giorno in cui il Cancelliere travestito da carbonaio era stato trascinato alla sala della giustizia. Ma gli Aldermanni e gli altri ufficiali del corpo municipale erano ai loro posti. Il dì seguente i magistrati della città recaronsi solennemente a complire il liberatore. La gratitudine loro fu con eloquenti parole espressa dal cancelliere Sir Giorgio Treby. Disse che alcuni Principi della Casa di Nassau erano stati principali ufficiali dʼuna grande repubblica. Altri avevano portata la corona imperiale. Ma il titolo peculiare di questa illustre famiglia alla pubblica venerazione era che Dio lʼaveva eletta e consacrata allʼalto ufficio di difendere il vero e la libertà contro i tiranni di generazione in generazione. Il dì stesso tutti i prelati che trovavansi in città , tranne Sancroft, andarono in corpo al cospetto del Principe; quindi il clero di Londra, cioè gli uomini più cospicui del ceto ecclesiastico per dottrina, facondia e influenza, aventi a capo il loro Vescovo. Erano fra loro alcuni illustri ministri dissenzienti, i quali Compton, a suo sommo onore, trattò con segnalata cortesia. Pochi mesi avanti o dopo, simigliante cortesia sarebbe stata da molti anglicani consideratacome tradigione verso la Chiesa. Anche allora un occhio veggente poteva bene accorgersi che la tregua, alla quale le sètte protestanti erano state costrette, non sarebbe lungamente sopravvissuta al pericolo che lʼaveva fatta nascere. Circa cento teologi non conformisti, residenti nella capitale, presentarono un indirizzo a parte. Furono introdotti da Devonshire ed accolti con ogni segno di gentilezza e rispetto. Il ceto legale andò anchʼesso a fare omaggio; lo conduceva Maynard, il quale a novanta anni dʼetà era forte di mente e di corpo come quando in Westminster Hall sorse accusatore di Strafford. «Signore Avvocato» disse il Principe «voi dovete avere sopravvissuto a tutti i legali vostri coetanei.»—«Sì, Altezza,» rispose il vegliardo «e se non venivate voi sopravvivevo anco alle leggi.»[606]Ma comechè glʼindirizzi fossero molti e pieni di elogi, le acclamazioni alte, le illuminazioni splendide, il palazzo di San Giacomo troppo angusto per la folla deʼ corteggiatori, i teatri ogni notte dalla platea al soffitto adorni di nastri colore di melarancia, Guglielmo sentiva che le difficoltà della sua intrapresa cominciavano allora. Aveva rovesciato un Governo, ma adesso doveva compiere lʼassai più difficile lavoro di ricostruirne un altro. Da quando sbarcò a Torbay finchè giunse a Londra, aveva esercitata lʼautorità , che per le leggi della guerra, riconosciute da tutto il mondo incivilito, appartiene al comandante dʼun esercito nel campo. Adesso era necessario mutare il suo carattere di generale in quello di magistrato; e questa non era agevole impresa. Un solo passo falso poteva esser fatale; ed era impossibile fare un solo passo senza offendere pregiudicii e svegliare acri passioni.XVI. Alcuni deʼ consiglieri del Principe lo incitavano a prendere a un tratto la corona per diritto di conquista; e poi in qualità di Re spedire muniti del proprio Gran Sigillo i decreti a convocare il Parlamento. Molti insigni giureconsulti lo confortavano ad appigliarsi a tale partito, dicendo essere quella la via più breve di giungere dove, andandovi altrimenti, sʼincontrerebberoinnumerevoli ostacoli e contese. Ciò era strettamente conforme al felice esempio dato da Enrico VII dopo la battaglia di Bosworth. Farebbe ad un tempo cessare gli scrupoli che molti spettabili uomini sentivano quanto alla legalità di trasferire il giuramento di fedeltà da un sovrano ad un altro. Nè la legge civile nè quella della Chiesa Anglicana riconoscevano neʼ sudditi il diritto di detronizzare il Sovrano. Ma nessun giureconsulto, nessun teologo negò mai che una nazione vinta in guerra, potesse senza peccato sobbarcarsi al volere del Dio degli eserciti. Difatti dopo la conquista caldea, i più pii e patriottici degli Ebrei non crederono di mancare al proprio debito verso il Re loro, servendo lealmente il nuovo signore dato loro dalla Provvidenza. I tre confessori, che erano rimasti miracolosamente illesi nellʼardente fornace, tennero altri uffici nella provincia di Babilonia. Daniele fu ministro dello Assiro che soggiogò Giuda, e del Persiano che soggiogò lʼAssiria. Che anzi lo stesso Gesù, il quale secondo la carne era Principe della Casa di David, comandando ai suoi concittadini di pagare il tributo a Cesare, aveva voluto significare che la conquista straniera annulla il diritto ereditario ed è titolo legittimo di dominio. Era quindi probabile che un gran numero di Tory, quantunque non potessero con sicura coscienza eleggersi un Re, accetterebbero senza esitazione quello che gli eventi della guerra avevano dato loro.[607]Dallʼaltra parte, nondimeno, vʼerano ragioni di grave momento. Il Principe non poteva pretendere dʼavere guadagnata la corona con la propria spada senza bruttamente rompere la fede data. Nel suo Manifesto aveva protestato contro ogni pensiero di conquistare la Inghilterra; aveva asserito che coloro i quali gli attribuivano siffatto disegno, calunniavano iniquamente non solo lui, ma tutti quei Nobili e gentiluomini patriotti che lo avevano invitato; che le forze da lui condotte erano evidentemente inadequate ad una impresa così ardua; e che era fermamente deliberato di portare innanzi a un libero Parlamento tutte le pubbliche doglianze e le sue proprie pretese. Non era equo nè saggio chʼei per qualsiasi cosa terrena rompesse la sua parola solennemente impegnata al cospetto ditutta la Europa. Nè era certo che, chiamandosi conquistatore, chetasse quegli scrupoli onde i rigidi Anglicani ripugnavano a riconoscerlo Re. Imperocchè, in qualunque modo egli si chiamasse, tutto il mondo sapeva chʼegli non era vero conquistatore. Era manifestamente unʼaperta finzione il dire che questo gran Regno, con una potente flotta in mare, con un esercito stanziale di quarantamila uomini, e con una milizia civica di centotrentamila uomini, fosse stato, senza un solo assedio o una sola battaglia, ridotto a condizione di provincia da quindicimila invasori. Non era verosimile che cosiffatta finzione rasserenasse le coscienze realmente scrupolose, mentre non mancherebbe di ferire lʼorgoglio nazionale ormai cotanto sensitivo e irritabile. I soldati inglesi erano in tali umori che richiedevano dʼessere con somma accortezza governati. Sentivano che nella recente campagna non avevano sostenuta una onorevolissima parte. I capitani e i soldati comuni erano al pari impazienti di provare che non avevano per difetto di coraggio ceduto a forze inferiori. Taluni officiali olandesi erano stati tanto indiscreti da vantarsi, col bicchiere in mano dentro una taverna, dʼavere rinculata lʼarmata regia. Questo insulto aveva fra le truppe inglesi suscitato un fermento, che ove non vi si fosse prontamente immischiato Guglielmo, sarebbe forse finito in una terribile strage.[608]Quale, in tali circostanze, poteva essere lo effetto di un proclama che avesse annunziato il comandante degli stranieri considerare lʼisola intera come legittima preda di guerra?Era anche da ricordarsi che, pubblicando un simigliante proclama, il Principe avrebbe a un tratto abrogati tutti quei diritti deʼ quali egli sʼera dichiarato campione: perocchè lʼautorità di un conquistatore straniero non è circoscritta dalle costumanze e dagli statuti della nazione conquistata, ma è in sè stessa dispotica. E quindi Guglielmo o non poteva dichiararsi Re, o poteva dichiarare nulle laMagna Chartae la Petizione dei Diritti, abolire il processo dinanzi ai Giurati, e imporre tasse senza il consenso del Parlamento. Poteva, a dir vero, ristabilire lʼantica costituzione del reame. Ma, ciò facendo, era provvedimento arbitrario. Quinci innanzi la libertà dellʼInghilterra verrebbe fruita dai cittadini con umiliante possesso; nè sarebbe, quale era stata fino allora, unʼantichissima eredità , ma un dono recente che il generoso signore, da cui era stato ai suoi sudditi impartito, poteva ripigliare a suo talento.XVII. Guglielmo adunque dirittamente e con prudenza fece pensiero dʼosservare le promesse contenute nel suo Manifesto, e lasciare alle Camere lʼufficio di riordinare il governo. Con tanto studio egli schivò tutto ciò che potesse sembrare usurpazione, che non volle, senza una qualche sembianza dʼautorità parlamentare, avventurarsi a convocare gli Stati del Regno, o dirigere il potere esecutivo nel tempo in cui si facevano le elezioni. Nello Stato non vʼera autorità strettamente parlamentare: ma potevasi in poche ore mettere insieme una assemblea alla quale la nazione portasse gran parte della riverenza dovuta a un Parlamento. Poteva formarsi una Camera deʼ numerosi Lordi spirituali e secolari che allora si trovavano in Londra, e lʼaltra degli antichi membri della Camera deʼ Comuni e deʼ Magistrati della Città . Tale disegno era ingegnoso e venne prontamente mandato ad effetto. Fu intimato ai Pari di trovarsi pel dì 21 dicembre al Palazzo di San Giacomo. Vi accorsero circa settanta. Il Principe gli esortò considerassero le condizioni del paese, e presentassero a lui il resultato delle loro deliberazioni. Poco dopo comparve un annunzio, col quale invitavansi tutti i gentiluomini che erano stati membri della Camera deʼ Comuni sotto il regno di Carlo II, a presentarsi a Sua Altezza la mattina del dì 26. Furono anche chiamati gli Aldermanni di Londra, e al Municipio fu richiesto di mandare una deputazione.[609]
CAPITOLO DECIMO.SOMMARIO.I. Si sparge la nuova della fuga di Giacomo; grande agitazione.—II. I Lordi si radunano in Guildhall—III. Tumulti in Londra.—IV. La casa dello Ambasciatore di Spagna è saccheggiala.—V. Arresto di Jeffreys.—VI. La Notte Irlandese—VII. Il Re è arrestato presso Sheerness.—VIII. I Lordi ordinano che sia posto in libertà .—IX. Imbarazzo di Guglielmo.—X. Arresto di Feversham; arrivo di Giacomo a Londra.—XI. Consulta tenuta in Windsor.—XII. Le truppe olandesi occupano Whitehall.—XIII. Messaggio del Principe a Giacomo.—XIV. Giacomo parte per Rochester.—XV. Arrivo di Guglielmo al Palazzo San Giacomo.—XVI. Lo consigliano ad assumere la Corona per diritto di conquista.—XVII. Egli convoca i Lordi e i Membri deʼ Parlamenti di Carlo II.—XVIII. Giacomo fugge da Rochester.—XIX. Discussioni e determinazioni deʼ Lordi.—XX. Discussioni e determinazioni deʼ Comuni convocati dal Principe.—XXI. Si convoca una Convenzione; sforzi del Principe per ristabilire lʼordine.—XXII. Sua politica tollerante.—XXIII. Satisfazione deʼ potentati cattolici romani; pubblica opinione in Francia.—XXIV. Accoglienze fatte alla Regina dʼInghilterra in Francia.—XXV. Arrivo di Giacomo a Saint-Germain.—XXVI. Pubblica opinione nelle Province Unite—XXVII. Elezione dei Membri della Convenzione.—XXVIII. Affari di Scozia.—XXIX. Partiti in Inghilterra.—XXX. Disegno di Sherlock—XXXI. Disegno di Sancroft.—XXXII. Disegno di Danby.—XXXIII. Disegno dei Whig. La Convenzione si aduna; membri principali della Camera dei Comuni.—XXXIV. Elezione del Presidente—XXXV. Discussione sopra le condizioni della nazione.—XXXVI. Deliberazione che dichiara vacante il trono. È spedita alla Camera dei Lordi; Discussione nella Camera dei Lordi intorno al disegno di nominare una reggenza.—XXXVII. Scisma tra i Whig e i seguaci di Danby.—XXXVIII. Adunanza in casa del Conte di Devonshire.—XXXIX. Discussione nella Camera deʼ Lordi intorno alla questione se il trono debba considerarsi come vacante. La maggioranza nega.—XL. Agitazione in Londra.—XLI. Lettera di Giacomo alla Convenzione.—XLII. Discussioni; Negoziati; Lettera del Principe dʼOrange a Danby.—XLIII. La principessa Anna aderisce al disegno deʼ Whig.—XLIV. Guglielmo manifesta i proprii pensieri.—XLV. Conferenza delle due Camere.—XLVI. I Lordi cedono.—XLVII. Proposta di nuove Leggi per la sicurezza della Libertà .—XLVIII. Dispute e Concordia.—XLIX. La Dichiarazione dei Diritti.—L. Arrivo di Maria.—LI. Offerta ed accettazione della Corona.—LII. Guglielmo e Maria vengono proclamati.—LIII. Indole speciale della Rivoluzione inglese.I. Northumberland ubbidì fedelmente al comando, e non aprì lʼuscio del regio appartamento se non a giorno chiaro.Lʼanticamera era piena di cortigiani venuti a complire il Re allʼalzarsi da letto, e di Lordi chiamati a consiglio. La nuova della fuga di Giacomo in un istante volò dalla reggia alle strade, e tutta la metropoli ne rimase commossa.Eʼ fu un terribile momento. Il Re se nʼera andato; il Principe non ancora giunto; non era stata istituita una Reggenza; il Gran Sigillo, essenziale allʼamministrazione della ordinaria giustizia, era scomparso. Presto si seppe che Feversham, ricevuta la lettera del Re, aveva subitamente disciolto lo esercito. Quale rispetto per le leggi e la proprietà potevano avere i soldati in armi e raccolti, senza il freno della disciplina militare, e privi delle cose necessaria alla vita? Dallʼaltro canto la plebe di Londra da parecchi giorni mostravasi fortemente inchinevole al tumulto ed alla rapina. La urgenza del caso congiunse per breve tempo tutti coloro ai quali importava la pubblica quiete. Rochester aveva fino a quel giorno fermamente aderito alla causa regia. Adesso conobbe non esservi che una sola via per evitare lo universale scompiglio. «Congregate le vostre guardie» disse egli a Northumberland, «e dichiaratevi pel Principe dʼOrange.» Northumberland seguì prontamente il consiglio. I precipui ufficiali dello esercito che allora trovavansi in Londra convennero a Whitehall, e deliberarono di sottoporsi alle autorità di Guglielmo, e finchè conoscessero la volontà di lui, tenere sotto disciplina i loro soldati, ed assistere la potestà civile onde mantenere lʼordine.[573]II. I Pari recaronsi a Guildhall, e dai magistrati della città vi furono ricevuti con tutti gli onori. A rigore di legge i Pari non avevano maggior diritto che ogni altra classe di persone ad assumere il potere esecutivo. Ma egli era alla pubblica salvezza necessario un governo provvisorio; e gli occhi di tutti naturalmente volgevansi ai magnati ereditari del Regno. La gravità del pericolo trasse Sancroft fuori dal suo palazzo. Occupò il seggio; e, lui presidente, il nuovo Arcivescovo di York, cinque Vescovi, e ventidue Lordi secolari, deliberarono di comporre, sottoscrivere e pubblicare un Manifesto.In questo documento dichiararono di aderire fermamente alla religione e alla costituzione del paese; aggiunsero che avevano vagheggiata la speranza di vedere raddrizzati i torti e ristabilita la pubblica quiete dal Parlamento pur allora convocato dal Re; ma tale speranza rimaneva distrutta dalla sua fuga. Per lo che avevano deliberato di congiungersi col Principe dʼOrange onde rivendicare le patrie libertà , assicurare i diritti della Chiesa, accordare una giusta libertà di coscienza ai dissenzienti e rafforzare in tutto il mondo glʼinteressi del protestantismo. Fino allo arrivo di Sua Altezza essi erano pronti ad assumere la responsabilità di prendere i provvedimenti necessari alla conservazione dellʼordine. Sullʼistante fu spedita una deputazione a presentare il predetto Manifesto al Principe, ed annunziargli chʼegli era impazientemente aspettato a Londra.[574]I Lordi quindi si posero a pensare intorno ai modi di prevenire ogni tumulto. Fecero chiamare i due Segretari di Stato. Middleton ricusò di ubbidire a quella chʼegli considerava autorità usurpata: ma Preston, ancora attonito per la fuga del suo signore, e non sapendo che cosa aspettarsi, obbedì alla chiamata. Un messaggio fu mandato a Skelton Luogotenente della Torre, perchè si presentasse in Guildhall. Andatovi, gli fu detto non esservi più oltre mestieri deʼ suoi servigi, e però consegnasse immediatamente le chiavi. Gli fu sostituito Lord Lucas. Nel tempo stesso i Pari ordinarono che si scrivesse a Darthmouth ingiungendogli dʼastenersi da ogni atto ostile contro la flotta olandese, e di licenziare tutti gli ufficiali papisti a lui sottoposti.[575]La parte che in cotesti procedimenti ebbero Sancroft ed altri che fino a quel giorno si erano mantenuti strettamente fedeli al principio della obbedienza passiva, è degna di speciale considerazione. Usurpare il comando delle forze militari e navali dello Stato, destituire gli ufficiali preposti dal Re al comando deʼ suoi castelli e navigli, e inibire allo ammiraglio di dare battaglia ai nemici di lui, erano niente meno che attidi ribellione. E nonostante vari Tory abili ed onesti, seguaci della scuola di Filmer, erano persuasi di poter fare tutte le sopra dette cose senza incorrere nella colpa di resistere al loro Sovrano. Il loro argomentare era per lo meno ingegnoso. Dicevano, il Governo essere ordinato da Dio, e la monarchia ereditaria eminentemente ordinata da Dio. Finchè il Re comanda ciò che è legittimo, noi siamo tenuti a prestargli obbedienza attiva; comandando ciò che è illegittimo, obbedienza passiva. Non vi è caso estremo che ne possa giustificare ad opporci a lui con la forza. Ma ove a lui piaccia di deporre il suo ufficio, egli perde ogni diritto sopra di noi. Finchè ci governa, quantunque ci governi male, siamo obbligati a chinare la fronte; ma ricusando egli di governarci in veruna maniera, non siamo tenuti a rimanere perpetuamente privi di governo. Lʼanarchia non è ordinamento di Dio; nè egli ci ascriverà a peccato se nel caso che un principe, il quale in onta a gravissime provocazioni non abbiamo cessato mai di onorare e obbedire, si parta senza che noi sappiamo dove, non lasciando un suo vicario, ci apprendiamo al solo partito che ci rimanga a impedire la dissoluzione della società . Se il nostro Sovrano fosse rimasto fra noi, noi saremmo pronti, per quanto poco egli meritasse il nostro affetto, a morire ai suoi piedi. Se, lasciandoci, avesse nominato una reggenza per governarci con autorità delegatale durante la sua assenza, noi ci saremmo rivolti a tale reggenza soltanto. Ma egli è scomparso senza lasciare nessun provvedimento per la conservazione dellʼordine o per lʼamministrazione della giustizia. Con lui e col suo Gran Sigillo è sparita tutta la macchina per mezzo della quale si possa punire un assassino, decidere del diritto di proprietà , distribuire ai creditori i beni dʼun fallito. Il suo ultimo atto è stato di sciogliere migliaia dʼuomini armati dal freno della disciplina militare, e porli in condizioni o di saccheggiare o di morire di fame. Fra poche ore ciascun uomo sʼarmerà contro il suo prossimo. La vita, gli averi, lʼonore delle donne saranno in balìa di ogni uomo sfrenato. Noi adesso ci troviamo in quello stato di natura intorno al quale i filosofi hanno scritto cotanto; nel quale stato siamo posti non per colpa nostra, ma per volontario abbandonodi colui che avrebbe dovuto essere nostro protettore. Il suo abbandono può dirittamente chiamarsi volontario: imperocchè nè la vita nè la libertà sue erano in periglio. I suoi nemici già avevano consentito ad aprire pratiche dʼaccordo sopra una base proposta da lui stesso, ed eransi offerti a sospendere immediatamente le ostilità a patti che egli non negava essere liberali. In tali circostanze egli ha disertato il suo posto. Noi non facciamo la minima ritrattazione; non siamo in cosa alcuna incoerenti. Ci manteniamo tuttavia fermi senza modificazione nelle nostre vecchie dottrine. Seguitiamo a credere che in qualunque caso è peccato resistere al magistrato; ma affermiamo che adesso non vi è verun magistrato cui resistere. Colui che era magistrato, dopo dʼavere per lungo tempo fatto abuso della propria potestà , ha abdicato da sè. Lo abuso non ci dava diritto a deporlo: ma lʼabdicazione ci dà diritto a provvedere al miglior modo di supplire al suo ufficio.III. Per cosiffatte ragioni il partito del Principe si accrebbe di molti che per lʼinnanzi sʼerano tenuti in disparte. A memoria dʼuomo non era mai stata, come in quella congiuntura, una quasi universale concordia fra glʼInglesi; e mai quanto allora vʼera stato sì grande bisogno di concordia. Non vʼera più alcuna autorità legittima. Tutte le tristi passioni che il Governo ha debito dʼinfrenare, e che i migliori Governi imperfettamente infrenano, trovaronsi in un subito sciolte dʼogni ritegno; lʼavarizia, la licenza, la vendetta, il vicendevole odio delle sètte, il vicendevole odio delle razze. In simiglianti casi avviene che le belve umane, le quali, abbandonate dai ministri dello Stato e della religione, barbare fra mezzo alla città , pagane fra mezzo al cristianesimo, brulicano tra ogni fisica e morale bruttura nelle cantine e nelle soffitte delle grandi città , acquistino a un tratto terribile importanza. Così fu di Londra. Allo avvicinarsi della notte—per avventura la più lunga notte dellʼanno—eruppero da ogni spelonca di vizio, dalle taverne di Hockley e dal laberinto dʼosterie e di bordelli nel quartiere di Friars, migliaia di ladroncelli e di ladroni, di borsaiuoli e di briganti. A costoro mescolaronsi migliaia dʼoziosi giovani di bottega, i quali ardevano solo della libidinedi tumultuare. Perfino uomini pacifici ed onesti erano spinti dallʼanimosità religiosa a congiungersi con la sfrenata plebaglia: imperocchè il grido di «Giù il Papismo,» grido che aveva più volte messa a repentaglio la esistenza di Londra, era il segnale dellʼoltraggio e della rapina. Primamente la canaglia gettossi sopra le case appartenenti al culto cattolico. Gli edifici furono atterrati. Banchi, pulpiti, confessionali, breviari furono accatastati ed arsi. Un gran monte di libri e di arredi era in fiamme presso il convento di Clerkenwell. Unʼaltra catasta bruciava innanzi le rovine del convento deʼ Francescani in Lincolnʼs Inn Fields. La cappella in Lime Street, la cappella in Bucklersbury, furono smantellate. Le dipinture, le immagini, i crocifissi vennero condotti trionfalmente per le vie al lume delle torce divelte dagli altari. La processione pareva una selva di spade e di bastoni, e in cima ad ogni spada e bastone era fitta una melarancia. La stamperia reale, donde nei precedenti tre anni erano usciti innumerevoli scritti in difesa della supremazia del Papa, del culto delle immagini, e deʼ voti monastici, per adoperare una grossolana metafora che allora per la prima volta cominciò ad usarsi, fu sventrata. La vasta provigione di carta, che in gran parte non era lordata dalla stampa, apprestò materia ad un immenso falò. Daʼ monasteri, dai templi, dai pubblici uffici la furibonda moltitudine si volse alle private abitazioni. Parecchie case furono saccheggiate e distrutte: ma la pochezza del bottino non appagando i saccheggiatori, tosto si sparse la voce che le cose più preziose deʼ papisti erano state poste al sicuro presso gli ambasciatori stranieri. Nulla importava alla selvaggia e stolta plebaglia il diritto delle genti e il rischio di provocare contro la patria la vendetta di tuttaquanta lʼEuropa. Le case degli ambasciatori furono assediate. Una gran folla si raccolse dinanzi la porta di Barillon in Saint Jamesʼs Square. Ei nondimeno si condusse meglio di quel che si sarebbe creduto. Imperocchè, quantunque il Governo da lui rappresentato fosse tenuto in aborrimento, la liberalità sua nello spendere e la puntualità nel pagare lo avevano reso bene affetto al popolo. Inoltre egli aveva presa la precauzione di chiedere parecchi soldati a guardia della sua casa: e perchèvari uomini dʼalto grado che abitavano vicino a lui, avevano fatto lo stesso, una forza considerevole si raccolse in quella piazza. La tumultuante plebe quindi, assicuratasi che sotto il tetto di Barillon non vʼerano nascosti nè armi nè preti, cessò di molestarlo e ne andò via. Lo ambasciatore veneto fu protetto da una compagnia militare: ma le magioni dove abitavano i ministri dello Elettore Palatino e del Granduca di Toscana, furono distrutte. Una preziosa cassetta il Ministro Toscano riuscì a salvare dalle mani deʼ facinorosi. Vi si contenevano nove volumi di memorie scritte di mano propria da Giacomo. I quali volumi, pervenuti a salvamento in Francia, dopo lo spazio di cento e più anni, perirono fra le stragi dʼuna rivoluzione assai più formidabile di quella dalla quale erano scampati. Ma ne rimangono tuttavia alcuni frammenti, che, comunque gravemente mutili e incastrati in una farragine di fanciullesche finzioni, sono ben meritevoli dʼattento studio.IV. Le ricche argenterie della Cappella Reale erano state depositate in Wild House presso Lincolnʼs Inn Fields, dove abitava Ronquillo ambasciatore di Spagna. Ronquillo, sapendo chʼegli e la sua Corte non avevano male meritato della nazione inglese, non aveva creduto necessario chiedere dei soldati: ma la marmaglia non era in umore da fare sottili distinzioni. Il nome di Spagna da lungo tempo richiamava alla mente degli Inglesi la idea della Inquisizione, dellʼArmada, delle crudeltà di Maria, e delle congiure contro Elisabetta. Ronquillo dal canto suo sʼera acquistato di molti nemici fra il popolo, giovandosi del suo privilegio per non pagare i suoi debiti. E però la sua casa fu saccheggiata senza misericordia; ed una pregevole biblioteca da lui raccolta rimase preda delle fiamme. Il solo conforto chʼegli ebbe in tanto disastro fu di potere salvare dalle mani degli aggressori lʼostia santa che era nella sua cappella.[576]La mattina del di 12 dicembre sorse in assai lugubre aspetto. La metropoli in molti luoghi presentava lo spettacolo dʼuna città presa dʼassalto. I Lordi ragunaronsi in Whitehall e fecero ogni sforzo per ristabilire la quiete. Le milizie civiche furono chiamate alle armi. Un corpo di cavalleria fu tenuto pronto a disperdere i tumultuosi assembramenti. Ai governi stranieri fu peʼ gravi insulti data quella soddisfazione che si potè maggiore in quel momento. Fu promesso un premio a chiunque scoprisse le robe rapite in Wild House; e Ronquillo al quale non era rimasto un solo letto o unʼoncia dʼargento, fu splendidamente alloggiato nel deserto palagio dei Re dʼInghilterra. Gli fu apprestata una sontuosa mensa; e gli ufficiali della Guardia Palatina ebbero ordine di stare nella sua anticamera come costumavasi fare col Sovrano. Tali segni di rispetto abbonirono il puntiglioso orgoglio della Corte Spagnuola, e tolsero ogni pericolo di rottura.[577]V. Ad ogni modo, non ostante i bene intesi sforzi del Governo Provvisorio, lʼagitazione facevasi ognora più formidabile. La fu accresciuta da un caso che anche oggi dopo tanto tempo non può narrarsi senza provare il piacere della vendetta. Uno speculatore che abitava in Wapping, e trafficava prestando ai marini del luogo pecunia ad usura, aveva tempo innanzi prestato una somma, prendendo ipoteca sul carico dʼuna nave. Il debitore ricorse al tribunale detto dʼEquità , per essere sciolto dalla sua obbligazione; e la causa fu portata dinanzi a Jeffreys. Lo avvocato del debitore avendo poche ragioni da allegare, disse che il prestatore era un barcamenante. Il Cancelliere, appena udito ciò, si accese di rabbia. «Un barcamenante! dove è egli? Chʼio lo veda. Ho sentito parlare di quella specie di mostro. A che si assomiglia egli?» Lo sventurato creditore fu costretto a comparire. Il Cancelliere gli rivolse ferocissimo lo sguardo, inveì contro lui, e cacciollo via mezzo morto dallospavento. «Finchè avrò vita» disse il povero uomo uscendo barcollante dalla corte, «non dimenticherò mai quel terribile aspetto.» Ma finalmente era per lui arrivato il giorno della vendetta. Il barcamenante passeggiava per Wapping, allorquando gli parve di conoscere il riso dʼun uomo il quale faceva capolino dalla finestra dʼuna birreria. Non poteva ingannarsi. Aveva rasi i sopraccigli; vestiva lʼabito di un marinajo di Newcastle ed era coperto di polve di carbone: ma il selvaggio occhio e la bocca di Jeffreys non erano tali da non riconoscersi. Fu dato lʼallarme. In un istante la birreria fu circondata da centinaia di popolani che imprecando scuotevano i loro bastoni. Il fuggitivo Cancelliere ebbe salva la vita da una compagnia della milizia civica; e fu condotto dinanzi al Lord Gonfaloniere. Questi era uomo semplice, vissuto sempre nella oscurità , e adesso trovandosi attore importante in una grande rivoluzione, sʼera sentito venire il capogiro. Gli avvenimenti delle ventiquattro ore decorse, e lo stato pericoloso della Città alle sue cure affidata, lo avevano perturbato di mente e di corpo. Allorchè il grande uomo, al cui cipiglio, pochi giorni avanti, aveva tremato lʼintero Regno, fu tratto al tribunale, bruttato di ceneri, mezzo morto di spavento e seguito da una rabbiosa moltitudine, si accrebbe oltre ogni credere lʼagitazione del male arrivato Gonfaloniere. Convulso e fuori di sè fu trasportato a letto, donde non sorse più. Intanto la folla di fuori cresceva sempre, e orribilmente tempestava. Jeffreys pregò dʼessere menato in prigione. Si ottenne a tale effetto un ordine deʼ Lordi che sedevano in Whitehall; ed ei fu condotto in una carrozza alla Torre. Procedeva scortato da due reggimenti della milizia civica, i quali non senza difficoltà potevano frenare il popolo. Più volte si videro nella necessità di ordinarsi come se avessero a sostenere un assalto di cavalleria, e di presentare una selva di picche alla irrompente plebe. La quale vedendo rapirsi la vendetta teneva dietro al cocchio con urli di rabbia fino alla porta della Torre, brandendo bastoni e scuotendo capestri agli occhi del prigioniero. Lo sciagurato intanto tremava di spavento; arrostava le mani, affacciavasi con occhi stralunati ora a questo ora a quello degli sportelli, e fra il tumulto si udiva gridare: «Teneteli lontani,o signori! Per lʼamore di Dio, teneteli lontani!» Infine dopo aver provate amarezze maggiori di quelle della morte, fu in sicurtà alloggiato nella fortezza, dove alcune delle sue più illustri vittime avevano passati gli estremi giorni della loro vita, e dove egli fu destinato a finire la sua con inenarrabile ignominia ed orrore.[578]In tutto questo tempo si cercarono diligentemente i preti cattolici romani. Molti vennero arrestati. Due Vescovi, cioè Ellis e Leyburn, furono mandati a Newgate. Il Nunzio che aveva poca ragione a sperare che la moltitudine rispettasse il suo carattere sacerdotale e politico, fuggì travestito da servitore fra la gente del Ministro di Savoja.[579]VI. Un altro giorno di agitazione e di terrore si chiuse, e fu seguito dalla più strana e terribile notte che fosse mai stata in Inghilterra. Sul far della sera la plebaglia aggredì una magnifica casa pochi mesi avanti edificata per Lord Powis, la quale nel regno di Giorgio II era residenza del Duca di Newcastle, e che si vede anche oggi allʼangolo tra ponente e tramontana di Lincolnʼs Inn Fields. Vi furono mandati alcuni soldati: la plebaglia fu dispersa, la quiete sembrava ristabilita, e i cittadini se ne tornavano in pace alle proprie case, quando sorse un bisbiglio che in un momento divenne tremendo clamore, ed in unʼora da Piccadilly giunse a Whitechapel e si sparse per tutta la metropoli. Dicevasi che glʼIrlandesi lasciati senza freno da Feversham marciavano alla volta di Londra facendo strage dʼogni uomo, donna e fanciullo che incontrassero per via. Allʼuna ora della mattina i tamburi della milizia civica suonavano allʼarme. In ogni dove le donne atterrite piangevano ed arrostavano le mani, mentre i padri e i mariti loro armavansi per uscire a combattere. Prima delle ore due la metropoli presentava un aspetto sì bellicoso che avrebbe potuto atterrire unʼarmata regolare. A tutte le finestre vedevansi i lumi. I luoghi pubblici risplendevano come se fossepieno giorno. Le grandi vie erano asserragliate. Venti e più mila picche ed archibugi fiancheggiavano le strade. Lʼultima alba del solstizio dʼinverno trovò tutta la città ancora in armi. Pel corso di molti anni i Londrini serbarono viva ricordanza di quella chʼessi chiamavano la Notte Irlandese. Come si seppe non esservi nessuna cagione di timore, il Governo cercò studiosamente dʼindagare lʼorigine della ciarla che aveva fatto nascere cotanta agitazione. Sembra che taluni, che avevano sembianze e vesti di contadini pur allora giunti dalla campagna, spargessero poco prima di mezza notte la nuova neʼ suburbi: ma donde venissero e chi li movesse, rimase sempre un mistero. Poco dopo da molti luoghi arrivarono notizie che accrebbero maggiormente la universale perplessità . Il timore panico non aveva invaso la sola Londra. La voce che i soldati irlandesi disciolti venivano a fare scempio deʼ Protestanti era stata sparsa, con maligna destrezza, in molti luoghi lʼuno a lunga distanza dallʼaltro. Gran numero di lettere, con molta arte scritte a fine di spaventare lo ignorante popolo, erano state spedite per le diligenze, i vagoni, e la posta a varie parti della Inghilterra. Tutte queste lettere giunsero aʼ loro indirizzi quasi nel medesimo tempo. In cento città a unʼora la plebe credè che si appressassero i barbari in armi con lo intendimento di commettere scelleratezze simili a quelle che avevano infamata la ribellione dʼUlster. A nessuno deʼ Protestanti si sarebbe usata misericordia. I figliuoli sarebbero stati costretti per mezzo della tortura a trucidare i loro genitori. I bambini sarebbero confitti alle picche o gettati fra le fiammeggianti rovine di quelle che pur dianzi erano felici abitazioni. Grandi turbe di popolo si raccolsero armate; in taluni luoghi cominciarono a distruggere i ponti ed asserragliare le vie: ma il concitamento presto calmossi. In molti distretti coloro che erano stati vittime di tanto inganno udirono con piacere misto di vergogna non esservi un solo soldato papista che non fosse lontano sei o sette giorni di marcia. Veramente in qualche luogo accadde che alcuna banda dispersa dʼIrlandesi si mostrasse e dimandasse pane; ma non può loro attribuirsi a delitto se non si contentassero di morire di fame; e non vʼè prova che commettessero alcun grave oltraggio. Certo eranomeno numerosi di quel che supponevasi comunemente; e trovavansi scorati, vedendosi a un tratto privi di capitani e di vettovaglie framezzo a una potente popolazione, dalla quale erano considerati come un branco di lupi. Fra tutti i sudditi di Giacomo nessuno aveva più ragione ad esecrarlo che questi sciagurati membri della sua Chiesa e difensori del suo trono.[580]È cosa onorevole al carattere deglʼInglesi, che non ostante la generale avversione contro la religione cattolica romana e la razza irlandese, non ostante lʼanarchia che nacque alla fuga di Giacomo, non ostante le subdole macchinazioni adoperate a inferocire la plebe, non fu commesso in quella congiuntura nessuno atroce delitto. Molte facultà , a dir vero, furono distrutte e rapite; le case di molti gentiluomini cattolici romani aggredite; giardini devastati; cervi uccisi e portati via. Alcuni venerandi avanzi della nostra architettura del medio evo serbano tuttora i segni della violenza popolare. In molti luoghi lo andare e venire liberamente per le strade era impedito da una polizia creatasi da sè, la quale fermava ogni viandante onde sincerarsi con prove se fosse papista. Il Tamigi era infestato da una torma di pirati, che sotto pretesto di cercare armi o delinquenti, mettevano sossopra ogni barca che passava; insultati e maltrattati gli uomini impopolari. Molti che tali non erano, reputaronsi fortunati di potere riscattare le persone e la roba loro donando alcune ghinee ai fanatici Protestanti, i quali senza autorità legittima sʼerano fatti inquisitori. Ma in tutta cotesta confusione che durò vari giorni e si estese a molte Contee, nessuno deʼ Cattolici Romani perdè la vita. La plebaglia non mostrò brama di sangue, tranne nel caso di Jeffreys; e lʼodio di che sʼera reso segno costui poteva piuttosto chiamarsi umanità che crudeltà .[581]Molti anni dipoi Ugo Speke affermò che la Notte Irlandese era opera sua, chʼegli aveva istigati i villani che posero in concitazione Londra, e che egli era lo autore delle lettere le quali avevano sparso lo spavento in tutta lʼisola. La sua asserzionenon è intrinsecamente improbabile: ma non ha altra prova tranne le parole di lui. Egli era uomo bene capace di commettere tanta scelleraggine, e anche capace di vantarsi falsamente dʼaverla commessa.[582]Guglielmo era impazientemente aspettato a Londra, poichè nessuno dubitava che egli con la energia e abilità sue ristabilisse tosto lʼordine e la sicurezza pubblica. Nondimeno vi fu qualche indugio, del quale il Principe non può giustamente biasimarsi. La sua primitiva intenzione era stata di recarsi da Hungerford ad Oxford, dove, secondo che lo avevano assicurato, avrebbe avuto onorevoli e affettuose accoglienze: ma lo arrivo della deputazione partita da Guildhall lo indusse a cangiare pensiero e correre speditamente alla metropoli. Per via seppe che Feversham, obbedendo ai comandamenti del Re, aveva disciolto lo esercito, e che migliaia di soldati senza freno, e privi delle cose necessarie alla vita, erano sparse per le Contee le quali attraversa la via che mena a Londra. Gli era quindi impossibile di viaggiare con poco seguito senza grave pericolo non solo per la sua propria persona, di cui non aveva costume dʼessere molto sollecito, ma anche pei grandi interessi a lui affidati. Era mestieri che egli si movesse a seconda del muoversi delle sue milizie, le quali in quei tempi non potevano procedere se non lentamente a mezzo il verno per gli stradali della Inghilterra. In cosiffatte circostanze egli perdè alquanto il suo ordinario contegno. «Con me non si deve trattare a questo modo» esclamò egli con acrimonia, «e Milord Feversham se ne avvedrà bene.» Furono presi pronti e savi provvedimenti per rimediare ai mali cagionati da Giacomo. A Churchill e Grafton fu dato lo incarico di raggranellare la dispersa soldatesca e riordinarla. I soldati inglesi vennero invitati a rientrare nello esercito. Agli irlandesi fu fatto comandamento di rendere le armi sotto pena di essere trattati come banditi, ma fu loro assicurato che, obbedendo con pace, verrebbero provveduti del necessario.[583]Gli ordini del Principe furono quasi senza ostacolo mandatiad esecuzione, tranne la resistenza che fecero i soldati irlandesi che presidiavano Tilbury. Uno di costoro appuntò una pistola contro Grafton; lʼarme non prese fuoco, e lo assassino in sullʼistante fu steso morto da un Inglese. Circa due cento di cotesti sciagurati stranieri coraggiosamente tentarono di ritornare alla loro patria. Impossessaronsi di un bastimento grave di un ricco carico che pur allora dalle Indie era arrivato al Tamigi, e provaronsi di avere a forza piloti a Gravesend. Ma non ne potendo trovare alcuno, furono costretti a confidare in quel poco che essi medesimi sapevano dʼarte nautica. Il legno poco dopo investì contro la spiaggia, e a quei miseri dopo qualche spargimento di sangue fu forza porre giù le armi.[584]Erano già corse cinque settimane da che Guglielmo era in Inghilterra, duranti le quali gli aveva arriso la fortuna. Egli aveva fatto bella mostra di prudenza e fermezza, e nondimeno gli avevano meno giovato queste virtù sue che lʼaltrui insania e pusillanimità .Ed ora che ei sembrava vicino a conseguire il fine della sua intrapresa, sopraggiunse a sconcertargli i disegni uno di quegli strani accidenti che così spesso confondono i più studiati divisamenti della politica.VII. La mattina del di 13 dicembre, il popolo di Londra, non per anco riavutosi dallʼagitazione della Notte Irlandese, rimase attonito alla nuova che il Re era stato fermato ed era sempre nellʼisola. La nuova prese consistenza per tutto il giorno, e avanti sera fu pienamente confermata.Giacomo aveva viaggiato mutando cavalli lungo la riva meridionale del Tamigi, e la mattina del di 12 era giunto ad Emley Ferry presso lʼisola di Sheppey, dove aspettavalo la nave sopra la quale ei doveva imbarcarsi. Vi montò sopra; ma il vento spirava forte, e il padrone non volle rischiarsi a mettere alla vela senza maggior quantità di zavorra. In tal guisa una marea andò perduta. Era quasi a mezzo il suo corso la notte allorquando la nave cominciò a muoversi. In queʼ giorni la nuova che il Re era scomparso, che il paese era senza governo, e Londra tutta sossopra, erasi sparsa lungo il Tamigi,e neʼ luoghi dove era giunta aveva fatto nascere violenza e disordine. I rozzi pescatori della spiaggia di Kent adocchiarono con sospetto e cupidigia la nave. Corse voce che alcuni individui vestiti da gentiluomini erano frettolosamente andati in sul bordo. Forse erano Gesuiti: forse erano ricchi. Cinquanta o sessanta barcaiuoli, spinti a un tempo dallʼodio contro il papismo e dalla avidità di predare, circondarono la nave quando ella era in sul punto di far vela. Fu detto ai passeggieri che bisognava andare a terra per essere esaminati da un magistrato. La figura del Re suscitò deʼ sospetti. «Gli è padre Petre» gridò uno di queʼ ribaldi «lo conosco alle sue scarne ganasce.»—«Fruga cotesto vecchio gesuita, cotesto viso da galera» urlarono tutti ad una voce. Ei tosto fu segno alle ruvide spinte di coloro che lo circondavano. Gli tolsero i danari e lʼoriuolo. Egli aveva addosso lʼanello della incoronazione ed altre gioie di gran valore, che sfuggirono alle ricerche di queʼ ladri, i quali erano così ignoranti in materia di gioie che presero per pezzi di vetro i diamanti delle fibbie del Re.In fine i prigioni furono messi a terra e condotti ad una locanda. Quivi a vederli erasi affollata molta gente; e Giacomo, quantunque fosse sfigurato da una parrucca di forma e colore diversa da quella chʼegli era uso a portare, fu a un tratto riconosciuto. Per un istante la plebaglia parve compresa di terrore; ma i capi esortandola la rianimarono; e la vista di Hales, che tutti ben conoscevano e forte odiavano, infiammò il loro furore. Il suo parco era in quelle vicinanze, e in quel momento stesso una banda di facinorosi saccheggiavano la casa e davano la caccia ai cervi di lui. La folla assicurò il Re, che non aveva intenzione di fargli alcun male, ma ricusò di lasciarlo partire. Avvenne che il Conte di Winchelsea protestante ma fervido realista, capo della famiglia Finch e prossimo parente di Nottingham, si trovasse in Canterbury. Appena seppe lo accaduto corse in fretta alla costa accompagnato da alcuni gentiluomini di Kent. Per mezzo loro il Re fu condotto a un luogo più convenevole: ma rimaneva tuttavia prigioniero. La folla non cessava di vigilare attorno alla casa dove era stato condotto; e alcuni dei capi stavansi a guardia dinanzilʼuscio della sua camera. Il suo contegno infrattanto era quello di un uomo snervato di mente e di corpo sotto il peso delle proprie sciagure. Talvolta parlava con tanta alterigia che i villani, i quali lo guardavano, sentivansi provocati ad insolenti risposte. Poi piegavasi a supplicare. «Lasciatemene andare» diceva egli «procuratemi una barca. Il Principe dʼOrange mi fa la caccia per togliermi la vita. Se non mi lascerete fuggire, eʼ sarà troppo tardi. Il mio sangue ricadrà sulle vostre teste. Colui che non è con me, è contro me.» Togliendo occasione da queste parole del Vangelo predicò per mezzʼora. Favellò stranamente sopra moltissime cose, sopra la disobbedienza deʼ Convittori del Collegio della Maddalena, i miracoli del Pozzo di San Venifredo, la slealtà deʼ preti, la virtù dʼun frammento del vero legno della Santa Croce chʼegli aveva sventuratamente perduto. «E che ho mai fatto?» chiese agli scudieri di Kent che gli stavano attorno. «Ditemi il vero: qual fallo ho io mai commesso?» Coloro, ai quali egli faceva queste domande, furono tanto umani da non dargli le risposte che meritava, e stavansi con compassionevole silenzio ad ascoltare quellʼinsano cicaleccio.[585]Quando pervenne alla metropoli la nuova chʼegli era stato fermato, insultato, manomesso e spogliato, e che tuttavia rimaneva nelle mani di queʼ brutali ribaldi, ridestaronsi molte passioni. I rigidi Anglicani, i quali poche ore innanzi avevano cominciato a credersi liberi dal debito di fedeltà verso lui, adesso scrupoleggiavano. Egli non aveva abbandonato il reame, nè abdicato. Ove egli ripigliasse la regia dignità , potrebbero essi, secondo i principii loro, ricusare di prestargli obbedienza? I veggenti uomini di stato prevedevano con rammarico che tutte le contese che per un momento la sua fuga aveva abbonacciate, tornando egli, tornerebbero a rinascere assai più virulente. Alcuni del popolo basso, comechè animati dal sentimento deʼ recenti torti, sentivano pietà dʼun gran Principe oltraggiato da gente ribalda, e inchinavano a sperare—speranza più onorevole alla indole che al discernimento loro—che anche adesso egli si sarebbe potuto pentiredelle colpe che gli avevano attirato sul capo un così tremendo castigo.Dal momento in che si seppe il Re essere tuttavia in Inghilterra, Sancroft che fino allora era stato capo del Governo Provvisorio, si assentò dalle sedute deʼ Pari. Sul seggio presidenziale fu posto Halifax, il quale era allora ritornato dal quartiere generale degli Olandesi. In poche ore lʼanimo suo era grandemente mutato. Adesso il senso del bene pubblico e privato lo spingeva a collegarsi coi Whig. Ove candidamente si ponderino le prove fino a noi pervenute, è forza credere chʼegli accettasse lʼufficio di Commissario Regio con la sincera speranza di effettuare tra il Re e il Principe un accomodamento a convenevoli patti. Le pratiche dʼaccordo erano incominciate prosperamente: il Principe aveva offerto patti che il Re stesso giudicò convenevoli: il facondo e ingegnoso barcamenante lusingavasi di rendersi mediatore fra le inferocite fazioni, dettare un trattato dʼaccordo fra le opinioni esagerate ed avverse, assicurare le libertà e la religione della patria senza esporla ai pericoli inseparabili da un mutamento di dinastia e da una successione contrastata. Mentre compiacevasi di un pensiero così consentaneo alla indole sua, seppe dʼessere stato ingannato, e adoperato come strumento a ingannare la nazione. La sua commissione ad Hungerford era stata quella dʼuno stolto. Il Re non aveva mai avuto intendimento di osservare le condizioni chʼegli aveva ai Commissari ordinato di proporre. Aveva loro ordinato di dichiarare chʼegli voleva sottoporre tutte le questioni controverse al Parlamento da lui convocato; e mentre essi eseguivano il suo messaggio, aveva bruciati i decreti di convocazione, fatto sparire il Sigillo, sbandato lo esercito, sospesa lʼamministrazione della giustizia, disciolto il Governo, e se nʼera fuggito dalla metropoli. Halifax sʼaccôrse oramai non essere più possibile comporre amichevolmente le cose. È anche da sospettarsi chʼegli provasse quella molestia che è naturale ad un uomo che, godendo grande riputazione di saviezza, si trovi ingannato da una intelligenza immensurabilmente inferiore alla sua propria, e quella molestia che è naturale a chi, essendo espertissimo nellʼarte del dileggio, si trovi posto in una situazioneridicola. Dalla riflessione e dal risentimento fu indotto ad abbandonare ogni pensiero di conciliazione alla quale egli aveva fino allora sempre mirato, e a farsi capo di coloro che volevano porre Guglielmo sul trono.[586]Esiste ancora un Diario dove Halifax scrisse di propria mano tutto ciò che seguì nel Consiglio da lui preseduto.[587]Non fu trascurata precauzione alcuna creduta necessaria a prevenire gli oltraggi e i ladronecci. I Pari si assunsero la responsabilità di ordinare ai soldati, che, ove la plebaglia tumultuasse di nuovo, le facessero fuoco contro. Jeffreys fu condotto a Whitehall e interrogato affinchè rivelasse ciò che era divenuto del Gran Sigillo e dei decreti di convocazione. E pregando egli ardentemente, fu rimandato alla Torre come unico luogo dove potesse avere salva la vita. Si ritirò ringraziando e benedicendo coloro che gli avevano conceduta la protezione del carcere. Un Nobile Whig propose di porre in libertà Oates; ma la proposta venne respinta.[588]Le faccende del giorno erano quasi sbrigate, e Halifax stava per alzarsi dal seggio, quando gli fu annunziato essere giunto un messaggiero da Sheerness. Non vʼera cosa che potesse produrre più perplessità o molestia. Fare o non far nulla importava incorrere in grave responsabilità . Halifax, desiderando probabilmente acquistar tempo per comunicare col Principe, avrebbe voluto differire la sessione; ma Mulgrave pregò i Lordi a rimanere, e fece entrare il messaggiero. Questi raccontò con molte lacrime il successo, consegnò una lettera scritta di mano propria dal Re, la quale non era diretta a nessuno, ma invocava lo aiuto di tutti i buoni Inglesi.[589]VIII. Non era possibile porre in non cale un simiglianteappello. I Lordi ordinarono a Feversham corresse con una compagnia di Guardie del Corpo al luogo dove il Re era arrestato e gli desse libertà .Già Middleton ed altri pochi aderenti di Giacomo sʼerano partiti per soccorrere il loro sventurato signore. Lo trovarono tenuto in istretta prigionia, sì che non fu loro concesso di essere introdotti al cospetto di lui senza aver prima consegnate le spade. Il concorso del popolo era immenso. Taluni gentiluomini Whig di quelle vicinanze avevano condotto un numeroso corpo di milizie civiche per guardarlo. Avevano erroneamente pensato che ritenendolo prigioniero si acquisterebbero la grazia deʼ suoi nemici, e rimasero grandemente conturbati allorchè seppero che il Governo Provvisorio di Londra aveva disapprovato il modo onde il Re era stato trattato, e che era presso a giungere una squadra di cavalleria per liberarlo. Difatti Feversham non indugiò ad arrivare. Aveva lasciate le sue truppe in Sittingbourne; ma non vi fu mestieri adoperare la forza. Il Re fu lasciato partire senza ostacolo, e venne daʼ suoi amici condotto a Rochester, dove prese un poco di riposo di cui aveva sommo bisogno. Era in istato da fare pietà . Non solo aveva onninamente perturbato lo intendimento, che per altro non era stato mai lucidissimo, ma quel coraggio, chʼegli da giovane aveva mostrato in varie battaglie di mare e di terra, lo aveva abbandonato. Eʼ pare che le ruvide fatiche corporali da lui adesso per la prima volta sostenute, lo prostrassero più che ogni altro evento della travagliata sua vita. La diserzione del suo esercito, deʼ suoi bene affetti, della sua famiglia, lo toccava meno delle indegnità patite quando ei venne arrestato in su la nave. La ricordanza di tali indegnità seguitò lungo tempo a invelenirgli il cuore, e una volta fece cose da muovere a scherno tutta la Europa. Nel quarto anno del suo esilio tentò di sedurre i propri sudditi offrendo loro unʼamnistia. Vi si conteneva una lunga lista dʼeccezioni, e in essa i poveri pescatori che gli avevano sgarbatamente frugate le tasche erano notati accanto ai nomi di Churchill e di Danby. Da ciò possiamo giudicare quanto amaramente ei sentisse lʼoltraggio pur dianzi sofferto.[590]Nulladimeno, ove egli avesse avuto un poco di buon senso, si sarebbe accorto che coloro i quali lo avevano arrestato, gli avevano, senza saperlo, reso un gran servigio. Gli eventi successi dopo la sua assenza dalla metropoli lo avrebbero dovuto convincere che, qualora gli fosse riuscito fuggire, non sarebbe più mai ritornato. A suo dispetto era stato salvato dal precipizio. Gli rimaneva unʼaltra sola speranza. Per quanto gravi fossero i suoi delitti, detronizzarlo mentre ei rimaneva nel Regno e mostravasi pronto ad assentire ai patti che glʼimporrebbe un libero Parlamento, sarebbe stato pressochè impossibile.Per breve tempo egli parve propenso a rimanere. Spedì Feversham da Rochester con una lettera a Guglielmo. La sostanza della quale era che Sua Maestà già sʼera messo in cammino per ritornare a Whitehall, che desiderava avere un colloquio col Principe, e che il palazzo di San Giacomo sarebbe apparecchiato per Sua Altezza.[591]IX. Guglielmo era in Windsor. Aveva con profondo rincrescimento saputi i fatti successi nella costa di Kent. Poco avanti che gliene giungesse la nuova, coloro che gli stavano da presso avevano notato chʼegli era dʼinsolito buon umore. Ed aveva ragione di star lieto. Vedevasi dinanzi lo sguardo un trono vacante; parea che tutti i partiti a una voce lo invitassero a salirvi. In un baleno la scena cangiossi: lʼabdicazione non era consumata; molti deʼ suoi stessi fautori avrebbero scrupoleggiato a deporre un Re che rimanesse fra loro, glʼinvitasse ad esporre le loro doglianze in modo parlamentare, e promettesse piena giustizia. Era uopo che il Principe esaminasse le nuove condizioni in cui si trovava, e si appigliasse a nuovo partito. Non vedeva alcuna via alla quale non si potesse nulla obbiettare, nessuna via che lo ponesse in una situazione vantaggiosa al pari di quella dove egli era poche ore innanzi. Nondimeno qualche cosa poteva farsi. Il primo tentativo fatto dal Re per fuggire non era riuscito: era sommamente da desiderarsi chʼegli si ponesse di nuovo alla prova con migliore successo. Bisognava impaurirlo e sedurlo. La liberalità usatagli nelle pratiche dʼaccordo fatte in Hungerford,liberalità alla quale egli aveva risposto rompendo la fede, adesso sarebbe intempestiva. Bisognava non proporgli patti nessuni dʼaccomodamento; e proponendone egli, rispondergli con freddezza; non usargli violenza, e neanche minacce; e nondimeno non era impossibile, anco senza siffatti mezzi, rendere un uomo cotanto pusillanime, inquieto della propria salvezza. E allora, posto di nuovo lʼanimo nel solo pensiero della fuga, era dʼuopo facilitargliela, e procurare che qualche zelante stoltamente non lo arrestasse una seconda volta.X. Tale era il concetto di Guglielmo: e la destrezza e fermezza con che lo mandò ad esecuzione offre uno strano contrasto con la demenza e codardia dellʼuomo con cui egli aveva da fare. Tosto gli si presentò il destro dʼiniziare un sistema dʼintimidazione. Feversham giunse a Windsor portatore della lettera di Giacomo. Il messaggiero non era stato giudiciosamente scelto. Egli era quel desso che aveva disciolto lo esercito regio. A lui principalmente imputavano la confusione e il terrore della Notte Irlandese. Il pubblico ad alta voce lo biasimava. Guglielmo, provocato, aveva profferito poche parole di minaccia; e poche parole di minaccia uscite dalle labbra di Guglielmo sempre significavano qualcosa. A Feversham fu detto mostrasse il salvocondotto. Non ne aveva. Venendo senza esso framezzo a un campo ostile, secondo le leggi della guerra, sʼera reso meritevol dʼessere trattato con estrema severità . Guglielmo non volle vederlo, e comandò che venisse arrestato.[592]Zulestein fu tostamente spedito a riferire a Giacomo che Guglielmo non consentiva il proposto colloquio, e desiderava che la Maestà Sua rimanesse in Rochester.Ma non era più tempo. Giacomo era già in Londra. Aveva esitato circa al viaggio, e una volta si era nuovamente provato a fuggire dallʼisola. Ma infine cedè alle esortazioni degli amici chʼerano più savi di lui, e partì alla volta di Whitehall. Vi arrivò il pomeriggio di domenica, 16 dicembre. Temeva che la plebe, la quale nella sua assenza aveva dato tanti segni della avversione che sentiva contro il Papismo, gli facesse qualche affronto. Ma la stessa violenza dellʼira popolare erasi calmata; la tempesta abbonacciata. Gaiezza e compassioneavevano succeduto al furore. Nessuno mostravasi inchinevole a insultare il Re; qualche acclamazione fu udita mentre il suo cocchio traversava la Città . Le campane di alcune chiese suonarono a festa; furono accesi pochi fuochi di gioia a onorare il suo ritorno.[593]La sua debole mente pur dianzi oppressa dallo scoraggiamento dètte in istravaganze a cotesti inattesi segni di bontà e compassione mostrati dal popolo. Giacomo entrò rinfrancato nel proprio palazzo, il quale subitamente riprese il suo antico aspetto. I preti cattolici romani, che neʼ decorsi giorni sʼerano frettolosamente nascosti neʼ sotterranei e nelle soffitte per scansare il furore della plebe, uscirono dai loro luridi nascondigli chiedendo i loro antichi appartamenti in palazzo. Un Gesuita recitava il rendimento di grazie alla mensa del Re. Il vernacolo irlandese, allora il più odioso di tutti i suoni alle orecchie inglesi, udivasi per tutti i cortili e le sale. Il Re stesso aveva ripresa la sua vecchia alterigia. Tenne un Consiglio—lʼultimo deʼ suoi Consigli—ed anche negli estremi cui era ridotto convocò individui privi deʼ requisiti legali ad intervenirvi. Si mostrò gravemente indignato contro quei Lordi, che nella sua assenza avevano osato assumere il governo dello Stato. Era loro dovere lasciare che la società si dissolvesse, le case degli Ambasciatori venissero distrutte, Londra arsa, più presto che assumere le funzioni chʼegli aveva creduto giusto abbandonare. Fra coloro che ei così gravemente riprendeva, erano alcuni Nobili e Prelati, i quali a dispetto di tutti i suoi errori gli erano rimasti costantemente fedeli, e anche dopo questa altra provocazione non seppero, per timore o speranza, indursi a prestare obbedienza ad altro sovrano.[594]Ma tale coraggio presto gli venne meno. Era egli appena entrato in palazzo allorquando gli fu detto che Zulestein era pur giunto messaggiero del Principe. Zulestein espose la fredda e severa ambasciata di Guglielmo. Il Re insisteva per avere un colloquio col nepote. «Non mi sarei partito da Rochester» disse egli «se avessi saputo tale essere il suo volere: ma da che qui mi ritrovo, spero chʼei voglia venire al palazzo di San Giacomo.»—«Debbo dire chiaramente alla Maestà Vostra» rispose Zulestein «che Sua Altezza non verrà a Londra finchè vi rimarranno soldati che non siano sotto gli ordini suoi.» Il Re confuso a siffatta risposta, ammutolì. Zulestein andonne via; e tosto entrò in camera un gentiluomo recando la nuova dello arresto di Feversham.[595]Giacomo ne rimase grandemente conturbato. Pure la rimembranza deʼ plausi con che era pur dianzi stato accolto, gli confortava lʼanimo. Gli sorse in cuore una stolta speranza. Pensò che Londra, la quale da tanto tempo era stata il baluardo della religione protestante e delle opinioni Whig, fosse pronta a prendere le armi in difesa di lui. Mandò a chiedere al Municipio, se sʼimpegnerebbe a difenderlo contro il Principe, qualora Giacomo si recasse ad abitare nella Città . Ma il Municipio, che non aveva posto in oblio la confisca deʼ suoi privilegi e lo assassinio giuridico di Cornish, ricusò di dare la promessa richiesta. Allora il Re si sentì nuovamente scorato. In qual luogo, diceva egli, troverebbe protezione? Valeva lo stesso essere circondato dalle truppe olandesi che dalle sue Guardie del Corpo. Quanto ai cittadini, adesso egli comprese quanto valessero i plausi e le luminarie. Altro partito non gli rimaneva che fuggire; e nondimeno vedeva bene che nessuna cosa potevano tanto desiderare i suoi nemici, quanto la sua fuga.[596]XI. Mentre egli siffattamente trepidava, in Windsor deliberavasi intorno al suo fato. Adesso la corte di Guglielmo era strabocchevolmente affollata di uomini illustri di tutti i partiti.Vʼerano giunti la più parte deʼ capi della insurrezione delle contrade settentrionali. Vari Lordi, i quali nellʼanarchia deʼ giorni precedenti si erano costituiti da sè in Governo provvisorio, appena ritornato il Re, lasciata Londra, se nʼerano andati al quartier generale. Fra loro era anco Halifax. Guglielmo lo aveva accolto con gran satisfazione, ma non aveva potuto frenare un ironico sorriso vedendo lo ingegnoso e compìto uomo politico, il quale aveva ambito a farsi arbitro in quella grande contesa, essere costretto ad abbandonare ogni via di mezzo e prendere un partito deciso. Fra coloro che in questa congiuntura arrivarono a Windsor erano alcuni che avevano con ignominiosi servigi comperata la grazia di Giacomo, e adesso erano bramosi di scontare, tradendo il loro signore, il delitto dʼavere tradita la patria. Tale era Titus, che aveva seduto in Consiglio in onta alle leggi, e sʼera affaticato a stringere i puritani coʼ Gesuiti in una lega contro la costituzione. Tale era Williams, il quale, per cupidigia di guadagno, di demagogo sʼera fatto campione della regia prerogativa, e adesso era prontissimo a commettere una seconda apostasia. Il Principe con giusto dispregio lasciò che cotesti uomini si stessero vanamente aspettando unʼudienza alla porta del suo appartamento.[597]Il lunedì, 17 dicembre, tutti i Pari che erano in Windsor furono convocati a una solenne consulta da tenersi nel castello. Il subietto delle loro deliberazioni era ciò che fosse da farsi del Re: Guglielmo non reputò savio partito trovarsi presente alla discussione. Ei si ritirò; ed Halifax fu posto sul seggio presidenziale. I Lordi concordavano in una cosa sola, cioè non doversi permettere che il Re rimanesse dove era. Unanimemente estimavano dannoso che lʼun principe si fortificasse in Whitehall, e lʼaltro nel palazzo di San Giacomo, e che vi fossero due guarnigioni nemiche in uno spazio di cento acri. Un tale provvedimento non poteva mancare di far nascere sospetti, insulti, e battibecchi che finirebbero forse col sangue. Per le quali ragioni i Lordi ingannati crederono necessario mandar via Giacomo di Londra. Proposero qual luogo convenevoleHam, che Lauderdale lungo la riva del Tamigi aveva edificato con le ricchezze rubate in Iscozia e con la pecunia datagli dalla Francia a corromperlo, e che era considerato come la più magnifica delle ville. I Lordi, venuti a tale conclusione, invitarono il Principe a recarsi fra loro. Halifax gli comunicò la deliberazione. Guglielmo approvò. Fu scritto un breve messaggio da spedirsi al Re. «E per chi glielo manderemo?» domandò Guglielmo. «Non dovrebbe essergli recato» disse Halifax «da uno degli ufficiali di Vostra Altezza?»—«No, milord,» rispose il principe; «con vostra licenza, il messaggio è spedito per consiglio delle Signorie Vostre; dovrebbe quindi recarglielo alcuno di voi.» Allora senza far sosta, onde non si desse luogo a rimostranze, ei nominò messaggieri Halifax, Shrewsbury e Delamere.[598]Sembra che la deliberazione deʼ Lordi fosse unanime. Ma nellʼassemblea erano alcuni, che non approvavano affatto il provvedimento chʼessi affettavano di approvare, e che desideravano vedere usata verso il Re una severità che non rischiavansi a manifestare. È cosa notevole che capo di questo partito era un Pari, già stato Tory esagerato, che poscia non volle prestare giuramento a Guglielmo: questo Pari era Clarendon. La rapidità onde in cotesta crisi ei passò da uno allʼaltro estremo, parrebbe incredibile a coloro che vivono in tempi di pace, ma non ne maraviglieranno coloro i quali hanno avuto occasione di osservare il corso delle rivoluzioni. Si avvide che lʼasprezza con cui egli al regio cospetto aveva censurato lo intero sistema del governo, aveva mortalmente offeso il suo antico signore. Dallʼaltra parte, come zio delle Principesse, poteva sperare dʼingrandirsi e arricchire nel nuovo ordine di cose che già sʼiniziava. La colonia inglese in Irlanda lo teneva come amico e patrono; ed ei pensava che assai parte della propria importanza riposava sulla fiducia e lo affetto di quella. A tali considerazioni cederono i principii da lui con tanta ostentazione per tutta la sua vita professati. Si recò dunque alle secrete stanze del Principe e gli appresentò il pericolo di lasciare il Re in libertà . I protestanti dʼIrlanda essere inestremo periglio. Uno solo il mezzo ad assicurare loro la roba e la vita, tenere, cioè, Sua Maestà in istretta prigionia. Non essere prudente rinchiuderlo in uno deʼ castelli della Inghilterra: ma potersi mandarlo di là dal mare e chiuderlo nella fortezza di Breda finchè fossero pienamente ricomposte le cose delle Isole Britanniche. Se tanto ostaggio rimanesse nelle mani del Principe, Tyrconnel probabilmente porrebbe giù la spada del comando, e senza strepito la preponderanza inglese verrebbe ristabilita in Irlanda. Se dallʼaltro canto Giacomo fuggisse in Francia, e si mostrasse a Dublino accompagnato da un esercito straniero, ne nascerebbero gli effetti più disastrosi. Guglielmo riconobbe la gravità di cotesti ragionamenti: ma ciò non poteva farsi. Ei conosceva lʼindole di sua moglie, e sapeva bene chʼella non avrebbe mai consentito. E veramente non sarebbe stata per lui onorevole cosa trattare con tanto rigore il vinto suocero. Nè poteva affermarsi come certo la generosità non essere la più sana politica. Chi avrebbe potuto prevedere lo effetto che la severità suggerita da Clarendon produrrebbe nella opinione pubblica della Inghilterra? Era forse impossibile che quello entusiasmo di lealtà , che il Re aveva prostrato con la propria malvagia condotta, risorgesse appena si sapesse egli essere entro le mura di una fortezza straniera? Per queste ragioni Guglielmo si tenne fermissimo a non privare della libertà il proprio suocero; e non è dubbio che ciò fosse savio partito.[599]Giacomo, mentre si discuteva intorno alla sua sorte, rimase in Whitehall, affascinato, a quanto sembra, dalla grandezza e imminenza del pericolo, e inetto a lottare o a fuggire. La sera giunse la nuova che gli Olandesi avevano occupato Chelsea e Kensington. Il Re nondimeno si apparecchiò a riposarsi secondo il consueto. Le guardie dette Coldstream erano di servizio in palazzo. Le comandava Guglielmo Conte di Craven, uomo vecchio, che cinquanta e più anni prima si era reso famoso nelle armi e negli amori, aveva sostenuto a Creutznach con tanto coraggio la disperata battaglia, che vuolsi ilgran Gustavo battendogli la spalla gli dicesse: Bravo!—e credevasi che sopra mille rivali avesse conquistato il cuore della sventurata Regina di Boemia. Craven adesso aveva ottantʼanni, ma il suo spirito non era per anche domo dal tempo.[600]XII. Erano battute le ore dieci allorquando gli fu annunziato che tre battaglioni di fanteria del Principe con alcune legioni di cavalleria venivano giù pel lungo viale del Parco di San Giacomo con micce accese, e prontissimi ad agire. Il Conte Solmes che comandava gli stranieri disse avere ordine dʼimpossessarsi militarmente dei posti attorno a Whitehall, ed esortò Craven a ritirarsi in pace. Craven giurò di lasciarsi piuttosto tagliare a pezzi: ma come il Re, che stavasi spogliando, seppe ciò che seguiva, vietò al valoroso veterano di fare una resistenza che non poteva essere che vana. Verso le ore undici le guardie Coldstream sʼerano ritirate, e a guardia di ogni angolo del palazzo vedevansi le sentinelle olandesi. Alcuni deʼ servitori del Re chiesero se sarebbesi rischiato a dormire circondato daglʼinimici. Rispose che essi non potevano trattarlo peggio di quel che avevano fatto i suoi propri sudditi, e con lʼapatia di un uomo istupidito dalle sciagure andossene a letto e si pose a dormire.[601]XIII. Appena erasi fatto silenzio in palazzo quando esso fu nuovamente interrotto. Poco dopo mezzanotte i tre Lordi giunsero da Windsor. Middleton fu chiamato a riceverli. Gli dissero chʼerano portatori dʼun messaggio che non poteva differirsi. Il Re fu destato dal suo primo sonno; ed essi furono introdotti nella sua camera da letto. Gli posero nelle mani la lettera loro affidata, e gli dissero che il Principe tra poche ore arriverebbe a Westminster, e che Sua Maestà farebbe bene a partire per Ham avanti le ore dieci della mattina. Giacomo fece qualche obiezione. Disse non piacergli Ham, essere luogo gradevole in estate, ma freddo e privo di comodi a Natale; oltre di che era senza mobilia. Halifax rispose che sullʼistante verrebbe ammobiliato. I tre messaggieri ritiraronsi, ma furonosubitamente seguiti da Middleton, il quale disse loro che il Re preferirebbe Rochester ad Ham. Risposero non avere potestà di consentire al desiderio della Maestà Sua, ma manderebbero tosto un messo al Principe, il quale quella notte doveva alloggiare in Sion House. Il messo partì immediatamente, e tornò innanzi lʼalba recando il consenso di Guglielmo; il quale lo diede di gran cuore: imperciocchè non era dubbio che il Re avesse scelto Rochester come luogo che offriva agevolezza a fuggire, e chʼegli fuggisse era ciò che desiderava il suo genero.[602]XIV. La mattina del dì 18 dicembre, giorno di pioggia e di procella, il bargio del Re a buonʼora aspettava dinanzi le scale di Whitehall, ed era circondato da otto o dieci barche ripiene di soldati olandesi. Vari Nobili e gentiluomini accompagnarono il Re fino alla riva. Dicesi, e può ben credersi, che piangessero: imperciocchè anche i più zelanti amici della libertà non potevano vedere senza commuoversi la trista e ignominiosa fine dʼuna dinastia che avrebbe potuto essere sì grande. Shrewsbury fece quanto più potè per consolare il caduto Sovrano. Perfino lʼaspro ed esagerato Delamere era intenerito. Ma fu notato che Halifax, che aveva sempre mostrata tenerezza verso i vinti, in quel caso era meno compassionevole deʼ suoi due colleghi. Aveva tuttavia lʼanima invelenita dalla rimembranza dʼessere stato spedito ambasciatore da scherno a Hungerford.[603]Mentre il bargio reale lentamente procedeva su per le agitate onde del fiume, lo esercito del Principe dallʼoccidente veniva arrivando a Londra. Era stato saviamente ordinato che il servigio della metropoli fosse fatto dai soldati britannici al soldo degli Stati Generali. I tre reggimenti inglesi furono acquartierati dentro e attorno alla Torre, i tre scozzesi in Southwark.[604]XV. Malgrado il cattivo tempo una gran folla di popolosʼera raccolta fra Albemarle House e il palazzo di San Giacomo per plaudire al Principe. Tutti i cappelli e i bastoni erano ornati dʼun nastro colore di melarancia. Le campane suonavano per tutta Londra. Le finestre erano tutte piene di candele per la luminara. Nelle strade vedevansi cataste di legna e fascine per accendere fuochi di gioia. Guglielmo nondimeno cui non garbava lo affollarsi e il rumoreggiare della gente, passò traverso al Parco. Avanti notte giunse al palazzo di San Giacomo in un cocchio leggiero, accompagnato da Schomberg. In breve tutte le stanze e le scale del palazzo furono popolate da coloro che erano accorsi a corteggiarlo. E la folla era tanta, che personaggi dʼaltissimo grado non poterono penetrare nella sala dove stavasi il Principe.[605]Mentre Westminster era in cotesto concitamento, il Municipio in Guildhall apparecchiava un indirizzo di ringraziamenti e congratulazioni. Il Lord Gonfaloniere non potè presedere. Non aveva mai più alzato il capo da letto sino dal giorno in cui il Cancelliere travestito da carbonaio era stato trascinato alla sala della giustizia. Ma gli Aldermanni e gli altri ufficiali del corpo municipale erano ai loro posti. Il dì seguente i magistrati della città recaronsi solennemente a complire il liberatore. La gratitudine loro fu con eloquenti parole espressa dal cancelliere Sir Giorgio Treby. Disse che alcuni Principi della Casa di Nassau erano stati principali ufficiali dʼuna grande repubblica. Altri avevano portata la corona imperiale. Ma il titolo peculiare di questa illustre famiglia alla pubblica venerazione era che Dio lʼaveva eletta e consacrata allʼalto ufficio di difendere il vero e la libertà contro i tiranni di generazione in generazione. Il dì stesso tutti i prelati che trovavansi in città , tranne Sancroft, andarono in corpo al cospetto del Principe; quindi il clero di Londra, cioè gli uomini più cospicui del ceto ecclesiastico per dottrina, facondia e influenza, aventi a capo il loro Vescovo. Erano fra loro alcuni illustri ministri dissenzienti, i quali Compton, a suo sommo onore, trattò con segnalata cortesia. Pochi mesi avanti o dopo, simigliante cortesia sarebbe stata da molti anglicani consideratacome tradigione verso la Chiesa. Anche allora un occhio veggente poteva bene accorgersi che la tregua, alla quale le sètte protestanti erano state costrette, non sarebbe lungamente sopravvissuta al pericolo che lʼaveva fatta nascere. Circa cento teologi non conformisti, residenti nella capitale, presentarono un indirizzo a parte. Furono introdotti da Devonshire ed accolti con ogni segno di gentilezza e rispetto. Il ceto legale andò anchʼesso a fare omaggio; lo conduceva Maynard, il quale a novanta anni dʼetà era forte di mente e di corpo come quando in Westminster Hall sorse accusatore di Strafford. «Signore Avvocato» disse il Principe «voi dovete avere sopravvissuto a tutti i legali vostri coetanei.»—«Sì, Altezza,» rispose il vegliardo «e se non venivate voi sopravvivevo anco alle leggi.»[606]Ma comechè glʼindirizzi fossero molti e pieni di elogi, le acclamazioni alte, le illuminazioni splendide, il palazzo di San Giacomo troppo angusto per la folla deʼ corteggiatori, i teatri ogni notte dalla platea al soffitto adorni di nastri colore di melarancia, Guglielmo sentiva che le difficoltà della sua intrapresa cominciavano allora. Aveva rovesciato un Governo, ma adesso doveva compiere lʼassai più difficile lavoro di ricostruirne un altro. Da quando sbarcò a Torbay finchè giunse a Londra, aveva esercitata lʼautorità , che per le leggi della guerra, riconosciute da tutto il mondo incivilito, appartiene al comandante dʼun esercito nel campo. Adesso era necessario mutare il suo carattere di generale in quello di magistrato; e questa non era agevole impresa. Un solo passo falso poteva esser fatale; ed era impossibile fare un solo passo senza offendere pregiudicii e svegliare acri passioni.XVI. Alcuni deʼ consiglieri del Principe lo incitavano a prendere a un tratto la corona per diritto di conquista; e poi in qualità di Re spedire muniti del proprio Gran Sigillo i decreti a convocare il Parlamento. Molti insigni giureconsulti lo confortavano ad appigliarsi a tale partito, dicendo essere quella la via più breve di giungere dove, andandovi altrimenti, sʼincontrerebberoinnumerevoli ostacoli e contese. Ciò era strettamente conforme al felice esempio dato da Enrico VII dopo la battaglia di Bosworth. Farebbe ad un tempo cessare gli scrupoli che molti spettabili uomini sentivano quanto alla legalità di trasferire il giuramento di fedeltà da un sovrano ad un altro. Nè la legge civile nè quella della Chiesa Anglicana riconoscevano neʼ sudditi il diritto di detronizzare il Sovrano. Ma nessun giureconsulto, nessun teologo negò mai che una nazione vinta in guerra, potesse senza peccato sobbarcarsi al volere del Dio degli eserciti. Difatti dopo la conquista caldea, i più pii e patriottici degli Ebrei non crederono di mancare al proprio debito verso il Re loro, servendo lealmente il nuovo signore dato loro dalla Provvidenza. I tre confessori, che erano rimasti miracolosamente illesi nellʼardente fornace, tennero altri uffici nella provincia di Babilonia. Daniele fu ministro dello Assiro che soggiogò Giuda, e del Persiano che soggiogò lʼAssiria. Che anzi lo stesso Gesù, il quale secondo la carne era Principe della Casa di David, comandando ai suoi concittadini di pagare il tributo a Cesare, aveva voluto significare che la conquista straniera annulla il diritto ereditario ed è titolo legittimo di dominio. Era quindi probabile che un gran numero di Tory, quantunque non potessero con sicura coscienza eleggersi un Re, accetterebbero senza esitazione quello che gli eventi della guerra avevano dato loro.[607]Dallʼaltra parte, nondimeno, vʼerano ragioni di grave momento. Il Principe non poteva pretendere dʼavere guadagnata la corona con la propria spada senza bruttamente rompere la fede data. Nel suo Manifesto aveva protestato contro ogni pensiero di conquistare la Inghilterra; aveva asserito che coloro i quali gli attribuivano siffatto disegno, calunniavano iniquamente non solo lui, ma tutti quei Nobili e gentiluomini patriotti che lo avevano invitato; che le forze da lui condotte erano evidentemente inadequate ad una impresa così ardua; e che era fermamente deliberato di portare innanzi a un libero Parlamento tutte le pubbliche doglianze e le sue proprie pretese. Non era equo nè saggio chʼei per qualsiasi cosa terrena rompesse la sua parola solennemente impegnata al cospetto ditutta la Europa. Nè era certo che, chiamandosi conquistatore, chetasse quegli scrupoli onde i rigidi Anglicani ripugnavano a riconoscerlo Re. Imperocchè, in qualunque modo egli si chiamasse, tutto il mondo sapeva chʼegli non era vero conquistatore. Era manifestamente unʼaperta finzione il dire che questo gran Regno, con una potente flotta in mare, con un esercito stanziale di quarantamila uomini, e con una milizia civica di centotrentamila uomini, fosse stato, senza un solo assedio o una sola battaglia, ridotto a condizione di provincia da quindicimila invasori. Non era verosimile che cosiffatta finzione rasserenasse le coscienze realmente scrupolose, mentre non mancherebbe di ferire lʼorgoglio nazionale ormai cotanto sensitivo e irritabile. I soldati inglesi erano in tali umori che richiedevano dʼessere con somma accortezza governati. Sentivano che nella recente campagna non avevano sostenuta una onorevolissima parte. I capitani e i soldati comuni erano al pari impazienti di provare che non avevano per difetto di coraggio ceduto a forze inferiori. Taluni officiali olandesi erano stati tanto indiscreti da vantarsi, col bicchiere in mano dentro una taverna, dʼavere rinculata lʼarmata regia. Questo insulto aveva fra le truppe inglesi suscitato un fermento, che ove non vi si fosse prontamente immischiato Guglielmo, sarebbe forse finito in una terribile strage.[608]Quale, in tali circostanze, poteva essere lo effetto di un proclama che avesse annunziato il comandante degli stranieri considerare lʼisola intera come legittima preda di guerra?Era anche da ricordarsi che, pubblicando un simigliante proclama, il Principe avrebbe a un tratto abrogati tutti quei diritti deʼ quali egli sʼera dichiarato campione: perocchè lʼautorità di un conquistatore straniero non è circoscritta dalle costumanze e dagli statuti della nazione conquistata, ma è in sè stessa dispotica. E quindi Guglielmo o non poteva dichiararsi Re, o poteva dichiarare nulle laMagna Chartae la Petizione dei Diritti, abolire il processo dinanzi ai Giurati, e imporre tasse senza il consenso del Parlamento. Poteva, a dir vero, ristabilire lʼantica costituzione del reame. Ma, ciò facendo, era provvedimento arbitrario. Quinci innanzi la libertà dellʼInghilterra verrebbe fruita dai cittadini con umiliante possesso; nè sarebbe, quale era stata fino allora, unʼantichissima eredità , ma un dono recente che il generoso signore, da cui era stato ai suoi sudditi impartito, poteva ripigliare a suo talento.XVII. Guglielmo adunque dirittamente e con prudenza fece pensiero dʼosservare le promesse contenute nel suo Manifesto, e lasciare alle Camere lʼufficio di riordinare il governo. Con tanto studio egli schivò tutto ciò che potesse sembrare usurpazione, che non volle, senza una qualche sembianza dʼautorità parlamentare, avventurarsi a convocare gli Stati del Regno, o dirigere il potere esecutivo nel tempo in cui si facevano le elezioni. Nello Stato non vʼera autorità strettamente parlamentare: ma potevasi in poche ore mettere insieme una assemblea alla quale la nazione portasse gran parte della riverenza dovuta a un Parlamento. Poteva formarsi una Camera deʼ numerosi Lordi spirituali e secolari che allora si trovavano in Londra, e lʼaltra degli antichi membri della Camera deʼ Comuni e deʼ Magistrati della Città . Tale disegno era ingegnoso e venne prontamente mandato ad effetto. Fu intimato ai Pari di trovarsi pel dì 21 dicembre al Palazzo di San Giacomo. Vi accorsero circa settanta. Il Principe gli esortò considerassero le condizioni del paese, e presentassero a lui il resultato delle loro deliberazioni. Poco dopo comparve un annunzio, col quale invitavansi tutti i gentiluomini che erano stati membri della Camera deʼ Comuni sotto il regno di Carlo II, a presentarsi a Sua Altezza la mattina del dì 26. Furono anche chiamati gli Aldermanni di Londra, e al Municipio fu richiesto di mandare una deputazione.[609]
SOMMARIO.
I. Si sparge la nuova della fuga di Giacomo; grande agitazione.—II. I Lordi si radunano in Guildhall—III. Tumulti in Londra.—IV. La casa dello Ambasciatore di Spagna è saccheggiala.—V. Arresto di Jeffreys.—VI. La Notte Irlandese—VII. Il Re è arrestato presso Sheerness.—VIII. I Lordi ordinano che sia posto in libertà .—IX. Imbarazzo di Guglielmo.—X. Arresto di Feversham; arrivo di Giacomo a Londra.—XI. Consulta tenuta in Windsor.—XII. Le truppe olandesi occupano Whitehall.—XIII. Messaggio del Principe a Giacomo.—XIV. Giacomo parte per Rochester.—XV. Arrivo di Guglielmo al Palazzo San Giacomo.—XVI. Lo consigliano ad assumere la Corona per diritto di conquista.—XVII. Egli convoca i Lordi e i Membri deʼ Parlamenti di Carlo II.—XVIII. Giacomo fugge da Rochester.—XIX. Discussioni e determinazioni deʼ Lordi.—XX. Discussioni e determinazioni deʼ Comuni convocati dal Principe.—XXI. Si convoca una Convenzione; sforzi del Principe per ristabilire lʼordine.—XXII. Sua politica tollerante.—XXIII. Satisfazione deʼ potentati cattolici romani; pubblica opinione in Francia.—XXIV. Accoglienze fatte alla Regina dʼInghilterra in Francia.—XXV. Arrivo di Giacomo a Saint-Germain.—XXVI. Pubblica opinione nelle Province Unite—XXVII. Elezione dei Membri della Convenzione.—XXVIII. Affari di Scozia.—XXIX. Partiti in Inghilterra.—XXX. Disegno di Sherlock—XXXI. Disegno di Sancroft.—XXXII. Disegno di Danby.—XXXIII. Disegno dei Whig. La Convenzione si aduna; membri principali della Camera dei Comuni.—XXXIV. Elezione del Presidente—XXXV. Discussione sopra le condizioni della nazione.—XXXVI. Deliberazione che dichiara vacante il trono. È spedita alla Camera dei Lordi; Discussione nella Camera dei Lordi intorno al disegno di nominare una reggenza.—XXXVII. Scisma tra i Whig e i seguaci di Danby.—XXXVIII. Adunanza in casa del Conte di Devonshire.—XXXIX. Discussione nella Camera deʼ Lordi intorno alla questione se il trono debba considerarsi come vacante. La maggioranza nega.—XL. Agitazione in Londra.—XLI. Lettera di Giacomo alla Convenzione.—XLII. Discussioni; Negoziati; Lettera del Principe dʼOrange a Danby.—XLIII. La principessa Anna aderisce al disegno deʼ Whig.—XLIV. Guglielmo manifesta i proprii pensieri.—XLV. Conferenza delle due Camere.—XLVI. I Lordi cedono.—XLVII. Proposta di nuove Leggi per la sicurezza della Libertà .—XLVIII. Dispute e Concordia.—XLIX. La Dichiarazione dei Diritti.—L. Arrivo di Maria.—LI. Offerta ed accettazione della Corona.—LII. Guglielmo e Maria vengono proclamati.—LIII. Indole speciale della Rivoluzione inglese.
I. Northumberland ubbidì fedelmente al comando, e non aprì lʼuscio del regio appartamento se non a giorno chiaro.Lʼanticamera era piena di cortigiani venuti a complire il Re allʼalzarsi da letto, e di Lordi chiamati a consiglio. La nuova della fuga di Giacomo in un istante volò dalla reggia alle strade, e tutta la metropoli ne rimase commossa.
Eʼ fu un terribile momento. Il Re se nʼera andato; il Principe non ancora giunto; non era stata istituita una Reggenza; il Gran Sigillo, essenziale allʼamministrazione della ordinaria giustizia, era scomparso. Presto si seppe che Feversham, ricevuta la lettera del Re, aveva subitamente disciolto lo esercito. Quale rispetto per le leggi e la proprietà potevano avere i soldati in armi e raccolti, senza il freno della disciplina militare, e privi delle cose necessaria alla vita? Dallʼaltro canto la plebe di Londra da parecchi giorni mostravasi fortemente inchinevole al tumulto ed alla rapina. La urgenza del caso congiunse per breve tempo tutti coloro ai quali importava la pubblica quiete. Rochester aveva fino a quel giorno fermamente aderito alla causa regia. Adesso conobbe non esservi che una sola via per evitare lo universale scompiglio. «Congregate le vostre guardie» disse egli a Northumberland, «e dichiaratevi pel Principe dʼOrange.» Northumberland seguì prontamente il consiglio. I precipui ufficiali dello esercito che allora trovavansi in Londra convennero a Whitehall, e deliberarono di sottoporsi alle autorità di Guglielmo, e finchè conoscessero la volontà di lui, tenere sotto disciplina i loro soldati, ed assistere la potestà civile onde mantenere lʼordine.[573]
II. I Pari recaronsi a Guildhall, e dai magistrati della città vi furono ricevuti con tutti gli onori. A rigore di legge i Pari non avevano maggior diritto che ogni altra classe di persone ad assumere il potere esecutivo. Ma egli era alla pubblica salvezza necessario un governo provvisorio; e gli occhi di tutti naturalmente volgevansi ai magnati ereditari del Regno. La gravità del pericolo trasse Sancroft fuori dal suo palazzo. Occupò il seggio; e, lui presidente, il nuovo Arcivescovo di York, cinque Vescovi, e ventidue Lordi secolari, deliberarono di comporre, sottoscrivere e pubblicare un Manifesto.In questo documento dichiararono di aderire fermamente alla religione e alla costituzione del paese; aggiunsero che avevano vagheggiata la speranza di vedere raddrizzati i torti e ristabilita la pubblica quiete dal Parlamento pur allora convocato dal Re; ma tale speranza rimaneva distrutta dalla sua fuga. Per lo che avevano deliberato di congiungersi col Principe dʼOrange onde rivendicare le patrie libertà , assicurare i diritti della Chiesa, accordare una giusta libertà di coscienza ai dissenzienti e rafforzare in tutto il mondo glʼinteressi del protestantismo. Fino allo arrivo di Sua Altezza essi erano pronti ad assumere la responsabilità di prendere i provvedimenti necessari alla conservazione dellʼordine. Sullʼistante fu spedita una deputazione a presentare il predetto Manifesto al Principe, ed annunziargli chʼegli era impazientemente aspettato a Londra.[574]
I Lordi quindi si posero a pensare intorno ai modi di prevenire ogni tumulto. Fecero chiamare i due Segretari di Stato. Middleton ricusò di ubbidire a quella chʼegli considerava autorità usurpata: ma Preston, ancora attonito per la fuga del suo signore, e non sapendo che cosa aspettarsi, obbedì alla chiamata. Un messaggio fu mandato a Skelton Luogotenente della Torre, perchè si presentasse in Guildhall. Andatovi, gli fu detto non esservi più oltre mestieri deʼ suoi servigi, e però consegnasse immediatamente le chiavi. Gli fu sostituito Lord Lucas. Nel tempo stesso i Pari ordinarono che si scrivesse a Darthmouth ingiungendogli dʼastenersi da ogni atto ostile contro la flotta olandese, e di licenziare tutti gli ufficiali papisti a lui sottoposti.[575]
La parte che in cotesti procedimenti ebbero Sancroft ed altri che fino a quel giorno si erano mantenuti strettamente fedeli al principio della obbedienza passiva, è degna di speciale considerazione. Usurpare il comando delle forze militari e navali dello Stato, destituire gli ufficiali preposti dal Re al comando deʼ suoi castelli e navigli, e inibire allo ammiraglio di dare battaglia ai nemici di lui, erano niente meno che attidi ribellione. E nonostante vari Tory abili ed onesti, seguaci della scuola di Filmer, erano persuasi di poter fare tutte le sopra dette cose senza incorrere nella colpa di resistere al loro Sovrano. Il loro argomentare era per lo meno ingegnoso. Dicevano, il Governo essere ordinato da Dio, e la monarchia ereditaria eminentemente ordinata da Dio. Finchè il Re comanda ciò che è legittimo, noi siamo tenuti a prestargli obbedienza attiva; comandando ciò che è illegittimo, obbedienza passiva. Non vi è caso estremo che ne possa giustificare ad opporci a lui con la forza. Ma ove a lui piaccia di deporre il suo ufficio, egli perde ogni diritto sopra di noi. Finchè ci governa, quantunque ci governi male, siamo obbligati a chinare la fronte; ma ricusando egli di governarci in veruna maniera, non siamo tenuti a rimanere perpetuamente privi di governo. Lʼanarchia non è ordinamento di Dio; nè egli ci ascriverà a peccato se nel caso che un principe, il quale in onta a gravissime provocazioni non abbiamo cessato mai di onorare e obbedire, si parta senza che noi sappiamo dove, non lasciando un suo vicario, ci apprendiamo al solo partito che ci rimanga a impedire la dissoluzione della società . Se il nostro Sovrano fosse rimasto fra noi, noi saremmo pronti, per quanto poco egli meritasse il nostro affetto, a morire ai suoi piedi. Se, lasciandoci, avesse nominato una reggenza per governarci con autorità delegatale durante la sua assenza, noi ci saremmo rivolti a tale reggenza soltanto. Ma egli è scomparso senza lasciare nessun provvedimento per la conservazione dellʼordine o per lʼamministrazione della giustizia. Con lui e col suo Gran Sigillo è sparita tutta la macchina per mezzo della quale si possa punire un assassino, decidere del diritto di proprietà , distribuire ai creditori i beni dʼun fallito. Il suo ultimo atto è stato di sciogliere migliaia dʼuomini armati dal freno della disciplina militare, e porli in condizioni o di saccheggiare o di morire di fame. Fra poche ore ciascun uomo sʼarmerà contro il suo prossimo. La vita, gli averi, lʼonore delle donne saranno in balìa di ogni uomo sfrenato. Noi adesso ci troviamo in quello stato di natura intorno al quale i filosofi hanno scritto cotanto; nel quale stato siamo posti non per colpa nostra, ma per volontario abbandonodi colui che avrebbe dovuto essere nostro protettore. Il suo abbandono può dirittamente chiamarsi volontario: imperocchè nè la vita nè la libertà sue erano in periglio. I suoi nemici già avevano consentito ad aprire pratiche dʼaccordo sopra una base proposta da lui stesso, ed eransi offerti a sospendere immediatamente le ostilità a patti che egli non negava essere liberali. In tali circostanze egli ha disertato il suo posto. Noi non facciamo la minima ritrattazione; non siamo in cosa alcuna incoerenti. Ci manteniamo tuttavia fermi senza modificazione nelle nostre vecchie dottrine. Seguitiamo a credere che in qualunque caso è peccato resistere al magistrato; ma affermiamo che adesso non vi è verun magistrato cui resistere. Colui che era magistrato, dopo dʼavere per lungo tempo fatto abuso della propria potestà , ha abdicato da sè. Lo abuso non ci dava diritto a deporlo: ma lʼabdicazione ci dà diritto a provvedere al miglior modo di supplire al suo ufficio.
III. Per cosiffatte ragioni il partito del Principe si accrebbe di molti che per lʼinnanzi sʼerano tenuti in disparte. A memoria dʼuomo non era mai stata, come in quella congiuntura, una quasi universale concordia fra glʼInglesi; e mai quanto allora vʼera stato sì grande bisogno di concordia. Non vʼera più alcuna autorità legittima. Tutte le tristi passioni che il Governo ha debito dʼinfrenare, e che i migliori Governi imperfettamente infrenano, trovaronsi in un subito sciolte dʼogni ritegno; lʼavarizia, la licenza, la vendetta, il vicendevole odio delle sètte, il vicendevole odio delle razze. In simiglianti casi avviene che le belve umane, le quali, abbandonate dai ministri dello Stato e della religione, barbare fra mezzo alla città , pagane fra mezzo al cristianesimo, brulicano tra ogni fisica e morale bruttura nelle cantine e nelle soffitte delle grandi città , acquistino a un tratto terribile importanza. Così fu di Londra. Allo avvicinarsi della notte—per avventura la più lunga notte dellʼanno—eruppero da ogni spelonca di vizio, dalle taverne di Hockley e dal laberinto dʼosterie e di bordelli nel quartiere di Friars, migliaia di ladroncelli e di ladroni, di borsaiuoli e di briganti. A costoro mescolaronsi migliaia dʼoziosi giovani di bottega, i quali ardevano solo della libidinedi tumultuare. Perfino uomini pacifici ed onesti erano spinti dallʼanimosità religiosa a congiungersi con la sfrenata plebaglia: imperocchè il grido di «Giù il Papismo,» grido che aveva più volte messa a repentaglio la esistenza di Londra, era il segnale dellʼoltraggio e della rapina. Primamente la canaglia gettossi sopra le case appartenenti al culto cattolico. Gli edifici furono atterrati. Banchi, pulpiti, confessionali, breviari furono accatastati ed arsi. Un gran monte di libri e di arredi era in fiamme presso il convento di Clerkenwell. Unʼaltra catasta bruciava innanzi le rovine del convento deʼ Francescani in Lincolnʼs Inn Fields. La cappella in Lime Street, la cappella in Bucklersbury, furono smantellate. Le dipinture, le immagini, i crocifissi vennero condotti trionfalmente per le vie al lume delle torce divelte dagli altari. La processione pareva una selva di spade e di bastoni, e in cima ad ogni spada e bastone era fitta una melarancia. La stamperia reale, donde nei precedenti tre anni erano usciti innumerevoli scritti in difesa della supremazia del Papa, del culto delle immagini, e deʼ voti monastici, per adoperare una grossolana metafora che allora per la prima volta cominciò ad usarsi, fu sventrata. La vasta provigione di carta, che in gran parte non era lordata dalla stampa, apprestò materia ad un immenso falò. Daʼ monasteri, dai templi, dai pubblici uffici la furibonda moltitudine si volse alle private abitazioni. Parecchie case furono saccheggiate e distrutte: ma la pochezza del bottino non appagando i saccheggiatori, tosto si sparse la voce che le cose più preziose deʼ papisti erano state poste al sicuro presso gli ambasciatori stranieri. Nulla importava alla selvaggia e stolta plebaglia il diritto delle genti e il rischio di provocare contro la patria la vendetta di tuttaquanta lʼEuropa. Le case degli ambasciatori furono assediate. Una gran folla si raccolse dinanzi la porta di Barillon in Saint Jamesʼs Square. Ei nondimeno si condusse meglio di quel che si sarebbe creduto. Imperocchè, quantunque il Governo da lui rappresentato fosse tenuto in aborrimento, la liberalità sua nello spendere e la puntualità nel pagare lo avevano reso bene affetto al popolo. Inoltre egli aveva presa la precauzione di chiedere parecchi soldati a guardia della sua casa: e perchèvari uomini dʼalto grado che abitavano vicino a lui, avevano fatto lo stesso, una forza considerevole si raccolse in quella piazza. La tumultuante plebe quindi, assicuratasi che sotto il tetto di Barillon non vʼerano nascosti nè armi nè preti, cessò di molestarlo e ne andò via. Lo ambasciatore veneto fu protetto da una compagnia militare: ma le magioni dove abitavano i ministri dello Elettore Palatino e del Granduca di Toscana, furono distrutte. Una preziosa cassetta il Ministro Toscano riuscì a salvare dalle mani deʼ facinorosi. Vi si contenevano nove volumi di memorie scritte di mano propria da Giacomo. I quali volumi, pervenuti a salvamento in Francia, dopo lo spazio di cento e più anni, perirono fra le stragi dʼuna rivoluzione assai più formidabile di quella dalla quale erano scampati. Ma ne rimangono tuttavia alcuni frammenti, che, comunque gravemente mutili e incastrati in una farragine di fanciullesche finzioni, sono ben meritevoli dʼattento studio.
IV. Le ricche argenterie della Cappella Reale erano state depositate in Wild House presso Lincolnʼs Inn Fields, dove abitava Ronquillo ambasciatore di Spagna. Ronquillo, sapendo chʼegli e la sua Corte non avevano male meritato della nazione inglese, non aveva creduto necessario chiedere dei soldati: ma la marmaglia non era in umore da fare sottili distinzioni. Il nome di Spagna da lungo tempo richiamava alla mente degli Inglesi la idea della Inquisizione, dellʼArmada, delle crudeltà di Maria, e delle congiure contro Elisabetta. Ronquillo dal canto suo sʼera acquistato di molti nemici fra il popolo, giovandosi del suo privilegio per non pagare i suoi debiti. E però la sua casa fu saccheggiata senza misericordia; ed una pregevole biblioteca da lui raccolta rimase preda delle fiamme. Il solo conforto chʼegli ebbe in tanto disastro fu di potere salvare dalle mani degli aggressori lʼostia santa che era nella sua cappella.[576]
La mattina del di 12 dicembre sorse in assai lugubre aspetto. La metropoli in molti luoghi presentava lo spettacolo dʼuna città presa dʼassalto. I Lordi ragunaronsi in Whitehall e fecero ogni sforzo per ristabilire la quiete. Le milizie civiche furono chiamate alle armi. Un corpo di cavalleria fu tenuto pronto a disperdere i tumultuosi assembramenti. Ai governi stranieri fu peʼ gravi insulti data quella soddisfazione che si potè maggiore in quel momento. Fu promesso un premio a chiunque scoprisse le robe rapite in Wild House; e Ronquillo al quale non era rimasto un solo letto o unʼoncia dʼargento, fu splendidamente alloggiato nel deserto palagio dei Re dʼInghilterra. Gli fu apprestata una sontuosa mensa; e gli ufficiali della Guardia Palatina ebbero ordine di stare nella sua anticamera come costumavasi fare col Sovrano. Tali segni di rispetto abbonirono il puntiglioso orgoglio della Corte Spagnuola, e tolsero ogni pericolo di rottura.[577]
V. Ad ogni modo, non ostante i bene intesi sforzi del Governo Provvisorio, lʼagitazione facevasi ognora più formidabile. La fu accresciuta da un caso che anche oggi dopo tanto tempo non può narrarsi senza provare il piacere della vendetta. Uno speculatore che abitava in Wapping, e trafficava prestando ai marini del luogo pecunia ad usura, aveva tempo innanzi prestato una somma, prendendo ipoteca sul carico dʼuna nave. Il debitore ricorse al tribunale detto dʼEquità , per essere sciolto dalla sua obbligazione; e la causa fu portata dinanzi a Jeffreys. Lo avvocato del debitore avendo poche ragioni da allegare, disse che il prestatore era un barcamenante. Il Cancelliere, appena udito ciò, si accese di rabbia. «Un barcamenante! dove è egli? Chʼio lo veda. Ho sentito parlare di quella specie di mostro. A che si assomiglia egli?» Lo sventurato creditore fu costretto a comparire. Il Cancelliere gli rivolse ferocissimo lo sguardo, inveì contro lui, e cacciollo via mezzo morto dallospavento. «Finchè avrò vita» disse il povero uomo uscendo barcollante dalla corte, «non dimenticherò mai quel terribile aspetto.» Ma finalmente era per lui arrivato il giorno della vendetta. Il barcamenante passeggiava per Wapping, allorquando gli parve di conoscere il riso dʼun uomo il quale faceva capolino dalla finestra dʼuna birreria. Non poteva ingannarsi. Aveva rasi i sopraccigli; vestiva lʼabito di un marinajo di Newcastle ed era coperto di polve di carbone: ma il selvaggio occhio e la bocca di Jeffreys non erano tali da non riconoscersi. Fu dato lʼallarme. In un istante la birreria fu circondata da centinaia di popolani che imprecando scuotevano i loro bastoni. Il fuggitivo Cancelliere ebbe salva la vita da una compagnia della milizia civica; e fu condotto dinanzi al Lord Gonfaloniere. Questi era uomo semplice, vissuto sempre nella oscurità , e adesso trovandosi attore importante in una grande rivoluzione, sʼera sentito venire il capogiro. Gli avvenimenti delle ventiquattro ore decorse, e lo stato pericoloso della Città alle sue cure affidata, lo avevano perturbato di mente e di corpo. Allorchè il grande uomo, al cui cipiglio, pochi giorni avanti, aveva tremato lʼintero Regno, fu tratto al tribunale, bruttato di ceneri, mezzo morto di spavento e seguito da una rabbiosa moltitudine, si accrebbe oltre ogni credere lʼagitazione del male arrivato Gonfaloniere. Convulso e fuori di sè fu trasportato a letto, donde non sorse più. Intanto la folla di fuori cresceva sempre, e orribilmente tempestava. Jeffreys pregò dʼessere menato in prigione. Si ottenne a tale effetto un ordine deʼ Lordi che sedevano in Whitehall; ed ei fu condotto in una carrozza alla Torre. Procedeva scortato da due reggimenti della milizia civica, i quali non senza difficoltà potevano frenare il popolo. Più volte si videro nella necessità di ordinarsi come se avessero a sostenere un assalto di cavalleria, e di presentare una selva di picche alla irrompente plebe. La quale vedendo rapirsi la vendetta teneva dietro al cocchio con urli di rabbia fino alla porta della Torre, brandendo bastoni e scuotendo capestri agli occhi del prigioniero. Lo sciagurato intanto tremava di spavento; arrostava le mani, affacciavasi con occhi stralunati ora a questo ora a quello degli sportelli, e fra il tumulto si udiva gridare: «Teneteli lontani,o signori! Per lʼamore di Dio, teneteli lontani!» Infine dopo aver provate amarezze maggiori di quelle della morte, fu in sicurtà alloggiato nella fortezza, dove alcune delle sue più illustri vittime avevano passati gli estremi giorni della loro vita, e dove egli fu destinato a finire la sua con inenarrabile ignominia ed orrore.[578]
In tutto questo tempo si cercarono diligentemente i preti cattolici romani. Molti vennero arrestati. Due Vescovi, cioè Ellis e Leyburn, furono mandati a Newgate. Il Nunzio che aveva poca ragione a sperare che la moltitudine rispettasse il suo carattere sacerdotale e politico, fuggì travestito da servitore fra la gente del Ministro di Savoja.[579]
VI. Un altro giorno di agitazione e di terrore si chiuse, e fu seguito dalla più strana e terribile notte che fosse mai stata in Inghilterra. Sul far della sera la plebaglia aggredì una magnifica casa pochi mesi avanti edificata per Lord Powis, la quale nel regno di Giorgio II era residenza del Duca di Newcastle, e che si vede anche oggi allʼangolo tra ponente e tramontana di Lincolnʼs Inn Fields. Vi furono mandati alcuni soldati: la plebaglia fu dispersa, la quiete sembrava ristabilita, e i cittadini se ne tornavano in pace alle proprie case, quando sorse un bisbiglio che in un momento divenne tremendo clamore, ed in unʼora da Piccadilly giunse a Whitechapel e si sparse per tutta la metropoli. Dicevasi che glʼIrlandesi lasciati senza freno da Feversham marciavano alla volta di Londra facendo strage dʼogni uomo, donna e fanciullo che incontrassero per via. Allʼuna ora della mattina i tamburi della milizia civica suonavano allʼarme. In ogni dove le donne atterrite piangevano ed arrostavano le mani, mentre i padri e i mariti loro armavansi per uscire a combattere. Prima delle ore due la metropoli presentava un aspetto sì bellicoso che avrebbe potuto atterrire unʼarmata regolare. A tutte le finestre vedevansi i lumi. I luoghi pubblici risplendevano come se fossepieno giorno. Le grandi vie erano asserragliate. Venti e più mila picche ed archibugi fiancheggiavano le strade. Lʼultima alba del solstizio dʼinverno trovò tutta la città ancora in armi. Pel corso di molti anni i Londrini serbarono viva ricordanza di quella chʼessi chiamavano la Notte Irlandese. Come si seppe non esservi nessuna cagione di timore, il Governo cercò studiosamente dʼindagare lʼorigine della ciarla che aveva fatto nascere cotanta agitazione. Sembra che taluni, che avevano sembianze e vesti di contadini pur allora giunti dalla campagna, spargessero poco prima di mezza notte la nuova neʼ suburbi: ma donde venissero e chi li movesse, rimase sempre un mistero. Poco dopo da molti luoghi arrivarono notizie che accrebbero maggiormente la universale perplessità . Il timore panico non aveva invaso la sola Londra. La voce che i soldati irlandesi disciolti venivano a fare scempio deʼ Protestanti era stata sparsa, con maligna destrezza, in molti luoghi lʼuno a lunga distanza dallʼaltro. Gran numero di lettere, con molta arte scritte a fine di spaventare lo ignorante popolo, erano state spedite per le diligenze, i vagoni, e la posta a varie parti della Inghilterra. Tutte queste lettere giunsero aʼ loro indirizzi quasi nel medesimo tempo. In cento città a unʼora la plebe credè che si appressassero i barbari in armi con lo intendimento di commettere scelleratezze simili a quelle che avevano infamata la ribellione dʼUlster. A nessuno deʼ Protestanti si sarebbe usata misericordia. I figliuoli sarebbero stati costretti per mezzo della tortura a trucidare i loro genitori. I bambini sarebbero confitti alle picche o gettati fra le fiammeggianti rovine di quelle che pur dianzi erano felici abitazioni. Grandi turbe di popolo si raccolsero armate; in taluni luoghi cominciarono a distruggere i ponti ed asserragliare le vie: ma il concitamento presto calmossi. In molti distretti coloro che erano stati vittime di tanto inganno udirono con piacere misto di vergogna non esservi un solo soldato papista che non fosse lontano sei o sette giorni di marcia. Veramente in qualche luogo accadde che alcuna banda dispersa dʼIrlandesi si mostrasse e dimandasse pane; ma non può loro attribuirsi a delitto se non si contentassero di morire di fame; e non vʼè prova che commettessero alcun grave oltraggio. Certo eranomeno numerosi di quel che supponevasi comunemente; e trovavansi scorati, vedendosi a un tratto privi di capitani e di vettovaglie framezzo a una potente popolazione, dalla quale erano considerati come un branco di lupi. Fra tutti i sudditi di Giacomo nessuno aveva più ragione ad esecrarlo che questi sciagurati membri della sua Chiesa e difensori del suo trono.[580]
È cosa onorevole al carattere deglʼInglesi, che non ostante la generale avversione contro la religione cattolica romana e la razza irlandese, non ostante lʼanarchia che nacque alla fuga di Giacomo, non ostante le subdole macchinazioni adoperate a inferocire la plebe, non fu commesso in quella congiuntura nessuno atroce delitto. Molte facultà , a dir vero, furono distrutte e rapite; le case di molti gentiluomini cattolici romani aggredite; giardini devastati; cervi uccisi e portati via. Alcuni venerandi avanzi della nostra architettura del medio evo serbano tuttora i segni della violenza popolare. In molti luoghi lo andare e venire liberamente per le strade era impedito da una polizia creatasi da sè, la quale fermava ogni viandante onde sincerarsi con prove se fosse papista. Il Tamigi era infestato da una torma di pirati, che sotto pretesto di cercare armi o delinquenti, mettevano sossopra ogni barca che passava; insultati e maltrattati gli uomini impopolari. Molti che tali non erano, reputaronsi fortunati di potere riscattare le persone e la roba loro donando alcune ghinee ai fanatici Protestanti, i quali senza autorità legittima sʼerano fatti inquisitori. Ma in tutta cotesta confusione che durò vari giorni e si estese a molte Contee, nessuno deʼ Cattolici Romani perdè la vita. La plebaglia non mostrò brama di sangue, tranne nel caso di Jeffreys; e lʼodio di che sʼera reso segno costui poteva piuttosto chiamarsi umanità che crudeltà .[581]
Molti anni dipoi Ugo Speke affermò che la Notte Irlandese era opera sua, chʼegli aveva istigati i villani che posero in concitazione Londra, e che egli era lo autore delle lettere le quali avevano sparso lo spavento in tutta lʼisola. La sua asserzionenon è intrinsecamente improbabile: ma non ha altra prova tranne le parole di lui. Egli era uomo bene capace di commettere tanta scelleraggine, e anche capace di vantarsi falsamente dʼaverla commessa.[582]
Guglielmo era impazientemente aspettato a Londra, poichè nessuno dubitava che egli con la energia e abilità sue ristabilisse tosto lʼordine e la sicurezza pubblica. Nondimeno vi fu qualche indugio, del quale il Principe non può giustamente biasimarsi. La sua primitiva intenzione era stata di recarsi da Hungerford ad Oxford, dove, secondo che lo avevano assicurato, avrebbe avuto onorevoli e affettuose accoglienze: ma lo arrivo della deputazione partita da Guildhall lo indusse a cangiare pensiero e correre speditamente alla metropoli. Per via seppe che Feversham, obbedendo ai comandamenti del Re, aveva disciolto lo esercito, e che migliaia di soldati senza freno, e privi delle cose necessarie alla vita, erano sparse per le Contee le quali attraversa la via che mena a Londra. Gli era quindi impossibile di viaggiare con poco seguito senza grave pericolo non solo per la sua propria persona, di cui non aveva costume dʼessere molto sollecito, ma anche pei grandi interessi a lui affidati. Era mestieri che egli si movesse a seconda del muoversi delle sue milizie, le quali in quei tempi non potevano procedere se non lentamente a mezzo il verno per gli stradali della Inghilterra. In cosiffatte circostanze egli perdè alquanto il suo ordinario contegno. «Con me non si deve trattare a questo modo» esclamò egli con acrimonia, «e Milord Feversham se ne avvedrà bene.» Furono presi pronti e savi provvedimenti per rimediare ai mali cagionati da Giacomo. A Churchill e Grafton fu dato lo incarico di raggranellare la dispersa soldatesca e riordinarla. I soldati inglesi vennero invitati a rientrare nello esercito. Agli irlandesi fu fatto comandamento di rendere le armi sotto pena di essere trattati come banditi, ma fu loro assicurato che, obbedendo con pace, verrebbero provveduti del necessario.[583]
Gli ordini del Principe furono quasi senza ostacolo mandatiad esecuzione, tranne la resistenza che fecero i soldati irlandesi che presidiavano Tilbury. Uno di costoro appuntò una pistola contro Grafton; lʼarme non prese fuoco, e lo assassino in sullʼistante fu steso morto da un Inglese. Circa due cento di cotesti sciagurati stranieri coraggiosamente tentarono di ritornare alla loro patria. Impossessaronsi di un bastimento grave di un ricco carico che pur allora dalle Indie era arrivato al Tamigi, e provaronsi di avere a forza piloti a Gravesend. Ma non ne potendo trovare alcuno, furono costretti a confidare in quel poco che essi medesimi sapevano dʼarte nautica. Il legno poco dopo investì contro la spiaggia, e a quei miseri dopo qualche spargimento di sangue fu forza porre giù le armi.[584]
Erano già corse cinque settimane da che Guglielmo era in Inghilterra, duranti le quali gli aveva arriso la fortuna. Egli aveva fatto bella mostra di prudenza e fermezza, e nondimeno gli avevano meno giovato queste virtù sue che lʼaltrui insania e pusillanimità .
Ed ora che ei sembrava vicino a conseguire il fine della sua intrapresa, sopraggiunse a sconcertargli i disegni uno di quegli strani accidenti che così spesso confondono i più studiati divisamenti della politica.
VII. La mattina del di 13 dicembre, il popolo di Londra, non per anco riavutosi dallʼagitazione della Notte Irlandese, rimase attonito alla nuova che il Re era stato fermato ed era sempre nellʼisola. La nuova prese consistenza per tutto il giorno, e avanti sera fu pienamente confermata.
Giacomo aveva viaggiato mutando cavalli lungo la riva meridionale del Tamigi, e la mattina del di 12 era giunto ad Emley Ferry presso lʼisola di Sheppey, dove aspettavalo la nave sopra la quale ei doveva imbarcarsi. Vi montò sopra; ma il vento spirava forte, e il padrone non volle rischiarsi a mettere alla vela senza maggior quantità di zavorra. In tal guisa una marea andò perduta. Era quasi a mezzo il suo corso la notte allorquando la nave cominciò a muoversi. In queʼ giorni la nuova che il Re era scomparso, che il paese era senza governo, e Londra tutta sossopra, erasi sparsa lungo il Tamigi,e neʼ luoghi dove era giunta aveva fatto nascere violenza e disordine. I rozzi pescatori della spiaggia di Kent adocchiarono con sospetto e cupidigia la nave. Corse voce che alcuni individui vestiti da gentiluomini erano frettolosamente andati in sul bordo. Forse erano Gesuiti: forse erano ricchi. Cinquanta o sessanta barcaiuoli, spinti a un tempo dallʼodio contro il papismo e dalla avidità di predare, circondarono la nave quando ella era in sul punto di far vela. Fu detto ai passeggieri che bisognava andare a terra per essere esaminati da un magistrato. La figura del Re suscitò deʼ sospetti. «Gli è padre Petre» gridò uno di queʼ ribaldi «lo conosco alle sue scarne ganasce.»—«Fruga cotesto vecchio gesuita, cotesto viso da galera» urlarono tutti ad una voce. Ei tosto fu segno alle ruvide spinte di coloro che lo circondavano. Gli tolsero i danari e lʼoriuolo. Egli aveva addosso lʼanello della incoronazione ed altre gioie di gran valore, che sfuggirono alle ricerche di queʼ ladri, i quali erano così ignoranti in materia di gioie che presero per pezzi di vetro i diamanti delle fibbie del Re.
In fine i prigioni furono messi a terra e condotti ad una locanda. Quivi a vederli erasi affollata molta gente; e Giacomo, quantunque fosse sfigurato da una parrucca di forma e colore diversa da quella chʼegli era uso a portare, fu a un tratto riconosciuto. Per un istante la plebaglia parve compresa di terrore; ma i capi esortandola la rianimarono; e la vista di Hales, che tutti ben conoscevano e forte odiavano, infiammò il loro furore. Il suo parco era in quelle vicinanze, e in quel momento stesso una banda di facinorosi saccheggiavano la casa e davano la caccia ai cervi di lui. La folla assicurò il Re, che non aveva intenzione di fargli alcun male, ma ricusò di lasciarlo partire. Avvenne che il Conte di Winchelsea protestante ma fervido realista, capo della famiglia Finch e prossimo parente di Nottingham, si trovasse in Canterbury. Appena seppe lo accaduto corse in fretta alla costa accompagnato da alcuni gentiluomini di Kent. Per mezzo loro il Re fu condotto a un luogo più convenevole: ma rimaneva tuttavia prigioniero. La folla non cessava di vigilare attorno alla casa dove era stato condotto; e alcuni dei capi stavansi a guardia dinanzilʼuscio della sua camera. Il suo contegno infrattanto era quello di un uomo snervato di mente e di corpo sotto il peso delle proprie sciagure. Talvolta parlava con tanta alterigia che i villani, i quali lo guardavano, sentivansi provocati ad insolenti risposte. Poi piegavasi a supplicare. «Lasciatemene andare» diceva egli «procuratemi una barca. Il Principe dʼOrange mi fa la caccia per togliermi la vita. Se non mi lascerete fuggire, eʼ sarà troppo tardi. Il mio sangue ricadrà sulle vostre teste. Colui che non è con me, è contro me.» Togliendo occasione da queste parole del Vangelo predicò per mezzʼora. Favellò stranamente sopra moltissime cose, sopra la disobbedienza deʼ Convittori del Collegio della Maddalena, i miracoli del Pozzo di San Venifredo, la slealtà deʼ preti, la virtù dʼun frammento del vero legno della Santa Croce chʼegli aveva sventuratamente perduto. «E che ho mai fatto?» chiese agli scudieri di Kent che gli stavano attorno. «Ditemi il vero: qual fallo ho io mai commesso?» Coloro, ai quali egli faceva queste domande, furono tanto umani da non dargli le risposte che meritava, e stavansi con compassionevole silenzio ad ascoltare quellʼinsano cicaleccio.[585]
Quando pervenne alla metropoli la nuova chʼegli era stato fermato, insultato, manomesso e spogliato, e che tuttavia rimaneva nelle mani di queʼ brutali ribaldi, ridestaronsi molte passioni. I rigidi Anglicani, i quali poche ore innanzi avevano cominciato a credersi liberi dal debito di fedeltà verso lui, adesso scrupoleggiavano. Egli non aveva abbandonato il reame, nè abdicato. Ove egli ripigliasse la regia dignità , potrebbero essi, secondo i principii loro, ricusare di prestargli obbedienza? I veggenti uomini di stato prevedevano con rammarico che tutte le contese che per un momento la sua fuga aveva abbonacciate, tornando egli, tornerebbero a rinascere assai più virulente. Alcuni del popolo basso, comechè animati dal sentimento deʼ recenti torti, sentivano pietà dʼun gran Principe oltraggiato da gente ribalda, e inchinavano a sperare—speranza più onorevole alla indole che al discernimento loro—che anche adesso egli si sarebbe potuto pentiredelle colpe che gli avevano attirato sul capo un così tremendo castigo.
Dal momento in che si seppe il Re essere tuttavia in Inghilterra, Sancroft che fino allora era stato capo del Governo Provvisorio, si assentò dalle sedute deʼ Pari. Sul seggio presidenziale fu posto Halifax, il quale era allora ritornato dal quartiere generale degli Olandesi. In poche ore lʼanimo suo era grandemente mutato. Adesso il senso del bene pubblico e privato lo spingeva a collegarsi coi Whig. Ove candidamente si ponderino le prove fino a noi pervenute, è forza credere chʼegli accettasse lʼufficio di Commissario Regio con la sincera speranza di effettuare tra il Re e il Principe un accomodamento a convenevoli patti. Le pratiche dʼaccordo erano incominciate prosperamente: il Principe aveva offerto patti che il Re stesso giudicò convenevoli: il facondo e ingegnoso barcamenante lusingavasi di rendersi mediatore fra le inferocite fazioni, dettare un trattato dʼaccordo fra le opinioni esagerate ed avverse, assicurare le libertà e la religione della patria senza esporla ai pericoli inseparabili da un mutamento di dinastia e da una successione contrastata. Mentre compiacevasi di un pensiero così consentaneo alla indole sua, seppe dʼessere stato ingannato, e adoperato come strumento a ingannare la nazione. La sua commissione ad Hungerford era stata quella dʼuno stolto. Il Re non aveva mai avuto intendimento di osservare le condizioni chʼegli aveva ai Commissari ordinato di proporre. Aveva loro ordinato di dichiarare chʼegli voleva sottoporre tutte le questioni controverse al Parlamento da lui convocato; e mentre essi eseguivano il suo messaggio, aveva bruciati i decreti di convocazione, fatto sparire il Sigillo, sbandato lo esercito, sospesa lʼamministrazione della giustizia, disciolto il Governo, e se nʼera fuggito dalla metropoli. Halifax sʼaccôrse oramai non essere più possibile comporre amichevolmente le cose. È anche da sospettarsi chʼegli provasse quella molestia che è naturale ad un uomo che, godendo grande riputazione di saviezza, si trovi ingannato da una intelligenza immensurabilmente inferiore alla sua propria, e quella molestia che è naturale a chi, essendo espertissimo nellʼarte del dileggio, si trovi posto in una situazioneridicola. Dalla riflessione e dal risentimento fu indotto ad abbandonare ogni pensiero di conciliazione alla quale egli aveva fino allora sempre mirato, e a farsi capo di coloro che volevano porre Guglielmo sul trono.[586]
Esiste ancora un Diario dove Halifax scrisse di propria mano tutto ciò che seguì nel Consiglio da lui preseduto.[587]Non fu trascurata precauzione alcuna creduta necessaria a prevenire gli oltraggi e i ladronecci. I Pari si assunsero la responsabilità di ordinare ai soldati, che, ove la plebaglia tumultuasse di nuovo, le facessero fuoco contro. Jeffreys fu condotto a Whitehall e interrogato affinchè rivelasse ciò che era divenuto del Gran Sigillo e dei decreti di convocazione. E pregando egli ardentemente, fu rimandato alla Torre come unico luogo dove potesse avere salva la vita. Si ritirò ringraziando e benedicendo coloro che gli avevano conceduta la protezione del carcere. Un Nobile Whig propose di porre in libertà Oates; ma la proposta venne respinta.[588]
Le faccende del giorno erano quasi sbrigate, e Halifax stava per alzarsi dal seggio, quando gli fu annunziato essere giunto un messaggiero da Sheerness. Non vʼera cosa che potesse produrre più perplessità o molestia. Fare o non far nulla importava incorrere in grave responsabilità . Halifax, desiderando probabilmente acquistar tempo per comunicare col Principe, avrebbe voluto differire la sessione; ma Mulgrave pregò i Lordi a rimanere, e fece entrare il messaggiero. Questi raccontò con molte lacrime il successo, consegnò una lettera scritta di mano propria dal Re, la quale non era diretta a nessuno, ma invocava lo aiuto di tutti i buoni Inglesi.[589]
VIII. Non era possibile porre in non cale un simiglianteappello. I Lordi ordinarono a Feversham corresse con una compagnia di Guardie del Corpo al luogo dove il Re era arrestato e gli desse libertà .
Già Middleton ed altri pochi aderenti di Giacomo sʼerano partiti per soccorrere il loro sventurato signore. Lo trovarono tenuto in istretta prigionia, sì che non fu loro concesso di essere introdotti al cospetto di lui senza aver prima consegnate le spade. Il concorso del popolo era immenso. Taluni gentiluomini Whig di quelle vicinanze avevano condotto un numeroso corpo di milizie civiche per guardarlo. Avevano erroneamente pensato che ritenendolo prigioniero si acquisterebbero la grazia deʼ suoi nemici, e rimasero grandemente conturbati allorchè seppero che il Governo Provvisorio di Londra aveva disapprovato il modo onde il Re era stato trattato, e che era presso a giungere una squadra di cavalleria per liberarlo. Difatti Feversham non indugiò ad arrivare. Aveva lasciate le sue truppe in Sittingbourne; ma non vi fu mestieri adoperare la forza. Il Re fu lasciato partire senza ostacolo, e venne daʼ suoi amici condotto a Rochester, dove prese un poco di riposo di cui aveva sommo bisogno. Era in istato da fare pietà . Non solo aveva onninamente perturbato lo intendimento, che per altro non era stato mai lucidissimo, ma quel coraggio, chʼegli da giovane aveva mostrato in varie battaglie di mare e di terra, lo aveva abbandonato. Eʼ pare che le ruvide fatiche corporali da lui adesso per la prima volta sostenute, lo prostrassero più che ogni altro evento della travagliata sua vita. La diserzione del suo esercito, deʼ suoi bene affetti, della sua famiglia, lo toccava meno delle indegnità patite quando ei venne arrestato in su la nave. La ricordanza di tali indegnità seguitò lungo tempo a invelenirgli il cuore, e una volta fece cose da muovere a scherno tutta la Europa. Nel quarto anno del suo esilio tentò di sedurre i propri sudditi offrendo loro unʼamnistia. Vi si conteneva una lunga lista dʼeccezioni, e in essa i poveri pescatori che gli avevano sgarbatamente frugate le tasche erano notati accanto ai nomi di Churchill e di Danby. Da ciò possiamo giudicare quanto amaramente ei sentisse lʼoltraggio pur dianzi sofferto.[590]
Nulladimeno, ove egli avesse avuto un poco di buon senso, si sarebbe accorto che coloro i quali lo avevano arrestato, gli avevano, senza saperlo, reso un gran servigio. Gli eventi successi dopo la sua assenza dalla metropoli lo avrebbero dovuto convincere che, qualora gli fosse riuscito fuggire, non sarebbe più mai ritornato. A suo dispetto era stato salvato dal precipizio. Gli rimaneva unʼaltra sola speranza. Per quanto gravi fossero i suoi delitti, detronizzarlo mentre ei rimaneva nel Regno e mostravasi pronto ad assentire ai patti che glʼimporrebbe un libero Parlamento, sarebbe stato pressochè impossibile.
Per breve tempo egli parve propenso a rimanere. Spedì Feversham da Rochester con una lettera a Guglielmo. La sostanza della quale era che Sua Maestà già sʼera messo in cammino per ritornare a Whitehall, che desiderava avere un colloquio col Principe, e che il palazzo di San Giacomo sarebbe apparecchiato per Sua Altezza.[591]
IX. Guglielmo era in Windsor. Aveva con profondo rincrescimento saputi i fatti successi nella costa di Kent. Poco avanti che gliene giungesse la nuova, coloro che gli stavano da presso avevano notato chʼegli era dʼinsolito buon umore. Ed aveva ragione di star lieto. Vedevasi dinanzi lo sguardo un trono vacante; parea che tutti i partiti a una voce lo invitassero a salirvi. In un baleno la scena cangiossi: lʼabdicazione non era consumata; molti deʼ suoi stessi fautori avrebbero scrupoleggiato a deporre un Re che rimanesse fra loro, glʼinvitasse ad esporre le loro doglianze in modo parlamentare, e promettesse piena giustizia. Era uopo che il Principe esaminasse le nuove condizioni in cui si trovava, e si appigliasse a nuovo partito. Non vedeva alcuna via alla quale non si potesse nulla obbiettare, nessuna via che lo ponesse in una situazione vantaggiosa al pari di quella dove egli era poche ore innanzi. Nondimeno qualche cosa poteva farsi. Il primo tentativo fatto dal Re per fuggire non era riuscito: era sommamente da desiderarsi chʼegli si ponesse di nuovo alla prova con migliore successo. Bisognava impaurirlo e sedurlo. La liberalità usatagli nelle pratiche dʼaccordo fatte in Hungerford,liberalità alla quale egli aveva risposto rompendo la fede, adesso sarebbe intempestiva. Bisognava non proporgli patti nessuni dʼaccomodamento; e proponendone egli, rispondergli con freddezza; non usargli violenza, e neanche minacce; e nondimeno non era impossibile, anco senza siffatti mezzi, rendere un uomo cotanto pusillanime, inquieto della propria salvezza. E allora, posto di nuovo lʼanimo nel solo pensiero della fuga, era dʼuopo facilitargliela, e procurare che qualche zelante stoltamente non lo arrestasse una seconda volta.
X. Tale era il concetto di Guglielmo: e la destrezza e fermezza con che lo mandò ad esecuzione offre uno strano contrasto con la demenza e codardia dellʼuomo con cui egli aveva da fare. Tosto gli si presentò il destro dʼiniziare un sistema dʼintimidazione. Feversham giunse a Windsor portatore della lettera di Giacomo. Il messaggiero non era stato giudiciosamente scelto. Egli era quel desso che aveva disciolto lo esercito regio. A lui principalmente imputavano la confusione e il terrore della Notte Irlandese. Il pubblico ad alta voce lo biasimava. Guglielmo, provocato, aveva profferito poche parole di minaccia; e poche parole di minaccia uscite dalle labbra di Guglielmo sempre significavano qualcosa. A Feversham fu detto mostrasse il salvocondotto. Non ne aveva. Venendo senza esso framezzo a un campo ostile, secondo le leggi della guerra, sʼera reso meritevol dʼessere trattato con estrema severità . Guglielmo non volle vederlo, e comandò che venisse arrestato.[592]Zulestein fu tostamente spedito a riferire a Giacomo che Guglielmo non consentiva il proposto colloquio, e desiderava che la Maestà Sua rimanesse in Rochester.
Ma non era più tempo. Giacomo era già in Londra. Aveva esitato circa al viaggio, e una volta si era nuovamente provato a fuggire dallʼisola. Ma infine cedè alle esortazioni degli amici chʼerano più savi di lui, e partì alla volta di Whitehall. Vi arrivò il pomeriggio di domenica, 16 dicembre. Temeva che la plebe, la quale nella sua assenza aveva dato tanti segni della avversione che sentiva contro il Papismo, gli facesse qualche affronto. Ma la stessa violenza dellʼira popolare erasi calmata; la tempesta abbonacciata. Gaiezza e compassioneavevano succeduto al furore. Nessuno mostravasi inchinevole a insultare il Re; qualche acclamazione fu udita mentre il suo cocchio traversava la Città . Le campane di alcune chiese suonarono a festa; furono accesi pochi fuochi di gioia a onorare il suo ritorno.[593]La sua debole mente pur dianzi oppressa dallo scoraggiamento dètte in istravaganze a cotesti inattesi segni di bontà e compassione mostrati dal popolo. Giacomo entrò rinfrancato nel proprio palazzo, il quale subitamente riprese il suo antico aspetto. I preti cattolici romani, che neʼ decorsi giorni sʼerano frettolosamente nascosti neʼ sotterranei e nelle soffitte per scansare il furore della plebe, uscirono dai loro luridi nascondigli chiedendo i loro antichi appartamenti in palazzo. Un Gesuita recitava il rendimento di grazie alla mensa del Re. Il vernacolo irlandese, allora il più odioso di tutti i suoni alle orecchie inglesi, udivasi per tutti i cortili e le sale. Il Re stesso aveva ripresa la sua vecchia alterigia. Tenne un Consiglio—lʼultimo deʼ suoi Consigli—ed anche negli estremi cui era ridotto convocò individui privi deʼ requisiti legali ad intervenirvi. Si mostrò gravemente indignato contro quei Lordi, che nella sua assenza avevano osato assumere il governo dello Stato. Era loro dovere lasciare che la società si dissolvesse, le case degli Ambasciatori venissero distrutte, Londra arsa, più presto che assumere le funzioni chʼegli aveva creduto giusto abbandonare. Fra coloro che ei così gravemente riprendeva, erano alcuni Nobili e Prelati, i quali a dispetto di tutti i suoi errori gli erano rimasti costantemente fedeli, e anche dopo questa altra provocazione non seppero, per timore o speranza, indursi a prestare obbedienza ad altro sovrano.[594]
Ma tale coraggio presto gli venne meno. Era egli appena entrato in palazzo allorquando gli fu detto che Zulestein era pur giunto messaggiero del Principe. Zulestein espose la fredda e severa ambasciata di Guglielmo. Il Re insisteva per avere un colloquio col nepote. «Non mi sarei partito da Rochester» disse egli «se avessi saputo tale essere il suo volere: ma da che qui mi ritrovo, spero chʼei voglia venire al palazzo di San Giacomo.»—«Debbo dire chiaramente alla Maestà Vostra» rispose Zulestein «che Sua Altezza non verrà a Londra finchè vi rimarranno soldati che non siano sotto gli ordini suoi.» Il Re confuso a siffatta risposta, ammutolì. Zulestein andonne via; e tosto entrò in camera un gentiluomo recando la nuova dello arresto di Feversham.[595]Giacomo ne rimase grandemente conturbato. Pure la rimembranza deʼ plausi con che era pur dianzi stato accolto, gli confortava lʼanimo. Gli sorse in cuore una stolta speranza. Pensò che Londra, la quale da tanto tempo era stata il baluardo della religione protestante e delle opinioni Whig, fosse pronta a prendere le armi in difesa di lui. Mandò a chiedere al Municipio, se sʼimpegnerebbe a difenderlo contro il Principe, qualora Giacomo si recasse ad abitare nella Città . Ma il Municipio, che non aveva posto in oblio la confisca deʼ suoi privilegi e lo assassinio giuridico di Cornish, ricusò di dare la promessa richiesta. Allora il Re si sentì nuovamente scorato. In qual luogo, diceva egli, troverebbe protezione? Valeva lo stesso essere circondato dalle truppe olandesi che dalle sue Guardie del Corpo. Quanto ai cittadini, adesso egli comprese quanto valessero i plausi e le luminarie. Altro partito non gli rimaneva che fuggire; e nondimeno vedeva bene che nessuna cosa potevano tanto desiderare i suoi nemici, quanto la sua fuga.[596]
XI. Mentre egli siffattamente trepidava, in Windsor deliberavasi intorno al suo fato. Adesso la corte di Guglielmo era strabocchevolmente affollata di uomini illustri di tutti i partiti.Vʼerano giunti la più parte deʼ capi della insurrezione delle contrade settentrionali. Vari Lordi, i quali nellʼanarchia deʼ giorni precedenti si erano costituiti da sè in Governo provvisorio, appena ritornato il Re, lasciata Londra, se nʼerano andati al quartier generale. Fra loro era anco Halifax. Guglielmo lo aveva accolto con gran satisfazione, ma non aveva potuto frenare un ironico sorriso vedendo lo ingegnoso e compìto uomo politico, il quale aveva ambito a farsi arbitro in quella grande contesa, essere costretto ad abbandonare ogni via di mezzo e prendere un partito deciso. Fra coloro che in questa congiuntura arrivarono a Windsor erano alcuni che avevano con ignominiosi servigi comperata la grazia di Giacomo, e adesso erano bramosi di scontare, tradendo il loro signore, il delitto dʼavere tradita la patria. Tale era Titus, che aveva seduto in Consiglio in onta alle leggi, e sʼera affaticato a stringere i puritani coʼ Gesuiti in una lega contro la costituzione. Tale era Williams, il quale, per cupidigia di guadagno, di demagogo sʼera fatto campione della regia prerogativa, e adesso era prontissimo a commettere una seconda apostasia. Il Principe con giusto dispregio lasciò che cotesti uomini si stessero vanamente aspettando unʼudienza alla porta del suo appartamento.[597]
Il lunedì, 17 dicembre, tutti i Pari che erano in Windsor furono convocati a una solenne consulta da tenersi nel castello. Il subietto delle loro deliberazioni era ciò che fosse da farsi del Re: Guglielmo non reputò savio partito trovarsi presente alla discussione. Ei si ritirò; ed Halifax fu posto sul seggio presidenziale. I Lordi concordavano in una cosa sola, cioè non doversi permettere che il Re rimanesse dove era. Unanimemente estimavano dannoso che lʼun principe si fortificasse in Whitehall, e lʼaltro nel palazzo di San Giacomo, e che vi fossero due guarnigioni nemiche in uno spazio di cento acri. Un tale provvedimento non poteva mancare di far nascere sospetti, insulti, e battibecchi che finirebbero forse col sangue. Per le quali ragioni i Lordi ingannati crederono necessario mandar via Giacomo di Londra. Proposero qual luogo convenevoleHam, che Lauderdale lungo la riva del Tamigi aveva edificato con le ricchezze rubate in Iscozia e con la pecunia datagli dalla Francia a corromperlo, e che era considerato come la più magnifica delle ville. I Lordi, venuti a tale conclusione, invitarono il Principe a recarsi fra loro. Halifax gli comunicò la deliberazione. Guglielmo approvò. Fu scritto un breve messaggio da spedirsi al Re. «E per chi glielo manderemo?» domandò Guglielmo. «Non dovrebbe essergli recato» disse Halifax «da uno degli ufficiali di Vostra Altezza?»—«No, milord,» rispose il principe; «con vostra licenza, il messaggio è spedito per consiglio delle Signorie Vostre; dovrebbe quindi recarglielo alcuno di voi.» Allora senza far sosta, onde non si desse luogo a rimostranze, ei nominò messaggieri Halifax, Shrewsbury e Delamere.[598]
Sembra che la deliberazione deʼ Lordi fosse unanime. Ma nellʼassemblea erano alcuni, che non approvavano affatto il provvedimento chʼessi affettavano di approvare, e che desideravano vedere usata verso il Re una severità che non rischiavansi a manifestare. È cosa notevole che capo di questo partito era un Pari, già stato Tory esagerato, che poscia non volle prestare giuramento a Guglielmo: questo Pari era Clarendon. La rapidità onde in cotesta crisi ei passò da uno allʼaltro estremo, parrebbe incredibile a coloro che vivono in tempi di pace, ma non ne maraviglieranno coloro i quali hanno avuto occasione di osservare il corso delle rivoluzioni. Si avvide che lʼasprezza con cui egli al regio cospetto aveva censurato lo intero sistema del governo, aveva mortalmente offeso il suo antico signore. Dallʼaltra parte, come zio delle Principesse, poteva sperare dʼingrandirsi e arricchire nel nuovo ordine di cose che già sʼiniziava. La colonia inglese in Irlanda lo teneva come amico e patrono; ed ei pensava che assai parte della propria importanza riposava sulla fiducia e lo affetto di quella. A tali considerazioni cederono i principii da lui con tanta ostentazione per tutta la sua vita professati. Si recò dunque alle secrete stanze del Principe e gli appresentò il pericolo di lasciare il Re in libertà . I protestanti dʼIrlanda essere inestremo periglio. Uno solo il mezzo ad assicurare loro la roba e la vita, tenere, cioè, Sua Maestà in istretta prigionia. Non essere prudente rinchiuderlo in uno deʼ castelli della Inghilterra: ma potersi mandarlo di là dal mare e chiuderlo nella fortezza di Breda finchè fossero pienamente ricomposte le cose delle Isole Britanniche. Se tanto ostaggio rimanesse nelle mani del Principe, Tyrconnel probabilmente porrebbe giù la spada del comando, e senza strepito la preponderanza inglese verrebbe ristabilita in Irlanda. Se dallʼaltro canto Giacomo fuggisse in Francia, e si mostrasse a Dublino accompagnato da un esercito straniero, ne nascerebbero gli effetti più disastrosi. Guglielmo riconobbe la gravità di cotesti ragionamenti: ma ciò non poteva farsi. Ei conosceva lʼindole di sua moglie, e sapeva bene chʼella non avrebbe mai consentito. E veramente non sarebbe stata per lui onorevole cosa trattare con tanto rigore il vinto suocero. Nè poteva affermarsi come certo la generosità non essere la più sana politica. Chi avrebbe potuto prevedere lo effetto che la severità suggerita da Clarendon produrrebbe nella opinione pubblica della Inghilterra? Era forse impossibile che quello entusiasmo di lealtà , che il Re aveva prostrato con la propria malvagia condotta, risorgesse appena si sapesse egli essere entro le mura di una fortezza straniera? Per queste ragioni Guglielmo si tenne fermissimo a non privare della libertà il proprio suocero; e non è dubbio che ciò fosse savio partito.[599]
Giacomo, mentre si discuteva intorno alla sua sorte, rimase in Whitehall, affascinato, a quanto sembra, dalla grandezza e imminenza del pericolo, e inetto a lottare o a fuggire. La sera giunse la nuova che gli Olandesi avevano occupato Chelsea e Kensington. Il Re nondimeno si apparecchiò a riposarsi secondo il consueto. Le guardie dette Coldstream erano di servizio in palazzo. Le comandava Guglielmo Conte di Craven, uomo vecchio, che cinquanta e più anni prima si era reso famoso nelle armi e negli amori, aveva sostenuto a Creutznach con tanto coraggio la disperata battaglia, che vuolsi ilgran Gustavo battendogli la spalla gli dicesse: Bravo!—e credevasi che sopra mille rivali avesse conquistato il cuore della sventurata Regina di Boemia. Craven adesso aveva ottantʼanni, ma il suo spirito non era per anche domo dal tempo.[600]
XII. Erano battute le ore dieci allorquando gli fu annunziato che tre battaglioni di fanteria del Principe con alcune legioni di cavalleria venivano giù pel lungo viale del Parco di San Giacomo con micce accese, e prontissimi ad agire. Il Conte Solmes che comandava gli stranieri disse avere ordine dʼimpossessarsi militarmente dei posti attorno a Whitehall, ed esortò Craven a ritirarsi in pace. Craven giurò di lasciarsi piuttosto tagliare a pezzi: ma come il Re, che stavasi spogliando, seppe ciò che seguiva, vietò al valoroso veterano di fare una resistenza che non poteva essere che vana. Verso le ore undici le guardie Coldstream sʼerano ritirate, e a guardia di ogni angolo del palazzo vedevansi le sentinelle olandesi. Alcuni deʼ servitori del Re chiesero se sarebbesi rischiato a dormire circondato daglʼinimici. Rispose che essi non potevano trattarlo peggio di quel che avevano fatto i suoi propri sudditi, e con lʼapatia di un uomo istupidito dalle sciagure andossene a letto e si pose a dormire.[601]
XIII. Appena erasi fatto silenzio in palazzo quando esso fu nuovamente interrotto. Poco dopo mezzanotte i tre Lordi giunsero da Windsor. Middleton fu chiamato a riceverli. Gli dissero chʼerano portatori dʼun messaggio che non poteva differirsi. Il Re fu destato dal suo primo sonno; ed essi furono introdotti nella sua camera da letto. Gli posero nelle mani la lettera loro affidata, e gli dissero che il Principe tra poche ore arriverebbe a Westminster, e che Sua Maestà farebbe bene a partire per Ham avanti le ore dieci della mattina. Giacomo fece qualche obiezione. Disse non piacergli Ham, essere luogo gradevole in estate, ma freddo e privo di comodi a Natale; oltre di che era senza mobilia. Halifax rispose che sullʼistante verrebbe ammobiliato. I tre messaggieri ritiraronsi, ma furonosubitamente seguiti da Middleton, il quale disse loro che il Re preferirebbe Rochester ad Ham. Risposero non avere potestà di consentire al desiderio della Maestà Sua, ma manderebbero tosto un messo al Principe, il quale quella notte doveva alloggiare in Sion House. Il messo partì immediatamente, e tornò innanzi lʼalba recando il consenso di Guglielmo; il quale lo diede di gran cuore: imperciocchè non era dubbio che il Re avesse scelto Rochester come luogo che offriva agevolezza a fuggire, e chʼegli fuggisse era ciò che desiderava il suo genero.[602]
XIV. La mattina del dì 18 dicembre, giorno di pioggia e di procella, il bargio del Re a buonʼora aspettava dinanzi le scale di Whitehall, ed era circondato da otto o dieci barche ripiene di soldati olandesi. Vari Nobili e gentiluomini accompagnarono il Re fino alla riva. Dicesi, e può ben credersi, che piangessero: imperciocchè anche i più zelanti amici della libertà non potevano vedere senza commuoversi la trista e ignominiosa fine dʼuna dinastia che avrebbe potuto essere sì grande. Shrewsbury fece quanto più potè per consolare il caduto Sovrano. Perfino lʼaspro ed esagerato Delamere era intenerito. Ma fu notato che Halifax, che aveva sempre mostrata tenerezza verso i vinti, in quel caso era meno compassionevole deʼ suoi due colleghi. Aveva tuttavia lʼanima invelenita dalla rimembranza dʼessere stato spedito ambasciatore da scherno a Hungerford.[603]
Mentre il bargio reale lentamente procedeva su per le agitate onde del fiume, lo esercito del Principe dallʼoccidente veniva arrivando a Londra. Era stato saviamente ordinato che il servigio della metropoli fosse fatto dai soldati britannici al soldo degli Stati Generali. I tre reggimenti inglesi furono acquartierati dentro e attorno alla Torre, i tre scozzesi in Southwark.[604]
XV. Malgrado il cattivo tempo una gran folla di popolosʼera raccolta fra Albemarle House e il palazzo di San Giacomo per plaudire al Principe. Tutti i cappelli e i bastoni erano ornati dʼun nastro colore di melarancia. Le campane suonavano per tutta Londra. Le finestre erano tutte piene di candele per la luminara. Nelle strade vedevansi cataste di legna e fascine per accendere fuochi di gioia. Guglielmo nondimeno cui non garbava lo affollarsi e il rumoreggiare della gente, passò traverso al Parco. Avanti notte giunse al palazzo di San Giacomo in un cocchio leggiero, accompagnato da Schomberg. In breve tutte le stanze e le scale del palazzo furono popolate da coloro che erano accorsi a corteggiarlo. E la folla era tanta, che personaggi dʼaltissimo grado non poterono penetrare nella sala dove stavasi il Principe.[605]
Mentre Westminster era in cotesto concitamento, il Municipio in Guildhall apparecchiava un indirizzo di ringraziamenti e congratulazioni. Il Lord Gonfaloniere non potè presedere. Non aveva mai più alzato il capo da letto sino dal giorno in cui il Cancelliere travestito da carbonaio era stato trascinato alla sala della giustizia. Ma gli Aldermanni e gli altri ufficiali del corpo municipale erano ai loro posti. Il dì seguente i magistrati della città recaronsi solennemente a complire il liberatore. La gratitudine loro fu con eloquenti parole espressa dal cancelliere Sir Giorgio Treby. Disse che alcuni Principi della Casa di Nassau erano stati principali ufficiali dʼuna grande repubblica. Altri avevano portata la corona imperiale. Ma il titolo peculiare di questa illustre famiglia alla pubblica venerazione era che Dio lʼaveva eletta e consacrata allʼalto ufficio di difendere il vero e la libertà contro i tiranni di generazione in generazione. Il dì stesso tutti i prelati che trovavansi in città , tranne Sancroft, andarono in corpo al cospetto del Principe; quindi il clero di Londra, cioè gli uomini più cospicui del ceto ecclesiastico per dottrina, facondia e influenza, aventi a capo il loro Vescovo. Erano fra loro alcuni illustri ministri dissenzienti, i quali Compton, a suo sommo onore, trattò con segnalata cortesia. Pochi mesi avanti o dopo, simigliante cortesia sarebbe stata da molti anglicani consideratacome tradigione verso la Chiesa. Anche allora un occhio veggente poteva bene accorgersi che la tregua, alla quale le sètte protestanti erano state costrette, non sarebbe lungamente sopravvissuta al pericolo che lʼaveva fatta nascere. Circa cento teologi non conformisti, residenti nella capitale, presentarono un indirizzo a parte. Furono introdotti da Devonshire ed accolti con ogni segno di gentilezza e rispetto. Il ceto legale andò anchʼesso a fare omaggio; lo conduceva Maynard, il quale a novanta anni dʼetà era forte di mente e di corpo come quando in Westminster Hall sorse accusatore di Strafford. «Signore Avvocato» disse il Principe «voi dovete avere sopravvissuto a tutti i legali vostri coetanei.»—«Sì, Altezza,» rispose il vegliardo «e se non venivate voi sopravvivevo anco alle leggi.»[606]
Ma comechè glʼindirizzi fossero molti e pieni di elogi, le acclamazioni alte, le illuminazioni splendide, il palazzo di San Giacomo troppo angusto per la folla deʼ corteggiatori, i teatri ogni notte dalla platea al soffitto adorni di nastri colore di melarancia, Guglielmo sentiva che le difficoltà della sua intrapresa cominciavano allora. Aveva rovesciato un Governo, ma adesso doveva compiere lʼassai più difficile lavoro di ricostruirne un altro. Da quando sbarcò a Torbay finchè giunse a Londra, aveva esercitata lʼautorità , che per le leggi della guerra, riconosciute da tutto il mondo incivilito, appartiene al comandante dʼun esercito nel campo. Adesso era necessario mutare il suo carattere di generale in quello di magistrato; e questa non era agevole impresa. Un solo passo falso poteva esser fatale; ed era impossibile fare un solo passo senza offendere pregiudicii e svegliare acri passioni.
XVI. Alcuni deʼ consiglieri del Principe lo incitavano a prendere a un tratto la corona per diritto di conquista; e poi in qualità di Re spedire muniti del proprio Gran Sigillo i decreti a convocare il Parlamento. Molti insigni giureconsulti lo confortavano ad appigliarsi a tale partito, dicendo essere quella la via più breve di giungere dove, andandovi altrimenti, sʼincontrerebberoinnumerevoli ostacoli e contese. Ciò era strettamente conforme al felice esempio dato da Enrico VII dopo la battaglia di Bosworth. Farebbe ad un tempo cessare gli scrupoli che molti spettabili uomini sentivano quanto alla legalità di trasferire il giuramento di fedeltà da un sovrano ad un altro. Nè la legge civile nè quella della Chiesa Anglicana riconoscevano neʼ sudditi il diritto di detronizzare il Sovrano. Ma nessun giureconsulto, nessun teologo negò mai che una nazione vinta in guerra, potesse senza peccato sobbarcarsi al volere del Dio degli eserciti. Difatti dopo la conquista caldea, i più pii e patriottici degli Ebrei non crederono di mancare al proprio debito verso il Re loro, servendo lealmente il nuovo signore dato loro dalla Provvidenza. I tre confessori, che erano rimasti miracolosamente illesi nellʼardente fornace, tennero altri uffici nella provincia di Babilonia. Daniele fu ministro dello Assiro che soggiogò Giuda, e del Persiano che soggiogò lʼAssiria. Che anzi lo stesso Gesù, il quale secondo la carne era Principe della Casa di David, comandando ai suoi concittadini di pagare il tributo a Cesare, aveva voluto significare che la conquista straniera annulla il diritto ereditario ed è titolo legittimo di dominio. Era quindi probabile che un gran numero di Tory, quantunque non potessero con sicura coscienza eleggersi un Re, accetterebbero senza esitazione quello che gli eventi della guerra avevano dato loro.[607]
Dallʼaltra parte, nondimeno, vʼerano ragioni di grave momento. Il Principe non poteva pretendere dʼavere guadagnata la corona con la propria spada senza bruttamente rompere la fede data. Nel suo Manifesto aveva protestato contro ogni pensiero di conquistare la Inghilterra; aveva asserito che coloro i quali gli attribuivano siffatto disegno, calunniavano iniquamente non solo lui, ma tutti quei Nobili e gentiluomini patriotti che lo avevano invitato; che le forze da lui condotte erano evidentemente inadequate ad una impresa così ardua; e che era fermamente deliberato di portare innanzi a un libero Parlamento tutte le pubbliche doglianze e le sue proprie pretese. Non era equo nè saggio chʼei per qualsiasi cosa terrena rompesse la sua parola solennemente impegnata al cospetto ditutta la Europa. Nè era certo che, chiamandosi conquistatore, chetasse quegli scrupoli onde i rigidi Anglicani ripugnavano a riconoscerlo Re. Imperocchè, in qualunque modo egli si chiamasse, tutto il mondo sapeva chʼegli non era vero conquistatore. Era manifestamente unʼaperta finzione il dire che questo gran Regno, con una potente flotta in mare, con un esercito stanziale di quarantamila uomini, e con una milizia civica di centotrentamila uomini, fosse stato, senza un solo assedio o una sola battaglia, ridotto a condizione di provincia da quindicimila invasori. Non era verosimile che cosiffatta finzione rasserenasse le coscienze realmente scrupolose, mentre non mancherebbe di ferire lʼorgoglio nazionale ormai cotanto sensitivo e irritabile. I soldati inglesi erano in tali umori che richiedevano dʼessere con somma accortezza governati. Sentivano che nella recente campagna non avevano sostenuta una onorevolissima parte. I capitani e i soldati comuni erano al pari impazienti di provare che non avevano per difetto di coraggio ceduto a forze inferiori. Taluni officiali olandesi erano stati tanto indiscreti da vantarsi, col bicchiere in mano dentro una taverna, dʼavere rinculata lʼarmata regia. Questo insulto aveva fra le truppe inglesi suscitato un fermento, che ove non vi si fosse prontamente immischiato Guglielmo, sarebbe forse finito in una terribile strage.[608]Quale, in tali circostanze, poteva essere lo effetto di un proclama che avesse annunziato il comandante degli stranieri considerare lʼisola intera come legittima preda di guerra?
Era anche da ricordarsi che, pubblicando un simigliante proclama, il Principe avrebbe a un tratto abrogati tutti quei diritti deʼ quali egli sʼera dichiarato campione: perocchè lʼautorità di un conquistatore straniero non è circoscritta dalle costumanze e dagli statuti della nazione conquistata, ma è in sè stessa dispotica. E quindi Guglielmo o non poteva dichiararsi Re, o poteva dichiarare nulle laMagna Chartae la Petizione dei Diritti, abolire il processo dinanzi ai Giurati, e imporre tasse senza il consenso del Parlamento. Poteva, a dir vero, ristabilire lʼantica costituzione del reame. Ma, ciò facendo, era provvedimento arbitrario. Quinci innanzi la libertà dellʼInghilterra verrebbe fruita dai cittadini con umiliante possesso; nè sarebbe, quale era stata fino allora, unʼantichissima eredità , ma un dono recente che il generoso signore, da cui era stato ai suoi sudditi impartito, poteva ripigliare a suo talento.
XVII. Guglielmo adunque dirittamente e con prudenza fece pensiero dʼosservare le promesse contenute nel suo Manifesto, e lasciare alle Camere lʼufficio di riordinare il governo. Con tanto studio egli schivò tutto ciò che potesse sembrare usurpazione, che non volle, senza una qualche sembianza dʼautorità parlamentare, avventurarsi a convocare gli Stati del Regno, o dirigere il potere esecutivo nel tempo in cui si facevano le elezioni. Nello Stato non vʼera autorità strettamente parlamentare: ma potevasi in poche ore mettere insieme una assemblea alla quale la nazione portasse gran parte della riverenza dovuta a un Parlamento. Poteva formarsi una Camera deʼ numerosi Lordi spirituali e secolari che allora si trovavano in Londra, e lʼaltra degli antichi membri della Camera deʼ Comuni e deʼ Magistrati della Città . Tale disegno era ingegnoso e venne prontamente mandato ad effetto. Fu intimato ai Pari di trovarsi pel dì 21 dicembre al Palazzo di San Giacomo. Vi accorsero circa settanta. Il Principe gli esortò considerassero le condizioni del paese, e presentassero a lui il resultato delle loro deliberazioni. Poco dopo comparve un annunzio, col quale invitavansi tutti i gentiluomini che erano stati membri della Camera deʼ Comuni sotto il regno di Carlo II, a presentarsi a Sua Altezza la mattina del dì 26. Furono anche chiamati gli Aldermanni di Londra, e al Municipio fu richiesto di mandare una deputazione.[609]