GAVARNI[8]
Il Gavarni è il Balzac della matita. Gli storici futuri della prima metà del secolo XIX, insieme alle immortali pagine dellaComédie humainestudieranno i dieci mila disegni del Gavarni, come i documenti più autentici della vita francese moderna. Il Balzac ha decomposto e analizzato tutte le passioni, tutti i vizii, tutte le virtù, tutte le debolezze, tutte le miserie di questa civiltà democratica sorta sulle rovinedel vecchio mondo aristocratico fra gli entusiasmi e i baccanali della grande Rivoluzione; lavoro d’artista pensatore, che apparisce più meraviglioso e più straordinario di mano in mano che possiamo accostarci ad esso e abituarci a quella vertiginosa immensità . Il Gavarni ha fissato lo stesso mondo del Balzac, cristallizzandolo e rendendolo più immediato colla elegante sveltezza del suo disegno, colla vigorosa potenza dei suoi chiaroscuri litografici e col darci, per di più, oltre l’espressione e la movenza della persona, oltre la commedia e il dramma figurato, il motto vivo, la frase scultoria, condensata, stavo per dire il suono della voce e l’emozione dell’accento di tutti i suoi personaggi.
Questi due grandi osservatori, cosa strana! sono stati, quasi allo stesso modo, due grandi sognatori. Tutti e due han lavorato sotto l’aspro pungolo dei creditori e degli uscieri, privi affatto del senso delle realtà della vita, prodighi, trascuranti le necessità giornaliere; l’uno ammassando coll’imaginazione gigantesca montagne d’oro che fondevansi come neve appena lui stendesse la mano per toccarle, l’altro coll’idea fissa d’una grande rivoluzioneda produrre nella scienza dinamica. «Ho da rifare tutta la dinamica e il sole da spostare. Da qualche tempo in qua il sole mi dà ai nervi, e in questi giorni mi son chiesto più volte fin a qual punto sarebbe conveniente farlo sparire; basterebbe vederci un po’ meglio nel sistema... V’importa proprio molto del sole a voi?» scriveva il Gavarni, scherzando, al Ward. Intanto passava seriamente i giorni e le notti assorto a far calcoli e figure geometriche per trovar di stabilire sopra nuove basi la legge del movimento planetario edetronizzare il sole.
— Detronizzate piuttosto l’Hogart e lasciate tranquillo quel povero Newton, gli diceva il Ward, un inglese dotto e positivo.
Ma il Gavarni s’impermaliva; su questo conto non voleva sentirdelle frasi. Era dunque condannato a far soltantodelle figurine per divertire i borghesi?
— Che direste, se vi facessi vedere una cassetta piccina così, su questa palma di mano e se, staccando lentamente la mano dal fondo, la vedreste restare per aria?
— Ma è impossibile! rispondeva il Ward.
— Ecco! Tutti pari! Le grandi scoperte son sempre ricevute a legnate!
C’è delle rassomiglianze più notevoli. Il Gavarni si rovinò, come il Balzac, per una speculazione fallita, il suoJournal des Gens du mondeche non potè andare più in là del diciannovesimo numero e gli mangiò ventiquattromila franchi e l’oppresse di debiti per quasi tutta la vita. Come il Balzac, ebbe le sueJardiesin quel giardino attaccato alla sua casa sulla via di Versailles, aPoint du jour, una casa storica che prima era stata fucina di falsi monetarii, e poi proprietà del famoso Leroy sarto dell’imperatrice Giuseppina. In quel benedetto giardino era un continuo fare e disfare. Ogni giorno un viale spostato, alberi trapiantati, ajuole rase e disposte diversamente. Ponticelli, salite, bacini, un gran tavolo di pietra pei desinari all’aria aperta, canili che parevano stanze, muri di rinforzo, letti di torrenti artificiali,... si buttava in aria ogni cosa quando già ogni cosa sembrava messa al suo posto. E che progetti per l’interno! Mobili, bronzi e una pergola da adornar le mura della sala da pranzo, qualcosa di somigliante ai fantastici affreschi che il Balzac mostrava al Gozlan sulle nude pareti delleJardiesappena rivestite di calce.
La vita di tutti e due è stata una continualotta: e tutti e due han conquistato il loro posto a furia di pazienza e di ostinatezza, quasi aizzati al lavoro dal pungolo delle avversità economiche ch’essi dimenticavano inebriandosi d’arte, assorbendosi nelle proprie creazioni con identico processo, vivendo la vita dei loro personaggi, cacciandosi sotto la loro pelle per meglio afferrarne l’intima natura del carattere, delle passioni, del ridicolo e dei vizii.
Nel Balzac c’era qualche cosa che repugnava al Gavarni, la trascuratezza della persona. Egli elegantissimo, pettinato, profumato, pretenziosamente ricercato nel vestire fino a portare, in gioventù, degli anelli sopra i guanti e degli stivaletti che sembravano stivaletti da donna, non poteva patire quegli enormi panciotti bianchi che il Balzac comperava dai rivenduglioli, e quei cappelloni da muratore col fondo di lustrino bleu che questi portava in testa. La prima volta che il Gavarni lo vide, nella stanza della redazione del giornaleLa Moda, corpulento, con begli occhi neri, col naso rincagnato e un po’ schiacciato, colla voce sonora, lo scambiò per un commesso libraio. Più tardi, i due sognatori furono uniti da uno stesso interesse,quello di sottrarre alla sentenza di morte il giornalista Peytel condannato dalle Assise di Bourg per aver ucciso la moglie. Peytel era amico del Gavarni; il Balzac s’era montato la fantasia credendo il Peytel condannato a torto. Andarono insieme a Bourg per consultarlo sopra alcuni punti della difesa. Il Gavarni raccontava un giorno ai De Goncourt che, al primo rilievo dei cavalli, il Balzac cominciò a dire al postiglione: — Fate presto. Quel signore lì guadagna cinquanta franchi il giorno, io cento... Calcolate quel che perdiamo in ogn’ora di ritardo.... — E la cifra dei guadagni ad ogni rilievo aumentava.
Non s’amarono, non furono stretti da grande intimità , ma si giudicarono tutti e due imparzialmente.
«Gavarni s’è fatto uno stile ed una maniera che il suo pubblico riconosce e nota con una fedeltà onorevolissima per l’artista... Gavarni ha fatto un libro senza saperlo: egli ruba gli scrittori contemporanei... Il suo segreto è la natura presa sul fatto, la verità .»Balzac.
«Balzac ha fatto delle belle cose; non si potrà spingere più in là la vigoria dell’analisi:la sua opera composta d’imaginazione e di intuizione è una grand’opera.»Gavarni.
L’ultima volta che si videro, alla stazione degli omnibus di Versailles, Gavarni era in prima, Balzac in terza classe.
— Eccoci qui tutti e due, gli disse questi; voi crivellato di debiti, io obbligato a prendere un posto di terza classe... Ne ho parlato questa mattina al ministro.
Per compire la rassomiglianza, furono tutti e due conservatori in politica, e il Gavarni ebbe sempre sul cuore, come un rimorso, l’unica caricatura politica che avesse fatto in tutta la sua vita,Le Ballon perdu, contro Carlo X, nel 1830. Degli odii politici diceva: Sono errori che io non posso commettere; c’è troppo fiele e assai poca sincerità . E di una delle rivoluzioni francesi: Questo popolo insensato ha spinto la questione del progresso fino alle fucilate!
Dopo il quarantotto Luigi Blanc, a Londra, tentò di convertire il Gavarni alle sue idee e farne un potente strumento per la propaganda del suo sistema. In un pranzo in casa del celebre drammaturgo Taylor, dato a bella posta per farli trovare insieme, il Blanc fece cadere a poco a poco la conversazione sultema del progresso, e accalorandosi, con voce alta, con occhi scintillanti, gesticolando, tracciò un gran quadro dell’Umanità lottante, vittoriosa, elevatasi gradatamente sino alla cima dei suoi alti destini. Il Gavarni, seduto presso il camino, colla testa bassa, fumava e pareva ascoltasse con molta attenzione. Allora il Blanc, incoraggiato, gli fece notare quali servigi potesse rendere all’Umanità mettendo la sua matita sotto la bandiera del progresso. Il Gavarni stava zitto e avvolgeva lentamente una sigaretta.
— Insomma, disse il Blanc, io vi ho mostrato il gran dramma del progresso. Volete esser dei nostri per continuarlo?
— Il progresso? rispose finalmente il Gavarni; ma io non ci credo al progresso!
Il Gavarni ce l’aveva un po’ col Blanc, perchè questi era stato membro di quel governo provvisorio del 48 che aveva abolito la prigionia per debiti.
— È un gran delitto? gli disse il Blanc.
— È un atto della più abominevole tirannia. Vorrei sapere con che diritto mi si toglie la libertà d’impegnare la mia libertà per procurarmi del denaro?
La donna occupa un gran posto nella vitadel Gavarni; dovrei dir meglio: le donne. Il suo giornale reca delle filze di nomi che non finiscono più: Fanny, Luigia, Amanda, Arsenia, Atalia, Eugenia, Teresa, Giulia, Florida, Manette, ecc. ecc. E non dei nomi soltanto, ma delle scene piene di osservazioni finissime, ma degli studii sul cuore delicatamente fatti e deliziosamente scritti, che per poco non presero la forma di libro, d’un romanzo, come quello che il Sainte-Beuve analizza dandone larghissimi estratti.
Il Gavarni ebbe sin da giovinetto l’abitudine d’osservarsi e di notare le sue osservazioni.
«Io sono incapace d’amare, egli scrive parlando d’un’Angelica per la quale aveva avuto un capriccio di desiderio: non l’avrei amata più delle altre. Qual’è dunque il sentimento che ho quando vedo una donna?
«Ti desideravo: non mi saresti sfuggita. T’avrei dato la perfida assicurazione d’un amore che non avrei mai conosciuto... T’avrei ricevuto fra le mie braccia con tutta la freddezza conservata sin allora, ma con una apparenza d’ebbrezza... Tu m’avresti creduto il più felice degli uomini... Io avrei scritto sbadigliando il tuo nome sul mio giornaledietro il nome di tante altre e t’avrei abbandonata per preparare un nuovo intrigo.»
Non era nè sensuale, nè tenero. Anche nella passione conservava intiera la sua freddezza d’osservazione e d’analisi; ma cercava sempre, con avidità , questofiore d’emozioniche gli veniva dalla donna e ch’egli confessava non saper trovare altrove. «E lo cercava ogni giorno, dicono i De Goncourt, in sempre nuove emozioni, nei dolci nonnulla d’un amoretto appena imbastito, nella successiva piccola vittoria sopra una donna che si lascia corteggiare, nell’occupazione mezzo platonica e mezzo concupiscente d’una creatura adorata (era per lui quel che più amava nell’amore) per cui aveva creato il verbogingigner, amar colla testa, coll’immaginazione.»
E la donna non la dimenticava neppur nei momenti di grande preoccupazione, come quand’andava a Bourg per salvare l’amico Peytel. Da Marsiglia scriveva al Tronquoy: «E Arles! la città delle belle donne; — esse sono così belle e graziose ch’è una benedizione! — e civette!... Quando si vede le donne d’Arles non si capisce come possano esistere ad Arles e carte da giuoco e bigliardie bocce, insomma tutt’altra cosa che l’amore.»
In questa sua volubilità si trova un fondo di tristezza e di malinconia. La donna è proprio un pretesto per lui: egli in verità non ama che quello che gli vien dall’intimo fondo del suo cuore e del suo spirito. A proposito di una giovinetta conosciuta a Bayonne, dalla quale non aveva ottenuto altro che un bacio d’addio dato alla presenza della mamma, egli notava nel suo giornale: «questo bacio unico me lo ricorderò sempre: era elettrico... Finalmente ho fatto il gran sforzo di lasciar Bayonne. Le ragazze belline somigliano alle pietre che il viaggiatore inciampa lungo via per fiaccarsi il collo: ma la mia Fanny era soltanto bellina, anzi non era nemmen bellina. È la sua animina che m’aveva stordito; è questo che io vedevo nei suoi occhi. Dov’era l’incanto? E che me n’importa? Ce n’era uno per me; e se la mia imaginazione mi ha ingannato, tanto meglio — tanto peggio — tanto meglio.»
In fondo, nelle diverse donne amate alla sfuggita, leggermente, lui non ama che la sua donna ideale,quella che non somiglia a nessuna; e si compiace di «quei momenti d’emozioned’un’estrema delicatezza, deliziosi e vaghi, che cullano dolcemente l’anima tra il piacere e la pena, ma che un rumore, un motto, un nulla, anch’un pensiero distruggono.»
Bisogna leggere l’ultima sua passeggiata colla Luigia, al bosco di Boulogne, in uno di quei giorni nei quali l’amore agonizzava di noia in tutt’e due (un’analisi delle più delicate) per comprendere fin dove potesse arrivare la sua potenza d’osservatore e di scrittore.
«Il piacere, quel giorno, era un obbligo per noi: eravamo di quelli che vogliono esser felici ad ora fissa.... È assai strano, senza dubbio, ma era così. C’eravamo incontrati per caso, eravamo stati felici un momento per la reciproca novità , com’accade sempre; poi, senza che io ne sapessi il perchè, la Luigia mi era venuta in uggia....»
È una giornata triste, lunga. Coricati sull’erba, «imbarazzati tutti e due dal loro buon senso che non riuscivano a vincere», lei gli avea posato la testa sulle ginocchia, dicendogli che voleva dormire una mezz’ora. Lui avea atteso coll’orologio alla mano, contando i minuti. Tardi, percorso lentamente quasi tutt’il bosco, rientrano per la porta Maillot.
— «La giornata vi è parsa lunga, le dissi.
— «No, niente affatto: mi son divertita. E voi?
— «Molto.
«Mentivamo; avevamo il merito di non dircelo. Non ci volevamo male, ecco tutto.»
In questo giuoco, ch’egli chiamava lacaccia alla donna, l’attirava l’incognito. E correva dietro un cappellino, dietro un pedino, dietro un velo bianco, felice quando poteva incontrare qualchetrouvaillee quando s’imbatteva inqualche nuova farfalla da classare.
Ma un giorno anche lui fu preso per davvero. La ragazza era bella, con denti bianchissimi, col seno ricco, coi capelli bruni, con quel non so che d’una cortigiana da farsi amare. Sapute di lei delle cose abjettissime, si sente lacerare il cuore. «Ho compreso in un momento ciò che si chiama amore! L’ho compreso con tutte le sue abnegazioni, con tutti i suoi sacrifizi!...» E quando lui deve andar via «non un lamento, non un rimprovero, non una parola sul passato.» Hanno passato insieme gli ultimi tre giorni in campagna.
— «Tornerò da te, domani, è vero?
«Non seppi dire di no. Così, il giorno dopo, lei venne. Tutto quello che potei fare fu di rifiutarle di venir la sera dello stesso giorno; e la sera l’amavo tanto, che avrei pianto dal non vederla!...»
Il ricordo d’Arsenia lo tormentò per mesi e mesi.
Altri episodii non meno caratteristici racchiude il bel libro dei De Goncourt. Io ho sfiorato a mala pena il soggetto. Ed ho messo a posta da parte l’arguto osservatore della società partigiana, perchè questo dell’amore m’è parso il lato più curioso e men noto del celebre artista.
Il libro dei De Goncourt si legge coll’avidità d’un romanzo; forse è il primo saggio di quello che sarà il romanzo futuro, un semplice studio biografico fatto su documenti intimissimi. Allorchè s’arriva a quella fine così piena di tristezza che chiude una vita laboriosissima e gloriosa, l’emozione guadagna il cuor del lettore e le lagrime salgono agli occhi.
«Dopo tanto lavoro, un’opera di diecimila disegni dove si trova, per la prima volta nella storia dell’arte, il talento dell’artista riunito al talento di scrittore, dopo le laboriose ricerchedel matematico, del dotto e dell’inventore, egli dorme nel cimitero d’Auteuil il gran sonno della morte, sotto una lastra di granito, immagine della solidità della sua gloria e della durata di questo nome (semplice e fiera iscrizione della sua tomba):Gavarni.»