APPENDICE VIII.DANTE ERETICO

APPENDICE VIII.DANTE ERETICO

Il concetto di Dante eretico fu ridesto dal signor Eugenio Aroux, che ne formò un’opera espressa, col titoloDante hérétique, révolutionnaire et socialiste; révélations d’un catholique sur le moyen-âge. Parigi 1854. L’opera è dedicata a Pio IXcomme une protestation contre l’erreur et le mensonge, que le génie même ne saurait absoudre. Mentre il silenzio stagna sulle opere italiane, le francesi sono proclamate in paese, echeggiate di fuori; e così avvenne di questa. Noi dirigemmo all’autore una lettera, che qui stimiamo opportuno riprodurre.

All’amico E. Aroux, Parigi.

Milano, 5febbrajo1854.

Mi permettete che, invece di storpiar la vostra bella lingua, io vi risponda nella mia e in quella del vostro Dante per ringraziarvi dell’invio del vostro libro? Ma ringraziarvi non basta, giacchè me pure metteste in causa; e, comunque cortesissimo, mi rinnovate il rimprovero già fattomi, nella vostra traduzione della miaStoria universale, d’aver io dichiarato «delirio o piuttosto capriccio» quel di due nostri Italiani che vollero dimostrar Dante eretico. Voi campeggiate perloro, e togliete a sostenere che tutte le opere di Dante sono esposizione ereticale, ed aspirazioni rivoluzionarie e socialiste.

È destino dei libri che divengono nazionali e popolari il trovarvi ciascuno ciò ch’e’ vuole; e non abbiam visto cercare nel Vangelo prove contro la divinità di Cristo, come altre volte cabalisti e alchimisti scoprivano nella Bibbia i numeri onnipotenti e la polvere di projezione? Primo ch’io sappia il padre Hardouin, che volle celebrità mediante i paradossi, nel 1727 sostenne che l’autore dellaDivina Commediafosse un impostore, seguace di dogmi eterodossi. Ugo Foscolo, trovata ospitalità fra gli Inglesi, a cui potea piacere un ascendente illustre nella gran negazione della unità cattolica, resuscitò quest’eresia di Dante, ma come un paradosso pruriginoso, senza corredo di prove. Il nostro amico Rossetti, sbalzato dalla patria a roder anch’egli il duro pane dell’esiglio fra gl’Inglesi, volle forse blandire a questi, neiMisteri dell’amor platonico, fecondando quel germe, e in cinque grandi volumi assunse che, non Dante solo, ma tutti i poeti erotici volevano cantar tutt’altro amore da quello ch’esprimevano: assunto pio per salvare que’ begli ingegni dalla taccia d’essersi logorati in cantar begli occhi, sen di neve e treccie d’oro. Anche Graul, ministro protestante che nel 1848 stampò a Lipsia una traduzione tedesca dell’Inferno, vuole a tutt’uomo dimostrare che Dante sviava dal dogma cattolico, e nelveltroravvisa Lutero, al quale corrispondono perfino le lettere del nome. Voi vi valete di tutti, e venendo a mezza spada, e colla sicurezza che vi danno la conoscenza d’un poeta che avete con tanta abilità tradotto, e un’erudizione estesissima, dedotta dalle fonti più diverse, assalite Dante quasi avesse voluto dimostrare che la supremazia papale è il regno visibile diSatana. Chi vorrà rivedervi il pelo, potrà appuntare errori di particolarità e sovrattutto di quegli eccessi che son forse inevitabili in chi toglie a sostenere una tesi distaccata dal senso ordinario. Che monta? Non la mancanza di difetti, ma l’abbondanza di meriti rende vitale un libro; e il vostro gli ha: ma voi stesso m’insegnate chela plus grande preuve d’estime, qu’on puisse donner à ses amis, c’est de leur dire la vérité.

Vi ricordate del Biagioli, pedantesco ammiratore di Dante, che portando costà a battezzare un suo neonato, voleva mettergli nome Dante; e chiedendogli il parroco se san Dante ci fosse, — Se vi sia un Dante santo io nol so; so che v’è il dio Dante». Voi invece me ne fate un Dante satana, e trovateignorance, prévention, esprit de parti, mauvaise foiin chi leggermente ripudia questa tesi. Io mi confesso francamente fra questi; onde vi tengo obbligato a permettermi che, senza sentirmi a gran pezza capace di lottar con voi di argomenti, vi opponga alcunipregiudizj legittimi.

E in prima, ella è regola del processo inglese, e dovrebb’essere d’ogni buona legislazione, il non aggravare un imputato finchè non siano esausti gli argomenti in suo favore. Or bene; noi cattolici crediamo al Testamento vecchio e al nuovo; ma poichè questi sono lettera morta e bisognano di supplemento e d’interpretazione, ci atteniamo alla tradizione della Chiesa e alla decisione dei papi. Uno dunque che c’intimasse di credere nella Bibbia e al papa se vogliamo esser salvi, e di non abbandonarci al senso individuale, lo pensereste voi perfetto ortodosso? Ebbene, gli è quello appunto che usa Dante, facendo ai Cristiani intimare da Beatrice:

Avete il vecchio e il nuovo TestamentoE il pastor della Chiesa che vi guida;Questo vi basti a vostro salvamento...Non fate come agnel che lascia il latteDella sua madre, e semplice e lascivoSeco medesmo a suo piacer combatte.

Avete il vecchio e il nuovo TestamentoE il pastor della Chiesa che vi guida;Questo vi basti a vostro salvamento...Non fate come agnel che lascia il latteDella sua madre, e semplice e lascivoSeco medesmo a suo piacer combatte.

Avete il vecchio e il nuovo Testamento

E il pastor della Chiesa che vi guida;

Questo vi basti a vostro salvamento...

Non fate come agnel che lascia il latte

Della sua madre, e semplice e lascivo

Seco medesmo a suo piacer combatte.

Io corsi avidamente alla spiegazione di questi versi nella bizzarra analisi, onde passo passo voi accompagnate quella che chiamateCommedia del cattolicismo, per vedere come questo passo decisivo interpretavate. Tenendo i due Testamenti, che abbiamo comuni cogli eretici, voi dite che perpastor della Chiesavuolsi intendere il capo di quell’arcana religione, di quella framassoneria di cui Dante era adepto non solo, ma apostolo. Eppure la parola dipastoreè da lui applicata sempre ai papi, sia quando li chiamain veste di pastor lupi rapaci; sia quando intima,di voi pastor s’accorse il vangelista; sia quando si lamenta che sia usurpata percolpa del pastorla giustizia di Firenze.

Quel medioevo, che da taluni vuolsi dipingere sentina di vizj e dormitorio di servilità, esaminò, discusse, negò: e voi trionfalmente l’avete mostrato. Ma corre gran divario tra scoprire le piaghe d’un malato, e ucciderlo; tra dichiarare che una casa è scassinata e ha bisogno di rinfianchi, e il darvi d’urto per abbatterla; insomma tra riformare la Chiesa e distruggerla. Vero è che anche nel primo uffizio si può errare sino all’eresia; e al tempo di Dante i Fraticelli erano monaci, buttatisi a straordinario rigor di vita, e che pretendevano dover la Chiesa deporre il lusso e le ricchezze per tornare alla indotata semplicità primitiva. Gli è quello che Dante ripete in cento modi, e lo ripetevano persone piissime, gran santi, pontefici, che più? i concilj, nessun dei quali passò senza gravi lamenti del tralignato costume e della sciolta disciplina, e senza fare decreti di riforma. Io collocherei Dante fra questi, e con Pier Damiani, con san Bernardo.

E se quei Fraticelli ammoniti reluttarono, e inorgogliti da una rigida perfezione, sconobbero l’autorità suprema, allora solo uscirono dalla Chiesa, allora cessò la discolpa della buona fede. E così fecero gli Albigesi al tempo di Dante, poi i grandi negatori del Cinquecento. Voi avete descritto maestrevolmente, cioè in breve, la guerra degli Albigesi. Erano fuor della Chiesa; e furono perseguitati con buon diritto, sebbene con modi atroci, convenienti alla ferocia del tempo e d’una guerra civile, più che non alla mitezza cristiana.

Dubbia ancora è la colpabilità ereticale de’ Templari; e non la Chiesa, ma un papa, non con bolla definitiva, ma con breve provvisionale li soppresse; nè sulla loro eresia fu proferita la parola che non falla. Ora, secondo voi, Dante apparteneva all’ordine de’ Templari, stipite della moderna framassoneria, e voleva vendicare sui papi la crociata contro gli Albigesi e la distruzione dei Templari. Ma che? degli Albigesi non una sola volta io trovo cenno nellaDivina Commedia, non una; nè voi ce l’avete potuto vedere che a forza di allusioni, di premesse, d’interpretazioni; mediante le quali non vi sarebbe stranezza che non poteste trovarvi. Sembra che il fondo di lor dottrina fosse il manicheismo; eppure in Dante tutto spira la libera azione di Dio uno e trino nella creazione e conservazione del mondo, e le quistioni principali versano attorno al combinare la Provvidenza e la Grazia col libero arbitrio dell’uomo.

Quanto ai Templari, ho due pregiudizi: che il loro Ordine ricevette la regola, da chi? da Misraim? da Valdo? no: da san Bernardo. Io non credo che il retto vostro senso vi lasci scorrere fin ad asserire con Lenoix (Origine de la Framaçonnerie, p. 235) che san Bernardo stesso era un francomuratore. Dante poi, una volta nomina i Templari: ma dove? dove scagliasi contro Filippoil Bello, perchè spinse le vele nel Tempio, e perchè (soggiunge) crocifisse Cristonel suo vicario, che stava in Anagni. E quel vicario chi era? Bonifazio VIII, la persona più esecrata da Dante (le ragioni son note), il quale ben nove volte lo bestemmia nel suo poema. Lo bestemmia, ma come contrariatore dei Ghibellini, come causa del suo esiglio, come attizzatore delle discordie di Firenze. Ma il vede oltraggiato da un re e da un avvocato? più non ricorda l’uomo, sibbene il papa,il pastor della Chiesa, il vicario di Cristo.

Pigmalione che s’innamora della propria statua, è immagine che deve affacciarsi a chi legge il vostro libro: ma sarete perciò inesorabile a chi le nega l’incenso migliore, il consenso? Che un autore da capo a fondo dei libri suoi dica il contrario di quel che pensa, ogni sua frase deva spiegarsi in altro senso da quel che suona; quando dice santi intenda eretici; quando pecore, intenda capre; quando inveisce contro gli increduli e la loro presunzione e chi li segue, intenda i cattolici; che ove loda ildonaredeva leggersidona re; che quando professa le verità più austere sulla Trinità, sul papa,vere claviger regni cœlorum, il quale,secundum revelata humanum genus perducit ad vitam æternam, o loda ilsanto seneBernardo, o Domenicosanto atleta della cristiana fede, faccialo per ironia; che la distinzione de’ linguaggi nelVulgare eloquioesprima distinzione di partiti e di credenze; che nel Convivio, dove commenta le sue Canzoni, si proponga invece di commentare laDivina Commedia, della quale nè un cenno vi fa tampoco; e trovi modo di commentarle così che i Ghibellini v’intendano una cosa, e i Guelfi la precisa opposta; che un autore, insomma, i suoi sentimenti e la sua gloria appoggi a libri scritti perpetuamente in gergo, perdonatemi, ma sarebbe artifizio degno del vostroTalleyrand, che diceva la parola esser data all’uomo per dissimulare il pensiero, anzichè del poeta il quale cantava:

Io mi son un che, quandoAmore spira, noto; ed in quel modoCh’ei detta dentro, vo significando.

Io mi son un che, quandoAmore spira, noto; ed in quel modoCh’ei detta dentro, vo significando.

Io mi son un che, quando

Amore spira, noto; ed in quel modo

Ch’ei detta dentro, vo significando.

So che quella parolaAmoreè la chiave della vôlta di tutto il vostro edifizio: ma non è bastante fatica il dicifrare i passi oscuri, senza proporsi d’oscurare gli evidenti? E certo il supporre in Dante ed errori e verità è men difficile, atteso le tante sueobscurités, que ne sont pas encore parvenu à éclaircir toutes les gloses des commentateurs. Ma se così è, qual idea è mai cotesta d’un settario di farsiper più anni macroonde esporre una dottrina in un linguaggio che non sarà inteso se non da pochi adepti, il che sarebbe un predicare a convertiti? Eppure Dante in un’opera espone pienamente il sistema della monarchia ghibellina a contrasto della papale: e quella è la più chiara, voi dite, anzi la sola chiara; e infatti subì condanne che le altre no.

Nessuno più di me aborre la tracotanza di chi, in una pagina, buttata giù, come voi direste,entre la pomme et le fromage, pretende sventare un’opera di lunga lena, di meditata pazienza. Il cielo mi guardi dal voler così usare colla vostra, benchè io, ammirandoquella paziente ostinazione nel cercar le traccie rivelatrici, non possa accettarne le risultanze. Nè le accettarono i contemporanei di Dante, i quali pure seppero apporre all’amico suo Cavalcanti di strologare sulla mortalità dell’anima. Appena Dante morì, vestito, come chiese, dell’abito di francescano, dicesi che il cardinale Poget cercò turbare le ceneri del nostro poeta. Poget, cattivo prete e cattivo generale, che non portava in Italia le benedizioni dell’esulepastore, ma ne menava gli eserciti a devastarla,doveva aborrire il Ghibellino che non risparmiò mai improperj ai papi, e che nellaMonarchiaproclamò canoni diametralmente opposti alle libertà guelfe e alla primazia del pensiero sopra le spade. Ma, non foss’altro, gli ultimi avvenimenti m’hanno insegnato a distinguere ciò che unofeceda ciò chevolea fare: e certo il Poget non processò nè disturbò il cadavere del grand’italiano, benchè sia un luogo comune il ripetere chevolevafarlo. Dante vivo «invocava mattina e sera il nome del bel fiore» cioè di Maria (Parad.,XXIII). Morto appena che fu, la sua Firenze, la capitana del guelfismo, lo facea leggere e commentare: e dove? in chiesa e in domenica; e da chi? dal Boccaccio, che voi dite eraen communauté de doctrines avec le poète, e che pure non ci lasciò detto nulla di più chiaro. E l’immagine di Dante fu dipinta in Santa Maria del Fiore, e il suo viaggio nel duomo d’Orvieto e nel camposanto di Pisa; un arcivescovo di Milano istituì una cattedra, ove due filosofi e dueteologiil doveano spiegare; al concilio di Basilea si tenevano lezioni sopra laDivina Commedia; finchè Rafael Sanzio dovea, per commissione d’un papa, e quando la riforma religiosa già ruggiva, proprio nelle sale del Vaticano dipinger Dante fra i gran maestri in divinità che coronano l’altare del ss. Sacramento.

Che più? quel risolutissimo campione delle ragioni pontifizie, il gesuita cardinale Bellarmino, alla sua operaDe summo pontificesoggiunse una dissertazione contro un francese protestante (dicono François Perot), il quale dava Dante come eretico. Esso Bellarmino sostiene non trovarvisi cosa che contraddica alla verità cattolica, anzi andar l’intero poema in confutare i protestanti, e assume a recaretestimonia plurima atque apertissima Dantis, non solum pro summa romani pontificis auctoritate et dignitate, sed etiam pro aliis nonnullisfidei nostræ capitibus, ut adversarius intelligat, se, Dante judice, non modo causa cecidisse, sed etiam plane hereticum et impium esse.

Che vuol dir ciò? che la Chiesa e i preti, nellostolido e feroce medioevo, cioè quando teneano in mano e i giudizj e la forza per farli eseguire, si porsero meno intolleranti, che non cerchino esserlo alcuni d’oggi, i quali, ridotti unicamente alla penna, vogliono almeno con questa sostenere il diritto della persecuzione e la opportunità dell’intolleranza. Lasciamoli dire, caro Aroux; e se verrà mai tempo che essi di nuovo si cerchino salvezza dietro alla tolleranza, serbiamoci il conforto di non averla rinnegata, nemmeno quando ce ne faceano delitto. Voi pure siete persuaso che una causa si serve meglio col mostrare che ella fu abbracciata dai pensatori e dai valentuomini, anzichè coll’indagar parole e atti di questi, i quali accusino infedeli anche coloro che del proprio ingegno fecero docile omaggio alla verità.

E se in Dante vogliam pure trovare l’eresia, abbiamola nell’ira a cui s’inspirò; nel disamore che sparse tra le città d’Italia, preparando nomi d’improperio con cui insultarsi prima d’uccidersi; nel farsi giudice fin di pene eterne per rancori, o almen per giudizj privati; dimenticando che «dove non è carità non è Cristo.

Voi però ecc.».

La quistione di Dante eretico fu ripigliata nelCalendario Evangelicoche si stampa a Berlino, dove il dottore Ferdinando Piper, professore di teologia in quella Università, nel 1865 trattò diDante und seine Theologie. Egli conviene che Dante pone come supremo bene Iddio, nè poter l’uomo raggiungere esso bene se non acquistando la beatifica visione: questa acquistarsi collevirtù teologiche: alle quali ci ajutano le sacre carte, l’esperienza e la ragione, che però nelle cose soprasensibili piegasi alla rivelazione. Dante propriamente non può dirsi uscito dalla Chiesa di Roma: le sue dottrine però menano dritto alla evangelica. E non solo quanto alla riforma del capo e delle membra, e quanto al potere temporale: ma anche nel dogma. In fatti (è sempre il Piper che ragiona) egli non ammette l’infallibilità del papa, giacchè colloca fra gli eretici Anastasio II papa: non ammette che niun altro che il presbiterato possa ingerirsi nella Chiesa, poichè egli stesso se ne ingerisce raccomandando la riforma: non ammette che le decretali possano esser fonte del vero quanto le sacre carte.

Veda ogni cattolico se questi siano argomenti valevoli a segregar uno dalla nostra unità.


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