Chapter 27

268.Cambi, al 1523.269.Ammirato, al 1515.270.Lo stesso, al 1521.271.Le racconta Jacopo Pitti, pag. 123.272.Jacopo Pitti, pag. 136.273.Erasi speso un mezzo milione di ducati d’oro nell’acquistare Urbino al duca Lorenzo; altrettanto nelle guerre di Leon X contro i Francesi; trecentomila ai capitani imperiali prima dell’elezione di Clemente VII.274.— E si può dire certo che messer Baldassarre Carducci, inimico de’ Medici, operasse più nella tornata loro in Firenze che qualunque altro, reputato a essi amicissimo».Vettori,Sommario detta Storia d’Italiadal 1511 al 1527.Della prudenza, cioè timidità d’alcuni reca buona immagine il Nardi, introducendo due cittadini, amici ma differenti d’opinione in senato, l’un de’ quali dice all’altro: — Compare, non è molta la saviezza nostra nel difendere il presente stato in modo che, succedendo uno stato diverso, ci abbia ad essere turbata la quiete di nostra casa»; ma l’altro gli risponde: — Anzi il modo di stare a casa nostra dopo cambiato governo è appunto il difendere quel d’adesso, che è giustissimo. Il quale se per colpa nostra rovinasse, gli avversarj ci avrebbero giustamente in dispregio come dappochi, e Dio in abbominazione come tepidi; e la patria, che su noi riposa, si terrebbe ingannata come da imprudenti o forse infedeli consiglieri».Varchi.275.E il buon gallo sentier, ch’io trovo amicoPiù de’ figli d’altrui, che tu de’ tuoi.276.È di somma importanza il carteggio d’esso Carducci, che sta nell’archivio Capponi. Come meglio conobbe la diplomazia francese, il 3 agosto scriveva: — Questi nostri Francesi sono tanto al di sotto degl’Imperiali, che è loro necessario ricevere quelle condizioni che sono porte loro. Nondimanco, avendo io avuto sempre da questa maestà e da questi signori una quasi certa speranza di dover essere inclusi con condizioni oneste e comportabili, non ho voluto disperare le vostre signorie».277.Una lettera del Busini 31 gennajo 1549, che non è fra le edite a Pisa, dice: — Nicolò Capponi mai non volse che si fortificasse il monte di San Miniato; e Michelagnolo, che è uomo veritierissimo, dice che durò grandissima fatica a persuaderlo agli altri principali, ma Nicolò mai potette persuaderlo: pure cominciò nel modo che sapete con quella stoppa; e Nicolò gli toglieva l’opere, e mandavale in un altro luogo; e quand’ei fu fatto de’ Nove, lo mandarono due o tre volte fuora; e quand’ei tornava, trovava sempre il monte sfornito, ed egli gridava e per la reputazion sua e per il magistrato ch’egli aveva. Si ricominciava, tanto che alla venuta dell’esercito si potette tenere. Cred’io per questo e altri suoi modi che Nicolò fosse persuaso che lo stato si muterebbe, non in tirannide, ma in stato di pochi, come desideravano quasi tutti i ricchi, parte per ambizione, parte per sciocchezza, come Pietro Salviati e il fratello; parte per dependenza, come Ristoro e Pier Vettori: e soggiunge che egli da in quel tempo in là, non volle mai bene a Nicolò, nè egli a lui».Un’altra lettera del Busini, mutila nella stampa di Pisa, ma riferita intera dal Gaye, narra i motivi della fuga di Michelangelo, della quale è tanto incolpato: — Ho domandato a Michelagnolo quale fu la cagione della sua partita. Dice così, che, essendo de’ Nove, e venuto dentro le genti fiorentine e Malatesta e il signor Mario Orsini ed altri caporali, i Dieci disposero i soldati per le mura e per li bastioni, e a ciascun capitano assegnarono il luogo suo, e detton loro vittovaglie e munizioni, e fra gli altri dettono otto pezzi d’artiglieria a Malatesta che le guardasse e difendesse una parte de’ bastioni del Monte, il quale la pose non dentro, ma sotto i bastioni, senza guardia alcuna; ed il contrario fece Mario. Onde Michelangelo, che come magistrato e architetto rivedeva quel luogo del Monte, domandò al signor Mario onde nasceva che Malatesta teneva così trascuratamente l’artiglieria sua? A che disse Mario: — Sappi che costui è d’una casa che tutti sono stati traditori, ed egli ancora tradirà questa città. Onde gli venne tanta paura che bisognò partirsi, mosso dalla paura che la città non capitasse male, ed egli conseguentemente. Così risoluto trovò Rinaldo Corsini, al quale disse il suo pensiero, e Rinaldo come leggieri disse: — Io voglio venire con esso voi; ecc.».278.Nardi. La Provvisione di quella milizia fu messa a stampa, col motto virgiliano:Æneadæ in ferro pro libertate ruebant.279.«La somma e i capi principali furono, che don Ercole, primognito di don Alfonso duca di Ferrara... fosse, ancorchè giovanetto, capitan generale di tutte le genti d’arme della repubblica fiorentina tanto di piè quanto da cavallo, d’ogni e qualunque ragione, per un anno... con tutte quelle autorità, onori e comodi che sogliono avere i capitani generali della repubblica fiorentina; e la condotta fosse dugento uomini d’arme in bianco, con fiorini cento di grossi, con ritenzione di sette per cento per ciascun uomo d’arme ogn’anno, da doversi pagare a quartieri, e sempre un quartiere innanzi, e con provvisione e piatto all’illustrissima persona di sua eccellenza, di fiorini novemila di carlini netti, cioè senza alcuna ritenzione, da pagarsi nel medesimo modo; fosse però obbligato di convertire almeno la metà dei dugento uomini d’arme, e quelli più che a lui piacesse, purchè fra lo spazio di venti giorni lo dichiarasse, in tanti cavalli leggieri, a ragione di due cavalli leggieri per ciascun uomo d’arme. Ancora, che ogni anno gli si dovessero pagare quattromila ottocendiciannove fiorini e soldi otto marchesani d’oro in oro del sole, e questo per le condizioni de’ tempi cattivi e grandissima carestia in tutte le cose e grasce, ch’era per tutta Italia. Ancora, che ciascun uomo d’arme fosse obbligato di tenere nel tempo della guerra tre cavalli, un capo di lancia, un petto e un ronzino, e a tempo di pace solamente i due principali senza il ronzino. Ancora, che in tempo di guerra, e ciascuna volta che la città soldasse almeno duemila fanti, gli dovesse dare, cavalcando egli, una compagnia di mille pedoni da farsi per lui, nè fosse tenuto di rassegnarne più d’ottocento; e facendosi minor numero di duemila dovesse anch’egli farne la parte sua a proporzione nel soprascritto modo e patto. Ancora, che gli si dovessino pagare ogni mese a tempo di guerra cento fiorini d’oro di sole, e a tempo di pace cinquanta, per poter trattenere quattro capi di fanteria a sua elezione. Ancora, che tutti i denari per fare i detti pagamenti si dovessero mandare in mano propria di lui. Ancora, che dovunque in cavalcando gli fossero assegnate le stanze, gli fossero parimenti assegnate legne e strame, e di più nel tornarsene le coperte senza alcun costo. Ancora volle, e così fecero, che li signori Dieci s’obbligassero in nome della magnifica ed eccelsa Signoria di Firenze, che durante la sua condotta non condurrebbono, nè darebbono titolo o grado alcuno a persona, il quale fosse, non che superiore, eguale al suo. E d’altro lato la sua eccellenza s’obbligò a dover servire colla sua persona propria e con tutte le genti, così in difesa come in offesa di qualunque Stato o principe, ogni e qualunque volta o dalla Signoria o da’ Dieci o dal loro commissario generale ricercato ne fosse, con questo inteso che i signori fiorentini fussono obbligati a consegnarle il bastone e la bandiera del capitano generale, colle patenti e lettere di tal dignità».Varchi,Storie fiorentine.280.Il Varchi, lib.IX, riporta un còmputo di Benedetto Dei, che, al fine del 400, si trovassero a venti miglia in giro a Firenze trentaseimila possessioni di cittadini con ottocento palazzi murali di pietra picchiata, che l’un per l’altro erano costati meglio di tremila cinquecento fiorini d’oro. E Marco Foscari, ambasciador veneto, nella suaRelazionedel 1527: — Non credo che sia in Italia, anzi in tutta Europa una regione più amena nè più deliziosa di quella ove è posta Firenze; perchè ella è posta in un piano tutto circondato di colli e da monti fertili, coltivati, amenissimi e carichi di palazzi bellissimi e suntuosissimi, fabbricati con eccessiva spesa con tutte le delizie che sia possibile immaginare, con giardini, boschetti, fontane, peschiere, bagni, e con prospettive che pajono pitture, perchè dalli detti colli e palazzi si scoprono gli altri colli d’intorno e poggetti e vallette, tutte cariche di palazzi e di fabbriche, che par proprio un’altra città più bella di Firenze stessa ecc.».281.L’anzidetto ambasciator veneto Foscari diceva che Firenze è debole per la debilità degli uomini. La quale debilità viene «prima per natura, poi per accidente. Per natura, perchè quell’aere e quel cielo producono naturalmente uomini timidi; per accidente, perchè tutti si esercitano nella mercatanzia e nelle arti manuali e meccaniche, lavorando e operando colle proprie mani ne’ più vili esercizj: e li primi che governano lo Stato vanno alle lor botteghe di seta, e gittati i lembi del mantello sopra le spalle, pongonsi alla caviglia e lavorano pubblicamente che ognun li vede; ed i figliuoli loro stanno in bottega con li grembiali innanzi, e portano il sacco e le sporte alle maestre con la seta, e fanno gli altri esercizj di bottega ecc.».Relazioni degli ambasciadori veneti, serie 2ª, vol.I. pag. 21.Di questi spregi verso la gente mercadante avemmo altre volte a far ragione; e sin d’allora il Varchi li confutava, e, — Io mi sono meco più volte maravigliato come esser possa che quegli uomini, i quali sono usati per piccolissimo prezzo infino dalla prima fanciullezza loro a portare le balle della lana in guisa di facchini, e le sporte della seta ad uso de’ zanajuoli, o star poco meno che schiavi tutto il giorno e gran pezza della notte alla caviglia e al fuso, si ritrovi poi in molti di loro, dove e quando bisogna, tanta grandezza d’animo e così nobili ed alti pensieri ecc.».282.— Tanto sono diversi gli affetti e le passioni degli animi degli uomini in diversi tempi, secondo la varietà e la forza degli accidenti: conciossiachè già nella mia adolescenza io avessi veduto i padri e le madri levare e torre dalle camere de’ loro figliuoli ogni generazione di arme quanto meglio potevano e sapevano, acciò, che quegli fossero meglio disciplinati e manco discoli che fosse possibile; e poscia io medesimo abbia veduto più d’un padre, ancora di verde età, descritto nella milizia, andare alla mostra o vero rassegna, o anche nelle fazioni fuori delle porte, accompagnato in mezzo di duoi suoi figlioletti con gli archibusi, che non passavano l’età di quindici o sedici anni; e similmente ho veduto le sorelle armare in persona i fratelli loro, e le madri e i padri mandare i loro figliuoli lietamente alle fazioni della guerra, raccomandandoli alla bontà di Dio con la loro benedizione».Nardi.283.Anche il residente Carlo Cappello, a’ 15 ottobre 1529, scriveva alla Signoria veneta: — La città tutta è di ottimo animo, ed ognora si rende più intrepida e desiderosa di mostrare il valor suo: nè più si può dire con verità che li poderi di questi signori sieno ostaggi dei loro nemici, perchè sono tanti gli incendj di bellissimi e ricchissimi edifizj, fatti sì dalle genti nemiche come dalli padroni proprj, che non è facile giudicare qual sia maggiore, o la immanità e barbarie di quelli, ovvero la generosa costanza di questi; e sebbene così grande rovina non può fare che non doglia, pure è di molto maggior contento vedere la grandezza degli animi e la prontezza d’ognuno in sostenere ogni danno, ogni pericolo, per conservazione della libertà».Relazioni ecc.; serie 2ª, vol.I. pag. 234. — Sebbene sia questa la prima fiata che questa città abbia sentito l’artiglieria alle mura, non v’è però alcuno che non sia di costante e forte animo, e prontissimo alla difensione di quella, la quale, per somma diligenza usata da ognuno e per la comodità di balle mille ottocento di lana, le quali sono state poste nelle fortificazioni di essa, è ridotta ormai di sorte, che il nemico deve piuttosto di lei temere, che sperare vittoria». Ivi, pag. 238.284.Questo fatto nuovo raccogliamo da relazioni dell’ambasciatore Cornaro, che scriveva alla Signoria veneta: — Non voglio restar di dire che questi signori sempre mi domandano delle cose del signor Turco, dimostrando di avere in quello grandissima speranza; e jeri hanno avuto lettere da Ragusa, che quella potenza preparava grande armata di mare e di terra, e già aveva inviato alla Vallona galere cento e cento palandre, la qual nuova è stata di sommo contento a tutta questa città, di modo che si può quasi esser certi che questi signori abbiano fatto intendere al Turco il bisogno loro; e di ciò mi è stato eziandio fatto motto da buon loco».Relazioni ecc.; serie 2ª, volumeI, pag. 279.285.Nardi.Il quale, al lib. ix, ci dà alcuni prezzi: vino al barile ducati 8, 9, 10; aceto ducati 5 o 6; olio un ducato e più al fiasco; carne di vitello 5 carlini la libbra; 2 la bovina; 4 quella di castrato; 1 quella di cavallo o d’asino; 5 carlini la libbra il cacio; ducati 6 e fin 8 il pajo di capponi; 3 di pollastri; uno di piccioni; soldi 18 la coppia d’ova.286.In espiazione, il giorno dell’Ascensione movono da San Marcello e da Gavinana due processioni verso la fonte dei Gorghi; quando s’incontrano rinforzano i canti, e accostano i crocifissi, il che dicesi il bacio de’ Cristi.Fabrizio Maramaldo, alquanti anni dopo, s’una festa alla corte di Urbino invitò a ballare la figliuola di Silvestro Aldobrandino, ed essa gli rispose: — Nè io nè altra donna italiana che non sia del tutto svergognata, farà mai cortesia all’assassino di Ferruccio».Di rimpatto, la marchesa di Pescara ha una lettera al principe d’Orange, ove loda infinitamente Fabrizio Maramaldo, e lagnasi che, per accuse dategli, abbiagli esso diminuita la sua grazia, e confida che «la candida fede d’un tal cavaliere, affinata per mano» del marchese di Pescara e del marchese del Vasto, sarà restituita all’onorato grado ed autorità che i suoi servigi ricercano.Lettere diXIIIuomini illustri, 1564. p. 570.287.NelDiscorso sopra il governo di Firenze, che è nelleLettere di Principi a Principi,III.124, tra il resto dice: — Le difficoltà principali mi pajono due: la prima che questo Stato ha alienissimi da sè gli animi della più parte della città, i quali in universale non si possono guadagnare con qualunque maniera di dolcezza o di benefizj; la seconda che il dominio nostro è qualificato in modo, che non si può conservare senza grosse entrate: ed il nervo di queste consiste nella città propria, che è tanto indebolita, che, se non si cerca di augumentare quella industria che vi è restata, ci caderà un dì ogni cosa di mano; però è necessario aver rispetto assai a questo, il che ha impedito il poter usare molti rimedj gagliardi, che erano appropriati alla prima difficoltà; e se questa ragione non ostasse, era da fare quasi di nuovo ogni cosa, non essendo nè utile nè ragionevole aver pietà di coloro che hanno fatto tanti mali, e che si sa che, come potessino, farebbon peggio che mai: ma quanto la città ha più d’entrate, tanto è più potente chi n’è capo, purchè sia padrone di quella; e il diminuire ogni dì l’entrate con esenzioni a sudditi, è mal considerato...«Parmi bisogni navigare tra queste difficoltà, ricordandosi sempre che è necessario mantenere la città viva per potersene servire, e quello che per questo rispetto si designasse riservare ad altro tempo, fosse dilazione e non oblivione, cioè non mancar mai di camminare destramente a quel fine che l’uomo si fosse una volta proposto, ed intrattanto non perdere occasione alcuna di stabilir bene gli amici, cioè di fargli partigiani; perchè come gli uomini son ridotti qui, bisogna vadino da se medesimi, e proponghino e riscaldino tutto quello che tende a sicurtà dello Stato, non aspettando di esser invitati, come forse si fa ora. È vero che gli amici son pochi, ma sono in luogo che, se non sono totalmente pazzi, conoscono non poter stare a Firenze non vi stando la casa de’ Medici; perchè non interviene a noi come a quelli del 34 che avevano inimici particolari, ed in tempo di dodici o quindici anni restarono liberi dalla maggior parte di loro. Abbiamo per inimico un popolo intero, e più la gioventù che vecchi, sì che ci è a temere per cento anni; in modo che siamo sforzati desiderare ogni deliberazione che assicuri lo Stato, e sia di che sorta voglia...«I modi di fare una massa sicura e ferma d’amici nuovi e vecchi non sono facili, perchè io non biasimo soscrizioni e simili intendimenti, ma non bastano: bisogna siano gli onori ed utili dati in modo, che chi ne partecipa diventi sì odioso all’universale, che sia forzato a credere non potere essere salvo nello stato del popolo: il che non consiste tanto in allargare o stringere il governo un poco più o manco, in stare su modelli vecchi o trovarne de’ nuovi, quanto in acconciarla in modo che ne seguiti questo effetto, a che fa difficoltà assai la povertà e le male condizioni nostre...«Il ridursi totalmente a forma di principato non veggo dia, per ora, maggior potenza nè più sicurtà; ed è una di quelle cose che, quando si avesse a fare, crederei fosse quasi fatta per se stessa, e comproporzionare con la proporzione che si conviene le membra al capo, cioè fare de’ feudatarj pel dominio; perchè il tirare ogni cosa a sè solo farebbe pochi amici, e come questo si possa fare al presente senza disordinare le entrate e senza scacciare l’industria della città, io non lo veggo. In questa scarsità di partiti mi occorreva che, spento il modello de’ consigli e di quelle chiacchere vecchie, si eleggesse per ora una balìa di dugento cittadini, non vi mettendo dentro se non persone confidenti...».288.Varchi,Storie, lib.III.in fine.289.Gli statuti del 27 aprile 1532, che trasformano la repubblica in principato, sono recati per disteso dallo Zobi,Storia di Firenze, vol.V, append.X.290.Il Nardi, fuoruscito anch’esso, ci ragguaglia di tutti i movimenti de’ fuorusciti nella parte della sua storia che rimase inedita fin testè.291.La fortezza di San Giovan Battista, or detta di Basso. La prima pietra ne fu posta dal duca e dal vescovo d’Assisi il 15 luglio 1534 a ore 13, minuti 25, ora di felice augurio computato dall’astrologo frà Giuliano Buonamici di Prato.292.All’entrata di Margherita moglie del duca Alessandro, «da Livorno a Pisa perfino a Poggio e a Fiorenza, i castelli, le ville, i popoli e le genti erano calcate per le strade a guisa dei pastori che, tornando dalle maremme, solcando con le loro capre ed altri armenti le strade, adornano i greppi, i piani e’ poggi; e, perdio, non era sì piccol forno in su la strada, che apparecchiato non avesse le tavole in su le strade, con moltissime robe sopra, che avriano sfamata la fame e la sete a Tantalo; e aveano fatto a ogni casa o porta fonte di due bocche, gettando vino una e acqua l’altra». Così il Vasari scrive all’Aretino; e dappertutto, oltre le solite comparse, sono notevoli questi allettamenti alla gola plebea. «Alla porta del Prato a Firenze era una botte di barili sei che gettava vino con un grasso nudo sopra..... Stavano innanzi a sua eccellenza due dromedarj, quali sua maestà cesarea donò al duca, e dopo essi era Baldo mazziere, con due gran bisaccie a traverso al cavallo, gettando denari... Erano calcate le vie di donne e uomini, che mai dacchè Fiorenza è Fiorenza si vide tanto popolo, con un’allegrezza miracolosa...» Dallo stesso sono eziandio descritte le feste splendidissime per l’entrata di Carlo V.293.Segni, lib.VI. Allora furono introdotti o ripristinati i baccanali dettiPotenze, ove diverse brigate si univano sotto un capo con titolo e veste di gransignore, marchese, duca, principe, re, papa; e ciascuna con bandiera e insegna proprie, da maggio a tutta estate festeggiavano in comparse e gara di lusso e di brio, e battaglie di sassate. Nella facciata di Santa Lucia sul Prato leggesi ancora:Imperator ego præliando lapidibus vici annoMDXXXIV.294.Lo stesso, lib.IX.295.I fuorusciti si teneano molto raccomandati ai frati; e al confessore di sua maestà lasciarono un’esposizione del salmoVerba mea auribus percipe, Domine, in forma d’orazione ad esso imperatore.296.Il Segni, che pur è benevolo a Cosmo, narra nel lib. xii d’aver molto bene conosciuto Beba da Volterra, uno degli assassinatori di Lorenzino, «il quale vantandosi di quel fatto, lo raccontava pur come un’azione gloriosa... Ed essi dal duca Cosmo non avendo voluto accettare la taglia, furono provvisionati con trecento scudi l’anno per ciascuno, e con titolo di capitani; onde di poi lietamente potessero vivere in Volterra, e trionfare del prezzo del sangue».297.Relazione dell’ambasciador veneto Fedeli. Questo racconta che, mentre in consiglio si dibatteva sul partito da scegliersi, un soldato che stava di guardia tirò a un colombo sulla torre del palazzo, e il popolo applaudì a quella botta con tal rombazzo, che i quarantotto adunati credettero la città sollevata, e fretta e furia risolsero per Cosmo.298.— L’altro giorno venne a bottega mia quello de’ Bettini, e... mi disse come Cosimo de’ Medici era fatto duca, ma ch’egli era fatto con certe condizioni, le quali l’avrebbon tenuto che egli non avesse potuto isvolazzare a suo modo. Allora toccò a me ridermi di loro, e dissi: Codesti uomini di Firenze hanno messo un giovane sopra un maraviglioso cavallo; poi gli hanno messo gli sproni e datogli la briglia in mano in sua libertà, e messolo sopra un bellissimo campo, dove sono fiori e frutti e moltissime delizie; poi gli hanno detto ch’ei non passi certi contrassegnati termini. Or ditemi voi chi è quello che tener lo possa quand’egli passar li voglia? Le leggi non si possono dare a chi è padrone di esse».Benvenuto Cellini,Vita. — A questo punto finisce la storia del Varchi.299.Appare evidente dai documenti soggiunti da Giovan Battista Niccolini alla tragedia suFilippo Strozzi, e specialmente dalla lettera di Francesco Vettori, 15 gennajo 1537. Al 6 luglio 1536 re Francesco I scriveva e mandava per uomo espresso a Filippo Strozzi, esibendosi a tutto: — Io credo che voi sapete assai il desiderio ed affezione che vi porto, non solamente a voi e a tutti quelli di vostra casa ed alleati, ma eziandio a tutte le cose pubbliche di Fiorenza. Di presente essendo le cose ridotte al punto che si trovano, io ho voluto spedire Emilio Ferretti acciò di sapere da voi e dagli amici vostri se ci sarà loco e modo dove possa io fare qualche cosa tanto per voi quanto per loro e la repubblica di Fiorenza; pregandovi avvertirmene amplissimamente per mezzo suo, e di quello vi parrà si potrà e dovrà fare a quel punto. E potete esser sicuro che facendomelo sapere, mi c’impegnerò di tal modo, che voi conoscerete chiaramente quanto desidero fare per voi, per vostri amici, e in conseguenza per la libertà di Fiorenza».300.Il Cambi scrive: — Addì 19 di maggio 1524 si azzuffarono i Pistoiesi,come sono usitati; per modo che i Panciatichi cacciarono fuori i Cancellieri della città; e fuvvi morto da dieci cittadini ecc.».301.Filippo n’avea offerti al Vitelli cinquantamila scudi: esso ne voleva sessantamila, tutti in denari contanti. Dietro al Filippo Strozzi del Niccolini si stamparono le trattative pel riscatto di Filippo. Il sunto delle ragioni sta in queste parole di lui, ove al cardinale Salviati raccomanda di far presente a sua maestà e al Medici che «la morte mia dispera sette figli, i quali restano con non poche facoltà; offende tutta la famiglia degli Strozzi, che è la più numerosa di questa città, e tutti li parenti che sono di qualità; disordina e scompiglia una città che ha necessità di essere riordinata; e finalmente che il trarre più sangue a questo infermo che ha bisogno di ristoro infinito, saria estremo errore e passione e non ragione».Quelle lautissime esibizioni spiacevane a Pietro Strozzi, ch’era fuggito e che poi divenne maresciallo; e ai fratelli scriveva: — Ci troveremo senza il padre, poveri, ruinati della riputazione. Nostro padre non pensa più nè a roba nè a figliuoli, ed offre le più esorbitanti e vituperose cose che mai s’udissino; scrive che vuole piuttosto viver povero che morire ricco; certo voce degna d’un uomo che abbia sette figliuoli!... e dice tante altre coglionerie, che credo certo vi morreste dal dolore vedendole». 21 febbrajo. Filippo se ne scagionava, e secondo suo stile diceva averle offerte solo perchè Cosmo non avrebbe mai voluto dare sì grossa taglia, e perciò non l’otterrebbe dal Vitelli; ma del resto «non pensai mai pagare tale taglia, sapendo non potere se non con vendere quanto ho al mondo, e restare poi mendico, vituperato e non libero; il che non farei mai, eleggendo prima morire». 8 marzo. Di Pietro diceva Filippo nel testamento: — Piero mio si è portato dopo la mia cattura tanto empiamente, che si può con verità dire ch’io perisco per sua colpa».302.— Più certa fama in fra pochi fa che il Filippo fosse stato scannato per ordine del castellano o del marchese Del Vasto, che gli avevano promesso di non darlo in mano del duca; i quali, intesa la risoluzione dell’imperatore che voleva compiacere il duca Cosimo, l’avevano fatto scannare, e fatto ire fuora voce che da se stesso si fosse ammazzato».Segni, lib.IX.303.Niccolini, nella vita dello Strozzi che precede la tragedia mentovata. Si aggiunse d’una carta trovatagli, intitolataDeo liberatori, e con una proclamazione, che fu esercizio, giacchè ciascuno la reca diversa. È notevole la sua preghiera a Dio, acciocchè all’anima sua «se altro bene dare non vuole, le dia almeno quel luogo dove Catone Uticese ed altri simili virtuosi uomini che hanno fatto tal fine».304.Del Migliore, nellaFirenze illustrata, annovera le famiglie magnatizie che allora migrarono.305.Da un figlio naturale di Francesco I Sforza derivarono i conti di Borgonuovo, finiti nel 1680. Da uno di Lodovico Moro i marchesi di Caravaggio, finiti nel 1697. Francesco avea avuti due fratelli: Alessandro ebbe nel 1445 la signoria di Pesaro, che poi Galeazzo, ultimo suo discendente, rinunziò al papa nel 1512; Bosio, la signoria di Castell’Arquato, e sposando nel 1439 Cecilia, erede del conte Guido degli Aldobrandeschi, per lei ereditò la ricchissima contea di Santa Fiora in Toscana, da Mario Sforza venduta poi nel 1633 al granduca. Suo nipote Federico sposò nel 1673 Livia Cesarini, donde i duchi romani Sforza-Cesarini.306.Paolo Giovio, lib.XL. — Anche Gregorio Leti taccia Carlo V d’essere fuggito dinanzi a Solimano, conducendosi in Italia per la via più breve. La cosa è pure attestata da un bel documento inserito neiDiarjmanoscritti di Marin Sanuto, che giova riferire come prova dell’insubordinazione delle truppe d’allora: — Non volevano (le soldatesche italiane) andare in Ungaria a morir di fame. E cussì il signor marchese del Vasto volendo risolvere e aver l’opinion di queste fanterie italiane, avendoli tutti ceduti alli soi colonnelli, e passando lui per mezzo loro colonnelli, dimandò qual voleva restar in Ungaria e quali retonar in Italia; dove per uno fante discalzo e ragazzone fu scomenzato a risponder,Italia Italia, andar andar; e cussì in un atimo, come sol succedere nelle guerre e campi; e il desiderio di repatriar, e li mali pagamenti, la carestia del viver, la dubitazione de morir in Ungaria e non poder più venire in Italia, la mala natura dei oltramontani dall’Italiani contraria, fu precipuo e principal fondamento che tutti Italiani con grandissimo strepito comenzorono a cridarItalia Italia, andar andar; e cussi in ordine se posero in cammino a dispetto dello imperatore e marchese del Vasto e delli soi capi, ali quali più volte li archibusi le fece angustia e paura, che tre delli soi colonnelli amazarono, e costituetono tre altri e novi capi, sotto il governo delli quali vennero avanti lo imperatore, caminando in un giorno leghe sei che son miglia sessanta; e cussì sino alla Chiusa sono venuti in ordinanza; e perchè non trovavano vittuaglie e volevano intertenerli, brusavano, amazavano, sachizavano, strapazavano li preti, e vergognavano le donne. Ma sopratutto ad un locho, se adimanda la Trevisana, per esser stato amazato alcuni capitani e gentilomini che venivano avanti, hanno brusato e fato quel più male hanno potuto, talchè dubito se ha rinovato l’odio ed inimicizie antiche dei oltramontani con Italiani. A Vilach a stafeta, per dirupi e vie insolite, arrivò innanzi al capitano Ponte, ministro del campo cesareo, mandato in diligenza da Cesare per intertenerli lì a quel passo, o con bone parole overo per forza; dove non potè far cosa alcuna nè con promission di darli denari, e manco per forza, che scomenzorono a brusar il burgo, dove avevano el passo, e per tre giorni continui fino alo arrivar alla Chiusa hanno vissuto di radici; e arrivati suso al Stato nostro, vedendo le buone preparazion di vittuaglie ed essere intesi, scomenzorono a cridarMarco Marco, Italia Italia, dicendo che, se si credessero ciascun di loro acquistar un imperio, non torneria in quella parte, che li mancava e denari e vittuaglie, e quando domandavan pane, overo vino, tutti respondevanoNicht Furtecc.».307.Al fine del 1300 i villani del Vallese, della Tarantasia, del Vercellese e più del Canavese si sollevarono contro i nobili; le valli di Brozzo e di Pont formarono un’estesa cospirazione, e fecero strazio de’ beni, de’ castelli, dell’onore, dei castellani e delle mogli e figlie loro, e quasi un secolo durò il movimento.308.Una cronaca contemporanea di Rivoli racconta che molti si chiusero nel campanile; ma i Francesi poser fuoco ad una catasta di legna là vicina; onde i rinchiusi sarebbervi soffocati : se non si fossero calati per le corde delle campane. Ma queste non giungendo fin a terra, doveano saltare, fiaccandosi la persona. Una madre si calò a questo modo portando un figliolino pel braccio, l’altro tenendo per le fasce coi denti.309.Matteo Dandolo, andando per la Signoria veneta ambasciadore in Francia, visitava il duca di Savoja in Vercelli, quasi unica città rimastagli. «Io non so se veramente egli si possa chiamare non che duca, signor di Vercelli, essendo anche questa città, ov’egli abita, in guardia de’ Spagnuoli, e così stretta, che li miei servitori che conducevano le mie cavalcature non vi furono lasciati entrare, ma furon fatti alloggiare di fuori, siccome par che facciano di quasi tutti forestieri».Relaz. degli ambasciatori veneti, serie 1ª, vol.II. p. 62.Esso Carlo diceva al Muzio: — Ho due granmastri di casa, l’imperatore e il re, che governano il mio, ma senza rendermene ragione».Avvertimenti morali.310.Cibrario,Origine delle istituzioni di Savoja, pag. 136.311.VediNégociations de la France dans le Levant, 1854, raccolti da Charrière. Solimano aveva concertato di assalire Otranto; ma venutone in vista e non trovatovi la flotta francese, diè volta.Il signor Michelet, nel libro intitolatoRéforme, misto di profondo e di buffo, dogmatico a forza di dubbio, e con uno stile tutto a sorprese, imputa della negligenza quei che in corte favorivano il papa contro il Turco e l’eresia; domanda se sarebbe stato un male che i Turchi occupassero il regno di Napoli, e risponde di no, perchè, come nella Cina, i conquistatori sarebbero stati inciviliti dai vinti, e il Turco sarebbesi ridotto europeo. Quasi ciò fosse avvenuto in Grecia e in quattrocento anni d’occupazione! Ma il professore parigino è accecato dal desiderio di veder abbattuto il cattolicismo.Per un altro principio, la legalità, il nostro Giannone giustifica le continue correrie e le conquiste de’ Turchi in Italia, perchè, avendo essi conquiso Costantinopoli, divenivano legittimi eredi dell’impero orientale, e quindi de’ diritti di questo sull’Italia meridionale!!312.In quell’isola la chiesa di San Giovanni vuolsi disegno del fiorentino Arnolfo, continuata poi da tutti i granmaestri dell’Ordine. Per noi trovammo memorevole il sepolcro di Fabrizio Del Carretto,urbis instaurator et ad publicam utilitatem per septennium rector, morto il 1521.313.Sarebbesi voluto levare il decimo de’ frutti per cinque anni, invece de’ quali il papa offriva un milione di ducati d’oro. Adunque esso decimo doveva essere per lo meno di ducento mila ducati, cioè la rendita annua de’ beni del clero superava i due milioni di ducati. Ingente possesso!314.Questo, già generale de’ Veneziani, aveva un castello presso Agen, in Francia, e a lui e sua moglie Costanza Rangoni largheggia encomj Matteo Bandello, il quale avendo avuto la sua casa in Milano bruciata dagli Spagnuoli, erasi rifuggito presso di loro. Morto Cesare, re Enrico diede al Bandello il vescovado di Agen, riservando metà dei frutti per Ettore Fregoso, figlio dell’estinto.315.Il duca di Savoja fece battere medaglie col titoloNicea a Turcis et Gallis obsessa.316.Marano era stata occupata da Massimiliano nella guerra della lega di Cambrai, e non la volle restituire nella pace. Pietro Strozzi nel 1542 la sorprese con una sua masnada; e intimatogli di lasciarla, rispose la darebbe piuttosto al Turco che all’Austria. I Veneziani risolsero allora comprarla da lui per trentacinquemila ducati; ma ecco l’imperatore querelarsene, e pretendere settantacinquemila ducati per indennità. Il senato rassegnavasi a questo sacrifizio, ma voleva s’acconciassero contemporaneamente altre divergenze di confini nell’Istria e nei Friuli; onde vennero lunghissime dispute.317.La famiglia Birago milanese era durata fedele ai Francesi; e ripristinati gli Sforza, ricoverò in Francia. Renato vi ebbe grandi favori da Francesco I, che lo fece consigliere del parlamento di Parigi, poi presidente di quel di Torino, governatore del Lionese, e lo deputò al concilio di Trento. Carlo IX lo nominò guardasigilli, e si asserisce sia stato principal consigliatore della strage del San Bartolomeo. I Francesi estesero anche a lui l’odio che portavano a Caterina, e lo davano per famoso avvelenatore. Il capitano La Vergerie avendo detto che gl’Italiani erano la ruina della Francia e bisognava sterminarli, esso lo fece appiccare e squartare. Pure lo storico De Thou lo dà per generoso, prudente, tutto candore; e Papiro Masson ne stese un ampio elogio. Si oppose a Enrico III quando questi volle cedere al duca di Savoja le città di Pinerolo e Savigliano. Rimasto vedovo, fu ornato cardinale nel 1558, nella qual occasione diede una festa dove intervennero il re e la regina; un’altra scialosa ne diede pel battesimo del figlio d’un suo nipote, dov’erano due lunghe tavole, coperte di mille ducento piatti di majolica con confetti e droghe, disposte a piramidi, a castelli e in altre figure; e tutto il vasellame fu mandato a pezzi. Come Enrico III, apparteneva alla confraternita de’ Disciplini, e con quello e coi principi e grandi girava per le strade di Parigi, vestito di sacco e col volto coperto. Suo nipote Flaminio Birago scrisse poesie francesi. Altri di quel cognome ebber cariche e onori in Francia.Governatore del Piemonte per re Francesco fu il signore di Bellay-Longeay, che scrisse leOgdoadi, a imitazione delleDechedi Tito Livio.318.Uberto Foglietta, in un’orazione a propria difesa, rivela le discordie e l’arroganza degli aristocratici:Sed quid ego ut sanguinem misceant loquor, cum nobiles ab ipsa popularium consuetudine abhorreant, se seque ab eorum aditu, congressu, sermone sejungant, illosque devitent, perinde quasi illorum contactu se polluere ac contagione contaminare formident? Quare, separata loca et compita habent, in quæ utriusque corporis juventus conveniat, cum alteri alterius corporis homines excludant. Quin etiam, cum forum unum esse, in quod omnes cives convenient; necesse sit, ratione quadam assequuti sunt, ut forum ipsum dividant, ac duo fora prope faciant: duæ enim sunt porticus, in quas alteri ab alterius corporis hominibus separati conveniunt. Eadem quoque distinctio in juventutis sodalitatibus servatur, quarum multas nobiles instituerunt; in quas neminem unquam ex popularibus acceperunt, cum nonnulli, privatis necessitudinibus illis conjuncti, se admitti postulassent, sed ad repulsæ injuriam, verborum quoque contumelias addiderunt, cum se degenerum sodalitate commaculaturos negarent. Jam vero, cum ad animos hominum accendendos major sit contemptus, quam injuriarum irritatio, dii immortales quam despecti ab istis nostris nobilibus sumus, quam illi a nobis abhorrent, quam nos auribus et animis respuunt, quam contemptim de nobis loquuntur, in quanta convicia, linguæ intemperantia provehuntur, cum nos degeneres et rusticanos, non modo Genuæ, sed in aliis civitatibus appellant, per inde quasi deorum genus, atque e cœlo delapsi ipsi sint; exterosque, simulatque de aliquo ex nobis incidit sermo, etiamsi alias res longe agatur, sedulo admoneant, hominem illum degenerem et ex infima plebe esse, nobilitateque sibi haudquaquam, comparandum: neque sentiunt, se risui plerumque exteris esse, quos non pudeat fœnus ac sordidiores quæstus exercentes, nobilitatis nomine, quam comprimere deberent, se commendare, haud ullam animæ nobilitatis mentionem facere. Anecdota Uberti Folieta.Genova 1838.319.Secondo gli annali del vescovo Agostino Giustiniani, al principio del Cinquecento contenevano, la Liguria occidentale fuochi 31,457, o teste 125,828, calcolando solo quattro teste per fuoco; Genova e borghi 104,216; la Liguria orientale 22,088 famiglie, o teste 88,352; i paesi oltre Gioghi, 15,173.Ansaldo Grimaldi di Genova fece rifabbricare a proprie spese la chiesa di Santa Maria della Consolazione; e in una sola volta donò alle opere pie della città 75 mila scudi d’oro. Perciò ottenne franchigie perpetue e due statue nel 1536, una delle quali vedesi ancora nel palazzo di San Giorgio.

268.Cambi, al 1523.

268.Cambi, al 1523.

269.Ammirato, al 1515.

269.Ammirato, al 1515.

270.Lo stesso, al 1521.

270.Lo stesso, al 1521.

271.Le racconta Jacopo Pitti, pag. 123.

271.Le racconta Jacopo Pitti, pag. 123.

272.Jacopo Pitti, pag. 136.

272.Jacopo Pitti, pag. 136.

273.Erasi speso un mezzo milione di ducati d’oro nell’acquistare Urbino al duca Lorenzo; altrettanto nelle guerre di Leon X contro i Francesi; trecentomila ai capitani imperiali prima dell’elezione di Clemente VII.

273.Erasi speso un mezzo milione di ducati d’oro nell’acquistare Urbino al duca Lorenzo; altrettanto nelle guerre di Leon X contro i Francesi; trecentomila ai capitani imperiali prima dell’elezione di Clemente VII.

274.— E si può dire certo che messer Baldassarre Carducci, inimico de’ Medici, operasse più nella tornata loro in Firenze che qualunque altro, reputato a essi amicissimo».Vettori,Sommario detta Storia d’Italiadal 1511 al 1527.Della prudenza, cioè timidità d’alcuni reca buona immagine il Nardi, introducendo due cittadini, amici ma differenti d’opinione in senato, l’un de’ quali dice all’altro: — Compare, non è molta la saviezza nostra nel difendere il presente stato in modo che, succedendo uno stato diverso, ci abbia ad essere turbata la quiete di nostra casa»; ma l’altro gli risponde: — Anzi il modo di stare a casa nostra dopo cambiato governo è appunto il difendere quel d’adesso, che è giustissimo. Il quale se per colpa nostra rovinasse, gli avversarj ci avrebbero giustamente in dispregio come dappochi, e Dio in abbominazione come tepidi; e la patria, che su noi riposa, si terrebbe ingannata come da imprudenti o forse infedeli consiglieri».Varchi.

274.— E si può dire certo che messer Baldassarre Carducci, inimico de’ Medici, operasse più nella tornata loro in Firenze che qualunque altro, reputato a essi amicissimo».Vettori,Sommario detta Storia d’Italiadal 1511 al 1527.

Della prudenza, cioè timidità d’alcuni reca buona immagine il Nardi, introducendo due cittadini, amici ma differenti d’opinione in senato, l’un de’ quali dice all’altro: — Compare, non è molta la saviezza nostra nel difendere il presente stato in modo che, succedendo uno stato diverso, ci abbia ad essere turbata la quiete di nostra casa»; ma l’altro gli risponde: — Anzi il modo di stare a casa nostra dopo cambiato governo è appunto il difendere quel d’adesso, che è giustissimo. Il quale se per colpa nostra rovinasse, gli avversarj ci avrebbero giustamente in dispregio come dappochi, e Dio in abbominazione come tepidi; e la patria, che su noi riposa, si terrebbe ingannata come da imprudenti o forse infedeli consiglieri».Varchi.

275.E il buon gallo sentier, ch’io trovo amicoPiù de’ figli d’altrui, che tu de’ tuoi.

275.

E il buon gallo sentier, ch’io trovo amicoPiù de’ figli d’altrui, che tu de’ tuoi.

E il buon gallo sentier, ch’io trovo amicoPiù de’ figli d’altrui, che tu de’ tuoi.

E il buon gallo sentier, ch’io trovo amico

Più de’ figli d’altrui, che tu de’ tuoi.

276.È di somma importanza il carteggio d’esso Carducci, che sta nell’archivio Capponi. Come meglio conobbe la diplomazia francese, il 3 agosto scriveva: — Questi nostri Francesi sono tanto al di sotto degl’Imperiali, che è loro necessario ricevere quelle condizioni che sono porte loro. Nondimanco, avendo io avuto sempre da questa maestà e da questi signori una quasi certa speranza di dover essere inclusi con condizioni oneste e comportabili, non ho voluto disperare le vostre signorie».

276.È di somma importanza il carteggio d’esso Carducci, che sta nell’archivio Capponi. Come meglio conobbe la diplomazia francese, il 3 agosto scriveva: — Questi nostri Francesi sono tanto al di sotto degl’Imperiali, che è loro necessario ricevere quelle condizioni che sono porte loro. Nondimanco, avendo io avuto sempre da questa maestà e da questi signori una quasi certa speranza di dover essere inclusi con condizioni oneste e comportabili, non ho voluto disperare le vostre signorie».

277.Una lettera del Busini 31 gennajo 1549, che non è fra le edite a Pisa, dice: — Nicolò Capponi mai non volse che si fortificasse il monte di San Miniato; e Michelagnolo, che è uomo veritierissimo, dice che durò grandissima fatica a persuaderlo agli altri principali, ma Nicolò mai potette persuaderlo: pure cominciò nel modo che sapete con quella stoppa; e Nicolò gli toglieva l’opere, e mandavale in un altro luogo; e quand’ei fu fatto de’ Nove, lo mandarono due o tre volte fuora; e quand’ei tornava, trovava sempre il monte sfornito, ed egli gridava e per la reputazion sua e per il magistrato ch’egli aveva. Si ricominciava, tanto che alla venuta dell’esercito si potette tenere. Cred’io per questo e altri suoi modi che Nicolò fosse persuaso che lo stato si muterebbe, non in tirannide, ma in stato di pochi, come desideravano quasi tutti i ricchi, parte per ambizione, parte per sciocchezza, come Pietro Salviati e il fratello; parte per dependenza, come Ristoro e Pier Vettori: e soggiunge che egli da in quel tempo in là, non volle mai bene a Nicolò, nè egli a lui».Un’altra lettera del Busini, mutila nella stampa di Pisa, ma riferita intera dal Gaye, narra i motivi della fuga di Michelangelo, della quale è tanto incolpato: — Ho domandato a Michelagnolo quale fu la cagione della sua partita. Dice così, che, essendo de’ Nove, e venuto dentro le genti fiorentine e Malatesta e il signor Mario Orsini ed altri caporali, i Dieci disposero i soldati per le mura e per li bastioni, e a ciascun capitano assegnarono il luogo suo, e detton loro vittovaglie e munizioni, e fra gli altri dettono otto pezzi d’artiglieria a Malatesta che le guardasse e difendesse una parte de’ bastioni del Monte, il quale la pose non dentro, ma sotto i bastioni, senza guardia alcuna; ed il contrario fece Mario. Onde Michelangelo, che come magistrato e architetto rivedeva quel luogo del Monte, domandò al signor Mario onde nasceva che Malatesta teneva così trascuratamente l’artiglieria sua? A che disse Mario: — Sappi che costui è d’una casa che tutti sono stati traditori, ed egli ancora tradirà questa città. Onde gli venne tanta paura che bisognò partirsi, mosso dalla paura che la città non capitasse male, ed egli conseguentemente. Così risoluto trovò Rinaldo Corsini, al quale disse il suo pensiero, e Rinaldo come leggieri disse: — Io voglio venire con esso voi; ecc.».

277.Una lettera del Busini 31 gennajo 1549, che non è fra le edite a Pisa, dice: — Nicolò Capponi mai non volse che si fortificasse il monte di San Miniato; e Michelagnolo, che è uomo veritierissimo, dice che durò grandissima fatica a persuaderlo agli altri principali, ma Nicolò mai potette persuaderlo: pure cominciò nel modo che sapete con quella stoppa; e Nicolò gli toglieva l’opere, e mandavale in un altro luogo; e quand’ei fu fatto de’ Nove, lo mandarono due o tre volte fuora; e quand’ei tornava, trovava sempre il monte sfornito, ed egli gridava e per la reputazion sua e per il magistrato ch’egli aveva. Si ricominciava, tanto che alla venuta dell’esercito si potette tenere. Cred’io per questo e altri suoi modi che Nicolò fosse persuaso che lo stato si muterebbe, non in tirannide, ma in stato di pochi, come desideravano quasi tutti i ricchi, parte per ambizione, parte per sciocchezza, come Pietro Salviati e il fratello; parte per dependenza, come Ristoro e Pier Vettori: e soggiunge che egli da in quel tempo in là, non volle mai bene a Nicolò, nè egli a lui».

Un’altra lettera del Busini, mutila nella stampa di Pisa, ma riferita intera dal Gaye, narra i motivi della fuga di Michelangelo, della quale è tanto incolpato: — Ho domandato a Michelagnolo quale fu la cagione della sua partita. Dice così, che, essendo de’ Nove, e venuto dentro le genti fiorentine e Malatesta e il signor Mario Orsini ed altri caporali, i Dieci disposero i soldati per le mura e per li bastioni, e a ciascun capitano assegnarono il luogo suo, e detton loro vittovaglie e munizioni, e fra gli altri dettono otto pezzi d’artiglieria a Malatesta che le guardasse e difendesse una parte de’ bastioni del Monte, il quale la pose non dentro, ma sotto i bastioni, senza guardia alcuna; ed il contrario fece Mario. Onde Michelangelo, che come magistrato e architetto rivedeva quel luogo del Monte, domandò al signor Mario onde nasceva che Malatesta teneva così trascuratamente l’artiglieria sua? A che disse Mario: — Sappi che costui è d’una casa che tutti sono stati traditori, ed egli ancora tradirà questa città. Onde gli venne tanta paura che bisognò partirsi, mosso dalla paura che la città non capitasse male, ed egli conseguentemente. Così risoluto trovò Rinaldo Corsini, al quale disse il suo pensiero, e Rinaldo come leggieri disse: — Io voglio venire con esso voi; ecc.».

278.Nardi. La Provvisione di quella milizia fu messa a stampa, col motto virgiliano:Æneadæ in ferro pro libertate ruebant.

278.Nardi. La Provvisione di quella milizia fu messa a stampa, col motto virgiliano:

Æneadæ in ferro pro libertate ruebant.

Æneadæ in ferro pro libertate ruebant.

Æneadæ in ferro pro libertate ruebant.

279.«La somma e i capi principali furono, che don Ercole, primognito di don Alfonso duca di Ferrara... fosse, ancorchè giovanetto, capitan generale di tutte le genti d’arme della repubblica fiorentina tanto di piè quanto da cavallo, d’ogni e qualunque ragione, per un anno... con tutte quelle autorità, onori e comodi che sogliono avere i capitani generali della repubblica fiorentina; e la condotta fosse dugento uomini d’arme in bianco, con fiorini cento di grossi, con ritenzione di sette per cento per ciascun uomo d’arme ogn’anno, da doversi pagare a quartieri, e sempre un quartiere innanzi, e con provvisione e piatto all’illustrissima persona di sua eccellenza, di fiorini novemila di carlini netti, cioè senza alcuna ritenzione, da pagarsi nel medesimo modo; fosse però obbligato di convertire almeno la metà dei dugento uomini d’arme, e quelli più che a lui piacesse, purchè fra lo spazio di venti giorni lo dichiarasse, in tanti cavalli leggieri, a ragione di due cavalli leggieri per ciascun uomo d’arme. Ancora, che ogni anno gli si dovessero pagare quattromila ottocendiciannove fiorini e soldi otto marchesani d’oro in oro del sole, e questo per le condizioni de’ tempi cattivi e grandissima carestia in tutte le cose e grasce, ch’era per tutta Italia. Ancora, che ciascun uomo d’arme fosse obbligato di tenere nel tempo della guerra tre cavalli, un capo di lancia, un petto e un ronzino, e a tempo di pace solamente i due principali senza il ronzino. Ancora, che in tempo di guerra, e ciascuna volta che la città soldasse almeno duemila fanti, gli dovesse dare, cavalcando egli, una compagnia di mille pedoni da farsi per lui, nè fosse tenuto di rassegnarne più d’ottocento; e facendosi minor numero di duemila dovesse anch’egli farne la parte sua a proporzione nel soprascritto modo e patto. Ancora, che gli si dovessino pagare ogni mese a tempo di guerra cento fiorini d’oro di sole, e a tempo di pace cinquanta, per poter trattenere quattro capi di fanteria a sua elezione. Ancora, che tutti i denari per fare i detti pagamenti si dovessero mandare in mano propria di lui. Ancora, che dovunque in cavalcando gli fossero assegnate le stanze, gli fossero parimenti assegnate legne e strame, e di più nel tornarsene le coperte senza alcun costo. Ancora volle, e così fecero, che li signori Dieci s’obbligassero in nome della magnifica ed eccelsa Signoria di Firenze, che durante la sua condotta non condurrebbono, nè darebbono titolo o grado alcuno a persona, il quale fosse, non che superiore, eguale al suo. E d’altro lato la sua eccellenza s’obbligò a dover servire colla sua persona propria e con tutte le genti, così in difesa come in offesa di qualunque Stato o principe, ogni e qualunque volta o dalla Signoria o da’ Dieci o dal loro commissario generale ricercato ne fosse, con questo inteso che i signori fiorentini fussono obbligati a consegnarle il bastone e la bandiera del capitano generale, colle patenti e lettere di tal dignità».Varchi,Storie fiorentine.

279.«La somma e i capi principali furono, che don Ercole, primognito di don Alfonso duca di Ferrara... fosse, ancorchè giovanetto, capitan generale di tutte le genti d’arme della repubblica fiorentina tanto di piè quanto da cavallo, d’ogni e qualunque ragione, per un anno... con tutte quelle autorità, onori e comodi che sogliono avere i capitani generali della repubblica fiorentina; e la condotta fosse dugento uomini d’arme in bianco, con fiorini cento di grossi, con ritenzione di sette per cento per ciascun uomo d’arme ogn’anno, da doversi pagare a quartieri, e sempre un quartiere innanzi, e con provvisione e piatto all’illustrissima persona di sua eccellenza, di fiorini novemila di carlini netti, cioè senza alcuna ritenzione, da pagarsi nel medesimo modo; fosse però obbligato di convertire almeno la metà dei dugento uomini d’arme, e quelli più che a lui piacesse, purchè fra lo spazio di venti giorni lo dichiarasse, in tanti cavalli leggieri, a ragione di due cavalli leggieri per ciascun uomo d’arme. Ancora, che ogni anno gli si dovessero pagare quattromila ottocendiciannove fiorini e soldi otto marchesani d’oro in oro del sole, e questo per le condizioni de’ tempi cattivi e grandissima carestia in tutte le cose e grasce, ch’era per tutta Italia. Ancora, che ciascun uomo d’arme fosse obbligato di tenere nel tempo della guerra tre cavalli, un capo di lancia, un petto e un ronzino, e a tempo di pace solamente i due principali senza il ronzino. Ancora, che in tempo di guerra, e ciascuna volta che la città soldasse almeno duemila fanti, gli dovesse dare, cavalcando egli, una compagnia di mille pedoni da farsi per lui, nè fosse tenuto di rassegnarne più d’ottocento; e facendosi minor numero di duemila dovesse anch’egli farne la parte sua a proporzione nel soprascritto modo e patto. Ancora, che gli si dovessino pagare ogni mese a tempo di guerra cento fiorini d’oro di sole, e a tempo di pace cinquanta, per poter trattenere quattro capi di fanteria a sua elezione. Ancora, che tutti i denari per fare i detti pagamenti si dovessero mandare in mano propria di lui. Ancora, che dovunque in cavalcando gli fossero assegnate le stanze, gli fossero parimenti assegnate legne e strame, e di più nel tornarsene le coperte senza alcun costo. Ancora volle, e così fecero, che li signori Dieci s’obbligassero in nome della magnifica ed eccelsa Signoria di Firenze, che durante la sua condotta non condurrebbono, nè darebbono titolo o grado alcuno a persona, il quale fosse, non che superiore, eguale al suo. E d’altro lato la sua eccellenza s’obbligò a dover servire colla sua persona propria e con tutte le genti, così in difesa come in offesa di qualunque Stato o principe, ogni e qualunque volta o dalla Signoria o da’ Dieci o dal loro commissario generale ricercato ne fosse, con questo inteso che i signori fiorentini fussono obbligati a consegnarle il bastone e la bandiera del capitano generale, colle patenti e lettere di tal dignità».Varchi,Storie fiorentine.

280.Il Varchi, lib.IX, riporta un còmputo di Benedetto Dei, che, al fine del 400, si trovassero a venti miglia in giro a Firenze trentaseimila possessioni di cittadini con ottocento palazzi murali di pietra picchiata, che l’un per l’altro erano costati meglio di tremila cinquecento fiorini d’oro. E Marco Foscari, ambasciador veneto, nella suaRelazionedel 1527: — Non credo che sia in Italia, anzi in tutta Europa una regione più amena nè più deliziosa di quella ove è posta Firenze; perchè ella è posta in un piano tutto circondato di colli e da monti fertili, coltivati, amenissimi e carichi di palazzi bellissimi e suntuosissimi, fabbricati con eccessiva spesa con tutte le delizie che sia possibile immaginare, con giardini, boschetti, fontane, peschiere, bagni, e con prospettive che pajono pitture, perchè dalli detti colli e palazzi si scoprono gli altri colli d’intorno e poggetti e vallette, tutte cariche di palazzi e di fabbriche, che par proprio un’altra città più bella di Firenze stessa ecc.».

280.Il Varchi, lib.IX, riporta un còmputo di Benedetto Dei, che, al fine del 400, si trovassero a venti miglia in giro a Firenze trentaseimila possessioni di cittadini con ottocento palazzi murali di pietra picchiata, che l’un per l’altro erano costati meglio di tremila cinquecento fiorini d’oro. E Marco Foscari, ambasciador veneto, nella suaRelazionedel 1527: — Non credo che sia in Italia, anzi in tutta Europa una regione più amena nè più deliziosa di quella ove è posta Firenze; perchè ella è posta in un piano tutto circondato di colli e da monti fertili, coltivati, amenissimi e carichi di palazzi bellissimi e suntuosissimi, fabbricati con eccessiva spesa con tutte le delizie che sia possibile immaginare, con giardini, boschetti, fontane, peschiere, bagni, e con prospettive che pajono pitture, perchè dalli detti colli e palazzi si scoprono gli altri colli d’intorno e poggetti e vallette, tutte cariche di palazzi e di fabbriche, che par proprio un’altra città più bella di Firenze stessa ecc.».

281.L’anzidetto ambasciator veneto Foscari diceva che Firenze è debole per la debilità degli uomini. La quale debilità viene «prima per natura, poi per accidente. Per natura, perchè quell’aere e quel cielo producono naturalmente uomini timidi; per accidente, perchè tutti si esercitano nella mercatanzia e nelle arti manuali e meccaniche, lavorando e operando colle proprie mani ne’ più vili esercizj: e li primi che governano lo Stato vanno alle lor botteghe di seta, e gittati i lembi del mantello sopra le spalle, pongonsi alla caviglia e lavorano pubblicamente che ognun li vede; ed i figliuoli loro stanno in bottega con li grembiali innanzi, e portano il sacco e le sporte alle maestre con la seta, e fanno gli altri esercizj di bottega ecc.».Relazioni degli ambasciadori veneti, serie 2ª, vol.I. pag. 21.Di questi spregi verso la gente mercadante avemmo altre volte a far ragione; e sin d’allora il Varchi li confutava, e, — Io mi sono meco più volte maravigliato come esser possa che quegli uomini, i quali sono usati per piccolissimo prezzo infino dalla prima fanciullezza loro a portare le balle della lana in guisa di facchini, e le sporte della seta ad uso de’ zanajuoli, o star poco meno che schiavi tutto il giorno e gran pezza della notte alla caviglia e al fuso, si ritrovi poi in molti di loro, dove e quando bisogna, tanta grandezza d’animo e così nobili ed alti pensieri ecc.».

281.L’anzidetto ambasciator veneto Foscari diceva che Firenze è debole per la debilità degli uomini. La quale debilità viene «prima per natura, poi per accidente. Per natura, perchè quell’aere e quel cielo producono naturalmente uomini timidi; per accidente, perchè tutti si esercitano nella mercatanzia e nelle arti manuali e meccaniche, lavorando e operando colle proprie mani ne’ più vili esercizj: e li primi che governano lo Stato vanno alle lor botteghe di seta, e gittati i lembi del mantello sopra le spalle, pongonsi alla caviglia e lavorano pubblicamente che ognun li vede; ed i figliuoli loro stanno in bottega con li grembiali innanzi, e portano il sacco e le sporte alle maestre con la seta, e fanno gli altri esercizj di bottega ecc.».Relazioni degli ambasciadori veneti, serie 2ª, vol.I. pag. 21.

Di questi spregi verso la gente mercadante avemmo altre volte a far ragione; e sin d’allora il Varchi li confutava, e, — Io mi sono meco più volte maravigliato come esser possa che quegli uomini, i quali sono usati per piccolissimo prezzo infino dalla prima fanciullezza loro a portare le balle della lana in guisa di facchini, e le sporte della seta ad uso de’ zanajuoli, o star poco meno che schiavi tutto il giorno e gran pezza della notte alla caviglia e al fuso, si ritrovi poi in molti di loro, dove e quando bisogna, tanta grandezza d’animo e così nobili ed alti pensieri ecc.».

282.— Tanto sono diversi gli affetti e le passioni degli animi degli uomini in diversi tempi, secondo la varietà e la forza degli accidenti: conciossiachè già nella mia adolescenza io avessi veduto i padri e le madri levare e torre dalle camere de’ loro figliuoli ogni generazione di arme quanto meglio potevano e sapevano, acciò, che quegli fossero meglio disciplinati e manco discoli che fosse possibile; e poscia io medesimo abbia veduto più d’un padre, ancora di verde età, descritto nella milizia, andare alla mostra o vero rassegna, o anche nelle fazioni fuori delle porte, accompagnato in mezzo di duoi suoi figlioletti con gli archibusi, che non passavano l’età di quindici o sedici anni; e similmente ho veduto le sorelle armare in persona i fratelli loro, e le madri e i padri mandare i loro figliuoli lietamente alle fazioni della guerra, raccomandandoli alla bontà di Dio con la loro benedizione».Nardi.

282.— Tanto sono diversi gli affetti e le passioni degli animi degli uomini in diversi tempi, secondo la varietà e la forza degli accidenti: conciossiachè già nella mia adolescenza io avessi veduto i padri e le madri levare e torre dalle camere de’ loro figliuoli ogni generazione di arme quanto meglio potevano e sapevano, acciò, che quegli fossero meglio disciplinati e manco discoli che fosse possibile; e poscia io medesimo abbia veduto più d’un padre, ancora di verde età, descritto nella milizia, andare alla mostra o vero rassegna, o anche nelle fazioni fuori delle porte, accompagnato in mezzo di duoi suoi figlioletti con gli archibusi, che non passavano l’età di quindici o sedici anni; e similmente ho veduto le sorelle armare in persona i fratelli loro, e le madri e i padri mandare i loro figliuoli lietamente alle fazioni della guerra, raccomandandoli alla bontà di Dio con la loro benedizione».Nardi.

283.Anche il residente Carlo Cappello, a’ 15 ottobre 1529, scriveva alla Signoria veneta: — La città tutta è di ottimo animo, ed ognora si rende più intrepida e desiderosa di mostrare il valor suo: nè più si può dire con verità che li poderi di questi signori sieno ostaggi dei loro nemici, perchè sono tanti gli incendj di bellissimi e ricchissimi edifizj, fatti sì dalle genti nemiche come dalli padroni proprj, che non è facile giudicare qual sia maggiore, o la immanità e barbarie di quelli, ovvero la generosa costanza di questi; e sebbene così grande rovina non può fare che non doglia, pure è di molto maggior contento vedere la grandezza degli animi e la prontezza d’ognuno in sostenere ogni danno, ogni pericolo, per conservazione della libertà».Relazioni ecc.; serie 2ª, vol.I. pag. 234. — Sebbene sia questa la prima fiata che questa città abbia sentito l’artiglieria alle mura, non v’è però alcuno che non sia di costante e forte animo, e prontissimo alla difensione di quella, la quale, per somma diligenza usata da ognuno e per la comodità di balle mille ottocento di lana, le quali sono state poste nelle fortificazioni di essa, è ridotta ormai di sorte, che il nemico deve piuttosto di lei temere, che sperare vittoria». Ivi, pag. 238.

283.Anche il residente Carlo Cappello, a’ 15 ottobre 1529, scriveva alla Signoria veneta: — La città tutta è di ottimo animo, ed ognora si rende più intrepida e desiderosa di mostrare il valor suo: nè più si può dire con verità che li poderi di questi signori sieno ostaggi dei loro nemici, perchè sono tanti gli incendj di bellissimi e ricchissimi edifizj, fatti sì dalle genti nemiche come dalli padroni proprj, che non è facile giudicare qual sia maggiore, o la immanità e barbarie di quelli, ovvero la generosa costanza di questi; e sebbene così grande rovina non può fare che non doglia, pure è di molto maggior contento vedere la grandezza degli animi e la prontezza d’ognuno in sostenere ogni danno, ogni pericolo, per conservazione della libertà».Relazioni ecc.; serie 2ª, vol.I. pag. 234. — Sebbene sia questa la prima fiata che questa città abbia sentito l’artiglieria alle mura, non v’è però alcuno che non sia di costante e forte animo, e prontissimo alla difensione di quella, la quale, per somma diligenza usata da ognuno e per la comodità di balle mille ottocento di lana, le quali sono state poste nelle fortificazioni di essa, è ridotta ormai di sorte, che il nemico deve piuttosto di lei temere, che sperare vittoria». Ivi, pag. 238.

284.Questo fatto nuovo raccogliamo da relazioni dell’ambasciatore Cornaro, che scriveva alla Signoria veneta: — Non voglio restar di dire che questi signori sempre mi domandano delle cose del signor Turco, dimostrando di avere in quello grandissima speranza; e jeri hanno avuto lettere da Ragusa, che quella potenza preparava grande armata di mare e di terra, e già aveva inviato alla Vallona galere cento e cento palandre, la qual nuova è stata di sommo contento a tutta questa città, di modo che si può quasi esser certi che questi signori abbiano fatto intendere al Turco il bisogno loro; e di ciò mi è stato eziandio fatto motto da buon loco».Relazioni ecc.; serie 2ª, volumeI, pag. 279.

284.Questo fatto nuovo raccogliamo da relazioni dell’ambasciatore Cornaro, che scriveva alla Signoria veneta: — Non voglio restar di dire che questi signori sempre mi domandano delle cose del signor Turco, dimostrando di avere in quello grandissima speranza; e jeri hanno avuto lettere da Ragusa, che quella potenza preparava grande armata di mare e di terra, e già aveva inviato alla Vallona galere cento e cento palandre, la qual nuova è stata di sommo contento a tutta questa città, di modo che si può quasi esser certi che questi signori abbiano fatto intendere al Turco il bisogno loro; e di ciò mi è stato eziandio fatto motto da buon loco».Relazioni ecc.; serie 2ª, volumeI, pag. 279.

285.Nardi.Il quale, al lib. ix, ci dà alcuni prezzi: vino al barile ducati 8, 9, 10; aceto ducati 5 o 6; olio un ducato e più al fiasco; carne di vitello 5 carlini la libbra; 2 la bovina; 4 quella di castrato; 1 quella di cavallo o d’asino; 5 carlini la libbra il cacio; ducati 6 e fin 8 il pajo di capponi; 3 di pollastri; uno di piccioni; soldi 18 la coppia d’ova.

285.Nardi.Il quale, al lib. ix, ci dà alcuni prezzi: vino al barile ducati 8, 9, 10; aceto ducati 5 o 6; olio un ducato e più al fiasco; carne di vitello 5 carlini la libbra; 2 la bovina; 4 quella di castrato; 1 quella di cavallo o d’asino; 5 carlini la libbra il cacio; ducati 6 e fin 8 il pajo di capponi; 3 di pollastri; uno di piccioni; soldi 18 la coppia d’ova.

286.In espiazione, il giorno dell’Ascensione movono da San Marcello e da Gavinana due processioni verso la fonte dei Gorghi; quando s’incontrano rinforzano i canti, e accostano i crocifissi, il che dicesi il bacio de’ Cristi.Fabrizio Maramaldo, alquanti anni dopo, s’una festa alla corte di Urbino invitò a ballare la figliuola di Silvestro Aldobrandino, ed essa gli rispose: — Nè io nè altra donna italiana che non sia del tutto svergognata, farà mai cortesia all’assassino di Ferruccio».Di rimpatto, la marchesa di Pescara ha una lettera al principe d’Orange, ove loda infinitamente Fabrizio Maramaldo, e lagnasi che, per accuse dategli, abbiagli esso diminuita la sua grazia, e confida che «la candida fede d’un tal cavaliere, affinata per mano» del marchese di Pescara e del marchese del Vasto, sarà restituita all’onorato grado ed autorità che i suoi servigi ricercano.Lettere diXIIIuomini illustri, 1564. p. 570.

286.In espiazione, il giorno dell’Ascensione movono da San Marcello e da Gavinana due processioni verso la fonte dei Gorghi; quando s’incontrano rinforzano i canti, e accostano i crocifissi, il che dicesi il bacio de’ Cristi.

Fabrizio Maramaldo, alquanti anni dopo, s’una festa alla corte di Urbino invitò a ballare la figliuola di Silvestro Aldobrandino, ed essa gli rispose: — Nè io nè altra donna italiana che non sia del tutto svergognata, farà mai cortesia all’assassino di Ferruccio».

Di rimpatto, la marchesa di Pescara ha una lettera al principe d’Orange, ove loda infinitamente Fabrizio Maramaldo, e lagnasi che, per accuse dategli, abbiagli esso diminuita la sua grazia, e confida che «la candida fede d’un tal cavaliere, affinata per mano» del marchese di Pescara e del marchese del Vasto, sarà restituita all’onorato grado ed autorità che i suoi servigi ricercano.

Lettere diXIIIuomini illustri, 1564. p. 570.

287.NelDiscorso sopra il governo di Firenze, che è nelleLettere di Principi a Principi,III.124, tra il resto dice: — Le difficoltà principali mi pajono due: la prima che questo Stato ha alienissimi da sè gli animi della più parte della città, i quali in universale non si possono guadagnare con qualunque maniera di dolcezza o di benefizj; la seconda che il dominio nostro è qualificato in modo, che non si può conservare senza grosse entrate: ed il nervo di queste consiste nella città propria, che è tanto indebolita, che, se non si cerca di augumentare quella industria che vi è restata, ci caderà un dì ogni cosa di mano; però è necessario aver rispetto assai a questo, il che ha impedito il poter usare molti rimedj gagliardi, che erano appropriati alla prima difficoltà; e se questa ragione non ostasse, era da fare quasi di nuovo ogni cosa, non essendo nè utile nè ragionevole aver pietà di coloro che hanno fatto tanti mali, e che si sa che, come potessino, farebbon peggio che mai: ma quanto la città ha più d’entrate, tanto è più potente chi n’è capo, purchè sia padrone di quella; e il diminuire ogni dì l’entrate con esenzioni a sudditi, è mal considerato...«Parmi bisogni navigare tra queste difficoltà, ricordandosi sempre che è necessario mantenere la città viva per potersene servire, e quello che per questo rispetto si designasse riservare ad altro tempo, fosse dilazione e non oblivione, cioè non mancar mai di camminare destramente a quel fine che l’uomo si fosse una volta proposto, ed intrattanto non perdere occasione alcuna di stabilir bene gli amici, cioè di fargli partigiani; perchè come gli uomini son ridotti qui, bisogna vadino da se medesimi, e proponghino e riscaldino tutto quello che tende a sicurtà dello Stato, non aspettando di esser invitati, come forse si fa ora. È vero che gli amici son pochi, ma sono in luogo che, se non sono totalmente pazzi, conoscono non poter stare a Firenze non vi stando la casa de’ Medici; perchè non interviene a noi come a quelli del 34 che avevano inimici particolari, ed in tempo di dodici o quindici anni restarono liberi dalla maggior parte di loro. Abbiamo per inimico un popolo intero, e più la gioventù che vecchi, sì che ci è a temere per cento anni; in modo che siamo sforzati desiderare ogni deliberazione che assicuri lo Stato, e sia di che sorta voglia...«I modi di fare una massa sicura e ferma d’amici nuovi e vecchi non sono facili, perchè io non biasimo soscrizioni e simili intendimenti, ma non bastano: bisogna siano gli onori ed utili dati in modo, che chi ne partecipa diventi sì odioso all’universale, che sia forzato a credere non potere essere salvo nello stato del popolo: il che non consiste tanto in allargare o stringere il governo un poco più o manco, in stare su modelli vecchi o trovarne de’ nuovi, quanto in acconciarla in modo che ne seguiti questo effetto, a che fa difficoltà assai la povertà e le male condizioni nostre...«Il ridursi totalmente a forma di principato non veggo dia, per ora, maggior potenza nè più sicurtà; ed è una di quelle cose che, quando si avesse a fare, crederei fosse quasi fatta per se stessa, e comproporzionare con la proporzione che si conviene le membra al capo, cioè fare de’ feudatarj pel dominio; perchè il tirare ogni cosa a sè solo farebbe pochi amici, e come questo si possa fare al presente senza disordinare le entrate e senza scacciare l’industria della città, io non lo veggo. In questa scarsità di partiti mi occorreva che, spento il modello de’ consigli e di quelle chiacchere vecchie, si eleggesse per ora una balìa di dugento cittadini, non vi mettendo dentro se non persone confidenti...».

287.NelDiscorso sopra il governo di Firenze, che è nelleLettere di Principi a Principi,III.124, tra il resto dice: — Le difficoltà principali mi pajono due: la prima che questo Stato ha alienissimi da sè gli animi della più parte della città, i quali in universale non si possono guadagnare con qualunque maniera di dolcezza o di benefizj; la seconda che il dominio nostro è qualificato in modo, che non si può conservare senza grosse entrate: ed il nervo di queste consiste nella città propria, che è tanto indebolita, che, se non si cerca di augumentare quella industria che vi è restata, ci caderà un dì ogni cosa di mano; però è necessario aver rispetto assai a questo, il che ha impedito il poter usare molti rimedj gagliardi, che erano appropriati alla prima difficoltà; e se questa ragione non ostasse, era da fare quasi di nuovo ogni cosa, non essendo nè utile nè ragionevole aver pietà di coloro che hanno fatto tanti mali, e che si sa che, come potessino, farebbon peggio che mai: ma quanto la città ha più d’entrate, tanto è più potente chi n’è capo, purchè sia padrone di quella; e il diminuire ogni dì l’entrate con esenzioni a sudditi, è mal considerato...

«Parmi bisogni navigare tra queste difficoltà, ricordandosi sempre che è necessario mantenere la città viva per potersene servire, e quello che per questo rispetto si designasse riservare ad altro tempo, fosse dilazione e non oblivione, cioè non mancar mai di camminare destramente a quel fine che l’uomo si fosse una volta proposto, ed intrattanto non perdere occasione alcuna di stabilir bene gli amici, cioè di fargli partigiani; perchè come gli uomini son ridotti qui, bisogna vadino da se medesimi, e proponghino e riscaldino tutto quello che tende a sicurtà dello Stato, non aspettando di esser invitati, come forse si fa ora. È vero che gli amici son pochi, ma sono in luogo che, se non sono totalmente pazzi, conoscono non poter stare a Firenze non vi stando la casa de’ Medici; perchè non interviene a noi come a quelli del 34 che avevano inimici particolari, ed in tempo di dodici o quindici anni restarono liberi dalla maggior parte di loro. Abbiamo per inimico un popolo intero, e più la gioventù che vecchi, sì che ci è a temere per cento anni; in modo che siamo sforzati desiderare ogni deliberazione che assicuri lo Stato, e sia di che sorta voglia...

«I modi di fare una massa sicura e ferma d’amici nuovi e vecchi non sono facili, perchè io non biasimo soscrizioni e simili intendimenti, ma non bastano: bisogna siano gli onori ed utili dati in modo, che chi ne partecipa diventi sì odioso all’universale, che sia forzato a credere non potere essere salvo nello stato del popolo: il che non consiste tanto in allargare o stringere il governo un poco più o manco, in stare su modelli vecchi o trovarne de’ nuovi, quanto in acconciarla in modo che ne seguiti questo effetto, a che fa difficoltà assai la povertà e le male condizioni nostre...

«Il ridursi totalmente a forma di principato non veggo dia, per ora, maggior potenza nè più sicurtà; ed è una di quelle cose che, quando si avesse a fare, crederei fosse quasi fatta per se stessa, e comproporzionare con la proporzione che si conviene le membra al capo, cioè fare de’ feudatarj pel dominio; perchè il tirare ogni cosa a sè solo farebbe pochi amici, e come questo si possa fare al presente senza disordinare le entrate e senza scacciare l’industria della città, io non lo veggo. In questa scarsità di partiti mi occorreva che, spento il modello de’ consigli e di quelle chiacchere vecchie, si eleggesse per ora una balìa di dugento cittadini, non vi mettendo dentro se non persone confidenti...».

288.Varchi,Storie, lib.III.in fine.

288.Varchi,Storie, lib.III.in fine.

289.Gli statuti del 27 aprile 1532, che trasformano la repubblica in principato, sono recati per disteso dallo Zobi,Storia di Firenze, vol.V, append.X.

289.Gli statuti del 27 aprile 1532, che trasformano la repubblica in principato, sono recati per disteso dallo Zobi,Storia di Firenze, vol.V, append.X.

290.Il Nardi, fuoruscito anch’esso, ci ragguaglia di tutti i movimenti de’ fuorusciti nella parte della sua storia che rimase inedita fin testè.

290.Il Nardi, fuoruscito anch’esso, ci ragguaglia di tutti i movimenti de’ fuorusciti nella parte della sua storia che rimase inedita fin testè.

291.La fortezza di San Giovan Battista, or detta di Basso. La prima pietra ne fu posta dal duca e dal vescovo d’Assisi il 15 luglio 1534 a ore 13, minuti 25, ora di felice augurio computato dall’astrologo frà Giuliano Buonamici di Prato.

291.La fortezza di San Giovan Battista, or detta di Basso. La prima pietra ne fu posta dal duca e dal vescovo d’Assisi il 15 luglio 1534 a ore 13, minuti 25, ora di felice augurio computato dall’astrologo frà Giuliano Buonamici di Prato.

292.All’entrata di Margherita moglie del duca Alessandro, «da Livorno a Pisa perfino a Poggio e a Fiorenza, i castelli, le ville, i popoli e le genti erano calcate per le strade a guisa dei pastori che, tornando dalle maremme, solcando con le loro capre ed altri armenti le strade, adornano i greppi, i piani e’ poggi; e, perdio, non era sì piccol forno in su la strada, che apparecchiato non avesse le tavole in su le strade, con moltissime robe sopra, che avriano sfamata la fame e la sete a Tantalo; e aveano fatto a ogni casa o porta fonte di due bocche, gettando vino una e acqua l’altra». Così il Vasari scrive all’Aretino; e dappertutto, oltre le solite comparse, sono notevoli questi allettamenti alla gola plebea. «Alla porta del Prato a Firenze era una botte di barili sei che gettava vino con un grasso nudo sopra..... Stavano innanzi a sua eccellenza due dromedarj, quali sua maestà cesarea donò al duca, e dopo essi era Baldo mazziere, con due gran bisaccie a traverso al cavallo, gettando denari... Erano calcate le vie di donne e uomini, che mai dacchè Fiorenza è Fiorenza si vide tanto popolo, con un’allegrezza miracolosa...» Dallo stesso sono eziandio descritte le feste splendidissime per l’entrata di Carlo V.

292.All’entrata di Margherita moglie del duca Alessandro, «da Livorno a Pisa perfino a Poggio e a Fiorenza, i castelli, le ville, i popoli e le genti erano calcate per le strade a guisa dei pastori che, tornando dalle maremme, solcando con le loro capre ed altri armenti le strade, adornano i greppi, i piani e’ poggi; e, perdio, non era sì piccol forno in su la strada, che apparecchiato non avesse le tavole in su le strade, con moltissime robe sopra, che avriano sfamata la fame e la sete a Tantalo; e aveano fatto a ogni casa o porta fonte di due bocche, gettando vino una e acqua l’altra». Così il Vasari scrive all’Aretino; e dappertutto, oltre le solite comparse, sono notevoli questi allettamenti alla gola plebea. «Alla porta del Prato a Firenze era una botte di barili sei che gettava vino con un grasso nudo sopra..... Stavano innanzi a sua eccellenza due dromedarj, quali sua maestà cesarea donò al duca, e dopo essi era Baldo mazziere, con due gran bisaccie a traverso al cavallo, gettando denari... Erano calcate le vie di donne e uomini, che mai dacchè Fiorenza è Fiorenza si vide tanto popolo, con un’allegrezza miracolosa...» Dallo stesso sono eziandio descritte le feste splendidissime per l’entrata di Carlo V.

293.Segni, lib.VI. Allora furono introdotti o ripristinati i baccanali dettiPotenze, ove diverse brigate si univano sotto un capo con titolo e veste di gransignore, marchese, duca, principe, re, papa; e ciascuna con bandiera e insegna proprie, da maggio a tutta estate festeggiavano in comparse e gara di lusso e di brio, e battaglie di sassate. Nella facciata di Santa Lucia sul Prato leggesi ancora:Imperator ego præliando lapidibus vici annoMDXXXIV.

293.Segni, lib.VI. Allora furono introdotti o ripristinati i baccanali dettiPotenze, ove diverse brigate si univano sotto un capo con titolo e veste di gransignore, marchese, duca, principe, re, papa; e ciascuna con bandiera e insegna proprie, da maggio a tutta estate festeggiavano in comparse e gara di lusso e di brio, e battaglie di sassate. Nella facciata di Santa Lucia sul Prato leggesi ancora:Imperator ego præliando lapidibus vici annoMDXXXIV.

294.Lo stesso, lib.IX.

294.Lo stesso, lib.IX.

295.I fuorusciti si teneano molto raccomandati ai frati; e al confessore di sua maestà lasciarono un’esposizione del salmoVerba mea auribus percipe, Domine, in forma d’orazione ad esso imperatore.

295.I fuorusciti si teneano molto raccomandati ai frati; e al confessore di sua maestà lasciarono un’esposizione del salmoVerba mea auribus percipe, Domine, in forma d’orazione ad esso imperatore.

296.Il Segni, che pur è benevolo a Cosmo, narra nel lib. xii d’aver molto bene conosciuto Beba da Volterra, uno degli assassinatori di Lorenzino, «il quale vantandosi di quel fatto, lo raccontava pur come un’azione gloriosa... Ed essi dal duca Cosmo non avendo voluto accettare la taglia, furono provvisionati con trecento scudi l’anno per ciascuno, e con titolo di capitani; onde di poi lietamente potessero vivere in Volterra, e trionfare del prezzo del sangue».

296.Il Segni, che pur è benevolo a Cosmo, narra nel lib. xii d’aver molto bene conosciuto Beba da Volterra, uno degli assassinatori di Lorenzino, «il quale vantandosi di quel fatto, lo raccontava pur come un’azione gloriosa... Ed essi dal duca Cosmo non avendo voluto accettare la taglia, furono provvisionati con trecento scudi l’anno per ciascuno, e con titolo di capitani; onde di poi lietamente potessero vivere in Volterra, e trionfare del prezzo del sangue».

297.Relazione dell’ambasciador veneto Fedeli. Questo racconta che, mentre in consiglio si dibatteva sul partito da scegliersi, un soldato che stava di guardia tirò a un colombo sulla torre del palazzo, e il popolo applaudì a quella botta con tal rombazzo, che i quarantotto adunati credettero la città sollevata, e fretta e furia risolsero per Cosmo.

297.Relazione dell’ambasciador veneto Fedeli. Questo racconta che, mentre in consiglio si dibatteva sul partito da scegliersi, un soldato che stava di guardia tirò a un colombo sulla torre del palazzo, e il popolo applaudì a quella botta con tal rombazzo, che i quarantotto adunati credettero la città sollevata, e fretta e furia risolsero per Cosmo.

298.— L’altro giorno venne a bottega mia quello de’ Bettini, e... mi disse come Cosimo de’ Medici era fatto duca, ma ch’egli era fatto con certe condizioni, le quali l’avrebbon tenuto che egli non avesse potuto isvolazzare a suo modo. Allora toccò a me ridermi di loro, e dissi: Codesti uomini di Firenze hanno messo un giovane sopra un maraviglioso cavallo; poi gli hanno messo gli sproni e datogli la briglia in mano in sua libertà, e messolo sopra un bellissimo campo, dove sono fiori e frutti e moltissime delizie; poi gli hanno detto ch’ei non passi certi contrassegnati termini. Or ditemi voi chi è quello che tener lo possa quand’egli passar li voglia? Le leggi non si possono dare a chi è padrone di esse».Benvenuto Cellini,Vita. — A questo punto finisce la storia del Varchi.

298.— L’altro giorno venne a bottega mia quello de’ Bettini, e... mi disse come Cosimo de’ Medici era fatto duca, ma ch’egli era fatto con certe condizioni, le quali l’avrebbon tenuto che egli non avesse potuto isvolazzare a suo modo. Allora toccò a me ridermi di loro, e dissi: Codesti uomini di Firenze hanno messo un giovane sopra un maraviglioso cavallo; poi gli hanno messo gli sproni e datogli la briglia in mano in sua libertà, e messolo sopra un bellissimo campo, dove sono fiori e frutti e moltissime delizie; poi gli hanno detto ch’ei non passi certi contrassegnati termini. Or ditemi voi chi è quello che tener lo possa quand’egli passar li voglia? Le leggi non si possono dare a chi è padrone di esse».Benvenuto Cellini,Vita. — A questo punto finisce la storia del Varchi.

299.Appare evidente dai documenti soggiunti da Giovan Battista Niccolini alla tragedia suFilippo Strozzi, e specialmente dalla lettera di Francesco Vettori, 15 gennajo 1537. Al 6 luglio 1536 re Francesco I scriveva e mandava per uomo espresso a Filippo Strozzi, esibendosi a tutto: — Io credo che voi sapete assai il desiderio ed affezione che vi porto, non solamente a voi e a tutti quelli di vostra casa ed alleati, ma eziandio a tutte le cose pubbliche di Fiorenza. Di presente essendo le cose ridotte al punto che si trovano, io ho voluto spedire Emilio Ferretti acciò di sapere da voi e dagli amici vostri se ci sarà loco e modo dove possa io fare qualche cosa tanto per voi quanto per loro e la repubblica di Fiorenza; pregandovi avvertirmene amplissimamente per mezzo suo, e di quello vi parrà si potrà e dovrà fare a quel punto. E potete esser sicuro che facendomelo sapere, mi c’impegnerò di tal modo, che voi conoscerete chiaramente quanto desidero fare per voi, per vostri amici, e in conseguenza per la libertà di Fiorenza».

299.Appare evidente dai documenti soggiunti da Giovan Battista Niccolini alla tragedia suFilippo Strozzi, e specialmente dalla lettera di Francesco Vettori, 15 gennajo 1537. Al 6 luglio 1536 re Francesco I scriveva e mandava per uomo espresso a Filippo Strozzi, esibendosi a tutto: — Io credo che voi sapete assai il desiderio ed affezione che vi porto, non solamente a voi e a tutti quelli di vostra casa ed alleati, ma eziandio a tutte le cose pubbliche di Fiorenza. Di presente essendo le cose ridotte al punto che si trovano, io ho voluto spedire Emilio Ferretti acciò di sapere da voi e dagli amici vostri se ci sarà loco e modo dove possa io fare qualche cosa tanto per voi quanto per loro e la repubblica di Fiorenza; pregandovi avvertirmene amplissimamente per mezzo suo, e di quello vi parrà si potrà e dovrà fare a quel punto. E potete esser sicuro che facendomelo sapere, mi c’impegnerò di tal modo, che voi conoscerete chiaramente quanto desidero fare per voi, per vostri amici, e in conseguenza per la libertà di Fiorenza».

300.Il Cambi scrive: — Addì 19 di maggio 1524 si azzuffarono i Pistoiesi,come sono usitati; per modo che i Panciatichi cacciarono fuori i Cancellieri della città; e fuvvi morto da dieci cittadini ecc.».

300.Il Cambi scrive: — Addì 19 di maggio 1524 si azzuffarono i Pistoiesi,come sono usitati; per modo che i Panciatichi cacciarono fuori i Cancellieri della città; e fuvvi morto da dieci cittadini ecc.».

301.Filippo n’avea offerti al Vitelli cinquantamila scudi: esso ne voleva sessantamila, tutti in denari contanti. Dietro al Filippo Strozzi del Niccolini si stamparono le trattative pel riscatto di Filippo. Il sunto delle ragioni sta in queste parole di lui, ove al cardinale Salviati raccomanda di far presente a sua maestà e al Medici che «la morte mia dispera sette figli, i quali restano con non poche facoltà; offende tutta la famiglia degli Strozzi, che è la più numerosa di questa città, e tutti li parenti che sono di qualità; disordina e scompiglia una città che ha necessità di essere riordinata; e finalmente che il trarre più sangue a questo infermo che ha bisogno di ristoro infinito, saria estremo errore e passione e non ragione».Quelle lautissime esibizioni spiacevane a Pietro Strozzi, ch’era fuggito e che poi divenne maresciallo; e ai fratelli scriveva: — Ci troveremo senza il padre, poveri, ruinati della riputazione. Nostro padre non pensa più nè a roba nè a figliuoli, ed offre le più esorbitanti e vituperose cose che mai s’udissino; scrive che vuole piuttosto viver povero che morire ricco; certo voce degna d’un uomo che abbia sette figliuoli!... e dice tante altre coglionerie, che credo certo vi morreste dal dolore vedendole». 21 febbrajo. Filippo se ne scagionava, e secondo suo stile diceva averle offerte solo perchè Cosmo non avrebbe mai voluto dare sì grossa taglia, e perciò non l’otterrebbe dal Vitelli; ma del resto «non pensai mai pagare tale taglia, sapendo non potere se non con vendere quanto ho al mondo, e restare poi mendico, vituperato e non libero; il che non farei mai, eleggendo prima morire». 8 marzo. Di Pietro diceva Filippo nel testamento: — Piero mio si è portato dopo la mia cattura tanto empiamente, che si può con verità dire ch’io perisco per sua colpa».

301.Filippo n’avea offerti al Vitelli cinquantamila scudi: esso ne voleva sessantamila, tutti in denari contanti. Dietro al Filippo Strozzi del Niccolini si stamparono le trattative pel riscatto di Filippo. Il sunto delle ragioni sta in queste parole di lui, ove al cardinale Salviati raccomanda di far presente a sua maestà e al Medici che «la morte mia dispera sette figli, i quali restano con non poche facoltà; offende tutta la famiglia degli Strozzi, che è la più numerosa di questa città, e tutti li parenti che sono di qualità; disordina e scompiglia una città che ha necessità di essere riordinata; e finalmente che il trarre più sangue a questo infermo che ha bisogno di ristoro infinito, saria estremo errore e passione e non ragione».

Quelle lautissime esibizioni spiacevane a Pietro Strozzi, ch’era fuggito e che poi divenne maresciallo; e ai fratelli scriveva: — Ci troveremo senza il padre, poveri, ruinati della riputazione. Nostro padre non pensa più nè a roba nè a figliuoli, ed offre le più esorbitanti e vituperose cose che mai s’udissino; scrive che vuole piuttosto viver povero che morire ricco; certo voce degna d’un uomo che abbia sette figliuoli!... e dice tante altre coglionerie, che credo certo vi morreste dal dolore vedendole». 21 febbrajo. Filippo se ne scagionava, e secondo suo stile diceva averle offerte solo perchè Cosmo non avrebbe mai voluto dare sì grossa taglia, e perciò non l’otterrebbe dal Vitelli; ma del resto «non pensai mai pagare tale taglia, sapendo non potere se non con vendere quanto ho al mondo, e restare poi mendico, vituperato e non libero; il che non farei mai, eleggendo prima morire». 8 marzo. Di Pietro diceva Filippo nel testamento: — Piero mio si è portato dopo la mia cattura tanto empiamente, che si può con verità dire ch’io perisco per sua colpa».

302.— Più certa fama in fra pochi fa che il Filippo fosse stato scannato per ordine del castellano o del marchese Del Vasto, che gli avevano promesso di non darlo in mano del duca; i quali, intesa la risoluzione dell’imperatore che voleva compiacere il duca Cosimo, l’avevano fatto scannare, e fatto ire fuora voce che da se stesso si fosse ammazzato».Segni, lib.IX.

302.— Più certa fama in fra pochi fa che il Filippo fosse stato scannato per ordine del castellano o del marchese Del Vasto, che gli avevano promesso di non darlo in mano del duca; i quali, intesa la risoluzione dell’imperatore che voleva compiacere il duca Cosimo, l’avevano fatto scannare, e fatto ire fuora voce che da se stesso si fosse ammazzato».Segni, lib.IX.

303.Niccolini, nella vita dello Strozzi che precede la tragedia mentovata. Si aggiunse d’una carta trovatagli, intitolataDeo liberatori, e con una proclamazione, che fu esercizio, giacchè ciascuno la reca diversa. È notevole la sua preghiera a Dio, acciocchè all’anima sua «se altro bene dare non vuole, le dia almeno quel luogo dove Catone Uticese ed altri simili virtuosi uomini che hanno fatto tal fine».

303.Niccolini, nella vita dello Strozzi che precede la tragedia mentovata. Si aggiunse d’una carta trovatagli, intitolataDeo liberatori, e con una proclamazione, che fu esercizio, giacchè ciascuno la reca diversa. È notevole la sua preghiera a Dio, acciocchè all’anima sua «se altro bene dare non vuole, le dia almeno quel luogo dove Catone Uticese ed altri simili virtuosi uomini che hanno fatto tal fine».

304.Del Migliore, nellaFirenze illustrata, annovera le famiglie magnatizie che allora migrarono.

304.Del Migliore, nellaFirenze illustrata, annovera le famiglie magnatizie che allora migrarono.

305.Da un figlio naturale di Francesco I Sforza derivarono i conti di Borgonuovo, finiti nel 1680. Da uno di Lodovico Moro i marchesi di Caravaggio, finiti nel 1697. Francesco avea avuti due fratelli: Alessandro ebbe nel 1445 la signoria di Pesaro, che poi Galeazzo, ultimo suo discendente, rinunziò al papa nel 1512; Bosio, la signoria di Castell’Arquato, e sposando nel 1439 Cecilia, erede del conte Guido degli Aldobrandeschi, per lei ereditò la ricchissima contea di Santa Fiora in Toscana, da Mario Sforza venduta poi nel 1633 al granduca. Suo nipote Federico sposò nel 1673 Livia Cesarini, donde i duchi romani Sforza-Cesarini.

305.Da un figlio naturale di Francesco I Sforza derivarono i conti di Borgonuovo, finiti nel 1680. Da uno di Lodovico Moro i marchesi di Caravaggio, finiti nel 1697. Francesco avea avuti due fratelli: Alessandro ebbe nel 1445 la signoria di Pesaro, che poi Galeazzo, ultimo suo discendente, rinunziò al papa nel 1512; Bosio, la signoria di Castell’Arquato, e sposando nel 1439 Cecilia, erede del conte Guido degli Aldobrandeschi, per lei ereditò la ricchissima contea di Santa Fiora in Toscana, da Mario Sforza venduta poi nel 1633 al granduca. Suo nipote Federico sposò nel 1673 Livia Cesarini, donde i duchi romani Sforza-Cesarini.

306.Paolo Giovio, lib.XL. — Anche Gregorio Leti taccia Carlo V d’essere fuggito dinanzi a Solimano, conducendosi in Italia per la via più breve. La cosa è pure attestata da un bel documento inserito neiDiarjmanoscritti di Marin Sanuto, che giova riferire come prova dell’insubordinazione delle truppe d’allora: — Non volevano (le soldatesche italiane) andare in Ungaria a morir di fame. E cussì il signor marchese del Vasto volendo risolvere e aver l’opinion di queste fanterie italiane, avendoli tutti ceduti alli soi colonnelli, e passando lui per mezzo loro colonnelli, dimandò qual voleva restar in Ungaria e quali retonar in Italia; dove per uno fante discalzo e ragazzone fu scomenzato a risponder,Italia Italia, andar andar; e cussì in un atimo, come sol succedere nelle guerre e campi; e il desiderio di repatriar, e li mali pagamenti, la carestia del viver, la dubitazione de morir in Ungaria e non poder più venire in Italia, la mala natura dei oltramontani dall’Italiani contraria, fu precipuo e principal fondamento che tutti Italiani con grandissimo strepito comenzorono a cridarItalia Italia, andar andar; e cussi in ordine se posero in cammino a dispetto dello imperatore e marchese del Vasto e delli soi capi, ali quali più volte li archibusi le fece angustia e paura, che tre delli soi colonnelli amazarono, e costituetono tre altri e novi capi, sotto il governo delli quali vennero avanti lo imperatore, caminando in un giorno leghe sei che son miglia sessanta; e cussì sino alla Chiusa sono venuti in ordinanza; e perchè non trovavano vittuaglie e volevano intertenerli, brusavano, amazavano, sachizavano, strapazavano li preti, e vergognavano le donne. Ma sopratutto ad un locho, se adimanda la Trevisana, per esser stato amazato alcuni capitani e gentilomini che venivano avanti, hanno brusato e fato quel più male hanno potuto, talchè dubito se ha rinovato l’odio ed inimicizie antiche dei oltramontani con Italiani. A Vilach a stafeta, per dirupi e vie insolite, arrivò innanzi al capitano Ponte, ministro del campo cesareo, mandato in diligenza da Cesare per intertenerli lì a quel passo, o con bone parole overo per forza; dove non potè far cosa alcuna nè con promission di darli denari, e manco per forza, che scomenzorono a brusar il burgo, dove avevano el passo, e per tre giorni continui fino alo arrivar alla Chiusa hanno vissuto di radici; e arrivati suso al Stato nostro, vedendo le buone preparazion di vittuaglie ed essere intesi, scomenzorono a cridarMarco Marco, Italia Italia, dicendo che, se si credessero ciascun di loro acquistar un imperio, non torneria in quella parte, che li mancava e denari e vittuaglie, e quando domandavan pane, overo vino, tutti respondevanoNicht Furtecc.».

306.Paolo Giovio, lib.XL. — Anche Gregorio Leti taccia Carlo V d’essere fuggito dinanzi a Solimano, conducendosi in Italia per la via più breve. La cosa è pure attestata da un bel documento inserito neiDiarjmanoscritti di Marin Sanuto, che giova riferire come prova dell’insubordinazione delle truppe d’allora: — Non volevano (le soldatesche italiane) andare in Ungaria a morir di fame. E cussì il signor marchese del Vasto volendo risolvere e aver l’opinion di queste fanterie italiane, avendoli tutti ceduti alli soi colonnelli, e passando lui per mezzo loro colonnelli, dimandò qual voleva restar in Ungaria e quali retonar in Italia; dove per uno fante discalzo e ragazzone fu scomenzato a risponder,Italia Italia, andar andar; e cussì in un atimo, come sol succedere nelle guerre e campi; e il desiderio di repatriar, e li mali pagamenti, la carestia del viver, la dubitazione de morir in Ungaria e non poder più venire in Italia, la mala natura dei oltramontani dall’Italiani contraria, fu precipuo e principal fondamento che tutti Italiani con grandissimo strepito comenzorono a cridarItalia Italia, andar andar; e cussi in ordine se posero in cammino a dispetto dello imperatore e marchese del Vasto e delli soi capi, ali quali più volte li archibusi le fece angustia e paura, che tre delli soi colonnelli amazarono, e costituetono tre altri e novi capi, sotto il governo delli quali vennero avanti lo imperatore, caminando in un giorno leghe sei che son miglia sessanta; e cussì sino alla Chiusa sono venuti in ordinanza; e perchè non trovavano vittuaglie e volevano intertenerli, brusavano, amazavano, sachizavano, strapazavano li preti, e vergognavano le donne. Ma sopratutto ad un locho, se adimanda la Trevisana, per esser stato amazato alcuni capitani e gentilomini che venivano avanti, hanno brusato e fato quel più male hanno potuto, talchè dubito se ha rinovato l’odio ed inimicizie antiche dei oltramontani con Italiani. A Vilach a stafeta, per dirupi e vie insolite, arrivò innanzi al capitano Ponte, ministro del campo cesareo, mandato in diligenza da Cesare per intertenerli lì a quel passo, o con bone parole overo per forza; dove non potè far cosa alcuna nè con promission di darli denari, e manco per forza, che scomenzorono a brusar il burgo, dove avevano el passo, e per tre giorni continui fino alo arrivar alla Chiusa hanno vissuto di radici; e arrivati suso al Stato nostro, vedendo le buone preparazion di vittuaglie ed essere intesi, scomenzorono a cridarMarco Marco, Italia Italia, dicendo che, se si credessero ciascun di loro acquistar un imperio, non torneria in quella parte, che li mancava e denari e vittuaglie, e quando domandavan pane, overo vino, tutti respondevanoNicht Furtecc.».

307.Al fine del 1300 i villani del Vallese, della Tarantasia, del Vercellese e più del Canavese si sollevarono contro i nobili; le valli di Brozzo e di Pont formarono un’estesa cospirazione, e fecero strazio de’ beni, de’ castelli, dell’onore, dei castellani e delle mogli e figlie loro, e quasi un secolo durò il movimento.

307.Al fine del 1300 i villani del Vallese, della Tarantasia, del Vercellese e più del Canavese si sollevarono contro i nobili; le valli di Brozzo e di Pont formarono un’estesa cospirazione, e fecero strazio de’ beni, de’ castelli, dell’onore, dei castellani e delle mogli e figlie loro, e quasi un secolo durò il movimento.

308.Una cronaca contemporanea di Rivoli racconta che molti si chiusero nel campanile; ma i Francesi poser fuoco ad una catasta di legna là vicina; onde i rinchiusi sarebbervi soffocati : se non si fossero calati per le corde delle campane. Ma queste non giungendo fin a terra, doveano saltare, fiaccandosi la persona. Una madre si calò a questo modo portando un figliolino pel braccio, l’altro tenendo per le fasce coi denti.

308.Una cronaca contemporanea di Rivoli racconta che molti si chiusero nel campanile; ma i Francesi poser fuoco ad una catasta di legna là vicina; onde i rinchiusi sarebbervi soffocati : se non si fossero calati per le corde delle campane. Ma queste non giungendo fin a terra, doveano saltare, fiaccandosi la persona. Una madre si calò a questo modo portando un figliolino pel braccio, l’altro tenendo per le fasce coi denti.

309.Matteo Dandolo, andando per la Signoria veneta ambasciadore in Francia, visitava il duca di Savoja in Vercelli, quasi unica città rimastagli. «Io non so se veramente egli si possa chiamare non che duca, signor di Vercelli, essendo anche questa città, ov’egli abita, in guardia de’ Spagnuoli, e così stretta, che li miei servitori che conducevano le mie cavalcature non vi furono lasciati entrare, ma furon fatti alloggiare di fuori, siccome par che facciano di quasi tutti forestieri».Relaz. degli ambasciatori veneti, serie 1ª, vol.II. p. 62.Esso Carlo diceva al Muzio: — Ho due granmastri di casa, l’imperatore e il re, che governano il mio, ma senza rendermene ragione».Avvertimenti morali.

309.Matteo Dandolo, andando per la Signoria veneta ambasciadore in Francia, visitava il duca di Savoja in Vercelli, quasi unica città rimastagli. «Io non so se veramente egli si possa chiamare non che duca, signor di Vercelli, essendo anche questa città, ov’egli abita, in guardia de’ Spagnuoli, e così stretta, che li miei servitori che conducevano le mie cavalcature non vi furono lasciati entrare, ma furon fatti alloggiare di fuori, siccome par che facciano di quasi tutti forestieri».Relaz. degli ambasciatori veneti, serie 1ª, vol.II. p. 62.

Esso Carlo diceva al Muzio: — Ho due granmastri di casa, l’imperatore e il re, che governano il mio, ma senza rendermene ragione».Avvertimenti morali.

310.Cibrario,Origine delle istituzioni di Savoja, pag. 136.

310.Cibrario,Origine delle istituzioni di Savoja, pag. 136.

311.VediNégociations de la France dans le Levant, 1854, raccolti da Charrière. Solimano aveva concertato di assalire Otranto; ma venutone in vista e non trovatovi la flotta francese, diè volta.Il signor Michelet, nel libro intitolatoRéforme, misto di profondo e di buffo, dogmatico a forza di dubbio, e con uno stile tutto a sorprese, imputa della negligenza quei che in corte favorivano il papa contro il Turco e l’eresia; domanda se sarebbe stato un male che i Turchi occupassero il regno di Napoli, e risponde di no, perchè, come nella Cina, i conquistatori sarebbero stati inciviliti dai vinti, e il Turco sarebbesi ridotto europeo. Quasi ciò fosse avvenuto in Grecia e in quattrocento anni d’occupazione! Ma il professore parigino è accecato dal desiderio di veder abbattuto il cattolicismo.Per un altro principio, la legalità, il nostro Giannone giustifica le continue correrie e le conquiste de’ Turchi in Italia, perchè, avendo essi conquiso Costantinopoli, divenivano legittimi eredi dell’impero orientale, e quindi de’ diritti di questo sull’Italia meridionale!!

311.VediNégociations de la France dans le Levant, 1854, raccolti da Charrière. Solimano aveva concertato di assalire Otranto; ma venutone in vista e non trovatovi la flotta francese, diè volta.

Il signor Michelet, nel libro intitolatoRéforme, misto di profondo e di buffo, dogmatico a forza di dubbio, e con uno stile tutto a sorprese, imputa della negligenza quei che in corte favorivano il papa contro il Turco e l’eresia; domanda se sarebbe stato un male che i Turchi occupassero il regno di Napoli, e risponde di no, perchè, come nella Cina, i conquistatori sarebbero stati inciviliti dai vinti, e il Turco sarebbesi ridotto europeo. Quasi ciò fosse avvenuto in Grecia e in quattrocento anni d’occupazione! Ma il professore parigino è accecato dal desiderio di veder abbattuto il cattolicismo.

Per un altro principio, la legalità, il nostro Giannone giustifica le continue correrie e le conquiste de’ Turchi in Italia, perchè, avendo essi conquiso Costantinopoli, divenivano legittimi eredi dell’impero orientale, e quindi de’ diritti di questo sull’Italia meridionale!!

312.In quell’isola la chiesa di San Giovanni vuolsi disegno del fiorentino Arnolfo, continuata poi da tutti i granmaestri dell’Ordine. Per noi trovammo memorevole il sepolcro di Fabrizio Del Carretto,urbis instaurator et ad publicam utilitatem per septennium rector, morto il 1521.

312.In quell’isola la chiesa di San Giovanni vuolsi disegno del fiorentino Arnolfo, continuata poi da tutti i granmaestri dell’Ordine. Per noi trovammo memorevole il sepolcro di Fabrizio Del Carretto,urbis instaurator et ad publicam utilitatem per septennium rector, morto il 1521.

313.Sarebbesi voluto levare il decimo de’ frutti per cinque anni, invece de’ quali il papa offriva un milione di ducati d’oro. Adunque esso decimo doveva essere per lo meno di ducento mila ducati, cioè la rendita annua de’ beni del clero superava i due milioni di ducati. Ingente possesso!

313.Sarebbesi voluto levare il decimo de’ frutti per cinque anni, invece de’ quali il papa offriva un milione di ducati d’oro. Adunque esso decimo doveva essere per lo meno di ducento mila ducati, cioè la rendita annua de’ beni del clero superava i due milioni di ducati. Ingente possesso!

314.Questo, già generale de’ Veneziani, aveva un castello presso Agen, in Francia, e a lui e sua moglie Costanza Rangoni largheggia encomj Matteo Bandello, il quale avendo avuto la sua casa in Milano bruciata dagli Spagnuoli, erasi rifuggito presso di loro. Morto Cesare, re Enrico diede al Bandello il vescovado di Agen, riservando metà dei frutti per Ettore Fregoso, figlio dell’estinto.

314.Questo, già generale de’ Veneziani, aveva un castello presso Agen, in Francia, e a lui e sua moglie Costanza Rangoni largheggia encomj Matteo Bandello, il quale avendo avuto la sua casa in Milano bruciata dagli Spagnuoli, erasi rifuggito presso di loro. Morto Cesare, re Enrico diede al Bandello il vescovado di Agen, riservando metà dei frutti per Ettore Fregoso, figlio dell’estinto.

315.Il duca di Savoja fece battere medaglie col titoloNicea a Turcis et Gallis obsessa.

315.Il duca di Savoja fece battere medaglie col titoloNicea a Turcis et Gallis obsessa.

316.Marano era stata occupata da Massimiliano nella guerra della lega di Cambrai, e non la volle restituire nella pace. Pietro Strozzi nel 1542 la sorprese con una sua masnada; e intimatogli di lasciarla, rispose la darebbe piuttosto al Turco che all’Austria. I Veneziani risolsero allora comprarla da lui per trentacinquemila ducati; ma ecco l’imperatore querelarsene, e pretendere settantacinquemila ducati per indennità. Il senato rassegnavasi a questo sacrifizio, ma voleva s’acconciassero contemporaneamente altre divergenze di confini nell’Istria e nei Friuli; onde vennero lunghissime dispute.

316.Marano era stata occupata da Massimiliano nella guerra della lega di Cambrai, e non la volle restituire nella pace. Pietro Strozzi nel 1542 la sorprese con una sua masnada; e intimatogli di lasciarla, rispose la darebbe piuttosto al Turco che all’Austria. I Veneziani risolsero allora comprarla da lui per trentacinquemila ducati; ma ecco l’imperatore querelarsene, e pretendere settantacinquemila ducati per indennità. Il senato rassegnavasi a questo sacrifizio, ma voleva s’acconciassero contemporaneamente altre divergenze di confini nell’Istria e nei Friuli; onde vennero lunghissime dispute.

317.La famiglia Birago milanese era durata fedele ai Francesi; e ripristinati gli Sforza, ricoverò in Francia. Renato vi ebbe grandi favori da Francesco I, che lo fece consigliere del parlamento di Parigi, poi presidente di quel di Torino, governatore del Lionese, e lo deputò al concilio di Trento. Carlo IX lo nominò guardasigilli, e si asserisce sia stato principal consigliatore della strage del San Bartolomeo. I Francesi estesero anche a lui l’odio che portavano a Caterina, e lo davano per famoso avvelenatore. Il capitano La Vergerie avendo detto che gl’Italiani erano la ruina della Francia e bisognava sterminarli, esso lo fece appiccare e squartare. Pure lo storico De Thou lo dà per generoso, prudente, tutto candore; e Papiro Masson ne stese un ampio elogio. Si oppose a Enrico III quando questi volle cedere al duca di Savoja le città di Pinerolo e Savigliano. Rimasto vedovo, fu ornato cardinale nel 1558, nella qual occasione diede una festa dove intervennero il re e la regina; un’altra scialosa ne diede pel battesimo del figlio d’un suo nipote, dov’erano due lunghe tavole, coperte di mille ducento piatti di majolica con confetti e droghe, disposte a piramidi, a castelli e in altre figure; e tutto il vasellame fu mandato a pezzi. Come Enrico III, apparteneva alla confraternita de’ Disciplini, e con quello e coi principi e grandi girava per le strade di Parigi, vestito di sacco e col volto coperto. Suo nipote Flaminio Birago scrisse poesie francesi. Altri di quel cognome ebber cariche e onori in Francia.Governatore del Piemonte per re Francesco fu il signore di Bellay-Longeay, che scrisse leOgdoadi, a imitazione delleDechedi Tito Livio.

317.La famiglia Birago milanese era durata fedele ai Francesi; e ripristinati gli Sforza, ricoverò in Francia. Renato vi ebbe grandi favori da Francesco I, che lo fece consigliere del parlamento di Parigi, poi presidente di quel di Torino, governatore del Lionese, e lo deputò al concilio di Trento. Carlo IX lo nominò guardasigilli, e si asserisce sia stato principal consigliatore della strage del San Bartolomeo. I Francesi estesero anche a lui l’odio che portavano a Caterina, e lo davano per famoso avvelenatore. Il capitano La Vergerie avendo detto che gl’Italiani erano la ruina della Francia e bisognava sterminarli, esso lo fece appiccare e squartare. Pure lo storico De Thou lo dà per generoso, prudente, tutto candore; e Papiro Masson ne stese un ampio elogio. Si oppose a Enrico III quando questi volle cedere al duca di Savoja le città di Pinerolo e Savigliano. Rimasto vedovo, fu ornato cardinale nel 1558, nella qual occasione diede una festa dove intervennero il re e la regina; un’altra scialosa ne diede pel battesimo del figlio d’un suo nipote, dov’erano due lunghe tavole, coperte di mille ducento piatti di majolica con confetti e droghe, disposte a piramidi, a castelli e in altre figure; e tutto il vasellame fu mandato a pezzi. Come Enrico III, apparteneva alla confraternita de’ Disciplini, e con quello e coi principi e grandi girava per le strade di Parigi, vestito di sacco e col volto coperto. Suo nipote Flaminio Birago scrisse poesie francesi. Altri di quel cognome ebber cariche e onori in Francia.

Governatore del Piemonte per re Francesco fu il signore di Bellay-Longeay, che scrisse leOgdoadi, a imitazione delleDechedi Tito Livio.

318.Uberto Foglietta, in un’orazione a propria difesa, rivela le discordie e l’arroganza degli aristocratici:Sed quid ego ut sanguinem misceant loquor, cum nobiles ab ipsa popularium consuetudine abhorreant, se seque ab eorum aditu, congressu, sermone sejungant, illosque devitent, perinde quasi illorum contactu se polluere ac contagione contaminare formident? Quare, separata loca et compita habent, in quæ utriusque corporis juventus conveniat, cum alteri alterius corporis homines excludant. Quin etiam, cum forum unum esse, in quod omnes cives convenient; necesse sit, ratione quadam assequuti sunt, ut forum ipsum dividant, ac duo fora prope faciant: duæ enim sunt porticus, in quas alteri ab alterius corporis hominibus separati conveniunt. Eadem quoque distinctio in juventutis sodalitatibus servatur, quarum multas nobiles instituerunt; in quas neminem unquam ex popularibus acceperunt, cum nonnulli, privatis necessitudinibus illis conjuncti, se admitti postulassent, sed ad repulsæ injuriam, verborum quoque contumelias addiderunt, cum se degenerum sodalitate commaculaturos negarent. Jam vero, cum ad animos hominum accendendos major sit contemptus, quam injuriarum irritatio, dii immortales quam despecti ab istis nostris nobilibus sumus, quam illi a nobis abhorrent, quam nos auribus et animis respuunt, quam contemptim de nobis loquuntur, in quanta convicia, linguæ intemperantia provehuntur, cum nos degeneres et rusticanos, non modo Genuæ, sed in aliis civitatibus appellant, per inde quasi deorum genus, atque e cœlo delapsi ipsi sint; exterosque, simulatque de aliquo ex nobis incidit sermo, etiamsi alias res longe agatur, sedulo admoneant, hominem illum degenerem et ex infima plebe esse, nobilitateque sibi haudquaquam, comparandum: neque sentiunt, se risui plerumque exteris esse, quos non pudeat fœnus ac sordidiores quæstus exercentes, nobilitatis nomine, quam comprimere deberent, se commendare, haud ullam animæ nobilitatis mentionem facere. Anecdota Uberti Folieta.Genova 1838.

318.Uberto Foglietta, in un’orazione a propria difesa, rivela le discordie e l’arroganza degli aristocratici:Sed quid ego ut sanguinem misceant loquor, cum nobiles ab ipsa popularium consuetudine abhorreant, se seque ab eorum aditu, congressu, sermone sejungant, illosque devitent, perinde quasi illorum contactu se polluere ac contagione contaminare formident? Quare, separata loca et compita habent, in quæ utriusque corporis juventus conveniat, cum alteri alterius corporis homines excludant. Quin etiam, cum forum unum esse, in quod omnes cives convenient; necesse sit, ratione quadam assequuti sunt, ut forum ipsum dividant, ac duo fora prope faciant: duæ enim sunt porticus, in quas alteri ab alterius corporis hominibus separati conveniunt. Eadem quoque distinctio in juventutis sodalitatibus servatur, quarum multas nobiles instituerunt; in quas neminem unquam ex popularibus acceperunt, cum nonnulli, privatis necessitudinibus illis conjuncti, se admitti postulassent, sed ad repulsæ injuriam, verborum quoque contumelias addiderunt, cum se degenerum sodalitate commaculaturos negarent. Jam vero, cum ad animos hominum accendendos major sit contemptus, quam injuriarum irritatio, dii immortales quam despecti ab istis nostris nobilibus sumus, quam illi a nobis abhorrent, quam nos auribus et animis respuunt, quam contemptim de nobis loquuntur, in quanta convicia, linguæ intemperantia provehuntur, cum nos degeneres et rusticanos, non modo Genuæ, sed in aliis civitatibus appellant, per inde quasi deorum genus, atque e cœlo delapsi ipsi sint; exterosque, simulatque de aliquo ex nobis incidit sermo, etiamsi alias res longe agatur, sedulo admoneant, hominem illum degenerem et ex infima plebe esse, nobilitateque sibi haudquaquam, comparandum: neque sentiunt, se risui plerumque exteris esse, quos non pudeat fœnus ac sordidiores quæstus exercentes, nobilitatis nomine, quam comprimere deberent, se commendare, haud ullam animæ nobilitatis mentionem facere. Anecdota Uberti Folieta.Genova 1838.

319.Secondo gli annali del vescovo Agostino Giustiniani, al principio del Cinquecento contenevano, la Liguria occidentale fuochi 31,457, o teste 125,828, calcolando solo quattro teste per fuoco; Genova e borghi 104,216; la Liguria orientale 22,088 famiglie, o teste 88,352; i paesi oltre Gioghi, 15,173.Ansaldo Grimaldi di Genova fece rifabbricare a proprie spese la chiesa di Santa Maria della Consolazione; e in una sola volta donò alle opere pie della città 75 mila scudi d’oro. Perciò ottenne franchigie perpetue e due statue nel 1536, una delle quali vedesi ancora nel palazzo di San Giorgio.

319.Secondo gli annali del vescovo Agostino Giustiniani, al principio del Cinquecento contenevano, la Liguria occidentale fuochi 31,457, o teste 125,828, calcolando solo quattro teste per fuoco; Genova e borghi 104,216; la Liguria orientale 22,088 famiglie, o teste 88,352; i paesi oltre Gioghi, 15,173.

Ansaldo Grimaldi di Genova fece rifabbricare a proprie spese la chiesa di Santa Maria della Consolazione; e in una sola volta donò alle opere pie della città 75 mila scudi d’oro. Perciò ottenne franchigie perpetue e due statue nel 1536, una delle quali vedesi ancora nel palazzo di San Giorgio.


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