Era in questo mezzo tempo arrivato da Napoli San Cyr. Massena trovandosi in necessità di seguitare a seconda l'arciduca nelle montagne della Carniola e della Carintia, non voleva, per timore di qualche sbarco di Russi e d'Inglesi, lasciare senza difesa i lidi Veneziani. Ordinava pertanto a San Cyr, che si allargasse, e custodisse le spiagge dalle bocche dell'Adige sino a Venezia. Questa provvidenza ebbe felice successo, non contro i tentativi di mare, che nissuno fu fatto, ma contro uno di terra. Napoleone, volendo prostrare le forze d'Austria, che tuttavia tenevano le alte rupi del Tirolo e del Voralberga, aveva mandato da Augusta Ney contro l'arciduca Giovanni, Augerau contro Jellacich. Ney, guadagnato celeremente il passo di Scharnitz, occupava il Tirolo Tedesco; poi guadagnato con la medesima prestezzail passo di Sterzing, s'impadroniva del Tirolo Italiano, ritiratosene, o piuttosto fuggitosene a grave stento l'arciduca per ricoverarsi nella Carniola. Augerau cacciossi avanti Jellacich cedente da Voralberga: il capitano Tedesco, trovate le strade del Tirolo chiuse da Ney, fu costretto alla dedizione. La conquista del Tirolo partorì un altro effetto di grande importanza. Un grosso di settemila fanti e mille cavalli, sotto la condotta del principe di Roano, costretto a calarsi per le sponde della Brenta verso i piani bagnati da questo fiume, incontratosi a Castelfranco con San Cyr, dopo un furioso conflitto, fu obbligato, ad arrendersi. Dopo questo fatto Massena securo alle spalle, vieppiù innoltrava la sua fronte, e fermava gli alloggiamenti in Lubiana, ritiratosene l'arciduca per internarsi nella Croazia, e di là nel principato di Sirmio in Ischiavonia tra la Drava e la Sava. Seras occupava Trieste. I soldati di Massena e di Ney si congiunsero a Villaco ed a Clagenfurt: i due eserciti di Francia Germanico ed Italico si congregarono alle future imprese del Danubio. Grandi, audaci, ed ottimamente composte furono tutte queste mosse di Napoleone: il fine rispose alla maestrìa, colla quale erano state concette. L'apparato bellico dell'Austria, in men che non fece un mese, fu distrutto, e l'imperator Francesco, privo quasi interamente delle forze proprie, non aveva più altro rimedio che gli ajuti della Russia, sufficienti prima delle rotte, insufficienti dopo: l'Italia sgombra, come ai primi tempi di Napoleone, da uomini Alemanni.Ambiva Napoleone di per se stesso gli statialtrui, e facilmente senza cagione o pretesto se gli appropriava: molto più volentieri se gli appropriava, quando se ne gli dava cagione. Di ciò con estremo suo eccidio ebbe pruova il re di Napoli. Aveva Ferdinando, siccome per noi si è narrato, stipulato la neutralità ; ma quando appunto la guerra si definiva in favor di Francia in Germania, e nell'Italia superiore, essendo già corso oltre il suo mezzo il mese di novembre, arrivavano nel golfo di Napoli due navi Inglesi con molte onerarie, sopra le quali erano quindici mila soldati, dodici mila Russi venuti da Corfù, tre mila Inglesi venuti da Malta. Sbarcarono soldati, armi e munizioni tra Napoli e Portici, annunziando venire non solo per proteggere il regno, ma ancora per correre verso l'Italia superiore in ajuto degli Austriaci. Non fece il re, non bene considerando quel che potesse portare seco il tempo futuro, alcuna dimostrazione nè protesta per impedire lo sbarco di queste genti nemiche a Francia. L'ambasciador di Napoleone, viste le insegne del nemico, molto acerbamente si risentiva, e calati gl'imperiali stemmi dalla fronte del suo palazzo, richiedeva il re dei passaporti, e l'infedele terra, come diceva, abbandonando, se ne partiva alla volta di Roma. Per mitigarlo mandava fuori il governo un editto, per cui prometteva ai Francesi, Italiani, Liguri, e ad altre nazioni unite all'impero Francese, che sarebbero le proprietà loro, ed i traffichi securi e salvi. Fu la dimostrazione indarno, perchè non solo nissuna protestazione conteneva contro il moto dei confederati, ma nemmeno portava alcun dispiaceredi quello, che la Francia aveva sentito sì gravemente. Gli effetti che ne seguitarono, e che per molti anni tolsero al re la possessione del regno di qua dal Faro, saranno da noi fra breve raccontati.Vinceva Napoleone nei campi di Osterlizza una campale battaglia. Vinti i Russi ausiliarj, fu talmente prostrata l'Austria, che fu costretta a consentire a durissimi patti. Si fermarono a Presburgo d'Ungherìa il dì ventisei decembre. Consentiva l'imperator d'Alemagna e d'Austria a tutte le unioni dei territorj italiani: riconosceva le risoluzioni prese dall'imperator di Francia rispetto a Lucca ed a Piombino, riconosceva l'imperator di Francia, come re d'Italia, con ciò però che, seguìta la pace generale, le due corone, a seconda delle promesse fatte dall'imperator Napoleone, l'una dall'altra fossero separate, nè mai in perpetuo potessero esser riunite: dava in potestà dell'imperatore medesimo di Francia tutti gli stati dell'antica repubblica di Venezia a lui ceduti pel trattato di Campoformio, e consentiva, che fossero uniti al regno d'Italia, riconosceva ancora nei duchi di Virtemberga e di Baviera la qualità , ed il titolo di re: cedeva a quest'ultimo, oltre parecchi paesi situati sulle sponde del Danubio, il Tirolo, compresi i principati di Brissio e di Bolzano, le sette signorìe di Voralberga, e parecchi altri paesi sulle rive del lago di Costanza: dal canto suo l'imperator Napoleone guarentiva l'interezza dell'impero d'Austria; consentiva, che Salisburgo già dato all'arciduca Ferdinando di Toscana, al medesimo impero si unisse, e si obbligavaad intromettersi appresso al re di Baviera, perchè cedesse Visburgo all'arciduca in compenso di Salisburgo.Si mandava ad effetto il trattato. Venezia e gli antichi suoi territorj, dopo otto anni di dominio Austriaco, tornavano sotto quello di Francia. Venne Law Lauriston a prenderne possesso da parte del re d'Italia. Confortava i Veneziani a star di buon animo, promettendo loro felicità , e chiamandogli figliuoli di Napoleone; bella consolazione per certo a tanti mali. Il dì diecinove gennajo arrivarono in Venezia per fondarvi la terza servitù, i soldati di Napoleone, gli mandava Miollis, destinato dai cieli a commettere in Italia duri fatti con molli parole. Arrivava il dì tre di febbrajo in Venezia Eugenio vicerè, testè sposato ad Amalia di Baviera. Fecersi i soliti rallegramenti, i quali, siccome quelli che o costretti erano dalla forza, o procurati dall'adulazione, muovevano piuttosto a compassione che a gioja.A questo tempo si rinfrescavano le Napolitane ruine. Napoleone vittorioso pensava a soddisfare all'ambizione ed alla vendetta. Già sull'uscire del precedente anno aveva pubblicato, parlando a' suoi soldati, queste parole: «Da dieci anni io feci quanto per me si potè, per salvare il re di Napoli, e da dieci anni ei fece quanto per lui si potè per perdersi. Dopo le battaglie di Dego, di Mondovì, e di Lodi deboli forze gli restavano per resistermi: fidaimi nelle sue parole, anteposi la generosità alla forza. Risolvè poscia Marengo la seconda lega; aveva il re, di tutti il primo, incominciato la guerra; da suoi alleatiabbandonato a Luneville, solo e senza difesa rimase. Implorò perdono, gliel concedei. Voi a Napoli già vicini avevate in poter vostro il regno; i tradimenti io sospettava, le vendette poteva fare; novella generosità amaimi; che sgombraste il regno, ordinaivi; la terza volta restommi della salute sua la casa dei reali di Napoli obbligata. Perdonerò io la quarta ad una corte senza fede, senza onore, senza ragione? No; ceda dal regno la Napoletana famiglia; non può ella col riposo d'Europa, coll'onore della mia corona sussistervi. Ite, marciate, precipitate nell'onde quei deboli battaglioni dei tiranni del mare; seppure a loro basterà l'animo di aspettarvi: ite, e mostrate al mondo, come da noi si puniscano gli spergiuri; ite, e fate ch'egli presto s'accorga, che nostra è l'Italia, che il più bel paese della terra ha oramai gettato via dal collo il giogo d'uomini perfidissimi: ite, e mostrate che è la santità dei trattati vendicata, che sono le ombre de' miei soldati, sopravvissuti ai naufragi, ai deserti, a cento battaglie, ed alle uccisioni nei porti della Sicilia, mentre tornavano dall'Egitto, placate e paghe. Guideravvi mio fratello: partecipe della mia potenza, partecipe de' miei consigli, in lui fidatevi, come io in lui mi fido».A queste aspre e superbe parole del terribile vincitore d'Osterlizza tenevano dietro consenzienti fatti. Giuseppe fratello con esercito poderoso marciava contro il regno; gli aveva dato Napoleone, conoscendolo irresoluto e solito a lasciarsi portare dalla volontà degli altri, per compagnoe sostenitore de' suoi consigli Massena. Pruovossi Ferdinando di stornare la tempesta, con mandar Ruffo cardinale appresso allo sdegnato signore per iscusare il fatto dello sbarco. Adducesse, comandava, essere gli alleati stati troppo forti, lui troppo debole, nè aver potuto impedire; pregasse concordia, promettesse ammende, offerisse sicurtà . Nè vedeva il re, che Napoleone più serviva all'ambizione che alla vendetta; imperciocchè quanto allo sbarco, vi si poteva rimediare con qualche perdita di provincie o di denaro, senza venirne alla radice ed all'intiera distruzione del regno. Quanto all'ombre dei soldati, aveva Napoleone, dopo la uccisione, fatto amicizia col re; il che aveva dimostrato in quale conto avesse il sangue e l'ombre loro. Nè si vede perchè il re mandasse Ruffo cardinale a placar Napoleone, se non forse perchè credeva, che per qualche somiglianza di natura fossero facilmente per accordarsi. Mostrossi Napoleone inesorabile; gli piaceva Napoli; preparava reali seggi ai fratelli; voleva, per le sue cupidità , fermare in ogni luogo stati dipendenti intieramente da lui.Quando pervennero a Ferdinando le novelle della volontà di Napoleone, si ristrinsero insieme i suoi consiglieri per deliberare su quanto la necessità del caso richiedesse. Pensava ad abbandonar Napoli, e desideravano che i Russi ed Inglesi si mettessero a qualche forte passo degli Abruzzi, per vietare ai Francesi l'entrata nel regno. Ma l'imperatore Alessandro, che amava meglio la salute de' suoi soldati, essendo anche l'impresa molto dubbia, aveva comandato perun corriero espresso, che tostamente s'imbarcassero, ed in Corfù tornassero. La ritirata dei Russi, che erano la più grossa parte rendè necessaria anche quella degl'Inglesi. Gli uni e gli altri partirono, quelli per Corfù, questi per Sicilia, lasciato Ferdinando nell'ultima ruina. Veduto che il regno andava senza indugio in manifesta perdizione, si risolvette nel consiglio, che il re si ritirasse in Sicilia, che seco conducesse la famiglia, i ministri, e quanti soldati e denari potesse. Già il nemico insultava da Ferentino, già si apprestava ad invadere le provincie. Si deliberò altresì, che il figliuolo primogenito del re andasse in Calabria per animare quelle popolazioni armigere, e sempre addette a chi più accesamente le instiga. Era in questa provincia rotta e sanguinosa il conte Ruggiero con qualche banda di regolari; si sperava, che i popoli congiungendosi a loro, avrebbero potuto tener vivo il nome regio fintantochè qualche favorevole accidente desse occasione di risorgere. Lasciava Ferdinando la real sede il dì ventitrè di gennajo. Così finì allora il suo regno, regno pieno, per la sfrenatezza dei tempi, di casi lamentevoli ed atroci; ma non pertanto cessarono le opere crudeli, come se fosse fatale che perpetuo sangue vi si versasse, o che il regno, o che la repubblica vi dominassero, o che forestieri d'Inghilterra o che forestieri di Francia la potestà del comandare vi esercessero.Partito Ferdinando sul vascello reale l'Archimede, fu lasciata una reggenza composta dal generale Naselli, dal principe di Canosa, da donMichelagnolo Cianciulli, e da don Domenico Sofia. Era la città paventosa delle cose avvenire; si temeva del popolo, dei Francesi, dei Calabresi. Accrebbe il terrore un grave tentativo dei carcerati al serraglio, che se avesse avuto effetto, Napoli sarebbe andata a ruina. Marciavano intanto i Francesi alla conquista. Giuseppe fulminato vendetta contro la corte, e promesso dolcezza al popolo, se si sottomettesse, velocemente viaggiava contro la capitale. Correva a destra, a riva il mare, Regnier, nissun ostacolo in nessun luogo incontrando, salvo in Gaeta, piazza forte di sito, e custodita dal principe di Assia, capitano valoroso. Intimato di resa, rispose negando. Assaltarono i Francesi il bastione di Sant'Andrea, e se lo presero, non senza sangue. L'altra parte si difendeva egregiamente; ma essendo i Napoleoniani grossi, lasciato genti all'oppugnazione, passarono. Massena a sinistra senza impedimento alcuno camminando, poichè Capua già si era data, arrivava ai quattordici di febbrajo sotto le mura dell'appetita città . S'arresero castel Nuovo, castel dell'Uovo, castel del Carmine, e castel Sant'Elmo. Entrava Duhesme il primo con una scelta fronte di soldati leggieri sì fanti che cavalli. Faceva il dì seguente il suo ingresso Giuseppe a cavallo con molto seguito di generali, e con tutte le ordinanze in bellissima mostra. Smontò al palazzo reale; trovollo squallido, e spogliato dai fuggitivi. Addì sedici visitava la chiesa di San Gennaro; udita la messa di Ruffo Cardinale, presentava il Santo con doni, primizie del futuro regno. Tornatosi nella reggia sede dava le udienzeai magistrati, vedeva con viso benigno la reggenza di Naselli; ma tosto la cassava per crearne un'altra; fecene capo Saliceti. Erano nella serva Italia certe persone perpetue, alcune perchè Napoleone le amava, altre perchè le disamava; Vignolle, Menou, Miollis, Saliceti. Per far denaro si mantennero le tasse vecchie, se ne imposero delle nuove; per far sicurezza, si tolsero le armi ai cittadini, e si venne sul suono di far morire soldatescamente chi le portasse. Queste minacce già tante volte fatte, ed anche eseguite da ambe le parti, dimostrano, qual dolcezza di vivere fosse allora in Italia.Intanto le Calabrie non quietavano. Si era il duca di Calabria accostato con un corpo di soldati uscito con lui da Napoli al conte Ruggiero, che con una squadra riempiuta di soldati Siciliani, Tedeschi, Napolitani, e con qualche misto di raunaticci, parte buona, parte pessima, aveva fatto un alloggiamento fortificato sulle rive del Silo nel principato di Salerno. Arso il ponte, schierava i suoi sulla riva. Parve il caso d'importanza; vi fu mandato Regnier. Andò il Francese all'assalto, mandò i Napolitani in rotta, perseguitò i vinti fino a Lagonero. Rannodaronsi i regj a Campotenese; venne loro sopra Regnier il dì nove marzo, e con un forte assalto gli risolvette facilmente in fuga. A stento salvossi il conte con mille soldati tra fanti e cavalli. Il Francese vittorioso s'inoltrava nella Calabria ulteriore; occupato Reggio, muniva di presidio la fortezza di Scilla, posta alla punta d'Italia, dove è più vicina alla Sicilia; il che dava e freno e sospettoagl'Inglesi, che in Messina si erano raccolti a difesa dell'isola.Per la vittoria di Campotenese tutto il corpo Napolitano guidato da Rosenheim fu fatto prigioniero. Rodìo, che aveva veduto le guerre di Ruffo, e con lui e per lui aveva combattuto, perseguitato aspramente da Lecchi, fu preso nelle montagne di Pomarico. Sperava Regnier di pigliarsi Michele Pezza, che il volgo chiamava fra Diavolo, uomo facinoroso mandato da Palermo a sollevare i popoli; ma per l'audacia propria, e per conoscere il paese, gli sfuggì di mano, tornandosene a Gaeta. Molti de' suoi seguaci, gente da strada ed efferata, come egli, presi nelle montagne di Rocca Guglielma, Monticelli, e Sant'Oliva, furono incontanente dati a morte. Da un'altra parte Duhesme, oltratosi nella Basilicata, cacciava i nemici da Bernarda e da Torre, ed entrava in Taranto, città opportuna pel suo sito ad accennare ugualmente a Corfù ed alla Sicilia. Alcuni rimasugli dei vinti si erano rannodati a Castrovillari, ma combattuti da Regnier furono dispersi. Vi andarono presi un Tchudi ed un Ricci, capitani di qualche grido, e molto affezionati al nome del re. Sbaragliati i regolari, sorgevano, parte per la mutazione del governo, parte per gl'instigamenti di Sicilia, parte per amore della vendetta, parte per cupidigia del sacco, in diverse parti della Calabria bande collettizie di soldati spicciolati, e di uomini facinorosi, che mettevano la provincia a terrore, a ruba ed a sangue. In questi orribili ravvolgimenti perdeva chi aveva, acquistava chi non aveva; i buoni solamenteperivano; i scellerati trionfavano. La ferocia d'uomini quasi ancora selvaggi era stimolata da uomini feroci per consuetudine; il male s'appiccava, e dominava in ogni parte. Spargevansi voci, che la regina fomentasse questi moti; il che era vero per qualche capo e per la guerra, non per le masse dei scelerati e per gli eccessi. I Francesi ed i partigiani loro accrescevano questi romori, e davan loro più credito coll'intento di seminar viemaggiormente rancori, ed odj contro quel governo, che da loro era stato cacciato. Da questi accidenti nasceva, che non solamente il desiderio di Ferdinando diminuisse continuamente nelle popolazioni quiete, e negli uomini facoltosi, ma ancora con minor avversione si vedesse il dominio dei Francesi, avvisando ciò che era vero, che, siccome potenti e speditivi, avrebbero posto freno a quella peste degli assassinj e delle ruberìe. Questi umori non ignorava Napoleone. Però giudicando, che fosse arrivato il momento propizio per mandar fuori quello che si aveva già da lungo tempo concetto, nominava Giuseppe re delle due Sicilie. Annestava la solita condizione, che le due corone di Francia e di Napoli non potessero mai essere posate sul medesimo capo. I principi consentivano, i popoli adulavano. Solo Carolina di Sicilia non si lasciava tirare alla debolezza universale, l'acerbità dell'animo con l'altezza compensando. Per questo Napoleone la chiamava Fredegonda, ed ella chiamava lui assassino di principi, e tiranno Corso. Finalmente vi cadde ancor essa, non per adulazione, nè per abiezione d'animo, ma per odio contro gl'Inglesi; perchè,come diremo a suo luogo, venne un tempo, in cui non piacendole il comandare frenato alla foggia degli ordini d'Inghilterra, desiderò, come più conforme alla sua natura, il comandare assoluto di Napoleone; per questo prese consiglio di accostarsi a lui.La creazione del re Giuseppe fu sentita con qualche allegrezza in Napoli, ma più dai nobili che dai popolani. Furonvi luminarie, spari, feste, teatri, canzoni, sonetti al solito; e di questi sonetti, chi ne aveva più fatto per Carolina, più ne faceva per Giuseppe. Vi furono anche non insolite, ma indecenti cose. Il marchese del Gallo, ambasciadore di Ferdinando a Parigi, rivoltatosi subitamente alla fortuna di Napoleone, divenne ambasciadore di Giuseppe, poi incontanente suo ministro degli affari esteri. Di tanto anteponevano gli uomini, anche i nobili, l'ambizione all'onore! Nè miglior natura mostrò il duca di santa Teodora, ambasciadore di Ferdinando in Ispagna, poco prima mandato da lui a mansuefare il vincitore: accettò carica nella corte di Giuseppe. Aveva certamente il duca l'animo esacerbato pel supplizio di Caraccioli, suo parente; ma sarebbe stato più onorevole il non accettar cariche da Ferdinando, che il non tenergli fede. Ruffo cardinale esultando ricevè Giuseppe sotto il baldacchino. Vide l'età Maury cardinale fare fallo ai Borboni di Francia, per profondersi a Napoleone, vide Ruffo cardinale abbandonare i Borboni di Napoli per inchinarsi a Giuseppe. Scusavansi con dire, avere amato le cose, non le persone; il che sarà loro da ognuno facilmente conceduto.Tutti errarono, pontefice, imperatori, re, cardinali, vescovi, preti, nobili, popolani. Almeno imparassero i potenti a non giudicar gli uomini a norma di una perfezione, che non è nel mondo, ed a conoscere la debolezza propria in quella d'altrui. Ma tal è la superbia umana, che chi più può, si persuade anche d'esser migliore, e tal è anche qualche volta la perversità di lei, che alcuni credono, e vogliono far dimenticare i falli proprj col punirgli in altrui. La Turchìa stessa, a cui Napoleone aveva voluto torre quel granajo dell'Egitto, adulava. Il giorno dell'assunzione di Giuseppe il suo inviato in Napoli cacciò fuori sulla fronte del suo palazzo, in mezzo a non so qual luminaria, questo motto in lingua Turca e Francese:l'Oriente riconosce l'eroe del secolo. Vero è, che quest'era piuttosto adulazione Francese e Napolitana, che Turca. Napoleone rideva a queste mostre, e vieppiù disprezzava la natura umana.Le vittorie di Lagonero e di Campotenese, avendo rotto le forze regie in Calabria, tutto il paese era venuto, salvo alcuni moti incomposti, a divozione dei Francesi. Solo Gaeta e Civitella di Tronto resistevano. Poca speranza restava al re di far frutto, sebbene sapesse che non mancavano mali semi contro il nuovo signore, se gl'Inglesi sbarcando sulle terre Calabresi non avessero somministrato qualche forte soccorso di battaglioni ordinati. Ma grandemente ripugnava ad una spedizione in terra ferma Stuart, che essendo succeduto a Craig nel governo dei soldati Britannici in Sicilia, continuava a starsene nelle stanze di Messina. Gli pareva che il principal fine degl'Inglesifosse la conservazione della Sicilia. Nè ignorava che la spedizione sarebbe pericolosa per l'isola, se riuscisse infelicemente, di nissun frutto per la terra ferma, a cagione dell'eccessiva forza dei Francesi, se riuscisse felicemente. Fortunato capitano non sarebbe lodato; infortunato biasimato. Ma era a questo tempo giunto in Sicilia un uomo, a cui piacevano le imprese avventurose: questi era Sidney Smith, che, arrestata la fortuna prospera di Buonaparte in Oriente, si era persuaso di poterla arrestare anche in Occidente. Stimolato dalla propria natura, dalle preghiere di Ferdinando, e dalle instigazioni della regina, che non poteva vivere se non ricuperasse ciò che le era stato tolto, continuamente esortava Stuart alla fazione. Ma la prudenza dell'uno superava l'audacia dell'altro, e niuna cosa si risolveva. Si deliberava Sidney a fare qualche sforzo da se colle forze marittime per far vedere a Stuart, che la materia era meglio disposta ch'ei non credeva. Per la qual cosa partiva dalla Sicilia con qualche nave grossa da guerra e molte annonarie, con intento di andar a visitare le coste di Napoli. Due fini principalmente il muovevano; il primo di rinfrescar Gaeta, il secondo d'incitare, e di provvedere d'armi e di munizioni le Calabrie. S'appagava del suo primo intento; anzi lasciava nelle acque della piazza un'armatetta di navi sottili, affinchè cooperasse alle difese. S'impadronì dell'isola di Capri; la qual possessione il rendeva signore del golfo di Napoli. Poscia radendo i lidi a seconda verso scirocco, ora qua ora là si mostrava, e con la presenza, colle esortazioni,colle somministrazioni vi manteneva vivo il nome di Ferdinando. Vi scoverse inclinazioni favorevoli, ma non sufficienti perchè potessero fare da se. Tornossene in Sicilia: con intente esortazioni tanto fece che il prudente Stuart si lasciò muovere a tentare qualche fatto su quella tribolata e tumultuosa terra. Sbarcava sul principiar di luglio con circa cinque mila soldati sulle coste del golfo di sant'Eufemia: chiamava, ma con poco frutto, le popolazioni a levarsi. Stava sospeso, stante la freddezza dei popoli, se dovesse tornare alle navi, o persistere sulla terra ferma, quando gli pervennero le novelle, che Regnier con un corpo di circa quattro mila soldati aveva posto il campo a Maida, terra distante dieci miglia dal mare. Udì al tempo stesso, che una nuova schiera di tre mila soldati accorreva in soccorso di Regnier, perciocchè la nuova della venuta degl'Inglesi già si era sparsa nelle vicinanze. Si deliberava pertanto di assaltare il nemico innanzi che il soccorso si fosse congiunto con esso lui. Era il generale di Francia accampato sul pendìo di una collina boscata sotto il villaggio di Maida, soprastando alla pianura di sant'Eufemia: folte selve rendevano i suoi fianchi sicuri. Scorreva alla sua fronte il fiume Amato, che sebbene in ogni luogo fosse guadoso, tuttavia per avere le sue rive ingombre di paludi, difficoltava assai il passo agli Inglesi. Forte, come si vede, e quasi inespugnabile era il sito di Regnier, e se vi avesse aspettato l'inimico, la sua vittoria sarebbe stata certa. È da notarsi, che la dimora degl'Inglesi in quei luoghi non poteva esser lunga, perchè essendo il paesepaludoso, esala, massime nella stagione estiva, miasmi pestilenziali, radice di malattie molto mortali. Ma Regnier, o nel proprio valore troppo confidando, o di quello del nemico troppo debolmente giudicando, consentì al commettere all'arbitrio della fortuna un'impresa certa. Calavasi adunque dalla bene promettente collina, varcava il fatale fiume, e s'innoltrava nella pericolosa pianura. Forse, oltre la confidenza di se stesso e de' suoi, che per verità valorosi soldati erano, a questo partito il mosse l'avere con se qualche squadra di cavallerìa, della quale l'Inglese mancava. Arrivavano in questo mentre i tre mila; il quale accidente accrebbe nei Francesi l'opinione del vincere. Si fece dalla sua parte avanti l'esercito d'Inghilterra: le due emule nazioni venivano al cimento.Incominciò la battaglia, correva il dì sei di luglio, dall'affronto incomposto e sparso dei soldati armati alla leggiera: poi si venne alla zuffa delle genti grosse. Trassero poche volte con gli archibusi: mossi dall'emolazione, ed impazienti del combattere da lontano, s'avventarono colle bajonette in canna gli uni contro gli altri. La mischia spaventosa: vivi erano i Francesi, stabili gl'Inglesi. I primi, o perchè, avendo creduto di andarne a sicura e facile vittoria, restassero stupefatti all'inopinato rincalzo, od altra cagione che sel facesse, cominciarono, dopo un breve menar di mani, massimamente sulla sinistra loro, a piegare, poi andavano in fuga. Gli seguitarono velocemente gl'Inglesi, ed aspramente gli pressavano, non poca uccisione facendone. Volle Regnierristorare la fortuna con assaltare colla cavallerìa la sinistra del nemico, ma fecero gl'Inglesi sì immobile resistenza coi tiri e colle bajonette, che fu costretto a rimanersene. Si pruovava allora, poichè coll'assaltar di fronte non aveva fatto frutto, di girare co' suoi cavalli intorno alla punta della medesima ala degl'Inglesi, e di urtarla di fianco ed alle spalle; con che sperava d'indurre qualche scompiglio nell'ordinanza. Già i cavalli circuivano; la battaglia pericolosa per gl'Inglesi, quando un nuovo reggimento partito da Messina, e testè sbarcato a Sant'Eufemia, arrivò sul campo, e postosi dietro un po' di riparo che il terreno offeriva, fece fronte ai cavalli, e coi tiri spesseggiando, non solamente arrestò l'impeto loro, ma ancora gli costrinse alla ritirata più rotti che intieri. Dopo questo fatto i soldati di Regnier si posero in fuga scomposti e sbaragliati, cercando ciascuno salute senza ordine o norma, come meglio avvisava. Fu compiuta la vittoria degl'Inglesi. Errò Regnier nell'essere sceso al piano: errò nell'aver troppo disteso le ordinanze. Morirono dei Francesi settecento, due mila vennero in poter dei vincitori, parte sul campo della battaglia, parte a Monteleone, dove si erano ridotti. Ornò massimamente la vittoria la presa del generale Compère. Dei dispersi, che furono un grosso numero, molti venuti in mano dei Calabresi, furono crudelmente ammazzati: alcuni condotti cattivi al cospetto di Stuart restarono salvi.La vittoria di Maida diè nuova cagione ai Calabresi di levarsi a romore: ad uso barbaro ammazzavanoquanti venivano loro alle mani. I Francesi dal canto loro irritati contro uomini, che a nissun uso civile attendevano, saccheggiavano ed ardevano tutte le terre che loro si scoprivano contrarie, uccidendo i terrazzani, e nissun rispetto avendo o al sesso, o all'età . La Calabria tutta fumava d'incendi e di sangue. Furono i Francesi obbligati a sgombrarne. I sollevati, fatti padroni delle coste, stabilmente vi si alloggiavano nei siti principali, donde comunicando con Sidney Smith, che in questa bisogna si dimostrava attivissimo, e da lui ricevendo armi e munizioni, le tramandavano nell'interno del paese, e somministravano continua esca a quel grave incendio. Amantea, Scalea, l'isola di Dina sulle coste della Calabria citeriore, erano tenute dai Calabresi: Maratea, Sapri, Camerota, Palinuro, ed altre terre del golfo di Policastro a loro parimente obbedivano. Massa di cruda ribaldaglia erano queste, nè io sarò mai per lodare quelli che le fomentavano: scelerati, la più parte, i gregari, scelerati i capi. Pane di Grano, uno dei primi, era un prete infame condannato per delitti a galera: Fra Diavolo, che imperversava più vicinamente a Napoli, uomo convinto di più latrocini, ed assassinii: ladri ed assassini a costoro si accostavano. Gl'Inglesi non gli potevano frenare, ancorchè Stuart per l'umanità sua molto vi si affaticasse. I Francesi, dove potevano, acerbamente si vendicavano, furore e crudeltà a furore ed a crudeltà opponendo.Il trionfo di Maida poco durava. S'ingrossavano di nuovo i Napoleoniani: gli assassini eranocattivo fondamento; il capitano d'Inghilterra si ritirava in Sicilia, solo lasciando un presidio nel forte di Sicilia, di cui si era impadronito.S'accalorava l'oppugnazione di Gaeta. Già per molti mesi l'aveva virilmente difesa il principe d'Assia: vi morirono molti buoni Francesi, fra gli altri il generale Vallelongue, uomo, in cui la dolcezza e l'integrità della vita pareggiavano la scienza ed il valor militare, l'uno e l'altro singolari. Il principe ferito gravemente fu portato in Sicilia. Gli assedianti impedivano le sortite con aver tirato una trincea dalla spiaggia di Mola sino all'altra estremità dell'istmo. Impedivano colle batterie i soccorsi di mare; una breccia molto grande era aperta nel muro della cittadella sino a piè della controscarpa: i terribili granatieri di Francia pronti all'assalto. Si diede la fortezza il dì diciotto luglio. Anche in questo fatto mostrò il generale Campredon molta perizia nell'arte d'oppugnar le piazze, ed a lui principalmente restò Napoleone obbligato dell'acquisto di Gaeta. Solo, siccome quegli che la voleva sempre fare da maestro, perchè gli altri si studiassero di fare, non che bene, meglio, si lamentò che Campredon vi avesse consumato troppa polvere.La resa di Gaeta avvantaggiò le condizioni dei Francesi nel regno. La forte schiera che l'aveva oppugnata, andava a ricuperar le Calabrie; e stantechè il nome di Massena era di molto terrore, gli fu dato il governo della spedizione. Perchè un uomo terribile avesse potestà terribili, decretava Giuseppe, fossero e s'intendessero le Calabrie in istato di guerra: i magistrati civili e militari obbedissero a Massena: creasse commissionimilitari pei giudizi, ed i giudizi si eseguissero senz'appello in ventiquattr'ore: i soldati vivessero a carico dei paesi sollevati: i beni degli assassini e dei capi dei ribelli si ponessero al fisco; i beni degli assenti ancor essi si confiscassero; chi non essendo scritto alla guardia provinciale, fosse trovato con armi, si desse a morte; i conventi che non dichiarassero i religiosi complici si sopprimessero. Andava Massena alla spedizione; seguitarono dalle due parti crudeltà inusitate. Lavria, Sicignano, Abetina, Strongoli incesi: i Napoleoniani trucidavano i Calabresi nelle battaglie, nelle imboscate, nei giudizi; i Calabresi ammazzavano i Napoleoniani, e gli aderenti loro nelle case, negli agguati, nelle battaglie: il furore partoriva morti, le morti furore: gli uomini civili divenivan barbari, i barbari vieppiù s'imbarbarivano. Il Crati, fiume principalmente in cui furono gettati a mucchi i cadaveri degli uccisi, portò con le acque sue al mare i rossi segni della bestiale rabbia degli uomini. Durò lunga pezza la carnificina: pure i Napoleoniani per la disciplina e per gli ordinati disegni prevalevano. Il terrore e le uccisioni frenarono, non quietarono la provincia: semi orrendi vi covavano, che ora in questo luogo, ora in quell'altro ripullulavano, e facevano segno, che più potevano l'odio e la rabbia che i supplizi: nè mai potè Giuseppe venir a capo dei sollevamenti Calabresi, ancorchè usasse rimedi asprissimi, e qualche volta anche dolcezza coi perdoni. Orrendi casi io raccontai, ma più orrendi, se mi fia dato di terminare queste storie, sarommi per raccontare, dai quali si vedrà , che se la dolcezza mescolata con la crudeltà non fece frutto per pacificare le Calabrie, una crudeltà pura il fece: feroce razza di Calabria, che non potè costringersi alla quiete, se non con lo sterminio.Risoluzioni infedeli, atti soperchievoli, guerra barbara insanguinavano una costa dell'Adriatico: simili accidenti insanguinavano l'altra: di sì lagrimevoli frutti fu pregno il tradimento fatto a Venezia. Erano le Bocche di Cattaro, il più sicuro ricovero che si avessero i naviganti nell'Adriatico, state cedute alla Francia pel trattato di Campoformio, con tempo di sei settimane ad esserne messa in possessione. Spirato il termine, e non comparsi gli ufficiali di Francia a prenderne possessione, un agente di Russia, col quale concordavano, siccome Greci, gran parte dei Bocchesi e dei Montenegrini, selvaggi abitatori delle vicine montagne, sollevò il paese, predicando, che, poichè il tempo buono della consegnazione era trascorso, i Francesi erano scaduti, ed il paese padrone di se stesso. I comandanti Austriaci di Castelnuovo e degli altri forti, l'intendevano ad un altro modo, e volevano serbar la fede. Arrivava in questo mentre il marchese Ghisilieri commissario d'Austria, per far la consegnazione; ma non che il suo mandato eseguisse, perchè già i Francesi si approssimavano, consentì a sgombrar il paese, lasciandolo in potere dei natìi, dei Montenegrini, e dei Russi. Sgombrarono di mala voglia i comandanti Austriaci, e sdegnosamente anche protestarono della violazione dei patti. Nè meno sdegnosamente udì Vienna il fatto; fu il marchese dannato a carcere perpetua in una fortezza di Transilvania.La fede violata in Cattaro diè occasione a fede violata in Ragusi. I Napoleoniani, non potendo più occupare Cattaro, s'impadronirono di Ragusi, nissuna ragione contro quella pacifica ed innocente repubblica allegando, ma solamente il pretesto di preservarla dalle scorrerìe dei Montenegrini. Certo i soldati Napoleonici difesero Ragusi, dico la città , perciocchè i Montenegrini orribilmente saccheggiavano il territorio; ma Napoleone spense la repubblica congiungendola all'Italico regno; singolar modo di preservazione. Sorse una guerra varia. Lauriston tenuto in assedio in Ragusi dai Montenegrini era soccorso da Molitor, che gli vinceva risospingendogli ai loro nidi delle montagne. Pure stavano ancora minacciosi, ed infestavano con spesse scorrerìe il paese, quando Marmont, con astuzia militare avendogli indotti a venir al piano, con istrage grandissima prostrava tutte le forze loro. Guerra orribile fu questa: i Montenegrini ammazzavano i prigioni, e gittavanne le teste tronche fra le file dei compagni inorriditi: i Napoleoniani perseguitavano sui monti loro i Montenegrini, e quando non gli potevano avere per essersi nascosti nelle tane, ne gli cacciavano con fuoco e fumo, come se fiere fossero, per uccidergli.Cantava queste vittorie con gloriose promulgazioni, secondo la natura sua, Dandolo, che era per Napoleone provveditore generale della Dalmazia. Sì per certo, questo mancava allo scandalizzato mondo, che dopo di aver veduto Pesaro commissario Austriaco in Venezia, vedesse Dandolo provveditore Napoleonico in Dalmazia.Fine del Tomo V.
Era in questo mezzo tempo arrivato da Napoli San Cyr. Massena trovandosi in necessità di seguitare a seconda l'arciduca nelle montagne della Carniola e della Carintia, non voleva, per timore di qualche sbarco di Russi e d'Inglesi, lasciare senza difesa i lidi Veneziani. Ordinava pertanto a San Cyr, che si allargasse, e custodisse le spiagge dalle bocche dell'Adige sino a Venezia. Questa provvidenza ebbe felice successo, non contro i tentativi di mare, che nissuno fu fatto, ma contro uno di terra. Napoleone, volendo prostrare le forze d'Austria, che tuttavia tenevano le alte rupi del Tirolo e del Voralberga, aveva mandato da Augusta Ney contro l'arciduca Giovanni, Augerau contro Jellacich. Ney, guadagnato celeremente il passo di Scharnitz, occupava il Tirolo Tedesco; poi guadagnato con la medesima prestezzail passo di Sterzing, s'impadroniva del Tirolo Italiano, ritiratosene, o piuttosto fuggitosene a grave stento l'arciduca per ricoverarsi nella Carniola. Augerau cacciossi avanti Jellacich cedente da Voralberga: il capitano Tedesco, trovate le strade del Tirolo chiuse da Ney, fu costretto alla dedizione. La conquista del Tirolo partorì un altro effetto di grande importanza. Un grosso di settemila fanti e mille cavalli, sotto la condotta del principe di Roano, costretto a calarsi per le sponde della Brenta verso i piani bagnati da questo fiume, incontratosi a Castelfranco con San Cyr, dopo un furioso conflitto, fu obbligato, ad arrendersi. Dopo questo fatto Massena securo alle spalle, vieppiù innoltrava la sua fronte, e fermava gli alloggiamenti in Lubiana, ritiratosene l'arciduca per internarsi nella Croazia, e di là nel principato di Sirmio in Ischiavonia tra la Drava e la Sava. Seras occupava Trieste. I soldati di Massena e di Ney si congiunsero a Villaco ed a Clagenfurt: i due eserciti di Francia Germanico ed Italico si congregarono alle future imprese del Danubio. Grandi, audaci, ed ottimamente composte furono tutte queste mosse di Napoleone: il fine rispose alla maestrìa, colla quale erano state concette. L'apparato bellico dell'Austria, in men che non fece un mese, fu distrutto, e l'imperator Francesco, privo quasi interamente delle forze proprie, non aveva più altro rimedio che gli ajuti della Russia, sufficienti prima delle rotte, insufficienti dopo: l'Italia sgombra, come ai primi tempi di Napoleone, da uomini Alemanni.
Ambiva Napoleone di per se stesso gli statialtrui, e facilmente senza cagione o pretesto se gli appropriava: molto più volentieri se gli appropriava, quando se ne gli dava cagione. Di ciò con estremo suo eccidio ebbe pruova il re di Napoli. Aveva Ferdinando, siccome per noi si è narrato, stipulato la neutralità ; ma quando appunto la guerra si definiva in favor di Francia in Germania, e nell'Italia superiore, essendo già corso oltre il suo mezzo il mese di novembre, arrivavano nel golfo di Napoli due navi Inglesi con molte onerarie, sopra le quali erano quindici mila soldati, dodici mila Russi venuti da Corfù, tre mila Inglesi venuti da Malta. Sbarcarono soldati, armi e munizioni tra Napoli e Portici, annunziando venire non solo per proteggere il regno, ma ancora per correre verso l'Italia superiore in ajuto degli Austriaci. Non fece il re, non bene considerando quel che potesse portare seco il tempo futuro, alcuna dimostrazione nè protesta per impedire lo sbarco di queste genti nemiche a Francia. L'ambasciador di Napoleone, viste le insegne del nemico, molto acerbamente si risentiva, e calati gl'imperiali stemmi dalla fronte del suo palazzo, richiedeva il re dei passaporti, e l'infedele terra, come diceva, abbandonando, se ne partiva alla volta di Roma. Per mitigarlo mandava fuori il governo un editto, per cui prometteva ai Francesi, Italiani, Liguri, e ad altre nazioni unite all'impero Francese, che sarebbero le proprietà loro, ed i traffichi securi e salvi. Fu la dimostrazione indarno, perchè non solo nissuna protestazione conteneva contro il moto dei confederati, ma nemmeno portava alcun dispiaceredi quello, che la Francia aveva sentito sì gravemente. Gli effetti che ne seguitarono, e che per molti anni tolsero al re la possessione del regno di qua dal Faro, saranno da noi fra breve raccontati.
Vinceva Napoleone nei campi di Osterlizza una campale battaglia. Vinti i Russi ausiliarj, fu talmente prostrata l'Austria, che fu costretta a consentire a durissimi patti. Si fermarono a Presburgo d'Ungherìa il dì ventisei decembre. Consentiva l'imperator d'Alemagna e d'Austria a tutte le unioni dei territorj italiani: riconosceva le risoluzioni prese dall'imperator di Francia rispetto a Lucca ed a Piombino, riconosceva l'imperator di Francia, come re d'Italia, con ciò però che, seguìta la pace generale, le due corone, a seconda delle promesse fatte dall'imperator Napoleone, l'una dall'altra fossero separate, nè mai in perpetuo potessero esser riunite: dava in potestà dell'imperatore medesimo di Francia tutti gli stati dell'antica repubblica di Venezia a lui ceduti pel trattato di Campoformio, e consentiva, che fossero uniti al regno d'Italia, riconosceva ancora nei duchi di Virtemberga e di Baviera la qualità , ed il titolo di re: cedeva a quest'ultimo, oltre parecchi paesi situati sulle sponde del Danubio, il Tirolo, compresi i principati di Brissio e di Bolzano, le sette signorìe di Voralberga, e parecchi altri paesi sulle rive del lago di Costanza: dal canto suo l'imperator Napoleone guarentiva l'interezza dell'impero d'Austria; consentiva, che Salisburgo già dato all'arciduca Ferdinando di Toscana, al medesimo impero si unisse, e si obbligavaad intromettersi appresso al re di Baviera, perchè cedesse Visburgo all'arciduca in compenso di Salisburgo.
Si mandava ad effetto il trattato. Venezia e gli antichi suoi territorj, dopo otto anni di dominio Austriaco, tornavano sotto quello di Francia. Venne Law Lauriston a prenderne possesso da parte del re d'Italia. Confortava i Veneziani a star di buon animo, promettendo loro felicità , e chiamandogli figliuoli di Napoleone; bella consolazione per certo a tanti mali. Il dì diecinove gennajo arrivarono in Venezia per fondarvi la terza servitù, i soldati di Napoleone, gli mandava Miollis, destinato dai cieli a commettere in Italia duri fatti con molli parole. Arrivava il dì tre di febbrajo in Venezia Eugenio vicerè, testè sposato ad Amalia di Baviera. Fecersi i soliti rallegramenti, i quali, siccome quelli che o costretti erano dalla forza, o procurati dall'adulazione, muovevano piuttosto a compassione che a gioja.
A questo tempo si rinfrescavano le Napolitane ruine. Napoleone vittorioso pensava a soddisfare all'ambizione ed alla vendetta. Già sull'uscire del precedente anno aveva pubblicato, parlando a' suoi soldati, queste parole: «Da dieci anni io feci quanto per me si potè, per salvare il re di Napoli, e da dieci anni ei fece quanto per lui si potè per perdersi. Dopo le battaglie di Dego, di Mondovì, e di Lodi deboli forze gli restavano per resistermi: fidaimi nelle sue parole, anteposi la generosità alla forza. Risolvè poscia Marengo la seconda lega; aveva il re, di tutti il primo, incominciato la guerra; da suoi alleatiabbandonato a Luneville, solo e senza difesa rimase. Implorò perdono, gliel concedei. Voi a Napoli già vicini avevate in poter vostro il regno; i tradimenti io sospettava, le vendette poteva fare; novella generosità amaimi; che sgombraste il regno, ordinaivi; la terza volta restommi della salute sua la casa dei reali di Napoli obbligata. Perdonerò io la quarta ad una corte senza fede, senza onore, senza ragione? No; ceda dal regno la Napoletana famiglia; non può ella col riposo d'Europa, coll'onore della mia corona sussistervi. Ite, marciate, precipitate nell'onde quei deboli battaglioni dei tiranni del mare; seppure a loro basterà l'animo di aspettarvi: ite, e mostrate al mondo, come da noi si puniscano gli spergiuri; ite, e fate ch'egli presto s'accorga, che nostra è l'Italia, che il più bel paese della terra ha oramai gettato via dal collo il giogo d'uomini perfidissimi: ite, e mostrate che è la santità dei trattati vendicata, che sono le ombre de' miei soldati, sopravvissuti ai naufragi, ai deserti, a cento battaglie, ed alle uccisioni nei porti della Sicilia, mentre tornavano dall'Egitto, placate e paghe. Guideravvi mio fratello: partecipe della mia potenza, partecipe de' miei consigli, in lui fidatevi, come io in lui mi fido».
A queste aspre e superbe parole del terribile vincitore d'Osterlizza tenevano dietro consenzienti fatti. Giuseppe fratello con esercito poderoso marciava contro il regno; gli aveva dato Napoleone, conoscendolo irresoluto e solito a lasciarsi portare dalla volontà degli altri, per compagnoe sostenitore de' suoi consigli Massena. Pruovossi Ferdinando di stornare la tempesta, con mandar Ruffo cardinale appresso allo sdegnato signore per iscusare il fatto dello sbarco. Adducesse, comandava, essere gli alleati stati troppo forti, lui troppo debole, nè aver potuto impedire; pregasse concordia, promettesse ammende, offerisse sicurtà . Nè vedeva il re, che Napoleone più serviva all'ambizione che alla vendetta; imperciocchè quanto allo sbarco, vi si poteva rimediare con qualche perdita di provincie o di denaro, senza venirne alla radice ed all'intiera distruzione del regno. Quanto all'ombre dei soldati, aveva Napoleone, dopo la uccisione, fatto amicizia col re; il che aveva dimostrato in quale conto avesse il sangue e l'ombre loro. Nè si vede perchè il re mandasse Ruffo cardinale a placar Napoleone, se non forse perchè credeva, che per qualche somiglianza di natura fossero facilmente per accordarsi. Mostrossi Napoleone inesorabile; gli piaceva Napoli; preparava reali seggi ai fratelli; voleva, per le sue cupidità , fermare in ogni luogo stati dipendenti intieramente da lui.
Quando pervennero a Ferdinando le novelle della volontà di Napoleone, si ristrinsero insieme i suoi consiglieri per deliberare su quanto la necessità del caso richiedesse. Pensava ad abbandonar Napoli, e desideravano che i Russi ed Inglesi si mettessero a qualche forte passo degli Abruzzi, per vietare ai Francesi l'entrata nel regno. Ma l'imperatore Alessandro, che amava meglio la salute de' suoi soldati, essendo anche l'impresa molto dubbia, aveva comandato perun corriero espresso, che tostamente s'imbarcassero, ed in Corfù tornassero. La ritirata dei Russi, che erano la più grossa parte rendè necessaria anche quella degl'Inglesi. Gli uni e gli altri partirono, quelli per Corfù, questi per Sicilia, lasciato Ferdinando nell'ultima ruina. Veduto che il regno andava senza indugio in manifesta perdizione, si risolvette nel consiglio, che il re si ritirasse in Sicilia, che seco conducesse la famiglia, i ministri, e quanti soldati e denari potesse. Già il nemico insultava da Ferentino, già si apprestava ad invadere le provincie. Si deliberò altresì, che il figliuolo primogenito del re andasse in Calabria per animare quelle popolazioni armigere, e sempre addette a chi più accesamente le instiga. Era in questa provincia rotta e sanguinosa il conte Ruggiero con qualche banda di regolari; si sperava, che i popoli congiungendosi a loro, avrebbero potuto tener vivo il nome regio fintantochè qualche favorevole accidente desse occasione di risorgere. Lasciava Ferdinando la real sede il dì ventitrè di gennajo. Così finì allora il suo regno, regno pieno, per la sfrenatezza dei tempi, di casi lamentevoli ed atroci; ma non pertanto cessarono le opere crudeli, come se fosse fatale che perpetuo sangue vi si versasse, o che il regno, o che la repubblica vi dominassero, o che forestieri d'Inghilterra o che forestieri di Francia la potestà del comandare vi esercessero.
Partito Ferdinando sul vascello reale l'Archimede, fu lasciata una reggenza composta dal generale Naselli, dal principe di Canosa, da donMichelagnolo Cianciulli, e da don Domenico Sofia. Era la città paventosa delle cose avvenire; si temeva del popolo, dei Francesi, dei Calabresi. Accrebbe il terrore un grave tentativo dei carcerati al serraglio, che se avesse avuto effetto, Napoli sarebbe andata a ruina. Marciavano intanto i Francesi alla conquista. Giuseppe fulminato vendetta contro la corte, e promesso dolcezza al popolo, se si sottomettesse, velocemente viaggiava contro la capitale. Correva a destra, a riva il mare, Regnier, nissun ostacolo in nessun luogo incontrando, salvo in Gaeta, piazza forte di sito, e custodita dal principe di Assia, capitano valoroso. Intimato di resa, rispose negando. Assaltarono i Francesi il bastione di Sant'Andrea, e se lo presero, non senza sangue. L'altra parte si difendeva egregiamente; ma essendo i Napoleoniani grossi, lasciato genti all'oppugnazione, passarono. Massena a sinistra senza impedimento alcuno camminando, poichè Capua già si era data, arrivava ai quattordici di febbrajo sotto le mura dell'appetita città . S'arresero castel Nuovo, castel dell'Uovo, castel del Carmine, e castel Sant'Elmo. Entrava Duhesme il primo con una scelta fronte di soldati leggieri sì fanti che cavalli. Faceva il dì seguente il suo ingresso Giuseppe a cavallo con molto seguito di generali, e con tutte le ordinanze in bellissima mostra. Smontò al palazzo reale; trovollo squallido, e spogliato dai fuggitivi. Addì sedici visitava la chiesa di San Gennaro; udita la messa di Ruffo Cardinale, presentava il Santo con doni, primizie del futuro regno. Tornatosi nella reggia sede dava le udienzeai magistrati, vedeva con viso benigno la reggenza di Naselli; ma tosto la cassava per crearne un'altra; fecene capo Saliceti. Erano nella serva Italia certe persone perpetue, alcune perchè Napoleone le amava, altre perchè le disamava; Vignolle, Menou, Miollis, Saliceti. Per far denaro si mantennero le tasse vecchie, se ne imposero delle nuove; per far sicurezza, si tolsero le armi ai cittadini, e si venne sul suono di far morire soldatescamente chi le portasse. Queste minacce già tante volte fatte, ed anche eseguite da ambe le parti, dimostrano, qual dolcezza di vivere fosse allora in Italia.
Intanto le Calabrie non quietavano. Si era il duca di Calabria accostato con un corpo di soldati uscito con lui da Napoli al conte Ruggiero, che con una squadra riempiuta di soldati Siciliani, Tedeschi, Napolitani, e con qualche misto di raunaticci, parte buona, parte pessima, aveva fatto un alloggiamento fortificato sulle rive del Silo nel principato di Salerno. Arso il ponte, schierava i suoi sulla riva. Parve il caso d'importanza; vi fu mandato Regnier. Andò il Francese all'assalto, mandò i Napolitani in rotta, perseguitò i vinti fino a Lagonero. Rannodaronsi i regj a Campotenese; venne loro sopra Regnier il dì nove marzo, e con un forte assalto gli risolvette facilmente in fuga. A stento salvossi il conte con mille soldati tra fanti e cavalli. Il Francese vittorioso s'inoltrava nella Calabria ulteriore; occupato Reggio, muniva di presidio la fortezza di Scilla, posta alla punta d'Italia, dove è più vicina alla Sicilia; il che dava e freno e sospettoagl'Inglesi, che in Messina si erano raccolti a difesa dell'isola.
Per la vittoria di Campotenese tutto il corpo Napolitano guidato da Rosenheim fu fatto prigioniero. Rodìo, che aveva veduto le guerre di Ruffo, e con lui e per lui aveva combattuto, perseguitato aspramente da Lecchi, fu preso nelle montagne di Pomarico. Sperava Regnier di pigliarsi Michele Pezza, che il volgo chiamava fra Diavolo, uomo facinoroso mandato da Palermo a sollevare i popoli; ma per l'audacia propria, e per conoscere il paese, gli sfuggì di mano, tornandosene a Gaeta. Molti de' suoi seguaci, gente da strada ed efferata, come egli, presi nelle montagne di Rocca Guglielma, Monticelli, e Sant'Oliva, furono incontanente dati a morte. Da un'altra parte Duhesme, oltratosi nella Basilicata, cacciava i nemici da Bernarda e da Torre, ed entrava in Taranto, città opportuna pel suo sito ad accennare ugualmente a Corfù ed alla Sicilia. Alcuni rimasugli dei vinti si erano rannodati a Castrovillari, ma combattuti da Regnier furono dispersi. Vi andarono presi un Tchudi ed un Ricci, capitani di qualche grido, e molto affezionati al nome del re. Sbaragliati i regolari, sorgevano, parte per la mutazione del governo, parte per gl'instigamenti di Sicilia, parte per amore della vendetta, parte per cupidigia del sacco, in diverse parti della Calabria bande collettizie di soldati spicciolati, e di uomini facinorosi, che mettevano la provincia a terrore, a ruba ed a sangue. In questi orribili ravvolgimenti perdeva chi aveva, acquistava chi non aveva; i buoni solamenteperivano; i scellerati trionfavano. La ferocia d'uomini quasi ancora selvaggi era stimolata da uomini feroci per consuetudine; il male s'appiccava, e dominava in ogni parte. Spargevansi voci, che la regina fomentasse questi moti; il che era vero per qualche capo e per la guerra, non per le masse dei scelerati e per gli eccessi. I Francesi ed i partigiani loro accrescevano questi romori, e davan loro più credito coll'intento di seminar viemaggiormente rancori, ed odj contro quel governo, che da loro era stato cacciato. Da questi accidenti nasceva, che non solamente il desiderio di Ferdinando diminuisse continuamente nelle popolazioni quiete, e negli uomini facoltosi, ma ancora con minor avversione si vedesse il dominio dei Francesi, avvisando ciò che era vero, che, siccome potenti e speditivi, avrebbero posto freno a quella peste degli assassinj e delle ruberìe. Questi umori non ignorava Napoleone. Però giudicando, che fosse arrivato il momento propizio per mandar fuori quello che si aveva già da lungo tempo concetto, nominava Giuseppe re delle due Sicilie. Annestava la solita condizione, che le due corone di Francia e di Napoli non potessero mai essere posate sul medesimo capo. I principi consentivano, i popoli adulavano. Solo Carolina di Sicilia non si lasciava tirare alla debolezza universale, l'acerbità dell'animo con l'altezza compensando. Per questo Napoleone la chiamava Fredegonda, ed ella chiamava lui assassino di principi, e tiranno Corso. Finalmente vi cadde ancor essa, non per adulazione, nè per abiezione d'animo, ma per odio contro gl'Inglesi; perchè,come diremo a suo luogo, venne un tempo, in cui non piacendole il comandare frenato alla foggia degli ordini d'Inghilterra, desiderò, come più conforme alla sua natura, il comandare assoluto di Napoleone; per questo prese consiglio di accostarsi a lui.
La creazione del re Giuseppe fu sentita con qualche allegrezza in Napoli, ma più dai nobili che dai popolani. Furonvi luminarie, spari, feste, teatri, canzoni, sonetti al solito; e di questi sonetti, chi ne aveva più fatto per Carolina, più ne faceva per Giuseppe. Vi furono anche non insolite, ma indecenti cose. Il marchese del Gallo, ambasciadore di Ferdinando a Parigi, rivoltatosi subitamente alla fortuna di Napoleone, divenne ambasciadore di Giuseppe, poi incontanente suo ministro degli affari esteri. Di tanto anteponevano gli uomini, anche i nobili, l'ambizione all'onore! Nè miglior natura mostrò il duca di santa Teodora, ambasciadore di Ferdinando in Ispagna, poco prima mandato da lui a mansuefare il vincitore: accettò carica nella corte di Giuseppe. Aveva certamente il duca l'animo esacerbato pel supplizio di Caraccioli, suo parente; ma sarebbe stato più onorevole il non accettar cariche da Ferdinando, che il non tenergli fede. Ruffo cardinale esultando ricevè Giuseppe sotto il baldacchino. Vide l'età Maury cardinale fare fallo ai Borboni di Francia, per profondersi a Napoleone, vide Ruffo cardinale abbandonare i Borboni di Napoli per inchinarsi a Giuseppe. Scusavansi con dire, avere amato le cose, non le persone; il che sarà loro da ognuno facilmente conceduto.Tutti errarono, pontefice, imperatori, re, cardinali, vescovi, preti, nobili, popolani. Almeno imparassero i potenti a non giudicar gli uomini a norma di una perfezione, che non è nel mondo, ed a conoscere la debolezza propria in quella d'altrui. Ma tal è la superbia umana, che chi più può, si persuade anche d'esser migliore, e tal è anche qualche volta la perversità di lei, che alcuni credono, e vogliono far dimenticare i falli proprj col punirgli in altrui. La Turchìa stessa, a cui Napoleone aveva voluto torre quel granajo dell'Egitto, adulava. Il giorno dell'assunzione di Giuseppe il suo inviato in Napoli cacciò fuori sulla fronte del suo palazzo, in mezzo a non so qual luminaria, questo motto in lingua Turca e Francese:l'Oriente riconosce l'eroe del secolo. Vero è, che quest'era piuttosto adulazione Francese e Napolitana, che Turca. Napoleone rideva a queste mostre, e vieppiù disprezzava la natura umana.
Le vittorie di Lagonero e di Campotenese, avendo rotto le forze regie in Calabria, tutto il paese era venuto, salvo alcuni moti incomposti, a divozione dei Francesi. Solo Gaeta e Civitella di Tronto resistevano. Poca speranza restava al re di far frutto, sebbene sapesse che non mancavano mali semi contro il nuovo signore, se gl'Inglesi sbarcando sulle terre Calabresi non avessero somministrato qualche forte soccorso di battaglioni ordinati. Ma grandemente ripugnava ad una spedizione in terra ferma Stuart, che essendo succeduto a Craig nel governo dei soldati Britannici in Sicilia, continuava a starsene nelle stanze di Messina. Gli pareva che il principal fine degl'Inglesifosse la conservazione della Sicilia. Nè ignorava che la spedizione sarebbe pericolosa per l'isola, se riuscisse infelicemente, di nissun frutto per la terra ferma, a cagione dell'eccessiva forza dei Francesi, se riuscisse felicemente. Fortunato capitano non sarebbe lodato; infortunato biasimato. Ma era a questo tempo giunto in Sicilia un uomo, a cui piacevano le imprese avventurose: questi era Sidney Smith, che, arrestata la fortuna prospera di Buonaparte in Oriente, si era persuaso di poterla arrestare anche in Occidente. Stimolato dalla propria natura, dalle preghiere di Ferdinando, e dalle instigazioni della regina, che non poteva vivere se non ricuperasse ciò che le era stato tolto, continuamente esortava Stuart alla fazione. Ma la prudenza dell'uno superava l'audacia dell'altro, e niuna cosa si risolveva. Si deliberava Sidney a fare qualche sforzo da se colle forze marittime per far vedere a Stuart, che la materia era meglio disposta ch'ei non credeva. Per la qual cosa partiva dalla Sicilia con qualche nave grossa da guerra e molte annonarie, con intento di andar a visitare le coste di Napoli. Due fini principalmente il muovevano; il primo di rinfrescar Gaeta, il secondo d'incitare, e di provvedere d'armi e di munizioni le Calabrie. S'appagava del suo primo intento; anzi lasciava nelle acque della piazza un'armatetta di navi sottili, affinchè cooperasse alle difese. S'impadronì dell'isola di Capri; la qual possessione il rendeva signore del golfo di Napoli. Poscia radendo i lidi a seconda verso scirocco, ora qua ora là si mostrava, e con la presenza, colle esortazioni,colle somministrazioni vi manteneva vivo il nome di Ferdinando. Vi scoverse inclinazioni favorevoli, ma non sufficienti perchè potessero fare da se. Tornossene in Sicilia: con intente esortazioni tanto fece che il prudente Stuart si lasciò muovere a tentare qualche fatto su quella tribolata e tumultuosa terra. Sbarcava sul principiar di luglio con circa cinque mila soldati sulle coste del golfo di sant'Eufemia: chiamava, ma con poco frutto, le popolazioni a levarsi. Stava sospeso, stante la freddezza dei popoli, se dovesse tornare alle navi, o persistere sulla terra ferma, quando gli pervennero le novelle, che Regnier con un corpo di circa quattro mila soldati aveva posto il campo a Maida, terra distante dieci miglia dal mare. Udì al tempo stesso, che una nuova schiera di tre mila soldati accorreva in soccorso di Regnier, perciocchè la nuova della venuta degl'Inglesi già si era sparsa nelle vicinanze. Si deliberava pertanto di assaltare il nemico innanzi che il soccorso si fosse congiunto con esso lui. Era il generale di Francia accampato sul pendìo di una collina boscata sotto il villaggio di Maida, soprastando alla pianura di sant'Eufemia: folte selve rendevano i suoi fianchi sicuri. Scorreva alla sua fronte il fiume Amato, che sebbene in ogni luogo fosse guadoso, tuttavia per avere le sue rive ingombre di paludi, difficoltava assai il passo agli Inglesi. Forte, come si vede, e quasi inespugnabile era il sito di Regnier, e se vi avesse aspettato l'inimico, la sua vittoria sarebbe stata certa. È da notarsi, che la dimora degl'Inglesi in quei luoghi non poteva esser lunga, perchè essendo il paesepaludoso, esala, massime nella stagione estiva, miasmi pestilenziali, radice di malattie molto mortali. Ma Regnier, o nel proprio valore troppo confidando, o di quello del nemico troppo debolmente giudicando, consentì al commettere all'arbitrio della fortuna un'impresa certa. Calavasi adunque dalla bene promettente collina, varcava il fatale fiume, e s'innoltrava nella pericolosa pianura. Forse, oltre la confidenza di se stesso e de' suoi, che per verità valorosi soldati erano, a questo partito il mosse l'avere con se qualche squadra di cavallerìa, della quale l'Inglese mancava. Arrivavano in questo mentre i tre mila; il quale accidente accrebbe nei Francesi l'opinione del vincere. Si fece dalla sua parte avanti l'esercito d'Inghilterra: le due emule nazioni venivano al cimento.
Incominciò la battaglia, correva il dì sei di luglio, dall'affronto incomposto e sparso dei soldati armati alla leggiera: poi si venne alla zuffa delle genti grosse. Trassero poche volte con gli archibusi: mossi dall'emolazione, ed impazienti del combattere da lontano, s'avventarono colle bajonette in canna gli uni contro gli altri. La mischia spaventosa: vivi erano i Francesi, stabili gl'Inglesi. I primi, o perchè, avendo creduto di andarne a sicura e facile vittoria, restassero stupefatti all'inopinato rincalzo, od altra cagione che sel facesse, cominciarono, dopo un breve menar di mani, massimamente sulla sinistra loro, a piegare, poi andavano in fuga. Gli seguitarono velocemente gl'Inglesi, ed aspramente gli pressavano, non poca uccisione facendone. Volle Regnierristorare la fortuna con assaltare colla cavallerìa la sinistra del nemico, ma fecero gl'Inglesi sì immobile resistenza coi tiri e colle bajonette, che fu costretto a rimanersene. Si pruovava allora, poichè coll'assaltar di fronte non aveva fatto frutto, di girare co' suoi cavalli intorno alla punta della medesima ala degl'Inglesi, e di urtarla di fianco ed alle spalle; con che sperava d'indurre qualche scompiglio nell'ordinanza. Già i cavalli circuivano; la battaglia pericolosa per gl'Inglesi, quando un nuovo reggimento partito da Messina, e testè sbarcato a Sant'Eufemia, arrivò sul campo, e postosi dietro un po' di riparo che il terreno offeriva, fece fronte ai cavalli, e coi tiri spesseggiando, non solamente arrestò l'impeto loro, ma ancora gli costrinse alla ritirata più rotti che intieri. Dopo questo fatto i soldati di Regnier si posero in fuga scomposti e sbaragliati, cercando ciascuno salute senza ordine o norma, come meglio avvisava. Fu compiuta la vittoria degl'Inglesi. Errò Regnier nell'essere sceso al piano: errò nell'aver troppo disteso le ordinanze. Morirono dei Francesi settecento, due mila vennero in poter dei vincitori, parte sul campo della battaglia, parte a Monteleone, dove si erano ridotti. Ornò massimamente la vittoria la presa del generale Compère. Dei dispersi, che furono un grosso numero, molti venuti in mano dei Calabresi, furono crudelmente ammazzati: alcuni condotti cattivi al cospetto di Stuart restarono salvi.
La vittoria di Maida diè nuova cagione ai Calabresi di levarsi a romore: ad uso barbaro ammazzavanoquanti venivano loro alle mani. I Francesi dal canto loro irritati contro uomini, che a nissun uso civile attendevano, saccheggiavano ed ardevano tutte le terre che loro si scoprivano contrarie, uccidendo i terrazzani, e nissun rispetto avendo o al sesso, o all'età . La Calabria tutta fumava d'incendi e di sangue. Furono i Francesi obbligati a sgombrarne. I sollevati, fatti padroni delle coste, stabilmente vi si alloggiavano nei siti principali, donde comunicando con Sidney Smith, che in questa bisogna si dimostrava attivissimo, e da lui ricevendo armi e munizioni, le tramandavano nell'interno del paese, e somministravano continua esca a quel grave incendio. Amantea, Scalea, l'isola di Dina sulle coste della Calabria citeriore, erano tenute dai Calabresi: Maratea, Sapri, Camerota, Palinuro, ed altre terre del golfo di Policastro a loro parimente obbedivano. Massa di cruda ribaldaglia erano queste, nè io sarò mai per lodare quelli che le fomentavano: scelerati, la più parte, i gregari, scelerati i capi. Pane di Grano, uno dei primi, era un prete infame condannato per delitti a galera: Fra Diavolo, che imperversava più vicinamente a Napoli, uomo convinto di più latrocini, ed assassinii: ladri ed assassini a costoro si accostavano. Gl'Inglesi non gli potevano frenare, ancorchè Stuart per l'umanità sua molto vi si affaticasse. I Francesi, dove potevano, acerbamente si vendicavano, furore e crudeltà a furore ed a crudeltà opponendo.
Il trionfo di Maida poco durava. S'ingrossavano di nuovo i Napoleoniani: gli assassini eranocattivo fondamento; il capitano d'Inghilterra si ritirava in Sicilia, solo lasciando un presidio nel forte di Sicilia, di cui si era impadronito.
S'accalorava l'oppugnazione di Gaeta. Già per molti mesi l'aveva virilmente difesa il principe d'Assia: vi morirono molti buoni Francesi, fra gli altri il generale Vallelongue, uomo, in cui la dolcezza e l'integrità della vita pareggiavano la scienza ed il valor militare, l'uno e l'altro singolari. Il principe ferito gravemente fu portato in Sicilia. Gli assedianti impedivano le sortite con aver tirato una trincea dalla spiaggia di Mola sino all'altra estremità dell'istmo. Impedivano colle batterie i soccorsi di mare; una breccia molto grande era aperta nel muro della cittadella sino a piè della controscarpa: i terribili granatieri di Francia pronti all'assalto. Si diede la fortezza il dì diciotto luglio. Anche in questo fatto mostrò il generale Campredon molta perizia nell'arte d'oppugnar le piazze, ed a lui principalmente restò Napoleone obbligato dell'acquisto di Gaeta. Solo, siccome quegli che la voleva sempre fare da maestro, perchè gli altri si studiassero di fare, non che bene, meglio, si lamentò che Campredon vi avesse consumato troppa polvere.
La resa di Gaeta avvantaggiò le condizioni dei Francesi nel regno. La forte schiera che l'aveva oppugnata, andava a ricuperar le Calabrie; e stantechè il nome di Massena era di molto terrore, gli fu dato il governo della spedizione. Perchè un uomo terribile avesse potestà terribili, decretava Giuseppe, fossero e s'intendessero le Calabrie in istato di guerra: i magistrati civili e militari obbedissero a Massena: creasse commissionimilitari pei giudizi, ed i giudizi si eseguissero senz'appello in ventiquattr'ore: i soldati vivessero a carico dei paesi sollevati: i beni degli assassini e dei capi dei ribelli si ponessero al fisco; i beni degli assenti ancor essi si confiscassero; chi non essendo scritto alla guardia provinciale, fosse trovato con armi, si desse a morte; i conventi che non dichiarassero i religiosi complici si sopprimessero. Andava Massena alla spedizione; seguitarono dalle due parti crudeltà inusitate. Lavria, Sicignano, Abetina, Strongoli incesi: i Napoleoniani trucidavano i Calabresi nelle battaglie, nelle imboscate, nei giudizi; i Calabresi ammazzavano i Napoleoniani, e gli aderenti loro nelle case, negli agguati, nelle battaglie: il furore partoriva morti, le morti furore: gli uomini civili divenivan barbari, i barbari vieppiù s'imbarbarivano. Il Crati, fiume principalmente in cui furono gettati a mucchi i cadaveri degli uccisi, portò con le acque sue al mare i rossi segni della bestiale rabbia degli uomini. Durò lunga pezza la carnificina: pure i Napoleoniani per la disciplina e per gli ordinati disegni prevalevano. Il terrore e le uccisioni frenarono, non quietarono la provincia: semi orrendi vi covavano, che ora in questo luogo, ora in quell'altro ripullulavano, e facevano segno, che più potevano l'odio e la rabbia che i supplizi: nè mai potè Giuseppe venir a capo dei sollevamenti Calabresi, ancorchè usasse rimedi asprissimi, e qualche volta anche dolcezza coi perdoni. Orrendi casi io raccontai, ma più orrendi, se mi fia dato di terminare queste storie, sarommi per raccontare, dai quali si vedrà , che se la dolcezza mescolata con la crudeltà non fece frutto per pacificare le Calabrie, una crudeltà pura il fece: feroce razza di Calabria, che non potè costringersi alla quiete, se non con lo sterminio.
Risoluzioni infedeli, atti soperchievoli, guerra barbara insanguinavano una costa dell'Adriatico: simili accidenti insanguinavano l'altra: di sì lagrimevoli frutti fu pregno il tradimento fatto a Venezia. Erano le Bocche di Cattaro, il più sicuro ricovero che si avessero i naviganti nell'Adriatico, state cedute alla Francia pel trattato di Campoformio, con tempo di sei settimane ad esserne messa in possessione. Spirato il termine, e non comparsi gli ufficiali di Francia a prenderne possessione, un agente di Russia, col quale concordavano, siccome Greci, gran parte dei Bocchesi e dei Montenegrini, selvaggi abitatori delle vicine montagne, sollevò il paese, predicando, che, poichè il tempo buono della consegnazione era trascorso, i Francesi erano scaduti, ed il paese padrone di se stesso. I comandanti Austriaci di Castelnuovo e degli altri forti, l'intendevano ad un altro modo, e volevano serbar la fede. Arrivava in questo mentre il marchese Ghisilieri commissario d'Austria, per far la consegnazione; ma non che il suo mandato eseguisse, perchè già i Francesi si approssimavano, consentì a sgombrar il paese, lasciandolo in potere dei natìi, dei Montenegrini, e dei Russi. Sgombrarono di mala voglia i comandanti Austriaci, e sdegnosamente anche protestarono della violazione dei patti. Nè meno sdegnosamente udì Vienna il fatto; fu il marchese dannato a carcere perpetua in una fortezza di Transilvania.
La fede violata in Cattaro diè occasione a fede violata in Ragusi. I Napoleoniani, non potendo più occupare Cattaro, s'impadronirono di Ragusi, nissuna ragione contro quella pacifica ed innocente repubblica allegando, ma solamente il pretesto di preservarla dalle scorrerìe dei Montenegrini. Certo i soldati Napoleonici difesero Ragusi, dico la città , perciocchè i Montenegrini orribilmente saccheggiavano il territorio; ma Napoleone spense la repubblica congiungendola all'Italico regno; singolar modo di preservazione. Sorse una guerra varia. Lauriston tenuto in assedio in Ragusi dai Montenegrini era soccorso da Molitor, che gli vinceva risospingendogli ai loro nidi delle montagne. Pure stavano ancora minacciosi, ed infestavano con spesse scorrerìe il paese, quando Marmont, con astuzia militare avendogli indotti a venir al piano, con istrage grandissima prostrava tutte le forze loro. Guerra orribile fu questa: i Montenegrini ammazzavano i prigioni, e gittavanne le teste tronche fra le file dei compagni inorriditi: i Napoleoniani perseguitavano sui monti loro i Montenegrini, e quando non gli potevano avere per essersi nascosti nelle tane, ne gli cacciavano con fuoco e fumo, come se fiere fossero, per uccidergli.
Cantava queste vittorie con gloriose promulgazioni, secondo la natura sua, Dandolo, che era per Napoleone provveditore generale della Dalmazia. Sì per certo, questo mancava allo scandalizzato mondo, che dopo di aver veduto Pesaro commissario Austriaco in Venezia, vedesse Dandolo provveditore Napoleonico in Dalmazia.
Fine del Tomo V.